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 ALMERIGO APOLLONIO
LE SALINE DI PIRANO E LA LORO IMPORTANZA NEI SECOLI PASSATI
dal volume "EL SAL DE PIRAN"
Non è facile oggi comprendere le ragioni che fecero della produzione, del consumo e della tassazione del sale, un elemento vitale dell'economia pubblica per tutto un susseguirsi di secoli, fin quasi alle soglie dell'età contemporanea.
Tentando una breve analisi ricordiamo anzitutto come il tipo di alimentazione allora prevalente - e così la scarsità o l'alto prezzo delle droghe oggi di uso comune - portavano ad un impiego del sale assai più frequente nella vita quotidiana delle famiglie.
Ma l'uso prevalente del sale, fino al secolo scorso, era collegato alle tradizionali tecniche di conservazione della carne e del pesce. L'unica alternativa alla "salagione" consisteva - può dirsi - nella poco pratica "fumigagione". possibile del resto soltanto per alcuni tipi di alimenti. La richiesta di sale fu poi particolarmente elevata nei secoli e nei paesi in cui si faceva un consumo prevalente di carne suina. E fu il caso di gran parte dell'Europa fino al secolo XVIII. Le persone più anziane ricordano, forse, come nei due anni finali dell'ultima Guerra Mondiale - quando parvero tornare le angustie di un'economia di pura sussistenza - la gran domanda di sale da parte dei contadini della pianura padana, del Veneto e del Friuli, tagliati fuori dei normali rifornimenti erariali, portasse ad un temporaneo rifiorire del commercio e del contrabbando del sale. Questo era prodotto, talvolta, in Liguria o nelle zone costiere, prive di saline, coi sistemi antiquati e maldestri dell'ebollizione dell'acqua marina.

Nell'economia europea e mediterranea la produzione del sale ha impegnato gli uomini con ritmo costante, e sono molte le regioni il cui paesaggio ha avuto dalla produzione del sale una particolare impronta e configurazione. Un "tour" europeo alla ricerca delle regioni salifere sarebbe certo molto affascinante. Ci porterebbe anzitutto alle saline vastissime del Mediterraneo: da Chioggia a Comacchio, dalla Puglia alla Sicilia, dalla Tunisia alla Spagna, dalla Turchia alla Francia meridionale.

Un diverso paesaggio troveremmo sull'Atlantico: a Figueira da Foz in Portogallo, o nell'affascinante Guérande, in Bretagna.
Il sale non è stato prodotto solo dalle acque del mare. Fin dall'antichità più lontana si sono usate le acque sotterranee, sgorganti da fonti salate, calde ed a varia concentrazione salina. Nel nostro viaggio europeo non potrà mancare la visita alle cittadine francesi di Saulniers, di Arc-et-Senant o alle tante cittadine tedesche legate alle fonti saline (di solito portano il prefisso "Bad" nel nome).

Il sale minerale, o salgemma, fu dapprima sfruttato nei suoi giacimenti più superficiali, poi con l'immissione d'acqua calda, che permetteva di sciogliere i sali e portarli in superficie. Un processo finale di ebollizione graduata permetteva l'estrazione del cloruro di sodio più o meno puro. Quanti esercitavano il potere politico seppero ben presto intervenire nella produzione e nella distribuzione del sale per ricavarne un'inesauribile fonte d'entrate. I mezzi usati furono svariatissimi e, con la creazione dello Stato Moderno, assunsero forme oggi inconcepibili. Non solo furono controllati ferreamente la produzione e il commercio del sale, incamerando sotto forma di imposta o di dazio un valore aggiunto del tutto sproporzionato al costo del prodotto, ma si giunse, specie in Francia, ad obbligare il consumatore all'acquisto di una quantità prefissata di sale.

All'eccessiva tassazione del prodotto si rispose con il contrabbando, un fenomeno che ritroveremo anche sull'Adriatico. La "storia sociale del sale", attraverso i secoli, è in realtà ancora tutta da scrivere. Ne possiamo ricevere una splendida impressione visiva ed estetica visitando la citata Arc-et-Senant, Città Metafìsica costruita dal Ledoux nella seconda metà del '700, in stile neo-palladiano, per chiudervi in una sorta di Centro Ideale, avulso dal resto della Francia, gli artigiani specializzati nella produzione del sale, fluente dalle fonti saline dei dintorni.

Abbiamo tratteggiato una sorta di carta geografica europea del sale. Ne esistono di molto precise e su queste il nome della nostra PIRANO appare come quello dì una piccola capitale europea. Il suo sale, in epoche diverse, fu consumato in Dalmazia ed in Serbia, nella Carniola e nell'Austria meridionale, ma il suo mercato più importante fu certamente quello dell' Alta Italia, fino al Piemonte.
Sulle saline di Pirano abbiamo un testo ancora utile, quello del prof. E. Nicolich (Cenni storico - statistici sulle saline di Pirano - Trieste 1882). Il Nicolich era, come il Morteani, un insegnante presso la Scuola Reale (Liceo Scientifico) di Pirano e scrisse la sua storia basandosi sulle fonti del secolare archivio del Piranese "Consorzio dei Sali". Purtroppo il Nicolich non allargò le sue ricerche ad altre fonti e il testo, che doveva servire per perorare un intervento pubblico del governo austriaco a favore delle saline, si mostra obbligatoriamente filoasburgico, con qualche "adattamento" che non fa onore alla verità storica.


