LA LITURGIA DELLA PAROLA

DEL TEMPO D'AVVENTO

(ciclo B)

 

L'Avvento è il tempo liturgico che sottolinea maggiormente la speranza e la vigilanza. E' per questo anche metafora della vita cristiana intesa come movimento, come ricerca. Attraverso le letture bibliche di questo tempo, siamo invitati a contemplare tutto il mistero della venuta del Signore nella storia fino alla sua consumazione finale. Il Dio dell'Avvento è il Dio della storia che si è fatto pienamente presente tra gli uomini, in Gesù di Nazaret e in lui offre all'umanità la realizzazione delle sue aspirazioni e speranze più profonde.

Il tempo dell'Avvento consta di quattro domeniche ed è formato da due tappe ben differenziate: (a) dalla prima domenica fino al 16 dicembre, si sottolinea l'aspetto escatologico della salvezza, invitandoci a far rifiorire la nostra speranza nella venuta gloriosa di Cristo; (b) dal 17 al 24 dicembre, tutta la liturgia è orientata più direttamente alla preparazione del Natale. In questo tempo, la Chiesa, animata dal popolo d'Israele, il grande maestro della speranza, fa rifiorire la sua attesa nel giorno glorioso di Cristo, mentre vigilante si impegna ogni giorno nella trasformazione della storia.

1. Il libro del profeta Isaia

Da tempi molti antichi, si è assegnata al tempo dell'Avvento la lettura quasi giornaliera del profeta Isaia, le cui pagine più significative vengono proclamate in questi giorni, come parole permanenti di speranza e di consolazione per tutti gli uomini. Il libro di Isaia è una delle opere più ricche e belle, a livello letterario e teologico, di tutta la Bibbia. Inoltre, essendo il libro dell'antico Testamento più citato nel Nuovo, è uno dei più conosciuti della letteratura profetica. Comunque, questo libro, più che una sola opera, è una collezione di scritti di diversi secoli e di diversi autori che gli studiosi hanno diviso in tre parti: il Primo Isaia, che abbraccia Is 1-39 e proviene sicuramente dal profeta Isaia che visse a Gerusalemme, nel sec. VIII a.C.; il secondo Isaia corrisponde a Is 40-55 e fu scritto da un profeta anonimo nei tempi dell'esilio, verso il VII sec. a.C.; e il terzo Isaia è opera di uno o vari profeti anonimi posteriori all'esilio, verso il VI sec. a.C. ed è composto da Is 56-66. Nel tempo dell'Avvento, leggeremo testi tratti dalle tre parti di Isaia ed è importante saperli situare nei loro momenti storici. Di seguito, ci riferiremo all'epoca di ciascuna di queste tre parti e ai testi più significativi dell'Avvento.

1.1. Il Primo Isaia (Is 1-39).

Questa prima sezione del libro viene attribuita al profeta Isaia che visse a Gerusalemme nel VIII secolo a.C. Questa fu un epoca contrassegnata dall'espansionismo militare e politico delle grandi potenze internazionali, che portò con sé conseguenze catastrofiche sia per il Regno del Nord (Israele), che cadde nel 722 sotto il potere dell'esercito assiro, sia per il Regno del Sud (Giuda), che soffrì costantemente attacchi e assedi militari e dovette sottomettersi politicamente all'Assiria nel 701. Essa, per tanto, fu un'epoca di instabilità e di paura. All'interno del Paese crebbero gli abusi delle classi più alte, che produssero scandalose differenze e ingiustizie sociali. Isaia affermò la necessità e l'importanza della fede in una situazione di così grave insicurezza: per lui, la fede nel Signore esclude ogni timore. Allo stesso re, egli assicurò la fedeltà del Signore nel mantenere la continuità della dinastia davidica in momenti così critici per la vita del Paese (cf. Is 7,7-9; 30,1-5; 31,1-3); denunziò, inoltre, come contrari al piano del Santo d'Israele (Is 5,12.19), la corruzione, lo sfruttamento dei poveri e il culto ipocrita che cercava di giustificare gli abusi (Is 1,10-20).

