Esodo 16

"La manna e le quaglie"

 

L'episodio della manna è un classico della teologia biblica. Esso presenta alcuni problemi di tipo redazionale: è difatti un testo composito e, nella sua forma finale, rivela alcune tensioni frutto della storia della sua composizione. La prospettiva teologica con cui bisogna interpretare il “dono – segno” della manna è esplicitata dal v. 12: la manna (e le quaglie) sono doni di Dio che devono condurre l'uomo alla fede (“e così saprete che io sono il Signore vostro Dio”). Esodo 16 rivela anche un elemento distintivo fondamentale della tappa del deserto: l'esperienza esistenziale della provvisorietà umana e della fiducia in Dio. Infatti la quantità di manna è assegnata in modo preciso per ogni membro della famiglia, un omer a testa (circa quattro litri) così da divenire una lezione sulla fiducia nella provvidenza divina. Nello spazio rischioso e senza vita del deserto è Dio stesso che sostiene ogni giorno ogni membro del suo popolo. La manna è lezione para Israel e, nello stesso tempo, è un segno della presenza amorosa di Dio che come un pastore guida il suo gregge nel deserto (Sal 78,52). Idealizzando al massimo il dono divino della manna commenta il libro della Sapienza: “Sfamasti il tuo popolo con un cibo degli angeli, dal cielo offristi loro un pane già pronto senza fatica, capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto. Questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza verso i tuoi figli; esso si adattava al gusto di chi l'inghiottiva e si trasformava in ciò che ognuno desiderava” (cf. Sal 78,24-25; 105,40).

 

1. Il testo

1Levarono l'accampamento da Elim e tutta la comunità degli Israeliti arrivò al deserto di Sin, che si trova tra Elim e il Sinai, il quindici del secondo mese dopo la loro uscita dal paese d'Egitto.
2Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. 3Gli Israeliti dissero loro: "Fossimo morti per mano del Signore nel paese d'Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatti uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine".
4Allora il Signore disse a Mosè: "Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina secondo la mia legge o no. 5Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che raccoglieranno ogni altro giorno".
6Mosè e Aronne dissero a tutti gli Israeliti: "Questa sera saprete che il Signore vi ha fatti uscire dal paese d'Egitto; 7domani mattina vedrete la Gloria del Signore; poiché egli ha inteso le vostre mormorazioni contro di lui. Noi infatti che cosa siamo, perché mormoriate contro di noi?". 8Mosè disse: "Quando il Signore vi darà alla sera la carne da mangiare e alla mattina il pane a sazietà, sarà perché il Signore ha inteso le mormorazioni, con le quali mormorate contro di lui. Noi infatti che cosa siamo? Non contro di noi vanno le vostre mormorazioni, ma contro il Signore".
9Mosè disse ad Aronne: "Dà questo comando a tutta la comunità degli Israeliti: Avvicinatevi alla presenza del Signore, perché egli ha inteso le vostre mormorazioni!". 10Ora mentre Aronne parlava a tutta la comunità degli Israeliti, essi si voltarono verso il deserto: ed ecco la Gloria del Signore apparve nella nube.
11Il Signore disse a Mosè: 12"Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore vostro Dio". 13Ora alla sera le quaglie salirono e coprirono l'accampamento; al mattino vi era uno strato di rugiada intorno all'accampamento. 14Poi lo strato di rugiada svanì ed ecco sulla superficie del deserto vi era una cosa minuta e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. 15Gli Israeliti la videro e si dissero l'un l'altro: "Man hu: che cos'è?", perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: "È il pane che il Signore vi ha dato in cibo.
16Ecco che cosa comanda il Signore: Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne, un omer a testa, secondo il numero delle persone con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli della propria tenda".
17Così fecero gli Israeliti. Ne raccolsero chi molto chi poco. 18Si misurò con l'omer: colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo, colui che ne aveva preso di meno non ne mancava: avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne. 19Poi Mosè disse loro: "Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino". 20Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne conservarono fino al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì. Mosè si irritò contro di loro.
21Essi dunque ne raccoglievano ogni mattina secondo quanto ciascuno mangiava; quando il sole cominciava a scaldare, si scioglieva.
22Nel sesto giorno essi raccolsero il doppio di quel pane, due omer a testa. Allora tutti i principi della comunità vennero ad informare Mosè. 23E disse loro: "È appunto ciò che ha detto il Signore: Domani è sabato, riposo assoluto consacrato al Signore. Ciò che avete da cuocere, cuocetelo; ciò che avete da bollire, bollitelo; quanto avanza, tenetelo in serbo fino a domani mattina".
24Essi lo misero in serbo fino al mattino, come aveva ordinato Mosè, e non imputridì, né vi si trovarono vermi.
25Disse Mosè: "Mangiatelo oggi, perché è sabato in onore del Signore: oggi non lo troverete nella campagna. 26Sei giorni lo raccoglierete, ma il settimo giorno è sabato: non ve ne sarà".
27Nel settimo giorno alcuni del popolo uscirono per raccoglierne, ma non ne trovarono. 28Disse allora il Signore a Mosè: "Fino a quando rifiuterete di osservare i miei ordini e le mie leggi? 29Vedete che il Signore vi ha dato il sabato! Per questo egli vi dà al sesto giorno il pane per due giorni. Restate ciascuno al proprio posto! Nel settimo giorno nessuno esca dal luogo dove si trova".
30Il popolo dunque riposò nel settimo giorno.
31La casa d'Israele la chiamò manna. Era simile al seme del coriandolo e bianca; aveva il sapore di una focaccia con miele.
32Mosè disse: "Questo ha ordinato il Signore: Riempitene un omer e conservatelo per i vostri discendenti, perché vedano il pane che vi ho dato da mangiare nel deserto, quando vi ho fatti uscire dal paese d'Egitto".
33Mosè disse quindi ad Aronne: "Prendi un'urna e mettici un omer completo di manna; deponila davanti al Signore e conservala per i vostri discendenti".
34Secondo quanto il Signore aveva ordinato a Mosè, Aronne la depose per conservarla davanti alla Testimonianza.
35Gli Israeliti mangiarono la manna per quarant'anni, fino al loro arrivo in una terra abitata, mangiarono cioè la manna finché furono arrivati ai confini del paese di Canaan. 36L'omer è la decima parte di un efa.