Foto: Dal Volume "El Sal de Piran"

La pagina dello Statuto di Pirano riguardante il "Settimo" del sale - 1307
( Arch. Regionale di Capodistria - Sez. dislocata di Pirano )

M. Pahor volle riprendere la storia delle saline da un'angolatura più moderna. La sua opera migliore resta la sistematica e ben documentata raccolta sulle saline nel Museo del Mare di Pirano. Più recentemente, nelle stesse Saline di Sicciole, tra il "Libadòr" e il "Canale dei Giassi", sono state ricostruite due "case dei salineri" con un completo impianto salifero. Disgraziatamente la località si trova proprio sullo sciagurato confine tra Slovenia e Croazia, che taglia, dopo venti secoli, l'unità del territorio storico di Pirano.

Molto importanti per la storia del sale e quindi anche delle nostre saline sono i libri di Jean- Claude Hocquet, professore universitario francese, del quale ricorderemo, tra i titoli pubblicati anche in italiano, due studi: "II sale e il potere dal 1000 alla Rivoluzione francese" e "Chioggia capitale del sale nel Medio Evo". Voglio altresì ricordare gli articoli sulla terminologia salinara di Nives Zudic, importanti come documentazione, apparsi sulla "Voce di San Giorgio" nel 1998-90 e che in parte sono riproposti in questa pubblicazione.

Ma una storia delle saline di Pirano è indubbiamente da riscrivere in base ad una completa documentazione archivistica, da rintracciare anzitutto presso l'Archivio dei Frari di Venezia. I "regesti" dei documenti istriani conservati a Venezia, redatti ad opera di quel grande patriota che fu Tomaso Luciani, apparsi sugli Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria dal 1884 al 1900, ci danno già un notevole ausilio ed un orientamento di ricerca.
Ma non può essere trascurato l'Archivio di Stato di Milano, almeno per il perìodo italico (1806-1813), mentre nell'Archivio di Pirano un centinaio dì buste attendono di essere esaminate.

Vediamo come oggi è ricostruibile la storia delle saline di Pirano, seguendo le notizie già pubblicate e utilizzando pochi contributi archivistici, ricavati da chi scrive. Cominciamo col dire che l'origine della salina non si può far risalire ai Romani. Nella loro epoca non si erano ancora prodotti quei fenomeni di bradisismo che dovevano portare all'impaludamento della foce del Dragogna. I mutamenti ecologici sostanziali si sarebbero verificati soltanto a partire dal decimo secolo della nostra era. Dal Mille al 1200 si sarà prodotto il sale sufficiente all'uso locale, come in molte altre località dell'lstria: Capodistria, Muggia, Isola, Rovìgno, Orsera, Pola e dintorni. Sugli scogli di Brioni il sale era raccolto fin dall'epoca più antica. Secondo il prof. Hocquel la storia medioevale del sale adriatico è dominata dalla forza produttiva delle aree veneto-lagunari, da Caorle fino a Chioggia.

Venezia, nella sua ascesa, perseguì ben prima del Mille il raggiungimento di un vero e proprio monopolio del sale in tutta l'Italia del Nord. A tal fine distrusse Comacchio, che l'aveva preceduta nei commerci saliferi, e controllò strettamente Cervia. Sulle saline dei veneti possiamo leggere l'affascinante lettera di Cassiodoro del 538. Le "Honorantiae Civitatatis Papiae", che sono dell'XI secolo, ci parlano diffusamente del commercio del sale dei veneziani, per quelle vie fluviali che sono state tanto importanti fino alla meta del secolo scorso. Ma Venezia volle presto controllare anche i mercati situati a nord-est, l'attuale Venezia Giulia con il Friuli, la Carniola, la Carinzia ed oltre. A tal fine trovò opportuno assicurarsi il monopolio commerciale del sale sulla costa istriana, da Duino a Pirano, zona dalla quale partivano i traffici verso l'interno. Inizialmente la Dominante si limito a stringere delle alleanze con le citta istriane. Importante in tal senso fu il Trattato tra Venezia e Capodistria del 1182 firmato dal Doge Mastropetrus (Orio Mastropietro o Malipiero, Doge dal 1178 al 1192 - n.d.r.). Era Venezia, si badi, a fornire il sale, che veniva immagazzinalo a Capodistria, dichiarata "scalo privilegiato". I capodistriani curavano la distribuzione del prodotto, entro recipienti muniti di sigillo dogale. Essi dovevano curare la manutenzione delle strade, che dall'interno conducevano alia loro citta. Gli utili erano divisi al 50 per cento con Venezia. Ma non doveva entrare, attraverso l'Istria, che sale veneziano!


