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Memorie Istoriografiche del
Regno della Morea

Riacquistato dall'armi
della Sereniss. Repubblica
di Venezia

Stampato in Venezia nel 1692.


Frontispiece of the book
Frontispiece of the book


In this page fortresses in Morea: in a second page fortresses in the Greek islands and mainland



Corinto

Quasi nel mezzo all Istmo, ove s'affrontano i due Mari Ionio, e Egeo l'anno 3066 riportò da Alete al tempo di Cecrope Re d'Ateniesi i suoi Natali. Corinto, detto da Strabone, e Polibio Corintus, da Lauremberg Ephyro, dal volgo Coranto, da' Turchi Gerame, Città con titolo d'Archiepiscopale, distante da Patrasso 80 miglia, d'Atene 50, da Misitra 85, da Argos 25, soggetta ad Acrocorinto Castello, a cui è vicina; il sito ove posa, considerabile per il vantaggio, apportò motivo, ch'alcuni la dicessero occhio e legatura della Grecia, altri Fortezza del Peloponneso, che Plutarco la giudicasse la più eccellente Città, e Cicerone la chiamasse la più bella e splendore della Grecia, e arrivò a tanta grandezza che Siracusa, e Corfù si preggiavano d'esserli Colonie, e li Romani che pretesero vendicare l'ingiure, che questa Città havea fatto a suoi Cittadini, inviò L. Mamio Console l'anno del Mondo 3818 ad abbassare la sua alteriggia con ordine spresso di spiantarla da fondamenti, e che saccheggiata interamente, vendette all'incanto le Moglie, e Figlioli de Cittadini; fu riedificata, e ripopolata da Cesare Augusto: eccedeva in nobiltà, abbondava in ricchezze; hora però misero avanzo delle guerre, e del tempo, non conserva di suo, che le proprie rovine, quali servono di tenue ricovero a pochi habitanti, mentre havendo doi volte servito di Teatro alle barbarie d'Amurat II, e di Meemet suo figliuolo, che l'hanno totalmente desolata, c'hoggidì non contiene che venti case, che sono anco li rottami dell'antiche: e d'altro non si vede d'intero della sua magnificenza, che 12 Colonne di cinque piedi di diametro, e 20 incirca d'altezza, che per capitello non hanno ch'un semplice cordone, quindici piedi una dall'altra, distant'incirca un miglio dal Mare sopra una collina di figura anfitreale, i cui gradi scendono insensibilmente insin'al Porto Lecheo, e dove tutta via v'è una Torre, ch'altre volte serviva di Fanale.
Abbracciarono questi la Fede Cattolica a persuasione delli Santi Apostoli Pietro, e Paolo, e furono in questa confirmati l'anno 169 per opra di Dionigio secondo Vescovo di questa Città, nella quale perseverorono fin'a che gl'Imperatori Greci si sottrarono dall'ubbidienza della santa fede.
Ruggiero il Normano Rè di Napoli l'invase, e avrebbe ben tosto coll'inestar il proprio scettro negl'animi de Corintani, divertito in loro la rassegnata ubbidenza, che esseguivano giustamente i cenni d'Emanuele Imperatore di Costantinopoli, quando nell'opportunità di farlo, accorsavi l' Armata Veneta, unita al Greco vinto, non l'havesse dopo esterminato, costretto in fine alla fuga: Di gran conseguenza sono stati i danni inferti al Rè combattuto, come importantissime furono le ricche spoglie lasciatevi dallo stesso sul Campo, qual divise portorno gl'ausiliarij, perchè già redenta Corinto, non più bisognava il loro prode impiego: Non corsero due secoli, che divenuta Vassalla de Despoti della Grecia, la cederono a Veneti, quasi che paresse a que saggi Principi, esserne usurpatori, s'era meritato guiderdone à sì invitta Repubblica, che per ricuperarla ad'un straniero, stancò il proprio braccio robusto; non erano sì giuste le reflessioni di Maometto Secondo, ch'indiscreto Regnantesvelse da Corinto l'insegne di S. Marco, se ben sijno stati veementi i tentativi per restituirle la dove furono rapite, non per questo sortirono profittevoli, perchè superati i Veneti di gran lunga dalle barbare forze, connobbero espediente cessar l'impresa.
Re di Corinto
Anni del Mondo
2862 Atlete primo rè
2897 Trione
2934 Agilao
2971 Primina
3006 Baci
3041 Agela
3071 Eudemo
3096 Aristomede
3131 Egennone
3147 Alessandro
3172 Selesteo
3184 Ansomene
3185 Hebbe fine
Acrocorinto
Non merita Acrocorinto esser trascorso senza particolar distinzione, se ubligò una volta la fama a decantar i suoi trionfi, cessati per altro in lui, perchè estinto da Marte, divorato dagl'anni. Questo che contrastava a Corinto cui fu valida Rocca giacea alla cima d'erto, e acuto monte, sopra quale v'era proportionato piano ben recinto di forte mura con entro accoppiato a molti pozzi di limpida, e perfetta acqua il fonte di Pirene, mentovato da Omero nell'Odissea. Era per natura, e per arte molto fido, e di gran forza il Castello, che d'ogn'intorno si rendea inaccessibile, salvo che dalla parte del Porto Cenchreo; nulladimeno (perchè mal custodito) più volte superato, e in particolare da Siciliani, sotto il comando di Niceforo Caluso ne tempi, ch'imperava Emanuele Comneno.

Patrasso

Vicin'à Cappo Rio giace alto Monte con Fortezza nella parte più eminente, a Settentrione del quale evvi Patrasso Città antichissima, e Archiepiscopale, detta da Turchi Badra, e Balabutra; sott'altri nomi fu anche riconosciuta, mentre nella prima età della sua origine, chiamavasi comunemente Roa; ristorata poi da Patro figliolo di Preugene seguì gran tempo col nome stesso di tanto benefattore; indi nel principio dell'Impero Romano s'augumento d'habitanti, poichè vantaggiata da ogni meglior circonstanza, e per il trafico, e per la navigazione; onde apellavasi Augusta Aroe Patrensiis; altritempi pure si nominava Neupatria situata 700 passi in circa lontana dal Golfo: che tiene il medesimo nome di Patrasso ov'è il Porto Panormo: l'Imperatore Augusto se ne serviva per ricovrare le sue navi, che diede anco a Patrassini il privilegio di viver' in libertà, e di crearli come Cittadini Romani.
Adoravasi in questa Città Diana Lafria, si veneravano il Bosco, e il Tempio dedicato à Diana Triclaria, alla quale tutti gli anni si sacrificava dagl'habitatori un giovane, e una giovane de' più belli per penitenza del delitto commesso da Melampo, e Cemetone , che furono li primi sacrificati, perche si congiunsero in matrimonio nel medesimo tempio di Diana contro la volontà de Parenti; à qual sagrificio fù dato termine colla venuta d'Euripile a Patrasso. Fù questo alla Fede Christiana convertito per opra dell'Apostolo S. Andrea, in quel tempo era d'habitanti copiosa, se bene pur'hoggidì è competentemente popolata, particolarmente di molti Giudei, che la rendono mercantile, e ella sola è di quelle riviere, dov'i Greci dall' Isole vicine, gl'Inglesi, e Francesi sogliono trafficare. L'Aria non è molto salubre a causa delle contigue Montagne coperte di Neve, e dalla quantità dell'acque del contorno. Il suo Territorio sott'i Principi Greci ebbe titolo di Ducato, e mancando al natio suo Principe forze per sostenerla, nel 1408 la diede per grossa somma di denaro a' Veneti, quale poi fù da Turchi levata.
Nel 1533 il Doria se gl'accostò per combatterla, e facilmente la vinse, poichè fiacca ne recinti; seguì di là a poco la total vittoria, mentre si rese la Rocca, che domina la Città, benchè altre volte habbi resistito per un anno a Costantino Paleologo. Usò il comandante Christiano vivi atti d'humanità verso la Guarniggione, facendola colle femine trasportare a Lepanto senza ne sentisse un minimo danno, il che fù cagione ch'esclamassero le Milizie, quali aspiravano saccheggiare quegl'Infidi, e obligar al remo chiunque di loro fosse habile.