I testi che, nell'Avvento, leggiamo del Primo Isaia hanno a che vedere con la speranza messianica e la fiducia in Dio (Is 2,1-5; 4,2-6; 11,1-10, 25,6-10; 26,1-6; 29,17-24; 30,19-21.23-26). Isaia ci invita a sognare e a sperare. Questa è la funzione di Is 2,1-5 all'inizio dell'Avvento (lunedì della 1a. settimana): un'impressionante peregrinazione di tutti i popoli verso il monte del Signore a Gerusalemme, da dove scaturiscono l'insegnamento (torah) e la Parola di Dio (cf. Is 2,3), per lasciarsi istruire da Lui. Il risultato è il disarmo e la pace universale, visto che tutti gli uomini hanno fatto coincidere il loro propri progetti con le vie del Signore. L'Avvento ci insegna ad aspettare e a preparare questo sogno di pace e di fraternità nel quale Dio è l'unico “giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli” (cf. Is 2,4). Isaia, però, non è un sognatore superficiale: egli sa che, affinché i sogni si facciano realtà, c'è bisogno del nostro impegno. Per questo parla della necessità di una “purificazione”. Il sogno sarà realtà “quando il Signore avrà lavato le brutture delle figlie di Sion e avrà pulito l'interno di Gerusalemme dal sangue che vi è stato versato con lo spirito di giustizia e con lo spirito dello sterminio” (Is 4,4). E' consolante sapere che Dio è in mezzo al suo popolo, disposto a prepararlo, a cambiarlo, e questo a condizione che il popolo stesso si disponga docilmente, con umile fede e fiducia. L'opera di Dio raggiunge orizzonti infiniti con l'apparizione del Messia, che porta la pace universale e la giustizia per i poveri (Is 11,1-10). Viene descritto, alla fine della storia, uno splendido banchetto, nel quale si celebra il trionfo definitivo della vita: Dio ha distrutto tutto ciò che faceva piangere e soffrire gli uomini (Is 25,6-10). Isaia inviterà costantemente alla fiducia: Dio viene sempre per salvare gli umili che si abbandonano al suo amore, “il popolo giusto che mantiene la fedeltà...” (Is 26,2).

1.2. Il Secondo Isaia (Is 40-55)

Questa seconda sezione del libro è opera di un profeta anonimo che visse nel periodo più duro e tragico della storia del popolo della bibbia: durante l'epoca in cui Israele fu deportato in esilio a Babilonia, dopo aver perso la sua terra, la sua monarchia, il suo Tempio, le sue tradizioni, ecc. Nei capitoli 40-48, annuncia agli esiliati la liberazione dal dominio di Babilonia, mentre nei capitoli 49-55, sembra dirigersi al secondo gruppo di coloro i quali ritornano in patria e intraprendono la ricostruzione d'Israele.

I testi che leggiamo del Secondo Isaia, durante l'Avvento, hanno come tematica la consolazione e la speranza nell'azione di Dio che può creare tutto di nuovo (Is 40,1-11.25-31; 41,13-20, 48,17-19). L'oracolo con il quale si apre il libro e che leggeremo nella seconda domenica d'Avvento (Is 40,1-11) è un invito a contemplare e a gustare la bontà del Signore: “Consolate, consolate il mio popolo” (Is 40,1). Tutti abbiamo bisogno della consolazione e dobbiamo credere che Dio viene e che possiamo essere consolati dalla sua bontà. Nel linguaggio biblico, “consolare” non significa semplicemente 2compatire”, ma cambiare una situazione di dolore e di morte in un'altra di speranza e di vita. Il popolo è ancora in esilio e il profeta lo invita a credere nel Dio che ha perdonato la sua colpa (Is 40,2) che viene a salvarlo: “Ecco, il Signore Dio viene con potenza...” (Is 40,10). C'è bisogno solamente di preparare una via affinché il Signore arrivi (Is 40,3) e affinché i popolo possa ritornare nella sua patria, portato in spalla amorosamente da Dio e condotto delicatamente verso la sua terra (Is 40,11). Il ritorno a Gerusalemme si farà nel deserto, però questa volta come un cammino trionfale che non conosce sentieri contorti né vie pericolose, giacché il Signore è il pastore che va guidando il popolo, poiché è egli che “fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri” (Is 40,11). Come nell'esodo dall'Egitto, il Signore percorre il cammino del deserto con il suo popolo ed è la sua guida verso la salvezza. Il Signore, “Dio eterno” (Is 43,28), è un Dio di misericordia che “non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile” (Is 40,28), che ama infinitamente il suo popolo e lo invita costantemente a non aver paura: “poiché io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra e ti dico: «Non temere, io ti vengo in aiuto»”. Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva di Israele; io vengo in tuo aiuto” (Is 41,13-14). Basta che il popolo sia disposto ad accogliere la sua parola e ad obbedirgli: “Dice il Signore tuo redentore, il Santo di Israele: «Io sono il Signore tuo Dio che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare. Se avessi prestato attenzione ai miei comandi, il tuo benessere sarebbe come un fiume, la tua giustizia come le onde del mare...»” (Is 48,17-18).