Il Doge Orio Malipiero (Mastropietro)
 Dal Sito: http://www.doge.it

La decadenza delle saline lagunari, dovuta a fenomeni naturali, iniziò dopo il Mille ed ebbe ad accentuarsi atlorno al 1300. Nel corso del secolo XIV Venezia, d'altra parte, ando incontro ad una crisi politica che minaccio di abbatterne la potenza. Attaccata dagli Ungheresi, perse anzitutto la Dalmazia; i Genovesi penetrarono nell''Adriatico con le loro flotte (Guerra di Chioggia); i Comuni e le Signorie dell'Emilia e del Veneto tentarono di soffocare i commerci della Dominante. Venezia perse quindi il controllo delle saline di Pago e di Cervia, ed anche i rifornimenti di sale dall'Oriente le ven-nero spesso a mancare. Quindi dovette ricorrere al sale degli Istriani, se non altro per conservare i mercati del nord-est.

La dedizione a Venezia tra il 1270 e il 1290 delle principali citta costiere aveva posto la costa istriana sotto il diretto controllo politico di San Marco. Quindi Venezia ora poteva favorire le saline istriane come "cosa propria". La prima notizia documentale sulle saline di Fasano e contenuta in un atto del Chartularium Piranense (a cura di Camillo de Franceschi - vol. I -n.155) del 1278. I Consoli di Pirano, per ordine del Consiglio e a nome del Comune, danno in locazione a prete Baldo "quifuit de Manfredonia" un tratto di spiaggia "in palude contrate Sancti Laurenci" per costruirvi delle saline. Ma le saline erano regolate gia nello Statuto del 1307 che, come noto, derivava da una revisione dello Statuto del 1274, a sua volta codificazione di norme consuetudinarie piu antiche. Importante appare in particolare I'art. XXIIII del Libro Nono "Statuimus quod omnes saline facte vel faciende in confinibus Pyrani, si nan laburabuntur per duos annos in complementum, quod postea quilibet civis Pyrani possit Mas intromictere et laborare cum condicione antedicta, reddendo SEPTIMAM PARTEM SALIS accepti in ipsis salmis annuatim Communi Pyrani" (II settimo del sale sara percepito dal Comune fino al 1807). Venezia aveva ora bisogno del sale di Pirano, come di quello prodotto a Capodistria ed a Muggia. Ma non dimostrò una linea politica costante e uniforme nei confronti degli Istriani. Se scarseggiava il sale sui mercati (a causa delle guerre coi Turchi, per la perdita delle saline greche, di Cipro ecc), se i mercati si allargavano (export in Lombardia e Piemonte, in Serbia, ecc), Venezia favoriva la produzione istriana e il suo allargamento con la creazione di nuovi "cavedini". Ma se il sale affluiva a Venezia abbondante ed a buon prezzo (dall'Asia Minore, dalla Tunisia, ma anche da Corfù e da altre isole greche) o se la Dominante perdeva qualche mercato nella regione padana o alpina, le Autorità tendevano semplicemente a ridurre la produzione del sale istriano e la stessa superficie occupata dai cavedini. Il conflitto d'interessi doveva emergere tanto più chiaramente a Pirano, dove il "Consiglio dei XX dei Sali" era un organo autonomo, un consesso nel quale, a differenza del Consiglio del Comune, in mano al ceto patrizio, era rappresentata pure la parte popolare, con 7 membri su 20.

Il Consiglio contrattava con le autorità di Venezia sia la quantità di sale assorbita dal Governo venete sia il prezzo, stipulando i "Mercati del sale", rinegoziati ogni 5 o 10 anni, a partire dal 1375. Per molti secoli la storia di Pirano con Venezia è la storia di questi mercati.
Esaminando il numero di cavedini esistenti nei diversi secoli a Pirano, ne seguiamo la storia.

Anno 1283 cavedini stimati N. 1200 (ma forse erano solo 800 o 1000)
Anno 1375 Primo Mercato dei sali, cavedini N. 1750

Anno 1377 Venezia chiama i salineri di Pago per impiantare i nuovi fondamenti a Sicciole.

Anno 1467/72 Si parla di grandi ampliamenti. Venezia ha perso molte zone salifere in Grecia.
Inizi 1500 Ampliamenti abusivi. Ripresa economica veneta.

Anno 1550 circa - cavedini N. 3.000.

Anno 1557 Una terribile peste annienta larga parte della popolazione di Pirano. Le saline vengono temporaneamente abbandonate per mancanza di braccia.

Inizi 1600: Saline in pieno sviluppo. Seguono anni di grande tensione con l'Austria. E' l'epoca dei colpi di mano degli Uscocchi e della cosiddetta Guerra di Gradisca. Sono noti i tentativi di distruggere le saline concorrenti di Trieste.

Dopo il 1620 inizia il lungo periodo della pace veneta e della lunga decadenza di Venezia. La Dominante perde molti dei suoi mercati e produce sali abbondanti nei "fondamenti" dì Chioggia ed anche in quelli di Pago e di Corfù. Del resto il sale si può acquistare a prezzi assai convenienti in Puglia e in Sicilia.

Anno 1637 Distruzione di centinaia di cavedini abusivi.

Per tutto il '600 e parte del '700 le autorità venete limitano la produzione del sale. Il sale eccedente viene "buttato a mare".

E' questa l'epoca dei più forti contrabbandi, anche se dobbiamo ricordare con l'Hocquet ("Sale e potere" pag. 443) che la prima condanna "alle galere" di quaranta salineri piranesi sarebbe avvenuta già nel 1378.