Chiarenza

Alle sponde destre del Fiume Igliaco chiamato da Tolomeo Penoeus Fluvius, erta sopra colle vicino alle spiaggie del Golfo di Patrasso giace Chiarenza, creduta l'antica Cyllene, Patria di Mercurio. Cyllenius Heros per tal cagione detto. Questa fu principale della Ducea de medemo nome, quale sotto il governo de natii Principi, come portava i chiarori nel nome, così era più ch'illustre al Mondo: i Veneti con giusto carattere la possederno, e ove in que tempi s'attrovava ben condizionata, vedesi al giorno d'hoggi si sprovista, che di suo le Fosse solo, e vestigie appaiono; il porto pure che di Chiarenza appellavasi, poco gl'era discosto; e se un tempo fù di molto capace, non riceve al presente, che sabbia, della qual'è ripieno.

Castello Tornese

Giace Castello Tornese sopra l'ultimo Promontorio del Ducato di Chiarenza, in quella parte che riguarda la Provincia di Belvedere trà il Golfo di Chiarenza e quello dell'Arcadia, chiamato al riporto di Baudrand Chelonates dal nome con che Strabone appella il di lui Promontorio, nomato altrimenti dalli Turchi Clemoutzi, posto in eminente sito, tre miglia incirca lungi dalle sponde del Mare.

Zunchio over Navarino

Zunchio chiamato da Tolomeo Pylus, da Stefano Coryphasium, e Navarino lungi da Coron dieci miglia sopra erta eminenza alza i proprij edificij con porto a piedi capace di due mille Vele, alle di cui destre spiaggie giace al presente il nuovo Navarino. E Fortezza l'antico Navarino, onde oggetto d'insidie nemiche, non una sol volta variò l'insegne.
Nel 1498 ch'ubbediva alla Republica sostenne un gran assalto da Turchi, che non riscontrando questi quella facilità di trionfo, che prefigeansi, si ritirorno per sorprenderla ad' altra occasione; non corse molto che gli riuscì; perchè impadronitisi di Modon, quei di Zunco a s'arresero alla sol loro comparsa; b Fù nulla di meno in breve racquistata da Veneti per opra d'un tal Demetrio da Modon, che con un suo amico Albanese eseguì il concerto di tagliar nell'aprir delle Porte la Guarniggione Turca; c ostinati nonostante gl'Ottomani nel volerla novamente sua, la vistorno per Terra con grosso numero di Cavalli, e per Mare con quattordeci Galee, e cinque Fuste condotte da un Turco Gamalt. Erano già destinate alla guardia di quel porto trè Galere della Republica, ne riflettendo i Custodi ch'il Nemico vicino havrebbe vegliato all'opportunità di ritornarne ben presto al possesso; negligenti, e spensierati da dubij d'attacco, lasciorno penetrarvi il Comandante Maumetano: questo con tutta franchezza si fece Padrone, e quelli, che lo patrocinavano costernati, ed avviliti, gettandosi a precipitio in picciole barchette, trovorno la propria salvezza sopra cinque Galere grosse, che venute da Baruti col carico di mercanzie, haveano in quel punto tratte l'ancore in vista al Porto, che pure intimorite per lo strano caso, si diedero repentinamente alla fuga; gl'habitanti di Zunchio infelici spettatori di tal disaventura, sentendo assalirsi per terra, conobbero espediente il rendersi al Nemico.
Ma giunto l'Anno 1686, tempo a Barbari fatale in cui a fasci và la Republica raccogliendo co suoi eserciti i trionfali allori sotto la felice condotta del Eccel. Sign. Cav. Proc. Francesco Morosini s'arese il vecchio Navarino alla sola comparsa della Veneta armata che numerosa di 200 velle intimorì di maniera il Turco presidio, che si risolse di subito consegnare a S. E. le chiavi di si importante piazza, da cui uscirono 400 huomini frà quali 100, e più abili all'Armi, bastevoli alla sua giusta difesa mentre costituita in sito forte, eminente, e grebanoso, e non potendo esser attaccata che da una sola parte da se stessa si difendea. Furonvi dentro ritrovati 43 pezzi di Cannone di bronzo con molt'armi e monitioni tanto da vivere come da guerra; così in pochi momenti senza spargimento di sangue s'Impadronirono i Veneti d'un gran forte così considerabile piantando sù le mura infedeli le cattoliche insegne; ma non essendo di minor importanza la piazza reale del nuovo Navarino superate dalla prudenza del Capitan Generale tutte quelle difficoltà che vi si fraponevano fece piantare li 8 Giugno un rigoroso assedio, e prima rotto il Seraschier che con 10000 huomini annelava al soccorso, fugate al solo lampo delle Venete spade tutte le sue squadre, conoscendo gl'Assediati l'impossibilità di resistere a tanto valore s'arresero, e consegnate le chiavi della piazza uscirono al numero di 3000, e più persone frà quali 1000, valevoli all'armi e furono conforme il patuito fedelmente scortati in Alessandria. Così nel breve giro di 14 giorni si viddero tributarie all'Adriatico Leone due importantissime piazze ed'in particolare quella del nuovo Navarino per l'ampio suo porto capace d'ogni grand'armata; soliti effetti della divina bontà, che mirando con sguardo pietoso la Veneta Republica, ch'in tanti secoli ha profuso tesori , ed'ha sparso fiumi di sangue per difesa della fede, ben gli da sicura speranza di più felici progressi, per i quali n'anderà glorioso per tutta l'eternità il suo nome.