1.3. Il Terzo Isaia (Is 56-66)

Tutto fa presumere che questa parte di Isaia bisogna situarla dopo l'esilio, quando gran parte del popolo era ritornata in Israele, anche se non è facile specificare una data precisa. La situazione che si vive è difficile. La promesse del Secondo Isaia apparivano irrealizzabili, anche quando ormai l'esilio era terminato; le difficoltà nel ricostruire il Tempio e la città erano molte; alla maggior parte degli israeliti sembrava impossibile poter ristabilire le condizioni di una vita sociale, politica ed economica decenti. Questo profeta tenta d'invitare il popolo a confidare di nuovo nella parola del Signore che non può fallire (Is 66,5), giacché si è impegnato con i suoi per mezzo d'una alleanza (Is 59,21) confermata lungo la storia (Is 63,7-9). Il signore è sempre lo stesso e non è diventato incapace di aiutare chi si dirige a lui con fiducia (Is 59,1). In questo contesto, bisogna leggere le entusiastiche descrizioni di Gerusalemme, presentata come capitale ideale del nuovo regno e centro del mondo verso il quale si dirigono tutti i popoli (Is capp. 60-62; 65,16-25; 66,10-14). Il motivo di questa grandezza futura della città santa è la presenza del Signore che illumina e avvolge con amore il popolo che ha salvato (Is 60, 1.19-22; 62,11-12).

Durante il tempo dell'Avvento leggiamo alcuni testi di questo profeta per rianimare la nostra fiducia nel Signore, in mezzo alle difficoltà della storia, giacché egli viene a liberare il suo popolo e a colmarlo di gioia (Is 61,1-11; 63,16-64,7). La terza domenica d'Avvento risuona la voce entusiastica di questo profeta, come un autentico “vangelo” per i poveri, speranza per gli infermi e annuncio di liberazione per gli schiavi e i prigionieri: “Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri...” (Is 61,1). Come un araldo in occasione della celebrazione ebraica del giubileo, così il profeta annuncia la liberazione, la consolazione e la pace per l'intera comunità d'Israele. E' “l'anno di misericordia del Signore” (Is 61,2), il giubileo perfetto e definitivo, nel quale si ristabilisce un mondo nuovo, basato su nuovi rapporti tra gli uomini. Vengono cambiati anche i rapporti tra Dio e l'uomo, poiché il Signore è disposto a celebrare con il suo popolo un matrimonio d'amore, che non terminerà mai. Il popolo è “come una sposa che si adorna di gioielli” (Is 61,10), alla quale Dio dà “un vestito”, come segno di protezione e di speciale amore: “mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia” (Is 61,10). Anche i rapporti tra l'umanità e il cosmo intero saranno trasformati, giacché dio farà sorgere una natura fertile e generosa e una società giusta e credente: “Poiché come la terra produce la vegetazione e come un giardino fa germogliare i semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutti i popoli” (Is 61,11).

La prima domenica d'Avvento, in cambio, leggeremo come prima lettura della Messa la bella meditazione sulla storia d'Israele, che si trova in Is 63-64. Il profeta ricorda i molteplici interventi di salvezza di Dio nel passato e che l'uomo a causa della sua ribellione e del suo peccato ha sempre disprezzato (Is 63,7-14; 64,1-6) e che hanno portato ora alla situazione dolorosa e drammatica del silenzio di Dio che sembra aver dimenticato i suoi: “Dopo tutto questo, resterai ancora insensibile, o Signore, tacerai e ci umilierai sino in fondo?” (Is 64,11). Il popolo che supplica ardentemente: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19), sa che il Signore alla fine lo salverà (64,4), poiché egli è il Padre del popolo, il vasaio che lo ha creato (63,16; 64,7); sa che il Signore non tornerà a ricordare le colpe d'Israele pentito (64,4-5.8) poiché egli ama i suoi con amore eterno (63,15.17).