 

2. Alcune tensioni redazionali

Esodo 16 è composto di racconti probabilmente in origine indipendenti, di cui almeno due sono in parte riconoscibili, quello relativo alle quaglie e l'altro, che ricorda il dono della manna. Essi sono stati certamente rielaborati un'ultima volta nel periodo postesilico, come mostra l'insistenza sulla pratica del sabato. Il ricordo delle quaglie è molto breve ed è quasi scomparso (v. 13; cf. Num 11,31-32), mentre il capitolo è piuttosto costruito sul dono della manna e sulla modalità della sua raccolta. Altri problemi di tipo letterario che presenta il capitolo rivelano pure la sua natura composita [1]: (a) Esistono numerose tensioni interne, doppioni e anomalie. Va notato in particolare che nei vv. 6-8 Mosè e Aronne trasmettono al popolo un messaggio di YHWH che Mosè riceverà solo nei vv. 11-12; (b) La raccolta, preparazione e descrizione della manna sono aspetti del racconto difficile da armonizzare in una raffigurazione coerente; (c) Ci sono alcuni singolari anacronismi (cf. v. 34).

 

3. Struttura

Allo scopo di una lettura teologica unitaria del racconto possiamo accettare questa struttura del testo [2]:

(a) Formula d'itinerario (v. 1)

(b) Mormorazione del popolo (vv. 2-3)

(c) Iniziativa divina: promessa di pane e prova di Israele (vv. 4-5)

(d) Mosè e Aronne reagiscono alle mormorazioni del popolo (vv. 6-8)

(e) YHWH conferma le parole di Mosè (vv. 9-12)

(f) Compimento della promessa di cibo (vv. 13-21)

(g) Spiegazione della natura del sabato (vv. 22-30)

(h) Conclusione: temi diversi che trattano della manna (vv. 31-36)

 

4. Lettura esegetico-teologica

 

4.1 Formula d'itinerario e cronologia (v. 1)

Troviamo pure all'inizio di questo racconto il vocabolario tecnico sacerdotale che segna l'inizio di ogni nuova tappa del cammino nel deserto e che abbiamo individuato altrove (cf. Es 13,21-22; 15,22.23.27; 17,1; ecc.): “levare l'accampamento”, “arrivare”, ecc. Riguardo alle indicazione geografiche colpisce il fatto che l'autore biblico sia estremamente interessato a offrire un itinerario del viaggio. Ma non è facile rispondere alla domanda sul perché ci tenesse tanto a offrire l'itinerario esatto. Probabilmente l'impiego dell'itinerario di viaggio di parte dell'autore è dovuto a un intento profondamente teologico [3]. La tradizione non cessa mai di sottolineare che fu Dio a guidare Israele attraverso il deserto. Non fu Israele che decise la rotta. La preoccupazione per l'esatto itinerario è una testimonianza della guida divina che stava al centro della tradizione (Es 17,1: “Tutta la comunità degli Israeliti levò l'accampamento... secondo l'ordine che il Signore dava di tappa in tappa”). Il deserto è uno spazio nel quale Israele è condotto da Dio che indica la via da seguire.