Modone

Entro ai limiti di Belvedere, ch'è quell'amena, e fertile Provincia nel Peloponneso estesa, la dove era l'antica Messenia, tra l'altre Città numerasi sotto l'Arcivescovato di Patrasso l'Episcopale, e celebre Emporio, da Sosiano MODONE, da Turchi MUTUNE, e da Plinio chiamata in memoria di Methena Figliola d'Eoner METONE, non lungi da Corone, che dieci miglia, da Napoli di Romania cento venti, e settantadue da Capo Matapan, il di cui sito favorito di circonstanze forti dalla natura, e dall'arte, attrovasi sopra un Promontorio, ch'avanzato nel Mare di Sapienza, fronteggia colle coste dell'Africa con sicuro, e commodo Porto a piedi, dove risiede il Sangiaco della Morea, Ministro di stima appresso la Monarchia Ottomana.
Nel corso di secoli soggiacque agl'insulti di chi volea avanzarsi a soggiogar colla Provincia il Regno; onde antemurale riguardevole al medemo, come ben spesso combattuta, e vinta, così più volte costretta a sostenere con suoi tributi di varie nationi il comando.
Ottennero il possesso di questa per i Spartani i popoli di Napoli, che per sometterla al freno, introdussero nella piazza una Colonia. Indi a poco ambitiosi gl'Illirici d'ingrandimento, creatisi per dominante un Rè, posta in piedi poderosa armata scorsero le vicine campagne, arrivando a Modone, finsero da quelle genti, come amiche, volere procacciarsi le vettovaglie; ma poco cauti i Cittadini, dando fede alle loro bugie, corser'a gara a portarli le provisioni chi di pane, chi di vino, ed'altro, quando sul più bello usciti quasi tutti gl'habitatori dalla Fortezza, gl'Illirici con la Spada alla mano assalendo ogni sesso, molti n'uccisero, e molti fecero schiavi, restando la Città saccheggiata e distrutta. L'imperatore Traiano teneramente amando il misero avanzo di quei traditi, generosamente li diede privilegi, e franchiggie, colle quali aristocraticamente si governarono sin'al tempo di Constantino, che da Roma passò a Constantinopoli con la sua fede, à cui restando soggeti, non lasciarono il solito modo di vivere come capi riverendo solo gl'Imperatori.
Nel 1124 la combattè, e vinse il Doge Domenico Michele, che per la terza volta da Terra santa facea ritorno, trionfante per li gloriosi acquisti di Tiro, ed Ascalona in Soria, Rodi, Scio, Samo, Lesbo e Andro nell'Arcipelago, à quali memorabili imprese vi si aggiunse la sconfitta data all'Armata infedele coll'espulsione di questa dall'assedio di Zaffo; e quantunque l'anno susseguente fosse rilasciata al greco Impero, nulladimeno nella divisione di questo, fatta l'anno 1204, ritornò alla Republica, alla quale nel 1208 fù rapita da Leone Vetrano di natione Ligurico, di professione Corsaro, che non molto la resse, poichè in breve fatto schiavo nell'Hellesponto, fù condotto a Corfù, e strozzato da mano Carnefice; riportò in trofeo delle sue ingiuste rapine il supplicio d'una morte infame; a causa della quale confusi, e dispersi li suoi, riuscì con poco sforzo al Dandolo, e Premarino racquistarla al natio Dominio. Ma Baiazette Secondo, che per accrescere il proprio Impero vegliava all'acquisto de più Paesi, nel 1498 munito d'un Corpo di cento cinquanta mille Combattenti, la strinse per espugnarla, e diroccando à precipitio col cannone le mura al Borgo, obligò i Capi, ad eseguire la consulta di ritirarsi colle spoglie entro la Città, nella quale pure sperimentorno mai sempre più violenti gl'impulsi dell'Inimico; dal che angustiat'i Veneti, havrebbero piegato alla resa, quando l'Armata della Republica staccatasi dal Zante non havesse affrettato il soccorerli; qual pervenuta a fronte de Turchi nulla prezzando i cimenti, venne alla zuffa, , che fra varij successi, diede addito ad'una Feluca di spingersi a ragguagliare a que' Popoli la costante risolutione di provederli com'anco riuscì; poichè dall'Armata Veneta quattro Galere col carico di munitioni: trapassando queste le squadre Ottomane, ad onta loro conseguirono a salvamento il Porto: successo felice sì: ma origine di lagrimevol disgratia, poichè abbandonati dal Presidio i posti per ricever festosi i sospirati soccorsi; i Turchi, che dall'altra parte applicavano alla vittoria, conosciuti absenti gl'ostacoli si valsero dell'ocasione, entrando furiosamente nella Piaza, dove con strage horrenda, diedero saggio della loro tirannide, sotto la qualefinì i giorni di sua vita Monsignore Andrea Falconi, che vestito in Pontificale, animava que Popoli a sostenere l'incursione di quegl'infidi.
Iddio ch'a tempo punisce, chi con sacrilega mano non isdegnò imporporarsi nel sangue de Pastori Ecclesiastici memore del scempio di questi barbari benche ritardata la vendetta sin quasi al spirar di tre secoli, volle poi finalmente ch'il braccio robusto de suoi più fidi la eseguisse; non tutto ciò in quella guisa, che ben doveasi perche nel cuor de fedeli scintillando la carità non può regnarvi, in uno l'ombre della Tiranide; Quest'anno 1686: ch'è quell'anno apunto in cui penuriano nella fertilità medesima le palme, mentre copiosi i campioni per coronarsi le tempia tendono a introlarle doppo esperimentato da Turchi per il continuo di 16 giorni il Veneto valore s'aresero in fine avedendosi che troppo ruvinoso era il loro eccidio quando congiuratogli dalla Regina dell'aque unita al fuoco; il Morosini già è il prode, che rinforzato da generosi guerieri abbate coll'aspetto aterra col guardo quei popoli, che se sano, pure non vogliono apprezzare gl'eserciti di Christo. Gli successi nel fatto sono varij, moltiplici s'anumerano le contingenze da chi ne diede in luce distinte notitie, s'adduce quivi solo come li 7 Luglio all'hore 22 esposero gl'assediati bandiera bianca, al che seguiti i capitoli della resa uscirono il terzo giorno con armi è bagaglio, consegnato già anticipatamente il Torione della Marina, perche così richiesti dal Generalissimo; al numero di 4000 erano gli habitanti trà quali mille habili alla Militia; l'imbarco l'hebbero per Barberia; nella Città e Fortezza vi sono rimasti 100 pezzi di Cannone di bronzo detratone nove.