2. “I progetti del Santo di Israele” (Is 5,19)

Il venerdì della prima settimana d'Avvento, la prima lettura tratta dal profeta Isaia (Is 29, 15-24) ci offre una chiave teologica per l'intero tempo liturgico, attraverso termini importanti del messaggio d'Isaia, tali come “il lavoro delle mie mani” (29,23; 5,12); “l'azione del Signore” (5,12); “i progetti del Santo di Israele” (5,19). E' questa una tematica centrale nel tempo dell'Avvento, che sottolinea costantemente la dimensione storico – sacramentale della salvezza. Il Dio dell'Avvento è il Dio della storia; il Dio che con i suoi interventi storici, che arrivano alla loro pienezza nell'incarnazione di Cristo, ha dato consistenza al tempo degli uomini, riscattando dal peccato e dal nulla la storia umana. Il prefazio I dell'Avvento riflette questa ricca tematica del profeta Isaia, quando parla del doppio avvento di Cristo, dicendo: “Al suo primo avvento nell'umiltà della nostra natura umana egli portò a compimento la promessa antica... Verrà di nuovo nello splendore della gloria, e ci chiamerà a possedere il regno promesso...”.

Isaia chiama “progetti” od “opera” del signore il piano che Dio desidera realizzare nella storia e che può essere riconosciuto dagli uomini (cf. Is 5,12.19; 28,21). In Is 29,23 gli chiama “il lavoro delle mie mani”, in opposizione alle opere di coloro i quali detengono il potere e che vengono realizzate nelle tenebre (is 29, 15-16). Secondo Is 5, 18-19, si tratta delle azioni di Dio, rivelatrici della sua santità e che trasformano radicalmente la storia: sono “i progetti del santo d'Israele” (5,19).

Secondo la lettura di Isaia del venerdì della prima settimana, sono tre le principali caratteristiche dell'opera di Dio nella storia. Esse possono servire come chiavi di lettura dei testi biblici di tutto il tempo dell'Avvento:

(a) Dio fa che i sordi ascoltino le parole del libro: “Udranno in quel giorno i sordi le parole di un libro; liberati dall'oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno” (Is 29,18). Il testo parala di sordi e ciechi che saranno liberati dai loro impedimenti per ascoltare e vedere e di un libro che potrà essere letto. Questo versetto non deve essere interpretato nel senso letterale come guarigione fisica ma in modo simbolico. Isaia parla della rivelazione di Dio che arriva attraverso la parola dei profeti e che in un determinato momento venne messa per iscritto (cf. Ger 36; Is 8,17; 30,8; 34,16) e che potrà essere compresa e accettata da coloro i quali precedentemente non potevano farlo. Si afferma, inoltre, che i ciechi potranno vedere senza difficoltà. In altri termini, si annuncia il superamento della cecità etico – religiosa che impedisce di vedere i segni dei tempi, i chiamati di Dio nella storia, la sua azione liberatrice. In effetti, una delle condanne più forti di Isaia nei confronti dei suoi contemporanei è che non riescono a vedere l'azione storica di Dio e le sue esigenze (cf. Is 5,12; 22,11). In sintesi, Isaia annuncia che occhi e orecchie saranno liberati e che gli uomini potranno vedere la storia in una forma nuova, scoprendo il Signore in essa. Questa è una delle prime esigenze della spiritualità dell'Avvento.

Le parole e le opere di Gesù sono la rivelazione piena delle parole dei profeti. “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2). Con ragione Gesù diceva a coloro che lo ascoltavano: “Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l'udirono!” (Mt 13,16-17). Gesù è la Parola che contiene e porta alla loro pienezza “le parole del libro”. L'Apocalisse rappresenta con un “libro sigillato” il progetto di Dio nella storia, che solo l'Agnello può aprire e rivelare (cf. Ap 5,6). Il tempo dell'Avvento è il tempo dell'ascolto e della visione. Ascolto della parola dei profeti e di Cristo e visione della storia e dei segni dei tempi nei quali Dio ci parla.

