CLARKE E KUBRICK: 2001 ODISSEA NELLO SPAZIO

 Tracciare il profilo di Clarke equivale a tracciare il profilo di un mito; mito della fantascienza moderna. Dobbiamo però asserire con dovuta cognizione di causa che le basi scientifiche su cui Clarke basa i suoi lavori sono estremamente solide. Infatti egli intraprese studi di fisica e matematica e coltivò una straordinaria passione per l’astronomia. Durante la seconda guerra mondiale lavora addirittura nell’esercito come meteorologo. Scrisse saggi importantissimi come “extra terrestrial relays”, dove previde con dieci anni di anticipo la comunicazione satellitare. Possiamo però arrivare subito al dunque dicendo che la sua opera più celebre è sicuramente “2001: Odissea nello spazio”. Questa opera è la trasfigurazione proiettata in un futuro prossimo dell’Odissea e la trasposizione di tutti quei temi ricorrenti che abbiamo individuato durante lo svolgimento del lavoro finora intrapreso; abbiamo quindi il ritorno della proiezione verso l’ignoto quasi a creare un parallelo con il “folle volo” dell’Ulisse Dantesco. Al posto di Ulisse abbiamo qui la scienza umana, il progresso stesso del genere umano che spinge l’uomo ad andare infinitamente oltre. Manca però, trattandosi di fatti ipotetici svoltisi nell’epoca attuale, la connotazione del divieto e della punizione divina. Come abbiamo sottolineato chiaramente nell’introduzione, infatti, i lavori che presentano come denominatore comune la figura dell’Ulisse o tutto ciò che questa mitica figura da sempre rappresenta non possono avere lo stesso approdo ideologici scandendo e definendo la condizione umana delle epoche nei quali sono stati realizzati. 2001 prende spunto da un altro racconto di Clarke, “the sentinel”, nel quale si narra di un monolito trovato sulla luna lasciato dai “padri interplanetari” dell’uomo a mò di segnale che una volta trovato, attivandosi, avrebbe attivato un meccanismo che avrebbe dato ai suoi costruttori notizia della presenza di una civiltà evoluta. Proprio su questa idea si basa 2001, che si sviluppa in seguito come viaggio verso il punto d’arrivo del segnale lanciato dal monolito scoperto sulla luna che si è attivato lanciando segnali radio fortissimi verso Giapeto, luna di Saturno. È assolutamente un viaggio verso l’ignoto, ma la figura di Ulisse non si trova esclusivamente nel comandante della nave che rimane da solo alla “deriva” nello spazio, che, anzi, è stato inviato con l’inganno ( a sua insaputa) verso la meta, si ritrova infatti nell’intero genere umano. Un altro parallelo interessante può dunque essere anche quello della menzogna usata come strumento per raggiungere i propri fini. Arrivati a questo punto risulta evidente che in nessuna opera analizzata l’uomo moderno, l’uomo attuale, risulta combaciare in   maniera così evidente con quello presentatoci dal mito di Odisseo. La prima stesura ufficiale di 2001 vide all’opera le quattro mani di Clarke e Kubrick. Kubrick, affermato regista, avendo intuito le enormi potenzialità di “the sentinel” volle unire il suo genio a quello dello scrittore inglese per ampliare l’idea base e realizzare un film chiamato appunto “2001: Odissea nello spazio”. Quindi Clarke pubblicò questa nuova versione adattata alla narrativa.  2001 è condiderato dallo stesso Kubrick, più che fantascienza, “storia mitica” o “documentario mitologico” e si rende evidente il fatto che la narrazione, l’intreccio non sono altro che l’eesenzializzazione stessa del mito che in sé, trascende quelle che sono le particcolari condizioni contestuali di riferimento per assumere un  significato simbolico di portata eccezionale. La  certosina attenzione e cura che Kubrick pone nei minimi particolari di un film che per l’epoca poteva assuemre le dimensione di un kolossal fuori da ogni dubbio contraddistinguono lo stile dell’approccio con il film del “castoro del cinema”. Kubrick era infatti un perfezionista,  non lasciava nulla al caso richiedendo rigorosa adesione alle sue regole a tutto il cast; l’opera finale, quindi , rispecchia perfettamente il volere dell’autore che come abbiamo visto voleva sottolineare il valore mitologico che si riconnette strettamente all’Ulisse e alla sua rappresentativa funzione di definizione nei confronti dell’uomo moderno, dei giorni nostri.

Se vogliamo abbiamo una atmosfera realista che non si scontra neppure con la necessità dell’incontro con la testimonianza di una nuova forma di vita; infatti il monolito è un astratto, un trascendente che indica purezza e perfezione assolute espressione di rimando all’arte minimalista. In un contesto plausibile si inseriscono quindi i caratteri che ci spingono alla riflessione sulla nostra natura che deve essere accettata per quella che è nell’ordine cosmico che ci rende un elemento trascurabile. Una delle critiche mosse a Clarke durante i primi anni della sua carriera di letterato era quella di dare alle proprie opere una struttura esageratamente meccanicistica che rifletteva la sua ideologia; dire ciò però non è totalmente esatto perché sulla base vengono costruiti castelli, si reali, ma dei quali non si vede il vertice introducendo così il motivo della ricerca continua, dello spingersi oltre, della tensione verso il nuovo, del bisogno fisico verso la conoscenza che arriva ad andare oltre lo sperimentabile sfociando così da un apparente neo-positivismo a una tensione verso l’infinito fine quasi a se stessa, come appagamento però temporaneo visto come il principio di un nuovo stadio conoscitivo incessante. La conclusione dell’opera letterario soprattutto è enigmatica: l’uomo è diventato un semi-Dio grazie alla propria capacità di osare ma si ha un nuovo principio e una ipostatizzazione della condizione di inquietudine e di slancio intrinseca all’uomo seppur in una nuova forma. Il capitano Bowman, unico superstite della spedizione verso Giapeto arriva sul satellite e scopre un enorme monolito che si rivela essere una piega temporale che lo trascina al suo interno verso l’infinità che si rivelerà poi essere un nuovo livello di partenza.  È fin troppo semplice relazionare ulteriormente queste situazioni al mito che andiamo da lungo tempo analizzando nel corso dei secoli attribuendogli le qualità di modernità a lungo sottolineate.  Non c’è migliore punto d’arrivo per definire l’attualità della figura di Ulisse in un epoca senza asintoti definiti ma semplicemente guidata da quello che si rivela essere l’istinto dell’uomo proiettato verso l’ignoto.

 

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