Coron

In Belvedere, chè parte dell'antica Messenia Provincia più diviziosa del non men fertile Regno della Morea in distanza da Modon miglia dieci per terra, e venti in circa per mare al lato sinistro di Capo Gallo, da Tolomeo detto Acritas Promontorium, ha forte sito la Cità di Coron, già da Strabone, e Plinio collo stesso nome riconosciuta, per haversi nel cavar le fondamenta trovato una Cornacchia di rame, che da Greci Coronis è detta; per il che come pronostico di prospera riuscita, Corone la dissero, qual come seggio un tempo Episcopale, soggetta all'Arcivescovato di Patrasso, così altre volte fù Colonia de Tebani, chiamata dalli Poeti Pedasus, da Lauremberg Nisi, da Pausania Epea, celebrata dalle Storie delli più rinomati antichi, e moderni Scrittori.
Forma di se stessa un triangolo scaleno, trà un'angolo del quale guarda quella parte da terra, c'ha sopra rupe inalzata un ben munito torrione, già fabricato da Veneti l'anno 1463, gli altre due veduti, ma non bagnati dal Golfo, che pure di Corone s'appella, dano commodo margine di girar la Fortezza cinta d'antica muraglia non in ogni parte uguale, fiancheggiata da Torri, dalla quale pochi passi lontano in parte di Tramontana v'è un Borgo di 500 Case.
Nel corso de secoli bersagliata più volte da insulti nemici humiliò i suoi tributi a varie nazioni, al riferire di Baudrand dalli Despoti Principi della Morea fù ceduta al Dominio della Republica di Venezia, e il Verdizzotti ci persuade essergli stat assegnata in portione nella divisione del Greco Impero, all'hor che nel 1204 unita questa gloriosa Republica in lega ad altri Principi s'avanzò all'acquisto di quel soglio Reale.
Invasa nel 1204 da Leone Veterano di Nazione Ligurico, di professione Corsaro, restò avanzo de suoi indebiti trionfi, se bene con breve godimento, poiche non corse gran tempo, che fatto schiavo nell'Hellesponto, fù trasportato in Corfù, che strozzato da mano Carnefice, hebbe in trofeo delle sue ingiuste rapine una morte infame, qual pervenuta all'orecchio de suoi seguaci, si dispersero; ed avviliti gl'habitanti di Coron piegorno dopo lieve contrasto al comando de Veneti.
Baiazete Secondo Imperatore d'Oriente, che per ergere con trionfi più sublimi il proprio soglio andava nel 1498 in traccia de nuovi acquisti; portossi con poderoso Esercito sotto Modon, del quale impadronito, rivolse l'armi vittoriose a Coron, che l'ottene a patti di buona guerra.
Nel 1533 il Doria, al di cui comando ubbidiva l'Armata di Spagna composta di trentacinque grosse Navi, e quarant'otto Galee, per investirla ordinò lo sbarco di buon numero di militie Spagnuole, e Italiane; queste dirette da Girolamo Tuttavilla, e Conte Sarno; quelle condotte da Girolamo Mendozza; seguito l'ordine coll'aiuto di quattordeci cannoni, si diedero ad'un proficuo essercitio militare, a fine d'aprirsi con larga breccia comodo addito all'ingresso; non corrispose l'esito al generoso pensiere, poiche ostinati nella difesa i Turchi, sostennero gl'assalti colla mortalità di 300 soldati Christiani, guerregiando però con felice progresso dalla marina i Spagnuoli, occupate bravamente le mura dell'Isola, hebbero sorte di costringere, chi havea in custodia quel lato, ad'esporre bandiera bianca; onde usciti li Turchi, salve le vite, e le robbe in conformità delle capitolationi, v'entrarono di presidio quei del Mendozza; non molto dopo gl'Ottomani sul tentativo di ricuperarla, la bloccarono;per il che sofferendo il Presidio mal volontieri l'angustia, deteminò sottrarsi da queste coll'attaccar il Nemico; e se bene Maccian Novarese, che in luogo del Mendozza era destinato a reggerli, ostasse a tal resolutione, e collo sforzo maggiore cercasse divertirli; fù nulla di meno astretto ad'accudirvi; onde portossi con assoluta arditezza verso Andrusa col disegno d'azzuffarsi con Turchi, ch'ivi haveano stabilito il Campo numerosi di tre mille Fanti, trà quali v'erano compresi cinquecento Giannizzeri, comandati da Casan Agà.
Gionti pertanto i Spagnuoli per recar timore al Nemico, accesero il fuoco nelle stalle de Cavalli che furiosamente saltando per sottrarsi dall'incendio, svegliorno i Turchi, quali usciti alla difesa, e scoperto debole l'Esercito Christiano, l'investirono corraggiosi, attaccando sanguinosa battaglia, nella quale cadde estinto coll'armi alla mano il valoroso Maccian; perdita però vendicata con ferite mortali nella Persona d'Acomat Comandante Turcho, che non moòto dopo incontrò da una moschettata ancor egli la morte, à causa della quale raffredato il calore de suoi combattenti, servì di respiro a Spagnuoli, che con buon' ordinanza si ritirarono à Coron, ove imbarcatisi determinorno abbandonarla, essendo pure stata intentione dell'Imperatore, che s'absentassero, non curando impegni, che potessero difficoltargli la pace nell'Ungheria; partiti per tanto questi, ritornò novamente l'infelice Piazza sotto il barbaro giogo.
In calma di valide imprese aggitato da sentimenti gloriosi, attese mai sempre il Cavaliere Procuratore Francesco Morosini Capitan Generale della Republica l'opportunità di racquistar al natio Dominio que' ampij Regni in più volte da frode Ottomana rapiti al di lei Impero; onde riflettendo, che nella Morea coll'impadronirsi di Coron havrebbe progredito a più profittevoli acquisti, comandò nell'anno 1685, che spiegate le vele, si drizzassero le Prore a quelle spiaggie, ov'approdati, dopo lo sbarco di scielta militia, invigilò con celerità a piantarvi l'assedio, ch'appena stabilito venne dalla parte di Terra da grosso soccorso de Turchi frastornato a segno, ch'alloggiati questi nella sola distanza d'un tiro di pistola da Nostri, non solo invigorivano gl'Assediati ad'ostinata resistenza; ma divertivan'anco gl'Assediati dall'esecutione de più fini tentativi; con tutto ciò non trascurorono questi quell'operationi, che come più risolute poteano agevolare la presa, onde dato il fuoco ad'una mina di cento Barili di polvere, havrebbero eseguito l'assalto, al quale s'erano disposti, se dal volo di quella si foss'aperta la brecia; conobbero in questo mentre li Turchi l'applicatione de Nostri all'ingresso, che perciò con impetuosa mossa avanzatisi, occuparono un Bonetto, dov'accorsovi un Corpo d'Oltramarini, seguito da Dragoni, e rinforzato dalle Truppe Maltesi, dopo un contrasto di tre hore, non solo furono esclusi; mà rotti, e fugati; havrebbero incontrato il loro ultimo esterminio, se trà nascondigli non havessero ritrovato lo scampo; ritornati per tanto li Veneti col trionfo di diecissette Bandiere nemiche, ricchi di spoglie; alle loro trincee esposero per apportare horrore a que di dentro, sopra brandistochi 130 Teste de suoi; passavano frà tanto senza respiro ad'ogni più rigido esercitio militare le giornate, ne perciò piegavano alla resa que' Barbari incaloriti dalla speranza de nuovi soccorsi; in questo mentre venuti all'unione i fugitivi dispersi e pervenute per ingrossare il Campo nuove Genti dal Regno, e dall'Armata, deliberorno i più vigorosi sforzi per la liberatione della Piazza; ma il tutto in vano, mentre marchiando per superare le trincere degli Assedianti furono astretti retrocedere al tempestare della moschetteria, e granate, ch'inseguiti da un Reggimento, e da 200 Dragoni, colla morte di Calil Bassà Visir, seguì quella di 400 de suoi; s'avvide il Capitan Generale, che dall'insistenza nemica, qual con nuovi cimenti di fresche truppe mai sempre accresceva insofferenti le molestie, s'erano stancati i suoi, e conoscendo, ch'unico loro sollevo sarebbe il sloggiare dal Campo il Nemico, confortatili alla sofferenza, intrapresa la dispositione delle cose necessarie all'esito; disposto per tanto il tutto in ordine più proprio ad'appaggare con vivi effetti l'intento, si venne all'attacco, che seguito con esatta rettitudine, non solo sloggiò dal Campo gl'Ottomani; mà fuggitivi precipitosamente questi, incalzati da Nostri, vi lasciorno colle spoglie per lungo tratto i Cadaveri; riportarono da questo fatto ricco bottino i Christiani consistente in sei cannoni di bronzo, armi, munitioni d'ogni genere, apprestamenti militari, 300 Cavalli, Padiglioni, Bandiere, frà quali hà numero il generale stendardo, che freggiato delle Codi, indicava la superiorità del comando appoggiato à Mechumut Bassà direttore dell'Esercito, nella fazione già morto; sgravatisi dunque dall'ostacolo nemico in Campagna i Veneti, s'allestirono con ogni costanza ad'un assalto generale per l'acquisto della Piazza, all'esecutione del quale accinti dopo il volo di spatiosa mina sperimentarono nel sostenimento di tre hore estraordinario valore de Difensori, nel quale perse copia de nobili, e valorosi Guerrieri, si deliberò dar pausa al sanguinoso conflitto, qual non molto dopo rassunto, consigliò ne perigli gl'Assedianti coll'espositione di bianco segno capitolarne la resa; onde sospese l'Armi si diede adito a progetti; non s'espedirono i trattati, ch'essendo mancati di fede li Turchi per lo sbaro di due Fogade, e d'un cannone carico di Lanterne, opre hostili della perfidia Turca, obligò i Veneti ad'ultimare un così faticoso assedio di quarantanove giorni, poiche penetrato con gagliardo sforzo il recinto, nel calor della vittoria, trucidorno dopo il Presidio senza condonnar ne ad'erà, nè a sesso quanti v'erano Habitanti, havend'acquistata la Piazza, nella quale trovarono 128 Pezzi di cannone, tra qualli 66 di bronzo, oltre le copiose munizioni di guerra, e di viveri.
In sì prolisso assedio varij occorsero alla giornata i successi, quali non potendosi addurre, ch'in volume, s'apportano solo i più memorandi, non per accrescere cordoglio a chi li legge, ma per recar ammiratione a chi gli apprende, l'uno è la morte del Commendator la Tour Generale di Terra della Religione di Malta, che nonpaventando cimenti, non temè di perder la vita; l'altro delli Principi di Brunsvich, e Savoia, che militando con indefesso valore, aumentorono in se stessi il corraggio in sentirsi colpir dall'Inimico.
S'aggionge per ultimo quello ben degno d'esser scolpito a caratteri d'eternità, accaduto nella persona del N. H. Francesco Ravagnin di età di anni 34 Fratello dI Girolamo, che ne periodi infimi di sua vita, dopo d'haver con testamento lasciato memoria a suoi più cari, pregò istantemente non esser seppelito altrove, ch'in Coron, quasi che senza spirito, lui solo valesse ad opprimerlo.
Sbrigato un tanto faticoso impiego, spedì al Publico col trofeo del supremo Stendardo nemico distinti i ragguagli il Capitan Generale, quale conciliatosi l'applauso universale, ne riportò in compensa il freggio della stola d'oro, conferita nella Persona dell'Eccellentissimo Lorenzo Fratello.
All'avviso dunque di sì felice evento esultorno con atti di vivo giubilo i cuori nel petto à questi Popoli, che rimessi alla pia consideratione delle gratie, che in tanta copia S. D. M. ci compartisce, si disposero ai rendimenti, e perciò la mattina del giorno seguente calò con tutta la Signoria in S. Marco il Serenissimo, ove dopo solenne Messa si cantò il Te Deum, come pure s'è fatto in ogni Chiesa con la maggior veneratione, e solennità possibile.