I regesti redatti dal Luciani si soffermano ampiamente sulla lunga lotta delle  dei documenti veneti Autorità contro i contrabbandieri piranesi. Sono storie talvolta gustose come quella del Provveditore che si sente ringraziare da un piranese, da lui condannato alle galere qualche anno prima. Era un bravo marinaio, l'avevano subito tolto dal remo ed adibito alle manovre; aveva trafficato un po' tra un porto e l'altro dell'Oriente, ed ora tornava a casa col gruzzolo di zecchini d'oro. "Impiccarli, questi piranesi" concludeva il Veneziano, non c'era altra maniera per correggerli.

A Trieste, in zona asburgica, le autorità erano ben liete di accogliere i salineri piranesi che fuggivano per timore di punizioni. Venivano impiegati nelle nuove saline di Servola e di Zaule. Quanto al tentativo veneto di sbarrare la Valle di Sicciole con una lunga "palizzata", per evitare la sottrazione del sale via mare, sembra sia durato brevi mesi; i pali misteriosamente marcivano e si aprivano ampie brecce.
Anno 1688 L'attività si è ridotta a cavedini N. 2679.

Anno 1727 II numero dei cavedini è sceso ancora a    N. 2426.

Nell'anno 1761 una piena del Dragogna distruggeva una gran parte degli impianti saliferi. Il fenomeno si sarebbe ripetuto più volte. Erano le cosiddette "montane", contro le quali poco potevano le difese dei "Boschi", lasciati appositamente nel fondovalle per ordine delle autorità veneziane, molto attente a non incidere sulla situazione ecologica originaria del territorio. Ricordiamo come mancassero, all'epoca, dei magazzini sufficiente mente capienti per ricoverare il sale prodotto. Ce n'era uno a Pirano (edificio tuttora esistente) ed uno a Sezza (verso S. Bortolo) abbattuto nell'800. Le "montane", oltre a danneggiare "arzeni e cavedini", cancellavano il sale conservato, durante l'inverno, al pian terreno delle "casette dei salineri", edificate accanto agli impianti. Quindi il danno era duplice. Nell'ultimo quarto del secolo XVIII le autorità veneziane pensarono finalmente ad un riordino delle saline istriane. A Pirano il "Collegio dei XX dei Sali" parve recuperare le vecchie energie. Si trovarono nuovi sbocchi commerciali.

Il numero dei cavedini tra il 1791 e il 1800 è il seguente:


Fontanigge
1904
Lera
2166
Totale Sicciole
4070
Fasano
307
Strugnano
157
Totale Cavedini
4534

Anno 1813 Alla partenza dei francesi i cavedini sono 4776

Durante il dominio napoleonico vennero avviati grandi ampliamenti e progettati dei nuovi magazzini ma, nell'estate del 1813, appena iniziati i lavori, gli Austriaci ripresero il dominio dell'Istria.Il Governo Asburgico seppe tuttavia utilizzare i progetti francesi, li portò rapidamente a compimento e si spinse anche oltre. Le ampie "fondamenta" che ora si estendono da San Bortolo fino a Sezza sono opera degli anni 1815/19. Il primo dei "nuovi" magazzini fu il bellissimo "Antenal", un elegante costruzione del 1820 che venne stupidamente distrutta nel secondo dopoguerra. Sorsero poi (1824 e decennio seguente) altri due magazzini in muratura a Fisine (tra cui il vasto °Montfort°) ed un terzo magazzino in legno, poi abbattuto.
Nell'anno 1817 i cavedini ammontavano a N. 6363 - Nell'anno 1820 a N. 7034
E tale numero rimase costante per tutto il secolo.

Gli anni prosperi finirono assai presto; verso la metà dell'800 il mercato del sale entrò in crisi. Il prodotto arrivava dalla Sicilia e dalla Tunisia in grandi quantità ed a prezzi esigui. Pirano si difese dapprima col produrre sale di alta qualità (sale bianco, fior di sale ecc.) ma quando il Monopolio potè disporre, a prezzi concorrenziali, del salgemma austriaco, si dovette iniziare una ferrea politica di riduzione dei costi. Nel 1859 l'Austria cedette la Lombardia, nel 1866 il Veneto. Due mercati tradizionali erano perduti per il sale istriano. Per allargare il consumo del prodotto entro l'Impero si cercò allora di ottenere dal Governo Asburgico una politica di bassi prezzi per il sale destinato all'agricoltura e all'allevamento (il "sale rosso"). Ma. il Governo preferì invece limitare la produzione e il prezzo d'acquisto. Si tentò allora l'esportazione del prodotto, per le quantità eccedenti l'acquisto statale. Negli anni 1860-70 il sale di Pirano arrivò fino in Olanda, in Brasile, nell'India, sfruttando i bassi corsi dei noli per le navi in partenza da Trieste. Si tentò infine di utilizzare il sale marino per la produzione di concimi chimici, della soda e di altri sali industriali - lo stabilimento sorgeva sull'area dell'attuale Hotel Palace, a Portorose. Ma i risultati commerciali furono scarsi; solo la vendita del "sale inglese" diede qualche utile. E' da ricordare tuttavia che lo sfruttamento delle "acque madri", ricavate dal ciclo di produzione del sale, portò in ben altra direzione: al loro uso curativo, specie nel trattamento delle malattie artritiche. Nel citato stabilimento di Portorose il dottor Lugnani proseguì i suoi esperimenti curativi per diversi anni, fino ad ottenere i primi successi significativi. Nel 1885 le cure termali ebbero il loro regolare inizio e da esse ebbe impulso il lancio turistico di Portorose ad opera di un Podestà di Pirano, indimenticabile per spirito di iniziativa, il dr. Domenico Fragiacomo.