(b) Dio porta la gioia ai poveri: “Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo di Israele” (Is 29,19). Isaia parla degli `ebionim, cioè di quelle persone socialmente deboli e indifese. In molti testi profetici, con questo termine si designano gli sfruttati, che sono vittime della violenza dei potenti (cf. Am 2,6; 4,1; 5,12, 8,4.6; Ger 2,34; 5,28; 22,16; Ez 16,49). Esso però possiede inoltro una sfumatura chiaramente religiosa: gli `ebionim sono coloro che si presentano di fronte al Signore come poveri e bisognosi (cf. Sal 35,10). L'altro gruppo menzionato sono gli `anawim, che contrastano con gli orgogliosi e i cinici (Pr 16,19; 3,4); hanno il cuore spezzato (Is 61,1) e cercano il Signore (Sal 22,27; 69,33). Il loro diritto è violato (Am 2,7), ricevono, però, l'aiuto di Dio (Sal 10,12.17; 25,9; 76,10; 149,4), nel quale hanno posto la loro gioia (Sal 34,3; 69,33). Sono i poveri credenti, i poveri di Dio che vivono aperti nei confronti della sua misericordia e affidano tutto nelle sue mani.

Una costante nella storia della salvezza è la gioia dei poveri provocata dalle azione di salvezza di Dio. La Vergine Maria, figura centrale dell'Avvento e paradigma dei poveri del Signore, è invitata alla gioia di fronte alla venuta di dio nel suo popolo: “Rallegrati, Maria, piena di grazia” (Lc 1,28). L'annunzio della nascita del Messia va diretto, in primo luogo, ai poveri, ai pastori che passano la notte sorvegliando i loro greggi: “...ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,10-11). E all'inizio del suo ministero, Gesù stesso proclama: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Lc 6,20) e, citando Isaia, definisce la sua missione come “liberazione dei prigionieri... libertà per gli oppressi... anno di grazia del Signore” (cf. Lc 4,18.19; Is 61,1-2). Il tempo dell'Avvento è il tempo utile per rinnovare la nostra solidarietà con i più poveri di questo mondo, con spirito di infinita fiducia nel Dio Santo che nel venire in questo mondo è causa di gioia degli umili e dei semplici.

(c) Dio distrugge i poteri ingiusti: “Il tiranno non sarà più, sparirà il beffardo, saranno eliminati quanti tramano iniquità...” (Is 29, 20-21). Il testo di Isaia parla del `arits, cioè dell'uomo violento, del tiranno (Is 25,4.5; 49,25; Sal 37,5; Gb 15,20; 27,13); di chi agisce con crudeltà spietata contro i suoi simili. L'altro personaggio è chiamato in ebraico lets, cioè il superbo, l'altezzoso, il cinico, che è causa di contese violente (Pr 22,10), mancante d'intelligenza (Pr 19,25) e pieno di cattiveria (Pr 9,8; 15,12; 13,1; Sal 1,1); qualcuno che in modo svergognato spudorato agisce e parla contro la verità e senza rispetto di Dio e degli altri. La terza espressione usta da Isaia (“...quanti tramano iniquità...”) designa coloro che divorano il popolo sfruttandolo e opprimendolo (Sal 14,4; 53,5), i calunniatori (Sal 41,7); 59, 2-3), ai malvagi in generale (Sal 92,7.8; 94,4). Quando Dio agisce nella storia, gli orgogliosi e i potenti sono abbassati; e gli sfruttatori e i macchinatori di ingiustizia sono distrutti.

In questo tempo d'Avvento ascolteremo alla Madre del Signore farsi eco di queste parole di Isaia, nel suo cantico di lode per le cose grandi che Dio ha fatto nella storia: “Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi...” (Lc 1, 49-53). Il tempo dell'Avvento è il momento per rinunciare ai nostri atteggiamenti prepotenti e ai nostri desideri nascosti di dominio sugli altri; è il tempo per confidare in Dio malgrado la cattiveria del mondo e del potere del peccato e dell'ingiustizia. Il giorno del Signore arriverà come un ladro nella notte e bisogna vivere nell'attesa vigilante sapendo che Dio, giudice giusto, viene ogni giorno e verrà alla fine della storia per creare nuovi cieli e una nuova terra e “dare a ciascuno secondo le sue opere” (Rm 2,6; 1Pt 1,17).