Calamata

Alle ripe dal lato sinistro del Fiume Spirnazza, detto da Strabone Pamissus, da Tolomeo Panissus, da Nigro Stronio, e da Giovio Tifoo, s'estende su le coste d'un Colle in gran spatio CALAMATA, detta in Baudrand THELAME, THERAMME, THURIA e ABIA da una Femina così detta già nodrice d'Helle figlio d'Ercole, luogo aperto alla Provincia di Belvedere assai copioso di Gente, al qual sebene manca il recinto, che possa sottrarsi da contrasti nemici, ha nulladimeno in eminenza la custodia d'un Castello di ben forte, e regolata struttura, ch'affida que' Popoli di sicuro ricovero in caso di sinistra incursione. E in qualche distanza da Coron, ma non dalle spiaggie del Golfo, che come di Coron, così pure di Calamata s'appella, Presidiato da buon numero de Turchi, vietava nel 1659 à sei mille Mainoti di Rito Greco l'esecutione di scuotere il Barbaro giogo, alche applicavano, affine d'appagare coll'offerirsi al Capitan Generale Morosini la singolar, e costante devotione, qual mai sempre nudrirono verso la Republica; onde abbracciata dal Capitan Generale la loro generosa propensione, per evitare una tal difficoltà, comandò lo sbarco di proportionate militie sotto il Cavaliere di Germoville, che s'avanzorono all'attacco di quel Castello; per apprestar soccorso marchiavano in quel mentre in grossa partita i Turchi, ch'investiti da Georgio Cornaro, riuscì anco al medemo disordinarli in guisa, ch'entravano framischiati cogl'aggressori nel luogo: il che apportando à Castellani timore, si diedero questi a repentina fuga; onde ne riportorno la vittoria, prima di combatterlo i Veneti, quali ritrovandovi dentro abbondanza di viveri, si valsero con ben provisionarsi, e incendiato il rimanente con buona parte del Paese, intrapresero la partenza, dopo la quale ritornorno ad'habitarvi li Turchi.
Fù novamente conquistata il giorno dell'esaltatione della santissima Croce del 1685 dall'Armi della Serenissima Republica comandate dal valore, e prudenza dello stesso Morosini Capitan Generale da Mar, datane da sua Eccellenza la direzione al Baron General Degenfeld, e che poi la fece demolire.

Zarnata

Zarnata è Fortezza ben fornita dalla natura, e meglio munita dell'arte, quale ne proprij recinti portando sembianza di figura quasi rottonda, giace in eminenza di più che delicioso sito. Nel 1685 lungi dalla medesima per soli cinque miglia sen stava con poderoso Esercito accampato il Capitan Passà, che ponderando questi il valore dell'Armi Venete, conchiuse infine sfuggire i cimenti per preservarsi da quelle rovine, ne quali fidava d'incorrervi; e però al Capitan Generale Morosini si rese à patti di buona guerra, salve le Vite, e robbe; il che fù loro essattamente osservato; li 11 Settembre per tanto uscirono al numero di seicento, quali senza sentir ne insulto, ne molestia alcuna, furono assistiti fin'ad un termine prefisso: solo l'Agà comandante primario; poiche temeva di perder la testa, rimase al Campo christiano, e sù la Galera del Sopra Comito Angelo Michieli s'è ricovrato. Il Capitan Generale destinò al governo di questa piazza in qualità di Rappresentanti Bortolomeo Contarini, e Angelo Emo nobili volotarij, e vi lasciò al presidio ducento, e cinquanta Soldati sotto la direzione del Tenente Colonello Prastini.

Chielefà

Sopra l'eminenza d'un Grebano, discosto un miglio, e mezzo dal Mare, giace nel giro d'un miglio in figura quadrangolare, munita di cinque Torrioni Chielefà Fortezza di non poca importanza, mentre nella medesima ammirasi qualche dono della natura, qualche singolarità dell'arte; da quì non molto discosta Vitulo, altri tempi Città mercantile, e famosa, dà cui riportò la denominazione il porto vicino, non molto sicuro, che tutta via Porto Vitulo appellasi.
Nel mentre il Capitan Generale Morosini era in corso per acquisti gloriosi, fù questa piazza dallo stesso validamente tentata, e poiche mancavano nella medema forze da resistere al valore di tanto Duce, conobbe necessità l'arrendersi. Furono per tanto benignamente ricevute l'istanze de timidi Turchi, à quali compiacendo il Morosini, permise sortissero a patti di buona guerra, lasciandovi in essa 58 pezzi di cannone di vario genere. Entro vi risiedeva Assar Passà Comandante di tutta la Provincia, dal qualefurono presentate le Chiavi della Piazza alla Galera Generalizia; uscirono mille Persone, e 350 s'imbarcorono sopra le Navi del Pisani, già direttore di tale acquisto, quali colle loro robbe convogliati, pervennero all'Isola de Cervi. Dopo rese grazie al Cielo, e inalzati li Stendardi della Croce, e del glorioso S. Marco, restò ivi per Proveditore Ordinario Bernardo Balbi e Estraordinario Lorenzo Venier.

Passava'

Passavà situata ancor'egli nella Provincia di Maina vicin'alle sponde del Golfo di Colochina sopra Capo Matapan nella parte opposta di Chielefà, e Porto Vitulo Fortezza dall'ingionta figura, fabricata sopra eminenza, diffetosa però in ogni parte, e fuori di passo per impedire l'invasioni che si tentassero di fare nella Provincia.
Il Capitan Generale Morosini spinse un grosso numero de Mainotti sotto questa Fortezza nel punto istesso, che uscirono li Turchi da Chielefà li 24 Settembre 1685, e che in quella piazza furono inalborate le gloriose insegne di S. Marco, e inteso che quel Presidio stava per sortire, e aspettare il cannone, fece subito marchiare a quella volta il Sargente maggiore della Natione Oltramarina Gregorevich con 500 Fanti a rinforzar li Mainoti, e ad'impedire il preacennato trasporto; ma li Turchi scoprendo da lungi le Venete insegne, ripiendi confusione, e terrore si diedero alla fuga, e abbandonarono il posto; ed in tal maniera senza alcun contrasto fattosene Padrone, atta al diffendersi, la fecedemolire come poco, tanto più ch'in poca distanza evvi un passo angusto, nel quale con poca gente si può far resistenza a numerose milizie.

Misitra'