Inoltre c'è un'indicazione cronologica che mette questa nuova tappa del cammino in rapporto con l'uscita dall'Egitto. Il tempo viene computato iniziando da quel momento: “il quindici del secondo mese dopo la loro uscita del paese de'Egitto” (v. 1). La liberazione della schiavitù rimane il punto di riferimento no soltanto cronologico ma anche teologico: il deserto non è altro che uno spazio che, pur essendo rischioso, va allontanando il popolo dal passato di oppressione e di ingiustizia. Dall'Egitto alla terra c'è questo tempo intermedio che è, allo stesso tempo, luogo di passaggio, non di permanenza, non è neppure un luogo cercato né tantomeno di arrivo. Nella difficoltà del deserto si gioca la realizzazione dell'esodo in quanto tensione e cammino verso la terra. In questo luogo la posta in gioco è alta: Israele rischia di perdere la libertà acquistata dimenticando l'utopia che è chiamato a realizzare [4].

 

4.2 La mormorazione del popolo (vv. 2-3)

Il testo menziona direttamente la mormorazione del popolo. Non c'è un vero e proprio bisogno iniziale come in Es 15,22 e 17,1. Con questa impostazione del racconto l'autore biblico pone subito in luce negativa le lamentele del popolo. Israele non viene presentato come se stesse per morire di fame e invocasse il pane. Al contrario, il popolo brama le “pentole di carne d'Egitto” e “pane a sazietà”. Num 11,4 e Sal 78,30 condannano esplicitamente la bramosia di carne da parte del popolo come un desiderio illecito. Poiché il consumo di carne rappresentava una raffinatezza per la gente comune del Vicino Oriente Antico, in Es 16 è implicito lo stesso giudizio negativo nei confronti della richiesta degli Israeliti.

Al v. 2 ricorre il verbo lûn (“mormorare”, “protestare”) [5]. La protesta di Israele non è tanto a causa di una necessità vitale, ma un giudizio vitale sul cammino fatto: il popolo considera l'esodo non un cammino verso la vita, ma verso la morte. Il verbo “morire” (mût) ricorre ben due volte in un solo versetto!: “Fossimo morti per mano del Signore nel paese d'Egitto... invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine”. Il popolo ha perso di vista il luogo verso il quale sta andando; il deserto da luogo di passaggio è giudicato il luogo dove si arriva e si muore. Nasce allora la nostalgia dall'Egitto: si vuole tornare indietro, si preferisce la schiavitù dell'Egitto alla fatica del cammino. La preoccupazione per il cibo, la paura e la stanchezza, fanno dimenticare a Israele tutto ciò che Dio ha compiuto per lui. Nel deserto Israele non sa fare “memoria”, si sente solo con se stesso, schiavo più di prima. Ciò che riesce a ricordare è solo la sua schiavitù. Anche se libero esternamente, il popolo porta ancora con sé un cuore di schiavo. Ha ancora bisogna dei suoi antichi padroni.

In realtà non si tratta di una semplice lamentela in un momento de calamità quando è del tutto naturale rimpiangere di essersi imbarcati un una avventura così pericolosa. Il problema è piuttosto teologico. Se Dio si era fatto conoscere liberando il popolo dall'Egitto, allora la sconfessione di questa liberazione da parte di Israele colpiva, ovviamente, al cuore la relazione tra Dio e il suo popolo. Le lamentele del popolo non sono quindi un “brontolio” casuale, ma un sentimento di incredulità che chiama in causa proprio l'elezione di un popolo da parte di Dio [6]. In breve, la mormorazione-protesta degli Israeliti distorce e deforma l'evento fondante della sua storia e un rifiuto palese del Nome di YHWH che si era rivelato proprio attraverso quell'avvenimento (cf. Es 3,14-18; 6,2-8). Nel suo giudizio di valore, Israele stravolge il senso della salvezza operata da Dio, interpretandola come cammino di morte [7].

