Cubismo e Surrealismo nell'intreccio (Joyce)

Parlando dell’opera di Joyce incentrata su Ulisse abbiamo detto che la struttura di questa ricalca quella dell’Odissea, ripresentando la stessa suddivisione in capitoli e numerose trasposizioni simboliche dei fatti narrati nell’Odissea. Possiamo poi sottolineare le rivoluzionarie strutture narrative riferendoci sia al poema epico originale ma soprattutto all’opera di Joyce. Egli, infatti, non fa che esasperare quelle che erano le caratteristiche peculiari dell’Odissea introducendo però, logicamente rivoluzionarie strutture narrative. Abbiamo oltre a ciò una radicale opera di smascheramento e di demolizione delle strutture oppressive, come famiglia, religione e patria che paralizzano l’uomo nel contesto dell’esistenza borghese. Le modalità di costruzione del personaggio e dei meccanismi espressivi sono uno dei principali tramiti attraverso i quali si raggiunge l’effetto globale dell’opera. Il romanzo tradizionale soleva organizzare l’intreccio secondo precisi rapporti causa-effetto, su rapporti di dipendenza e di gerarchizzazione dei valori in una cornice rigorosamente cronologica. La narrazione era poi diretta da un unico punto di vista che ordinava e giudicava la realtà. Il narratore conosceva tutto quello che ritraeva realtà e personaggi, era onniscente. Joyce, interpretando appieno la reale struttura narrativa dell’Odissea, dove la compenetrazione dei piani temporali appare evidente e la discontinuità è parte integrante degli elementi che danno alla fine al poema la sua caratteristica struttura, utilizza un intreccio discontinuo, fuori da ogni rapporto causa-effetto; infatti, in quell’età la percezione della realtà è discontinua. La narrazione si architetta su più piani simultaneamente (reale e simbolico, conscio e inconscio…). Il narratore scende nei suoi personaggi e innovativamente ne assume la pluralità dei punti di vista; viene quindi abolito il narratore onniscende segnando qui un inevitabile punto di rottura dalla struttura originale del poema epico. Punto di rottura che non determina però la non adesione di tantissimi altri paralleli tra le strutture narrative, che come già abbiamo detto andranno a svolgere un ruolo determinante nel costruire i personaggi e a dare le giuste sensazioni di discontinuità e rottura nei momenti giusti. Ci si adegua così ad una realtà disgregata, multipla, in continuo mutamento, lasciando così spazio alle atmosfere indiscindibili e oniriche dell’Odissea (basti pensare all’episodio di Circe) . la realtà non si articola più come stabile e certa, definita ma viene colta da Joyce secondo i modi della scomposizione cubista. Passato, presente e futuro diventano un tutt’uno nei labirinti della psiche; sono tutti sul piano del presente che il “monologo interiore” o “flusso di coscienza” fa affiorare di continuo, esattamente come in pittura fa il cubismo. Questa connotazione unita all’accostamento di immagini fulminee danno all’opera connotazioni ripetutamente surrealistiche che si ritrovano sicuramente anche nella matrice dell’opera dell’autore inglese che stiamo esaminando in relazione al mito dell’Ulisse. Il cubismo trova le sue origini a Parigi intorno al 1907 con Picasso, Braque e Lèger ma le sue radici si possono individuare in Paul Cèzanne e nei suoi studi sulla scultura africana. L’arte africana infatti cerca l’essenzialità e la stilizzazione. Non si cerca più l’apparenza visiva della realtà ma la sua molteplicità, la sua relatività nello spazio e nel tempo, il suo variare al mutare dei punti di vista pur restando essenzialmente se stessa. I temi sono sempre più semplici oggetti di cui si indaga la struttura formale. Come possiamo notare i caratteri della  narrativa di Joyce sono la trasposizione narrativa dei caratteri del movimento cubista in pittura. La prima tappa cubista va dal 1907 al 1911 e viene chiamata Cubismo analitico: si scompongono le forme in piani che intersecandosi e compenetrandosi danno vita a una nuova immagine plastica dove il colore è sempre monocromo e quasi assente (grigi, marroni, bianchi e neri). L'oggetto è privato dei contorni lineari e diviene un tutt’uno con lo spazio circostante. Nel 1912/13 si sviluppa una seconda fase che prende il nome di Cubismo sintetico che riproduce l’immagine tramite superfici meno spezzettate, secondo il principio della visione simultanea; c’è l’utilizzo di un cromatismo più vivace e l’inserimento di pezzi di materiali direttamente sulla tela (legno, cartone, carte da gioco…) per indicare la volontà realizzatrice di una nuova realtà e non la semplice raffigurazione del vero. L’arte figurativa raggiunge una sua autonomia, acquistando significato come prodotto dell’intelletto umano, indipendentemente dal soggetto rappresentato.

Il Surrealismo, altra  corrente di influenza decisiva nello ”Ulysses” in questione che ritrova come noto le proprie profonde radici nell’onirico, profonda realtà della struttura dell’Odissea,  nasce nel 1924 con lo scrittore André Breton e il suo manifesto del Surrealismo. Il surrealismo nacque dunque con intenti letterari prima di imboccare la via della pittura con non poche influenze del dadaismo; il surrealismo è l’arte dell’inconscio fondato sul sogno e sull’attività psichica inconscia ( “automatismo psichico puro”), libera da interferenze razionali, estetiche e morali

 Il personaggio in questa prospettiva non ha più una rappresentazione psichica unitaria, monolitica, ma frantumata, relativizzata, con diverse sfaccettature dove si intrecciano più piani psicologici che riflettono una realtà molteplice e prismatica. Viene operato da Joyce un capovolgimento delle strutture narrative vigenti quasi come un ritorno all’Odissea ma con le caratteristiche che contraddistinguono l’età del tempo, quindi con l’introduzione della nuova forma di realtà, quella della psiche. Vengono così colte le dinamiche più profonde dell’inconscio smascherando zone intime e desideri inconfessati, il groviglio delle pulsioni istintuali, secondo quanto Freud teorizzava in quegli anni.  

 

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