Poiche varij sono i nomi, con che questa Città appellosi, segue anco esserne l'uno dell'altro più antiano. Prima fù detta Sparta, poi Lacedemone, ultimamente Misitra: questa è città famosissima della Grecia; e fù si vasta ne proprij recinti, che a tempi di Polibio girava a 48 Stadii, in figura quasi rotonda, sopra sito parte erto, e parte giacente; comandata ad'Occidente dal monte Taygettus. Passata coll'antichità dall'ampiezza, all'angustie, conservasi hoggidì in picciol Terra ristretta; insepolto solo il fastiggio delle memorabil sue glorie dalle vestigie apparenti. Per ottocento anni benche sprovvista di mura, fù ben custodita questa Città, non ostante fattegli le medeme più volte, vedesi anco di presente, com'il Castello, così la Terra delle stesse munita. Sono mal ridotte però, e hanno solo due gran Porte, conducendo quella da Settentrione a Napoli di Romania; l'altra da Levante all'Exokorion, corrispondendovi due gran strade una chiamata Aphetais, ò gran Bazar; l'altra Hellerion, gl'habitanti soggiacono ad'eccessivo calore nel tempo d'estate, perche oltre l'esser la Città esposta a Mezzo giorno, e anco a piedi d'una Montagna, onde dal cocente riverbero raddoppiato sentesi il calore.
L'elevatione del suo Polo fu dal dotto Guilletiere di natione Francese osservata mentr'egli si ritrovava ivi negl'ultim'anni adietro; prese li 19, 20, e 21 del mese di Giugno l'altezze Meridiane del Sole per l'ombre d'un corpo cilindrico diviso in mille parti eguali; la differenza dell'ombre di queste tre osservationi gli fù impercettibile, e la lunghezza di quelle fù sempre trovata de 211 parti del cilindro, dal che conchiuse, ch'il Sole fosse dal suo Zenith lontano undeci gradi, 56 Minuti; e che la latitudine di Misitra era 35 gradi, 26 Minuti.
Quattro sono le parti, che dividono detta Città, cosi che l'una del tutto separata dall'altra formino assieme un corpo senza gionture. Il Castello una, la Terra l'altra, e due Borghi, de quali il prim'è chiamato Mesokorion, cioè Borgo di mezzo; Exocorion il secondo, cioè Borgo di fuori, chiamato anche da Turchi Maratche.
Exokorion è segiunto dalle tre antecedenti per il fiume Vasolipotamos; ond'a quelle s'unisse per sol'un ponte di pietra.
Il Castello dicesi tò Castron, è situato sopra Montagna erta in figura conica con muraglie assai, buone, nel quale poch'anni sono v'erano 10 pezzi di cannone con Guarniggione consistente in 18, ò 20 Giannizzeri comandati da un Disdar, qual anco di rado vi rissiede. I magazini, che quivi si ritrovano, sono ben provisionati di biade per l'urgenze militari: osservandosi; che ciascun Turco habbi il suo coll'obligatione di rinovar annualmente il grano: vi sono ancora alquante cisterne, e nel mezzo del Castello v'e una Moschea, un tempo Chiesa de Christiani.
E nel sito si vantaggiato questo Propugnacolo, che le storie affermano non esser stato mai sorpreso a forza d'armi, benche tentato acremente, e da Meemet Secondo, e da Veneti.
Fù fabricato nella declinazione del Greco impero per opra de Despoti, e ciò, perche l'altro eretto sopra la Collina opposta, del quale apparriscono tuttavia le rovine, non comandava sufficentemente la Città.
Chi fosse fondatore di Sparta, resta indeterminato, poiche moltiplici sono l'opinioni degli Storici. Dicono alcuni essere stato Sparto figlio del Rè Lacedemone chiamata Sparta, molti Cecropo, qual fondò pur Atene, in fine altri asseriscono haver questa havuti gli stabilimenti da Sparto figlio di Foroneo Rè d'Argos, vivente gl'anni del Patriarca Giacob 1763 avanti la natività di Christo, poiche secondo il calcolo del Padre Petau, il Patriarca Giacob nacque 1876 anni vanti l'anno di nostra salute, di modo che fin l'anno corrente 1686 sono tre mille, quattrocento, e vent'uno, che questa Città è stata fabricata; ella dunqu'è più antica di Roma 983 anni; di Cartagine 867; di Siracusa 995; d'Alessandria 1405: di Lione 1639; di Marseglia 1136.
Mai fù nell'Universo tutto Nazione alcuna, ch'uguagliarsi potesse a Lacedemoni nel trattar la politica, vera dote di chi regolatamente governa; ciò che non permise altrove tant'arte, si compiacque ne medemi, poiche loro soli nello stesso tempo viddero sul Reggio trono due capi da unico diadema recinti di virtù sì egreggia; erano quivi di tal guisa frequenti i prodiggij, che non sapea il Mondo conoscer politico, qual non fosse Lacedemone; con regole dunque quasi Divine mantennero il loro Dominio, che doppo durato ottocentottant'anni, cessò colla vita di Colemane terzo Rè cosi nominato, svanendo indi tutto lo splendore de Lacedemoni.
Diviso finalmente l'Impero d'Oriente in Temata o Governi Generali, Lacedemone fù definita in Appanaggio à Figli, e primogeniti dell'Imperadore, da qual tempo lasciato il nome di Lacedemone, prese quello di Sparta, e i suoi Principi, da quali dependeva tutta la Morea, havean titolo de Despoti.
Teodoro Despote sposo della figlia di Reniero Principe d'Atene, e Fratello d'Andronico, e d'Emanuele quali due successivamente occuporno il soglio di Costantinopoli, poiche non poteva competer colle forze di Baiazet, trattò l'anno1403 vender Sparta, e Corinto à Filiberto de Naillac Priore d'Aquitania, e Gran Mastro di Rodi; era quasi stabilito tal'affare, ch'il prode Tamurlano, havendo trionfato di Baiazet, accrebbe in guisa lo spirito ne cuori de Spartani, che vedutisi all'hor sicuri, mai vollero acconsentire, che Teodoro alienasse la Tzaconia; anzi sollevati fecero intendere a due Cavaglieri già deputati dal Gran Mastro, per quel governo, ch gl'havrebber trattati come nemici: quando non si fossero ritirati; per tal cagione i Cavaglieri renderno Corinto, ove già s'erano stabiliti; e Teodoro con non poco dispiacere restituì il dinaro anco di Sparta, del quale s'era in buona parte prevalso. Dal detto Teodoro fù lasciata ad'un suo Nipote figlio d'Emanuele Imperatore di nome pur'egli Teodoro, che sposò un'Italiana di Casa Malatesta, nella quale da lì a diettro cadde il titolo del Ducato di Sparta, andò questo secondo Teodoro a Costantinopoli con pensiere d'hereditar l'Impero in vecedi Giovanni suo Fratello, perciò concesse il Despotato a Costantino altro suo Fratello, nel qual tempo Amurat primo fece fare un'irruzione nella Tzaconia. Dopo sollevato Costantino al Trono Imperiale, toccò Sparta à Demetrio, al qual fù rapita l'anno 1460, e tremille, e duecento anni dopo la sua fondazione da Maometo Secondo, che fece segar à mezzo il Governatore del Castello.
Benedetto Colleone pugnava per la Republica, che nel 1473 la vinse, e havrebbe espugnato anco il Castello, se nel mentre cercava il trionfo, non fosse rimasto ucciso. Il Sansovino accenna nella sua storia esser stata questa Città assieme con la Provincia intera, pure della Republica, in quei anni, che il Veneto Diadema coronava le tempia ad'Henrico Dandolo.

Maina al Capo Matapan

Trà i Promontorij del Peleponneso, che dal continente si spingono al Mare, il più avanzato all'onda è Capo di MATAPAN, già detto a Promontorium Taenarium dall'antro di Tenaro inviscerato ne suoi contorni, la di cui orridezza persuase a favolosi il crederlo quella bocca d'inferno, dalla quale sortì l'invito Hercole dopo trionfato del Cerbero, onde volgarmente diceasi anco il Tenaro; altri vogliono, che tale fosse nominato da Tenaro, che nacque da Elase figlio d'Icano maritato in Erimade figliola di Damasicle. Profondissime acque circondano le sue rive, alle quali per sicurezza de Naviganti vi sono due commodi Porti, l'uno col nome delle Quaglie, così detto dalla gran copia delle Quaglie, ch'in queste parti si ritrovano, l'altro di Maina; fra questi la dove erano le rovinate vestigie dell'antico Cersapoli, eressero un tempo gl'Ottomani una Fortezza da loro chiamata Turcotogli Olimionas, che da Greci s'interpreta Castro de Maini, e da Turchi Monige, e cio à fine di frenare gli habitanti della Tzaconia, hoggidi Braccio di Maina. Provincia estesa per lungo tratto nella costa più meridionale della Morea, essendo quegl'huomini assai bellicosi, che mal contenti di soggiacere a Signoria si barbara, cercano nell'asprezza de Monti l'esentarsi dal tributo per partecipare in qualche guisa la sospirata libertà. Nel 1570 partito con 24 Galere da Candia il Capitan di Golfo Querini, pervenne a Corfù, ove informato dell'edificatione di quel Forte per gli accennati motivi, pensò indirizzarsi all'acquisto: eseguì il pensiere con fatti uniformi, perche conseguitone a salvamento quei Porti, coadiuvato da Mainoti, che nella fazione diedero saggio di garn valore; dopo gravi contrasti in danno notabile de Turchi, l'ottenne; non volse il Capitan di Golfo che più sussistesse quell'ostacolo a Gente si ben affetta alla Republica, perciò estrattone quanto v'era d'usuale alla militia, volle prima di partire demolirlo.