“Il peccato di Israele è la mancanza di `memoria', intesa in senso biblico, come un atteggiamento del cuore che rende presente la propria realtà fragile e debole, facendo nascere la gratitudine per la salvezza operata da Dio. La memoria rende presente il passato e apre al nuovo intervento salvifico di Dio. Il cammino verso la terra si perde così nella nostalgia delle cose e del passato, in cui la schiavitù appare come libertà. Senza memoria Israele rimane prigioniero del suo presente, della difficoltà del deserto, anzi interpreta il deserto come la sua situazione definitiva. Incapace di guardare avanti, oltre il presente, verso la terra, Israele dimentica la sua schiavitù e insieme la bontà misericordiosa di Dio che lo ha scelto e liberato” [8].

 

4.3 Iniziativa divina: promessa di pane e prova di Israele (vv. 4-5)

Questi versetti certamente appartengono a una tradizione più antica e sono stati inseriti qua all'interno del racconto sacerdotale di data posteriore. Infatti sembrano isolati nel contesto: non si fa nessun riferimento alla mormorazione del popolo al v. 3, non si parla né di carne né di pane (cf. V. 3), non si dice che Dio abbia ascoltato la protesta del popolo e che adesso sia pronto a rispondergli. Questa assenza di connessione è probabilmente dovuta all'impiego di materiale proveniente da due diverse fonti letterarie. Nondimeno questi versetti, anche nel loro iniziale isolamento dal contesto immediato sono esenziali per comprendere l'andamento dell'intero capitolo.

(a) Al v. 3 il racconto inizia con le mormorazioni da parte degli Israeliti. Essi pensano di mettere alla prova Mosè, e in ultima analisi Dio. I vv. 4-5 hanno la funzione di manifestare che in realtà non è Dio, ma Israele che viene messo alla prova nel deserto. I vv. 4-5 non costituiscono, all'interno del racconto attuale, una vera risposta alla protesta di Israele. Se Dio è disposto a “far piovere pane dal cielo” (v. 4) lo fa di propria iniziativa. L'effetto che vogliono produrre i vv. 4-5 nel lettore è quello di una “cordiale indifferenza” [9] di Dio per le lamentele di Israele. Dio concede il suo dono in gratuità assoluta e per decisione sua. Inoltre è lui a porre le sue condizioni al popolo per metterlo alla prova: “per vedere se cammina secondo la mia legge o no” (v. 4).

(b) Il contrasto tra il v. 3 che riporta la mormorazione di Israele e i vv. 4-5 che raccontano il dono gratuito di Dio è palese. In ogni caso si possono distinguere due universi di valori diversi. Mentre l'Egitto rappresenta la morte e la schiavitù, il deserto va preparando al popolo alla libertà e alla fiducia in Dio:

– MORTE / VITA: Israele pensa alla morte, si chiude nell'idea del deserto come morte definitiva, adotta un atteggiamento fatalista; YHWH, invece, s'impegna in dar da mangiare al popolo preservandogli la vita, rivelandosi come Colui che nutre il suo popolo con provvidenza misericordiosa, capace di modificare la situazione e offrire un futuro diverso.

– PASSIVITA' / ATTIVITA': Israele guarda al passato quando erano “seduti” presso la pentola di carne” in Egitto; YHWH, invece, parla di Israele attraverso diversi verbi di movimento: “uscire”, “camminare”, “raccogliere”, “portare a casa”, ecc. Israele preferisce la comodità della schiavitù; Dio chiama il suo popolo alla fatica del camminare e dell'agire liberamente.

– SAZIETA' / PROVVISORIETA': Israele ha nostalgia del pane che mangiavano “a sazietà” in Egitto; YHWH invece promette un pane del quale il popolo dovrà “uscire a raccogliere ogni giorno la razione di un giorno”. Alla falsa sicurezza dell'abbondanza materiale si oppone la fiducia e l'abbandono alla providenza divina, che nutre con amore giorno dopo giorno la vita degli uomini.