3. I “vangeli” dell'Avvento

La prima domenica d'Avvento leggiamo un testo di Marco (Mc 13,33-37) che parla della venuta gloriosa di Cristo, insperata però certa: “State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso” (Mc 13,33). Potrà succedere alla sera, nelle tenebre della notte o quando già si vedono le prime luci dell'alba sull'orizzonte (Mc 13,35). Il signore ci insegna l'atteggiamento con il quale il cristiano deve vivere: “Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!” (Mt 13,37). La venuta del Signore non deve produrre timore né aspettative superficiali, e neppure ossessione per una fine che nessuno sa quando sarà. L'importante è che il cristiano viva responsabilmente nel quotidiano e assuma con serietà la sua missione nella storia. Il Signore è sempre vicino, viene ogni giorno attraverso i fratelli e i segni dei tempi, verrà personalmente per ciascuno nel momento della morte e verrà glorioso alla fine della storia. Quello che si esige da noi è un atteggiamento di responsabilità e di serietà nel vivere la carità, in vigilanza costante per essere fedeli alla parola di Gesù, poiché “il cielo e la terra passeranno, però le mie parole non passeranno” (Mc 13,31).

La seconda domenica d'Avvento ci presenta la figura di Giovanni Battista, come l'ultimo dei profeti che prepara la venuta del Messia (Mc 1,1-8). La parola di Dio ci trasporta nel deserto (Mc 1,3.4.12.13), il luogo dell'essenziale, il luogo della decisone e della prova. Lì ascoltiamo una voce: quella del Battista, che annuncia la venuta di “uno più forte” (mc 1,7), che battezzerà l'umanità intera nello Spirito Santo (mc 1,8). Contempliamo inoltre un gesto: il battesimo nel Giordano per la conversione, per il perdono dei peccati (Mc 1,4-5). La parola e il gesto del Battista sono come una sintesi della preparazione e dell'attesa di Israele e di tutta l'umanità di fronte al Cristo che viene. L'Avvento è un tempo che invita a recuperare l'essenziale della fede: l'ascolto della Parola, la conversione, l'esigenza morale. Solo così potremo uscire preparati all'incontro del Signore che viene.

La terza domenica di Avvento ci ricolloca di fronte al profeta Giovanni, l'uomo del deserto, “egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce” (Gv 1,7). Il vangelo di Giovanni che leggiamo oggi ci presenta Giovanni come un testimone di Gesù, che è la vera luce del mondo (Gv 1,8; 8,12). Giovanni Battista conferma quello che Gesù, “la Parola fatta carne” (Gv 1,14), dirà durante il suo ministero. E' come una voce che orienta e invita l'umanità ad accogliere il cammino vero, la luce perfetta, il battesimo dello Spirito. E' come l'amico che prepara le nozze dello sposo e dopo si ritira pieno di gioia, come egli stesso attesta: “Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3,29-30). Ascoltare oggi Giovanni Battista significa impegnarci a realizzare scelte serie di vita cristiana, aprendo il nostro cuore e la nostra intera vita alla parola di Gesù.

La quarta domenica d'Avvento ascoltiamo il vangelo dell'annunciazione (Lc 1,26-38). Come sottofondo del testo di Luca, imprescindibile per comprendere le parole dell'angelo a Maria, vi è la promessa di dio a Davide attraverso il profeta Natan (2Sam 7): “La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre” (2Sam 7,16). Queste parole profetiche si compiono con l'incarnazione del Figlio di Dio: “Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,32-33). Maria è la nuova Sion, nella quale si farà presente il Figlio dell'Altissimo. Su di lei si posa “il potere dell'Altissimo” (Lc 1,35), facendo che la storia dell'Antico Testamento giunga alla sua pienezza definitiva attraverso “l'umile serva del Signore” (Lc 1,38.48), tutta “piena di grazia” (Lc 1,30), dal quale nascerà “il santo”, “il figlio di Dio” (Lc 1,35). Questo vangelo ci avvicina già alle feste del Natale e ci invita a credere come Maria, ad accogliere come lei la presenza di Dio nella storia. Con Maria ci prepariamo a riscoprire la potenza di Dio in favore dei poveri, a ricevere Cristo come Parola definitiva del Dio fedele che viene a trasformare la storia. Siamo invitati a ricevere il Bambino di Betlemme con una fede matura che ci faccia incontrare dio nella vita quotidiana e nel volto dei fratelli nei quali Cristosi fa presente.

 

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