Malvasia

Nella parte orientale dell'antica Tzaconia Regione scoscesa, mà fertile del Peloponneso, hoggidì riconosciuta sotto nome di Braccio di Maina, alle sponde sinistre, ov'ha principio il Golfo, che Argolicus Sinus da Tolomeo s'appella, vedesi sopra rupe in vago prospetto estesa Monemvasia detta da Tolomeo Epidaurus Limera, e volgarmente Malvasia, è Città questa con titolo d'Archiepiscopale edificata in sito vantaggioso alla sommità d'erto scoglio radicato nel Mare, che se bene sterilissimo, e all'intorno bagnato da profonde acque dell'Arcipelago, gode nulladimeno dalla natura il beneficio di dolci, e limpide sorgenti, coll'amenità di colle fecondo, il di cui raccolto è bastevole ad alimentare cinquanta, e sessanta Persone, che vagliono a difenderla: da ogniparte è inacessibile, fuori che da una, munita con triplice ordine di grosse mura, ove pende un Borgo di numerose Case, chiuso da forte recinto, ed'hanno adito i Cittadini per incaminarsi alla Terra, ch'in forma di lingua spingendosi dal Continente, s'unisce a lungo Ponte di legno: Ha parimenti il Porto assai capace, e meglio custodito dalla Fortezza.
Il suo Territorio è abbondantissimo d'uve, da quali si ricava Vino nulla inferiore nell'eccellenza a quello di Candia.
A questa picciol'Isola vi concorrevano un tempo in gran frequenza dalla Grecia i Nazionali, à fine di venerare gl'Altari d'Esculapio, per quali era celebre al Mondo: Mandati dal loro Commune v'approdorno una volta pure gl'Epidauri del Territorio d'Argo, che argomentando prosperi eventi da certi sogni, e contingenze occorsegli nella navigatione, stabilirono questi fermarvisi, ed'ergervi una Città, che li servisse di Colonia, ed'Epidauro si chiamasse. Non più sussistono quegl'Edificij di già all'antichità involati dal tempo; conservasi solo al presente la denominatione, di cui con giusto retaggio ne rimase di quel posto l'Erede.
Prevale per il più il tempo, e la sorte all'inespugnabilità d'una Fortezza: quanto sij forte Malvasia, ò Epidauro a bastanza è notto: onde se nell'andar degl'anni soggiacque a più comandi, fù voler del destino, non valor dell'armi.
Questa Città essendo soggetta all'Imperatore di Costantinopoli, fù lor levata all'hora, quand'i Francesi, e Venetiani s'impadronirono di quell'Impero, divenendovi Baldovino Conte di Fiandra Imperatore l'anno di Christo 1204, e fù concesso quasi feudo ad un Baron Francese nominato Guglielmo, per essersi diportato in quella guerra eccellentemente: mà poi havendo Michiel Paleologo discacciati i Francesi, e intrusosi in quell'Impero, facendo questo Guglielmo prigione, si fece cedere, e rinonciare da lui le ragioni tutte, ch'in quelle parti egli havea, e lo lasciò poi partire, checondottosi ad habitare in Venezia, fece dono a quella Republica d'esse regioni, dicendo, che la già fatta renoncia al Paleologo nulla valeva per esser fatta per forza, e veramente passand'i Veneti con grossa Armata acquistorno la detta Città, che con marca di legitimo Dominio la ressero fin'all'anno 1537, all'hora quando dal Soglio della Tracia intuonava Solimano straggi, e rovine al Christianesimo; i più combattuti erano i Veneti, ne contento il Barbaro d'havergli scemato in più parti i tributi, impose a Cassin Sangiaco della Morea l'anno 1538 che coll'assedio cercasse costringere quei Popoli alla resa: dopo adunate buona copia di Militie, ubbidì al comando il Ministro, non adempì però la soverchia ambitione del superbo Imperante; poiche riflettendo sù propri danni, ch'il tentarne l'impresa era un perdere colla riputazione il tempo; risolse la ritirata da que' contorni ed applicarsi altrove. Non ostante d'indi a poco vi ritornò, e l'ottenne non colla violenza dell'Armi, mà per accordati di pace.
Nel 1653 contaminata; e rotta per le Guerre di Candia, e Dalmatia allor sussistenti la Pace, non preferivano i Veneti gl'essercitij più fervidi di rigorosa hostilità; onde ritrovandosi in queste vicinanze con ventidue Galere, otto Navi, e sei Galeazze il General Foscolo, comandò questo, che di repento s'assaltasse il Forte, eretto dagl'Ottomani fuori al Borgo; bravamente s'accinsero all'opra i Soldati, e ne riportorno in un sol giorno la Vittoria: mà nel mentre, che con voci giulive schernivano il Nemico alla fuga; evaporò inaspettatamente una mina, dalla quale restorno estinti cento cinquanta Vincitori con egual numero de feriti; Si vendicò però da Veneti colla spada alla mano la Morte de suoi Compagni, che demolito il Forte, fecero partenza col trasportato di 22 Cannoni, quali servivano alli Nemici per coprire quelle Saiche, che cariche di munitioni attendevano l'opportunità per drizzarsi alla Canea.