(c) Dio offre al popolo un pane che scenderà dal cielo, cioè che sarà dono assoluto del Signore. Alla promessa del pane si aggiungono due altri particolari. Il popolo ne dovrà raccogliere una porzione ogni giorno. Questa viene concessa come pane quotidiano. Il sesto giorno, invece, la quantità viene raddoppiata in vista del sabato. Nel v. 4 c'è un'altra componente di una certa importanza. Al dono del pane si accompagna una prova: “per vedere se cammina secondo la mia legge o no [10]”. Non viene detto in che cosa consista esattamente la prova. Nella narrazione che segue, la disobbedienza del popolo è riferita sia alla mancata osservanza di raccogliere una porzione giornaliera di manna (v. 20) sia di raccoglierne in giorno di sabato (v. 27). Il che fa pensare, quindi, che la prova consista nel vedere da una parte, se Israele è in grado di affidarsi totalmente a Dio ogni giorno e attendere il cibo dalla sua provvidenza; dall'altra, se è fedele nel ricordare settimanalmente con spirito gioioso e riconoscente i doni di Dio.

 

4.4 Mosè e Aronne reagiscono alle mormorazioni del popolo (vv. 6-8)

Questi versetti riportano la risposta di Mosè e di Aronne alle mormorazioni del popolo (v. 3). In stile polemico il discorso comprende due tematiche:

(a) Il popolo ha accusato Mosè di non aver avuto buone intenzioni nel guidarlo nel deserto (v. 3). Mosè replica che essi avrebbero fatto presto esperienza di quel Dio che li aveva condotti fuori dall'Egitto: “questa sera saprete che il Signore vi ha fatti uscire dal paese d'Egitto; domani mattina vedrete la Gloria del Signore” (v. 7). I due verbi (“sapere”, “vedere”) esprimono la stessa esperienza: Israele dovrà sperimentare la potenza di Dio; l'indicazione di “sera” e “mattina” sembra essere una espressione letteraria che intende evocare la cadenza “sera – mattina” della settimana della creazione (Gen 1). Il v. 8 chiarifica il modo in cui Dio si farà conoscere: la sera, offrirà agli Israeliti la carne e, al mattino dopo, il pane.

(b) In secondo luogo, Mosè e Aronne affrontano il problema delle mormorazioni. L'importanza delle mormorazioni emerge con tutta evidenza dal fatto che il verbo lûn ricorre ben sette volte (!) nei vv. 7-11. Il popolo aveva mormorato contro le loro guide. Mosè e Aronne scaricano sul popolo l'accusa. Il popolo sta prendendosela con Dio, no con loro. È significativo nel testo ebraico il triplice riferimento alla mormorazione “contro YHWH”: “Egli ha inteso le vostre mormorazioni contro YHWH (nella traduzione della CEI: “contro di lui”). Noi infatti che cosa siamo, perché mormoriate contro di noi? [...] il Signore ha intenso le mormorazioni, con le quali mormoriate contro di lui. Noi infatti che cosa siamo? Non contro di noi vanno le vostre mormorazioni, ma contro YHWH” (vv. 7-8).

 

4.5 YHWH conferma le parole di Mosé (vv. 9-12)

Mosè invita a Aronne a radunare l'assemblea del popolo perché si “avvicini” a YHWH. Il verbo ebraico utilizzato per dire “avvicinarsi” è qarab, che è un termine tecnico per indicare l'incontro con Dio presso il santuario (cf. Es 28,1; 40,12.14.32; Num 16,9-10; ecc.). Nonostante non esista ancora la tenda sacra e l'altare, il testo presenta la prossima manifestazione divina come se fosse un incontro liturgico oppure un ingresso nello spazio sacro. Infatti, Dio mostrerà la sua Gloria e si farà conoscere al popolo. Mentre Aronne sta parlando al popolo, “ecco la Gloria del Signore apparve nella nube” (v. 10). La menzione della Gloria dà un senso di trascendenza a tutto l'episodio: i doni divini della carne e del pane sono “segni” che dovranno condurre alla fede, cioè alla contemplazione della Gloria di YHWH. Il Dio di Israele non è legato a un Tempio (non c'è ancora nessun santuario), ne a una terra (non ci siamo giunti ancora), ma a un popolo dovunque esso si trovi. In breve, questi versetti fanno capire che per l'autore biblico il donno della manna è stato preceduto di una vera manifestazione della Gloria divina, cioè della sua potenza salvatrice in favore del popolo. Il testo descrive una vera e propria esperienza di Dio. Il popolo chiedeva pane e carne; Dio, invece, dona se stesso.

La manifestazione di Dio si esprime attraverso due simboli: la nube (v. 10) e la parola divina ascoltata dal popolo (v. 11-12). La nube probabilmente sta a indicare quella presenza provvidente di Dio che avrebbe accompagnato al popolo giorno e notte (cf. Es 13,20-22). Il punto culminante di questi versetti si raggiunge, però, soltanto quando Dio si rivolge a Mosè, quando si ascolta la parola. Egli afferma di aver udito le mormorazioni degli Israeliti. Il loro desiderio di carne e di pane viene ancora descritto come un “brontolamento”. Non è riconosciuto come un vero bisogno.