Foto: Dal Volume "El Sal de Piran"

Progetto per un locale per bagni di Acqua Madre nello Stabilimento Consorziale di prodotti chimici a Portorose
G. Moso - 1884
( Arch. Regionale di Capodistria - Fondo Saline, b. 159

Ma le saline seguirono la loro curva discendente. Le esportazioni e lo sfruttamento industriale vennero abbandonati. I costi restarono troppo elevati, gli utili minimi. Nell'anno 1896 una terribile "montana" distrusse ancora una volta gli impianti di Sicciole. Era la fine della gestione privata delle saline. Nel 1906 il Consorzio dei Sali (una società tra tutti i proprietari, amministrata da un Consiglio, che nel corso dell'800 continuò l'opera dell'antico "Consiglio dei XX") dovette cedere tutti gli impianti all'Erario austriaco, che tentò negli anni seguenti di razionalizzare le saline di Lera, creando bacini più ampi, tuttora parzialmente in attività. La produzione delle Saline statali continuò a ritmo moderato nel nuovo Regno d'Italia, che pur produceva sale in abbondanza, e a costi assai più bassi, in Puglia e in Sicilia. La storia millenaria delle saline di Pirano finisce solo negli ultimi decenni, salvo una residua, insignificante attività, quasi simbolica.

Cerchiamo ora di renderci conto dell'importanza delle saline di Pirano, esaminando qualche dato quantitativo.

L'estensione massima fu di mq 6.279.254 (di cui oltre un milione grazie all'ampliamento del 1813-20).

La quantità di sale assorbita dai veneziani o "limitazione" del Primo Mercato del 1375 fu di moggia 3.500, pari a quintali metrici 28.000 (un moggio è eguale a circa otto quintali).

Nei secoli successivi la "limitazione" oscillò attorno ai 5000 moggi annui. Ma bisogna aggiungere il SETTIMO del Comune e il QUINTO di libera disponibilità dei produttori.

E non dimentichiamo il sale, in quantità "imponderabile", che finiva sul grande mercato del contrabbando.
La produzione ebbe grande impulso dopo il riordino di fine '700. Nel 1810, in un anno eccezionale, si produssero moggia 20.138 pari ad oltre 160.000 q.li (contro una media dei decenni precedenti di moggia 11.000 annui).

Nel 1822, dopo l'ampliamento, si arrivò in via eccezionale a 51.380 moggia (oltre 400.000 q.li). Puntando sulla qualità e frenando la produzione si restò comunque, nel secolo XIX, molto al di sotto di tali massimi, tra i 200.000 ed i 280.000 q.li annui.

I REDDITI

Nel favorevolissimo anno 1812 i piranesi incassarono franchi francesi 413.737 netti. Erano franchi d'argento, pari nominalmente a circa 25.000 lire attuali: quindi si trattava di una cifra di oltre 10 miliardi, in un anno di guerra e di miseria, dopo vent'anni di continue ostilità, che avevano travagliato l'intera Europa. L'anno dopo, ufficialmente, i piranesi incassarono una cifra pari alla metà circa della somma indicata. Ma il resto finì tutto in contrabbando, come risulta dai processi svoltisi contro 400 salineri piranesi. Si scolparono dicendo che c'era stato "el rebaltòn" dei francesi e che si erano comportati come nel 1797, nel 1805, nel 1809, e ad ogni cambiamento di regime. Furono amnistiati. Ed in effetti nel 1797, come risulta dai documenti, il Governatore von Roth ebbe a prendersela perfino col nipote di Tartini, il Capitan Pietro, marito della Lucietta Vatta...."famoso contrabbandiere"!
Torniamo ai nostri dati quantitativi e cerchiamo di rapportare la produzione del sale di Pirano alle dimensioni del mercato del sale nel primo '800.


Foto: Dal Volume "El Sal de Piran"

Prima parte della "Specifica de' migliori, e maggiori Possidenti di Saline della Comune di Pirano", 1807
( Arch. Regionale di Capodistria - Sez. dislocata di Pirano - Fondo Comunale, periodo francese)