Napoli di Romania

Delle nobil Città, ch'accrescevano un tempo splendore all'antica Argia, hoggidì Saccania, ò Romania Minore, dovitiosa parte della Morea, conserva sin'al presente le vecchie primitie NAPOLI, da Sosiano detta NAPLI, dalli Greci ANAPLIA, e NAUPLIA da Tolomeo. Questa forte Città, e celebre Emporio sortì da Naupliò figlio di Nettuno, e Amimone il proprio stabilimento nell'ultimo ricesso d'un Golfo volgarmente di NAPOLI, da Tolomeo ARGOLICUS SINUS chiamato sù la sommità d'un picciol promontorio, che diffondendosi in due lati, col'uno che s'estende al mare, forma a Naviganti largo, e sicuro Porto; coll'altro, che guarda la Terra, vieta a passaggieri una tal commodità al commercio, non potendo questi condurvisi sopra, che per una sol via erta, augusta, e disastrosa, fraposta al Monte Palamide, e alla Marina, appresso la quale è situato in guisa, che da tre parti frena il corso all'onde, con rive si alte, e dirupate, che in ogni occasione d'insidie, leva affatto il commodo al Nemico, non solo di sbarcare militie, mà di battere anco dalle Galere alla Città le mura; il Porto pure, che quanto spacioso nel seno, tanto più angusto nella bocca, non ammette all'ingresso Galere senza l'haver queste una dopo l'altra scorso per qualche tratto un Canale, esposte con grave loro cimento all'Artiglieria, sendo custodito da ben proveduto castello, che per esser eretto sopra un scoglio in circa trecento piedi nel Mare, non può esser espugnato da gente di Terra; ne per sorprenderlo, ponno à causa delle molte secche avvicinarsegli grossi legni; in somma non ha posto lacuno, ove non sij concorsa la natura a munirla, l'industria à confermarla; ne è men considerabile nelle circonstanze del sito, che riguardevole nella qualità de titoli; poiche altre volte era Episcopale sotto l'Arcivescovo di Corinto, hor'è Archiepiscopale Capitale, distante 55 miglia d'Atene, 60 da Misitra, 36 da Corinto, ed'è seggio del Prefetto della Provincia, in cui si numerano sessanta mille Greci, oltre moltitudine d'altri habitanti, quali secondo Pausania, furono anticamente Egittij, ch'assieme con Danao vi dimoravano, come in loro Colonia, onde come variò nel corso del tempo costumi, cosi nel progresso degl'anni humiliò se stessa a più Principi.
Al riporto di Paolo Ranusio, fù nel 1205 presa dalli Veneti collegati alli Francesi; mà poco dopo sopraggiontovi il Rè Giovannissa, quantunque la trovasse guarnita di numerosa milizia, gli diede si vigoroso assalto, che senza repliche impadronitisi, fece trucidare li Comandanti, e la Guarnigione tutta, e spiantare la Città, ch'era ricca, potente, e situata nella meglior parte della Romania.
Et il Verdizzotti dice, ch'essendo posseduta nel terzo decimo secolo da Maria d'Erigano rimasta Vedova di Pietro Figlio di Federico Corner Piscopia, incapace di resistere all'insidie di molti Principi, che la desideravano, e più di tutti dall'avido Baiazet, la presentò in dono à Veneti, sotto il di cui comando passò contenta qualche secolo, non però immune da que disastri, a quali sogliono soggiacere le Città sospirate dalla prepotenza Ottomana, perche tentata da Barbari, provò più volte nella penuria de viveri la tirannia della fame, nell'abbondanza d'insidie, l'ingordigia de seditiosi. Studiava Mehemet II nel 1460 rapirla al suo legittimo Principe, ne considerando arte, che più della militare gl'affidasse il conseguimento, della medema si valse; percio espresse a Macmut Bassà, che con numerose Truppe marchiasse ad'assediarla; il che eseguito, riuscì anco vano; mentre incontrata ne Difensori col valore l'intrepidezza a sostenere ogni violenza nemica, fù costretto doppo moltiplicati tentativi con grave perdita de suoi, abbandonare l'impresa.
Solimano pure, che più de suoi pari nutrì mai sempre l'avidità di dilatare l'Impero, comandò nel 1537 a Casin, Sangiaco della Morea il portarvisi sotto con proportionate forze, a fine d'espugnarla; non corrisposero con tutto cio i fatti all'ingiusta brama; perche conosciuto non meno l'ardore degl'Assediati a respingerlo, della propria premura à vincerli; e avvedutosi ch'il cimentare i suoi con un forte ben munito dall'arte, e meglio dalla natura provisto, sarebbe stato un azzardarli all'ultimo eccidio, intraprese la ritirata; non terminarono però due anni, che ritornato ad'infestarla, l'ottenne non da sforzo delle sue Armi, da quali fù sempre sperimentata invincibile; mà dalla Republica, che gravemente angustiata dalle guerre, e carestie cercava con la pace la quiete.
Se ben questa fù propria al coronato Leone, quale cogl'occhi aperti prende i suoi riposi, sempre attento alla ricupera di quelle piazze, che dalla forza Ottomana gli son state ingiustamente usurpate, e ben ne possono far chiara testimonianza Navarino, e Modone, che di nuovo obbedendo al Veneto commando han scosso in pochi giorni il barbaro giogo sotto di cui per un tempo sì lungo piansero l'indegna schiavitù; ancor Napoli capitale d'un Regno si florido è ritornato in breve tempo a goder una quieta libertà all'ombra de Veneti allori.
Mentre cinta da rigoroso assedio dal Capitan Generale Francesco Morosini si rissolse anch'ella di seguitare il destino commune rendendosi alla giustitia, ed alla forza della Veneta Republica, sotto di cui godeva prima un secolo d'oro. Così in pochi giorni si è ricuperata la più bella, la più forte, e la Capital piazza del florido Regno della Morea stimata quasi che inespugnabile per haver più volte mostrato generosa resistenza alle potentissime armate de barbari, che doppo haver usurpato il rimanente del Regno, conoscendo quanto poco de sicuro possedevano senza questa importante piazza ne bramavano la presa; l'hebbero, mà non à forza; bensi a forza l'han resa; gratie a DIO, e gloria alla Veneta Republica, che essendo stata in tutti i secoli il propugnacolo della fede si rende ben degna, che la mano divina gli vadi accumulando i trionfali allori.

Argos

Trè (al raporto di Baudrand famoso Geografo de nostri tempi) sono l'Argos, l'una detta da Plinio Argos Amphilochium, è Città dell'Epiro; la seconda Argos Pelasgicum, è Città della Macedonia; l'altra finalmente Argos Peleponnesiacum: delle due antecedenti si farà mentione a suo luogo; della terza solo al presente si tratta; questa (altresì nominata Foronia da Foroneo; Hippobote dall'abbondanza de Cavalli, Iasia dal nomed'un valoroso Capitano, detta anco Diposia, e Iappia) è capitale della famosa Argia, e hà numero frà le Città più cospicue del Peloponneso, posta al fiume Planissa, detto da Latini Inacus Fluvius, in distanza da Corinto di miglia 36, da Sparta 60, e cinque da Napoli di Romania; verso levante, da Ponente hà il monte di Cronia, da Tramontana Cleone, da mezzo dì la rovinata Micene, risorta dalle rovined'altre Città adiacenti, vantò anticamente non haver al Mondo, che parreggiar le sue magnificenze; basti il dire, che da essa vollero i Greci, Argivi esser chiamati, come che questa sola valesse ad'esprimere l'eminenza della loro nazione. Cominciò il suo Regno l'anno del Mondo 2197 da Inacho suo primo Fondatore, che continuò 546 anni fin'ad' Acrisio, ammazzato da Perseo suo nepote l'anno 2742, qual'Inacho rappresentano Patente, Clemente, Alessandrino, ed'altri antichi Auttori, che vivesse ne' tempi di Mosè; mà Eusebio ci fà vedere il contrario, provando, che questo Rè vivea 346 anni avanti, che li figlioli d'Israele sortissero dall'Egitto.
Dopo Metropoli di Regno divenne Republica, ed'hebbe parte in tutte le Guerre de Greci, come leggesi in Pausania, Moreri, in Lauremberg; hora à causa del tempo, ch'il tutto divora, ridotta fra angusti recinti, povera d'habitanti, altro non conserva di maestoso, ch'il proprio nome. Che sij stata in potere de Veneti, lo ratificano gl'Auttori, i decreti l'autenticano, e se bene nell'esprimere il modo sijno discordi, convengono tutto ciò in quella sostanza, chè più propria ad'un Potentato, qual vanti legitima nel possedere. Volle Baudrand, ch'essibita dal Duca di Sparta à chi comprar la volle, nell'esito ne ricevesse dalla Republica in grossa somma il contante.
Da Decreto di Senato di 16 Marzo 1383 quì sotto notato costa, ch'insieme con Napoli di Romania fosse signoreggiata da Pietro di Federico Cornaro, il Verdizzotti pure asserisse lo stesso, soggiungendo, che Maria d'Anguien, o Enguien, corrottamente detta d'Erigano, rimasta Vedova senza Figliuoli per la morte del già suo sposo Pietro, ritornasse quella come Signora a dominarla; onde incapace di frenare le pertinacie di molti Prencipi insidiatori, particolarmente dell'avido Baiazet, la presentasse in dono al Senato. Che detta Maria d'Erigano l'anno 1388, in Decembre l'habbi venduta alla Republica, appare dalla quì sottoscritta copia tratta dall'originale custodito nella Biblioteca del N. H. Gio: Battista Cornaro Piscopia Procurator di S. Marco, della stirpe appunto del sopraccenato Pietro, qual è quel Padre fecondo, da cui germogliò Elena, che più vaga nell'anima, di quello fosse la Greca nel Corpo, arrecò meraviglia all'Universo tutto, rese stupidi li Dei stessi, se pur Dei chiamar si debbano i Monarchi del Mondo.
Nel 1463 tradita nelle mani del Flambulare, ò Sanzachei di Corinto, si dolsero i Veneti con Maometto II, allora regnante, che contro le conventioni della pace, operasse da Nemico; non furono valevoli le doglianze appresso quel Trace infido; perciò consultate lecose, si deliberò infine la Guerra. Bertoldo da Este in qualità di Capitan General da Terra comandava alle militie, onde portatosi questo con quindeci mille combattenti sotto la Città, ricuperòla in breve; solo resistendo i Difensori della Rocca, ch'indi a poco si resero. Morto Bertoldo li 4 Novembre nell'assedio di Corinto, riuscì a Dauch Passà con ottanta mille soldati fugare l'Esercito Veneto, e passando per Argos riprenderla colla prigionia di sessanta balestrieri Candiotti, che con barbara morte furono estinti.


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