Eppure il fatto straordinario è che Dio dà in ogni modo soddisfazione alle mormorazioni. Promette carne per la sera e pane per il mattino dopo. Ciò nonostante egli va incontro alle loro richieste non per soddisfare i loro brontolamenti, ma perché essi capiscano che dietro il gesto misericordioso di procurare loro del cibo c'è Dio [11]. Se nel v. 4 non sembrava che Dio avesse udito le lamentele del popolo, ora Dio fa capire che le aveva udite. L'intervento di Mosè è stato confermato: è Dio che viene messo in stato di accusa e è Dio che si farà conoscere venendo incontro ai bisogni di Israele.

 

4.6 Compimento della promessa di cibo (vv. 13-21)

La sera arrivarono le quaglie e il mattino dopo la manna era sparsa tutt'attorno al campo. Il dono delle quaglie e della manna sono la risposta di Dio attraverso Mosè e Aronne alla recriminazione del popolo. Dal punto di vista storico naturale ambedue i fenomeni sono possibili nel deserto [12]. Esiste, specialmente nella costa occidentale della penisola del Sinai, una specie di tamarisco (detto “mannifero”) dai cui rami cade, verso giugno-luglio, una specie di gomma bianca in granellini, del tutto commestibile. Essa sembra rispondere alla descrizione della manna biblica. Inoltre, sembra frequenti che nella stessa regione del Sinai stormi di quaglie cadano al suolo a causa della forza del vento. Il punto di partenza della tradizione a proposito della manna è la certezza che il popolo di Mosè ha beneficiato di un cibo sul quale non poteva contare. La scoperta di un tale cibo in circostanza eccezionali è apparsa come un miracolo. Dio ha fatto concordare al bene del suo popolo un fenomeno naturale di quella regione [13]. Al di là tuttavia del riferimento storico, quaglie e manna sono riletti dalla tradizione come il segno della preoccupazione di Dio che nutre il suo popolo [14].

Il testo cerca di dare una descrizione della manna (v. 14) mettendola in rapporto con la rugiada, la quale spesso si descrive come elemento che è stillato dal cielo (cf. Dt 33,28; Ag 1,0). Poi c'è un tentativo di spiegare il termine “manna” (v. 15) [15]. È chiaro che l'etimologia proposta è di tipo popolare: “Gli Israeliti videro e si dissero l'un l'altro: Man hu, perché non sapevano mah hu'” (v. 15). Man e mah avrebbero lo stesso significato: “che cosa?”. Ma è un tentativo di dare una spiegazione alla parola manna, che in realtà risulta piuttosto singolare.

Quello che va sottolineato è che davanti alla manna il popolo “non sa”. E soltanto Mosè riesce a spiegare la sua origine (v. 15: “È il pane che il Signore vi ha dato in cibo”) e le disposizioni di YHWH al suo riguardo (v. 16: “Ecco che cosa comanda il Signore...”). Non basta pertanto conoscere la sua forma materiale e l'eventuale nome. Quello che interessa di più è il senso del evento, il quale viene spiegato da Mosè. La spiegazione da lui offerta ha due parti: (a) si tratta di un “dono”, (b) esige, però, obbedienza da parte del popolo a una certa normativa.

Ci sono, in effetti, nel testo una serie di indicazioni sulle limitazioni quantitative e temporali di raccolta della manna. Ciascuno, sia che ne raccogliesse molta o poca, ne aveva quanto era sufficiente per il nutrimento giornaliero. Va notato subito la ripetizione della frase: “secondo quanto ciascuno può mangiare” (vv. 16.18) e ancora: “secondo quanto ciascuno mangiava” (v. 21). Il v. 18 esprime il risultato della raccolta: “Si misurò con l'omer: colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo, colui che ne aveva preso di meno non ne mancava: avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne”.

La manna raccolta deve bastare solo per quel giorno (cf. V. 18). In questi versetti emerge anzitutto la richiesta di fiducia nella provvidenza misericordiosa di Dio, che no fa mancare il cibo al suo popolo. L'accumulo non serve, anzi il cibo accumulato in misura maggiore del necessario imputridisce (vv. 19-20; cf. Lc 12,13-21. 29-31).