Mi valgo dei bilanci consuntivi del Regno d'Italia napoleonico, conservati a Milano, che evidenziano dati analitici molto precisi. Tali bilanci, che vanno dal 1806 al 1812, nella gestione del Monopolio Statale del Sale distinguono chiaramente la gestione delle saline istriane da quelle romagnole. Ricordiamo che anche negli anni in cui l'Istria appartenne alle Province Illiriche (1810-13) le saline erano rimaste quale parte integrante del Regno d'Italia. Si tenga presente, infine, che in quell'epoca Capodistria aveva in funzione poco più di 2000 cavedini e Muggia poche centinaia. Il Regno d'Italia napoleonico (Lombardia, Veneto, Trentino, Emilia Romagna, Marche) aveva un consumo di sale di 380.000 q.li. Mediamente ne importava per 50-100.000 q.li. Utilizzava il sale prodotto nelle saline di Cervia (dai 40 ai 100.000 q.li annui) e di Comacchio (la produzione, ripresa dopo decenni di abbandono, ammontava nel 1812 a soli 24.000 q.li). Tutto il sale rimanente del Regno d'Italia proveniva dalle saline istriane e Pirano vi contribuiva per oltre i tre quarti. Quindi, in pratica, un anno per l'altro, Pirano riforniva quasi la metà del fabbisogno di sale per uno Stato che comprendeva un buon terzo della penisola italiana. Potenzialmente, dopo gli ampliamenti del periodo 1815-1820, Pirano avrebbe potuto coprire l'intero fabbisogno di quelle vaste regioni. Si noti che lo Stato Italico di Napoleone guadagnava col Monopolio del sale dai 22 ai 25 milioni di lire annue (una lira d'argento dell'epoca varrebbe oggi 25.000. lire) su di un Bilancio annuo di 120-150 milioni. Quindi il sale di Pirano procurava un'ampia fetta delle entrate statali complessive.D'altra parte il terribile Ministro delle Finanze del Regno, il Prina, apprezzò a tal punto l'apporto del sale istriano al Fisco Italico, da esentare l'Istria da ogni imposta fondiaria.

Abbiamo accennato alle saline di Capodistria e di Muggia; è necessario precisare la loro importanza nel quadro istriano complessivo. In epoca veneta si usava dire che le saline di Pirano erano due volte quelle di Capodistria e che queste ultime avevano un'estensione doppia di quelle di Muggia. Alla fine del Settecento le saline di Capodistria e di Muggia, in realtà, erano in profonda crisi e non producevano neppure un quarto del sale istriano. Le saline di Muggia furono abbandonate nel 1820; negli stessi anni il Governo austriaco volle invece dare nuovo impulso alle saline di Capodistria, che fiorirono per alcuni decenni (1820-70). Abbandonate nel 1918, la loro area venne bonificata dal Governo Italiano (1932-1936).

La Repubblica veneta, per lunghi secoli, lasciò i capodistriani e i muggesani liberi di disporre di tutto il loro sale, purché lo vendessero esclusivamente nei paesi dell'interno. A Capodistria arrivavano annualmente ad acquistare il sale oltre 50.000 "mussolati" che, a loro volta, introducevano i prodotti della Carniola e della Carinzia (cuoi, legno lavorato, ferro). Era un mercato del tutto libero, ma molto rischioso, in quanto soggetto agli interventi politici dei gelosi vicini. Ad ostacolare i traffici e ad angariare i mussolati furono dapprima i triestini, poi intervennero gli stessi "arciducali" asburgici. Vennero tagliate le strade di comunicazione che conducevano da Capodistria e da Muggia verso la Carniola o vennero imposti dei dazi proibitivi. Gli acquirenti carniolini vennero avviati verso Trieste, che sviluppò delle nuove saline a Servola ed a Zaule. Dalla metà del 1600 anche Capodistria e Muggia, per sopravvivere, dovettero dipendere principalmente dagli acquisti erariali veneziani. Il Comune di Pirano, come risulta dagli Statuti, riteneva di essere proprietario delle saline installate sul proprio territorio. Il "settimo" del sale, versato al Comune fino al 1807, avrebbe costituito una sorta di "canone". La Repubblica di Venezia, in forza dell'atto di dedizione, non contestò mai i diritti del Comune ma, come abbiamo visto, intervenne spesso di sua iniziativa a limitare la produzione salifera. Proprietari e salineri ricevettero per secoli il "quinto" del prodotto in libera disponibilità - poi soltanto un quantitativo limitato per ciascun cavedino - "quinto" che veniva venduto ai "mussolati". Il libero mercato si svolgeva sul "Salario", in Marzana, presso "El Magasin" cittadino.
Finito nel '600, per le cause politiche sopra accennate, il mercato libero con i carniolini rimase a disposizione dei piranesi una notevole quantità di sale per la salagione del pesce, un'attività tipica che si prolungò per tutto l'800. L'Austria accordava del resto, a prezzo politico, quantitativi fissi di  sale a tutti i pescatori della costa istriana, specie a quelli di Pirano e di Rovìgno. Ben inteso, gli introiti più consistenti e più sicuri provenivano dagli acquisiti erariali, prima da parte delle autorità della Repubblica di San Marco, poi da parte dei Monopoli dei diversi Stati succedutisi in Istria.

Le Casse erariali non erano di solito "cattive pagatrici" anzi, dal tempo di Venezia in poi, ci fu l'uso del versamento di congrui anticipi, essenziali nei casi di emergenza o di cattivi raccolti. Tutti i ricavi delle saline venivano rigorosamente divisi al 50 % tra proprietari e salineri. Era però convenuto "ab immemorabili" che parte della manutenzione ordinaria primaverile dei cavedini fosse a carico dei salineri; la parte restante, come pure tutti i lavori straordinari effettuati sugli impianti, erano a carico dei proprietari. Anche gli anticipi erariali erano divisi al 50%. Ben 400 casette - in muratura almeno dal 1770 - erano a disposizione dei salineri, in uso strettamente gratuito. Nei tempi più antichi si sarà trattato semplicemente di capanne o di "casoni", ma poi si curò attentamente lo stato delle abitazioni, che accoglievano le famiglie per sei mesi all'anno.