 

4.7 Spiegazione della natura del sabato

Come è stato accennato prima, l'inserzione sul sabato proviene dalla redazione sacerdotale postesilica e intende mettere in rapporto questa pratica religiosa di Israele con il dono del pane nel deserto. Questi versetti offrono una interpretazione particolare della normativa sul settimo giorno. Secondo Es 16, il sabato è preparato da Dio stesso come giorno festivo, nel quale non si lavora. Il popolo senza accorgersene ha doppia razione la sera del sesto giorno! Dio stesso quindi osserva il riposo del sabato visto che non concede la manna in quel giorno. Coloro che la cercano non la troveranno perché il sabato è anzitutto un giorno di Dio, più che un giorno per Dio.

L'osservanza del sabato non è così solo una legge che scandisce il tempo dell'uomo, ma fa entrare nel tempo di Dio. È il giorno in cui Israele non deve lavorare perché ha tutto quanto ne ha bisogno. È il giorno della lode, della riconoscenza gioiosa. È il tempo nel quale Israele va oltre il dono ed entra in comunione festiva con il datore di tutti i doni. Il settimo giorno rappresenta quindi il momento della contemplazione e della gioia dell'incontro con il solo Santo, il momento della lode divina come riconoscenza per la bontà di YHWH. Con la pratica del sabato Israele dovrà imparare e ricordare sempre che Dio è sempre al di là di tutto, al di là di tutti i doni. Ecco il mistero del settimo giorno: nessun lavoro, nessuna fatica umana, nessuna opera di Dio. Soltanto Dio. Ecco il senso del sabato: un giorno di festa pieno della trascendenza e la santità di Dio che nutre e dà la vita al suo popolo.

 

4.8 Conclusione: temi diversi che trattano della manna (vv. 31-36).

Si offre all'inizio una nuova descrizione del “pane” dato da YHWH (v. 31). Il capitolo si conclude con l'ordine del Signore di conservare un omer di quel pane per i discendenti di Israele, “perché vedano il pane che vi ho dato da mangiare nel deserto, quando vi ho fatti uscire dal paese d'Egitto” (v. 32). La manna diventa memoria per le generazioni future, perché il popolo ricordi che Dio lo ha nutrito nel deserto. Ovviamente ci troviamo davanti a un palese anacronismo che non dev'essere interpretato letteralmente ma come una affermazione teologica raffinatissima .

Si dovrà collocare una porzione giornaliera della manna “davanti a YHWH” (v. 33). La manna diviene un vero e proprio memoriale. Conservandola per sempre (per “i vostri discendenti”) Israele veniva invitato a ricordare quanto la sua vita fosse dipesa dall'aiuto di Dio. Quel vaso di manna è segno della benevolenza di Dio nell'offrire sostentamento al popolo e sacramento della provvidenza divina quotidiana (si conserva una razione giornaliera) duante tutto il tempo del deserto “finché furono arrivati ai confini della terra di Canaan” (v. 35).

La manna si conserva nella Testimonianza (`edût), cioè nell'arca della Testimonianza (cf. Es 25,22; 26,33.34; 39,35; 40, 3.5.21) che contiene la Testimonianza delle tavole della Legge (cf. Es 31,18; 32,15; 34,29). Insieme alle tavole della Legge si colloca il dono della manna. Il Dio della gratuità e allo stesso tempo il Dio che ha una volontà concreta per la vita del suo popolo. Non c'è quindi opposizione tra gratuità del dono e l'esigenza della legge. Se Israele vuole conservare il dono della libertà dovrà osservare i comandamenti. La legge sarà la luce che Israele avrà per continuare ad essere e rimanere popolo libero. La legge in Israele è fondata sulla storia. Prima della legge si trova l'atto gratuito, il dono : prima Dio ha dato a Israele il dono della sua libertà, poi ha promulgato una legge di giustizia. Quindi dono ed esigenza vanno insieme: la manna e le tavole, il vangelo e la legge scritta nei nostri cuori.

 


Footnotes

[1] Cf. B.S. Childs, Exodus, OTL, London 1974, 274. Childs propone la seguente divisione in fonti come la più probabile: (P)= vv. 1-3; 6-13a; 16-26; 32-35a; b; (J)= vv. 4-5; 13b-15; 21b; 27-31; 35a. Il v. 36 sarebbe una glossa difficile da assegnare con certezza a una determinata fonte (cf. Childs, 275). Quello che è importante e da ritenere come certo è il fatto dell'antichità almeno dei vv. 4-5 in rapporto con il resto del capitolo.

[2] È interessante, anche se non tanto convincente, la proposta di struttura dell'intero capitolo come unità letteraria di E. Galbiatti, La struttura letteraria del Esodo, Milano 1956, 167: (vv. 1-3): introduzione; A (vv. 4-5): YHWH annuncia la manna e dà le istruzione; B (vv. 6-7): Mosè ed Aronne annunciano i due miracoli con parole oscure; C (v. 8): Mosè annuncia i miracoli con parole precise; X (vv. 9-10) teofania; C' (vv. 11-12): YHWH annuncia i due miracoli con parole oscure; B' (vv. 13-15a): (non c’è alcuna corrispondenza) compimento del miracolo; A' (vv. 15b-21): Mosé dà le istruzione.

[3] Cf. B.S. Childs, Exodus, 284.

[4] Cf. A. Spreafico, Il libro dell'Esodo, Roma 1992, 81.

[5] Espressioni sinonime sono “insorgere contro” (qwm lipne: Num 16,2); “contendere” (ryb `im: Es 17,2; Num 20,3).

[6] B.S. Childs, Exodus, 285.

[7] È significativo che la resistenza si manifesti per la prima volta proprio al momento dell'uscita dall'Egitto: “È forse perché non c'erano sepolture in Egitto che tu ci hai presi perché moriamo nel deserto? Che ci hai fatto facendoci uscire dall'Egitto? Non è questa la cosa che ti dicevamo in Egitto: Non ti impicciare di noi affinché noi serviamo l'Egitto? Perché è meglio per noi servire gli Egiziani che morire nel deserto” (Es 14,11-12).

[8] Cf. A. Spreafico, Il libro dell'Esodo, 83-84.

[9] B.S. Childs, Exodus, 286: “hearty unconcern”.

[10] L'espressione “camminare nella legge” (hlk betôrâh) ricorre 8 volte nell'Antico Testamento (Es 16,4; 2Re 10,31; Ger 26,4; 44,10; Sal 119,1; Dan 9,10; Ne 10,30; 2 Cron 6,16). Può indicare la condotta dell'uomo integro che cerca il Signore con tutto il cuore (Sal 119,1; 2Cron 6,16); in alcuni casi equivale ad ascoltare Dio attraverso la parola dei profeti (Ger 26,4; Dan 9,10) oppure a obbedire la normativa della comunità alla luce della Legge di Mosè (Ne 10,30). In opposizione a “camminare nella legge” si trova l'iniquità e l'idolatria (2 Re 10,31; Ger 44,10). In breve, si tratta di una espressione che indica la totalità della condotta dell'uomo di fede che obbedisce sempre e in tutto le disposizioni di Dio, sia attraverso la voce dei capi e dei profeti della comunità, sia attraverso la parola scritta della Legge di Mosè.

[11] Cf. B.S. Childs, Exodus, 288.

[12] Cf. G. Auzou, Dalla servitù al servizio, Bologna 1976, 194; A. Spreafico, Il libro dell'Esodo, 84.

[13] Cf. G. Auzou, Dalla servitù al servizio, 194.

[14] Per una riflessione teologica sul rapporto tra le testimonianze canoniche (cioè, la testimonianza della Scrittura all'interno della comunità di fede sulla presenza e l'azione di Dio nella storia degli uomini) e le testimonianze extrabibliche (cioè, delle spiegazioni di tipo storico o scientifico che non hanno bisogno della fede o della comunità), cf. B.S. Childs, Exodus, 299-302. Secondo Childs si deve superare, nella lettura cristiana del racconto di Es 16, sia il “fondamentalismo soprannaturalistico”, secondo il quale il racconto della manna è una descrizione storicamente esatta di un miracolo unico nel suo genere che non ha attinenza con alcun alimento del deserto; sia il “razionalismo” che sostiene che il racconto dell'esodo è una proiezione immaginifica (poetica) nella sfera soprannaturale di un fenomeno naturale del deserto che può essere perfettamente descritto dal punto di vista scientifico. Aggiunge Childs: “I testi biblici parlano della manna come di un “alimento” che soddisfa “la fame”. La manna serve da alimento ma ha pure una sua funzione specifica cui solamente il canone può rendere testimonianza. È attraverso la manna che Israele arrivò a conoscere la potenza di Dios (Es 16,2)” (301).

[15] Cf. A. Spreafico, Il libro dell'Esodo, 85.