Foto: Collezione Petronio Cap

Le Case in muratura destinate ai "Salineri"
ln primo piano una "macchina"

La Direzione delle Saline era affidata al Collegio dei XX dei Sali, poi al Consiglio del "Consorzio". Un'autorità locale molto importante, ai tempi di San Marco, era l'amministratore e cassiere, per conto della Repubblica: lo "Scrivano dei Sali". Ricordiamo che anche il padre del grande Tartini ebbe un tale incarico a Pirano. La proprietà delle saline di Pirano era molto frazionata, almeno da quanto ci risulta dalla fine del '700 in poi. Esistevano i grandi proprietari, gli ultimi i Grisoni con 450 cavedini. Tra i "borghesi" troviamo in una posizione eminente, all'inizio del secolo XIX, un Giuseppe Barbojo, poi Podestà italico. Ma molti erano i proprietari medi e anche modesti, né fu mai possibile gestire le saline in modo men che "democratico". Buonissimi risultano i rapporti fra proprietari e salineri. Il contratto di "mezzadria" non ebbe a subire momenti di crisi e, del resto, per la parte del sale contrabbandato, si trattava, in effetti, di una vera e propria "società di fatto" tra capitale e lavoro. Alla fine del '700 si stimava che le saline di Pirano impegnassero 400 o 500 famiglie, con circa 1950 occupati nei diversi gruppi familiari. Ma nel conteggio erano incluse le donne ed i ragazzi superiori ai dieci anni. Si tenga presente che Pirano nel 1808 contava 1466 capifamiglia di cui 1441 abitavano in città. Solo 25 famiglie vivevano in maniera stabile a Strugnano, Fasano, Sicciole. I proprietari di appezzamenti agricoli erano in quegli anni ben 912, che conducevano per lo più modeste estensioni di terra. La grande proprietà si estendeva oltre il Dragogna, nella zona di Salvore.


Foto: Dal Volume "El Sal de Piran"

Parte presa il 25.5.1548 dal Collegio del Sal di Venezia in merito ai compiti dello Scrivano dei Sali di Pirano"
( Arch. Regionale di Capodistria - Fondo Saline - b. 1 1274 -1615, 1766 volume III)

Poche navi da carico piranesi si spingevano allora oltre il Golfo di Venezia, forse una dozzina, ma 50 o 60 barchini o barche agricole erano utilizzate costantemente per i trasporti locali. I pescatori erano un centinaio. Quindi il benessere di Pirano era tutto incentrato sulle rendite delle saline, come integrazione del modesto reddito agricolo di una buona parte della popolazione. Soltanto dopo la metà dell'800 iniziava a Pirano una coltura agricola intensiva e si creava di conseguenza un movimento della popolazione dalla città verso le valli e la collina. Ne era interessato circa un terzo della popolazione urbana, ma molti agricoltori mantenevano spesso due abitazioni: una estiva in campagna ed una invernale in città. Le casette delle saline continuarono ad essere abitate soltanto nei mesi estivi e restò caratteristico il trasmigrare stagionale delle famiglie dei salineri verso Sicciole, via mare. Di conseguenza il ceto dei coltivatori delle saline, quasi sempre appartenenti a famiglie di modestissimi proprietari agricoli, mantenne fino all'inizio del '900 ed oltre un carattere prettamente "urbano". I salineri, come la massima parte degli agricoltori, ebbero l'impronta integralmente italiana dell'intera comunità piranese. Basti dire che i termini tecnici tradizionalmente in uso nelle saline di Pirano furono quelli rintracciati nei documenti medioevali di Chioggia, come è desumibile da un confronto tra il testo del prof. Hocquet e gli scritti della Zudic. E si badi che i salineri di Pago, che avevano insegnato ai piranesi la costruzione delle saline nel '300, usavano a casa loro dei termini e un idioma del tutto diversi. Anche per il sale, dunque, possiamo ben dire che Pirano ebbe una comune civiltà con Venezia, non alle dipendenze della Repubblica, ma quale centro autonomo di sviluppo della latinità adriatica.


IL CONSORZIO DELLE SALINE DI PIRANO QUALE COMMITTENTE DI
INSIGNI OPERE D'ARTE DEL RINASCIMENTO
E' stata più volte raccontata la storia del "maledetto imbroglio" che sottrasse alla Città di Pirano il quadro importante del Tintoretto, raffigurante "La Battaglia di Salvore". Il vero proprietario dell'opera - dobbiamo ricordarlo -era il Consorzio delle Saline di Pirano, che ne era stato l'originario committente. La tela veniva esposta nella Sala del Consiglio Comunale quale prestigioso simbolo comunitario di unione cittadina e di fedeltà a Venezia.
Quando il Barone di Carnea Steffaneo, Plenipotenziario asburgico, riuscì ad estorcere il quadro ai nostri concittadini nel 1802, offrendo in cambio i ritratti dell'Imperatore e dell'Erede al Trono, fu il Consorzio delle Saline ad apparire quale effettivo "donatore".
Ma il Tintoretto non entrò mai nelle Gallerie imperiali austriache; finì in qualche collezione privata europea e sarebbe ora rintracciabile, secondo voci non confermate, negli Stati Uniti d'America.

Nel 1802, sempre per intervento dello Steffaneo e colla promessa di una permuta con un'"opera più moderna", passò ufficialmente da Pirano alla Galleria viennese del Belvedere un quadro di non minore importanza artistica, una pala d'altare che da secoli abbelliva la Chiesa di San Bernardino, annessa al Convento dei Frati Osservanti. Vi erano rappresentati la "Madonna col Bambino dormiente e due angeli", e vi appariva la firma di Alvise Vivarini con la data del 1489 (dimensioni: altezza m 1.02 x 0.445 di larghezza). La pala in questione è considerata un'opera d'arte di estrema importanza, nel processo evolutivo dell'artista tra Antonello da Messina e il Giambellino, ed è stata studiata ininterrottamente, da un secolo e mezzo a questa parte, dai maggiori storici dell'arte, italiani e stranieri. Abbiamo buone ragioni per ritenere che anche tale quadro fosse stato acquisito dai Frati col concorso del "Collegio dei XX dei Sali" di Pirano. Infatti fu tale autorità consorziale ad intervenire, per la conservazione della Chiesa quando, nel 1806/7, il Convento degli Osservanti venne destinato alla soppressione.
In quella occasione si fece rilevare come i frati di San Bernardino avessero tradizionalmente curato l'assistenza spirituale dei salineri piranesi, officiando le Sante Messe nelle località di Santa Lucia e nelle due chiese allora esistenti a Sicciole (San Martino e San Ulderico).
Noi sappiamo benissimo che, ad andar per mare, le distanze sono minime tra S. Bernardino e le antiche saline. Quindi era stato il debito spirituale di riconoscenza dei salineri piranesi che li aveva portati, fin dal 1400, ad aiutare i Frati e ad abbellire la loro Chiesa. Le autorità napoleoniche non sentirono ragioni, il Convento venne chiuso e la Chiesa fu sconsacrata; tuttavia ancora nel pieno Ottocento il Comune di Pirano curava la conservazione dell'edificio e dell'annesso Campanile. E il quadro del Vivarini?


Foto: Dal Volume "El Sal de Piran"

" Madonna con Bambino dormiente e due Angeli" - 1489
Alvise Vivarini (Venezia - 1453 circa - 1505 circa)

Dal Belvedere passò al Kunsthistorisches Museum, il celebre museo viennese, e nel 1919 venne reclamato dalle autorità italiane e fu effettivamente restituito all'Italia. Venne esposto a Milano ed in altre città e poi... lo reclamarono i Capodistriani. La Chiesa di San Bernardino era ormai diroccata ed a Pirano, città di traffici e non di cultura - come si diceva allora - mancava un Museo degno di questo nome!
La pala di Alvise Vivarini venne quindi accolta nel Museo di Capodistria e nel 1940, scoppiata la guerra, venne portata a salvamento, assieme ad altre importanti opere d'arte, tra le quali il "nostro Vettor Carpaccio" firmato e datato 1518, esposto nella Chiesa piranese di San Francesco. I quadri vennero richiesti dallo Stato Iugoslavo dopo la firma del "Memorandum d'intesa" del 1954, in forza delle norme internazionali sui "territori ceduti", ma il Governo italiano ne contestò la restituzione; il Memorandum - si disse - non aveva toccato l'argomento delle opere d'arte.

Da allora ne è passato del tempo... ma ancor oggi pare che la collocazione dei quadri, già di proprietà della nostra comunità piranese, sia diventata, come scrive uno storico inglese, un vero "segreto di stato".


Possiamo, in questa sede, invocare la giusta soluzione di un concordato ritorno in Patria delle antiche opere d'arte?

NOTA BIOGRAFICA: Almerigo Apollonio (Pirano, 1928) dopo una vita di lavoro si è totalmente dedicato, negli ultimi anni, alla ricerca storica sull' età moderna e contemporanea, privilegiando le analisi dalle fonti archivistiche. Ha pubblicato per l' IRCI " Autunno Istriano ", un' indagine sull' Irredentismo, (1992) e " L'Istria Veneta dal 1797 al 1813 ", uno studio politico, sociale ed amministrativo sulla Provincia fra l'a Antico e il Nuovo Regime (IRCI - LEG 1998). Sugli " Atti " del CRS di Rovigno sono apparsi diversi suoi contributi di storia regionale, sull' " Archeografo Triestino " un lungo testo sulla Trieste economica tra Settecento e Ottocento, sui " Quaderni Giuliani di Storia " un saggio su alcuni aspetti dell' amministrazione del Governatore Stadion nel Litorale , nel periodo della Restaurazione. inoltre, molto importanti, vi sono gli Studi sul periodo Fascista nella Venezia Giulia, pubblicati in due volumi, a cura dell' IRCI con i seguenti titoli: "Dagli Asburgo a Mussolini - 1918 / 1922" e " Venezia Giulia e Fascismo - 1922 / 1935 ". I due volumi sono stati pubblicati rispettivamente negli anni 2001 e 2004.


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