Leopold Ziegler La radice della tradizione
Le personalità dotate di carisma spirituale non si lasciano omologare facilmente. Ciò vale per i pensatori della tradizione che abbiamo presentato, Guénon ed Evola, ai quali va associato ora il tedesco Leopold Ziegler (1881-1958). A differenza di Evola, che era molto critico nei confronti del cristianesimo, Ziegler ha inteso recuperare il patrimonio tradizionale cristiano, al di là della sua manifestazione storica nella Chiesa, e lo ha fatto attraverso un lungo itinerario di ricerca. Al centro della tradizione religiosa integrale dell'umanità, riscoperta per tale via, Ziegler pone la figura di Cristo, che rappresenta per lui l'«uomo eterno». E questo il motivo fondamentale del suo pensiero.
Benché fosse scrittore fecondo, insignito tra l'altro di prestigiosi riconoscimenti, Ziegler non ebbe grande influenza in Germania. Se è vero che i pensatori esoterici degni di tal nome devono essere cercati e scoperti, allora questa definizione calza perfettamente nel suo caso: da decenni pressoché dimenticato, rifiutato dalla filosofìa accademica, Ziegler è un pensatore che deve essere letteralmente riscoperto.
Cenni biografici
Leopold Ziegler nacque a Karlsruhe il 30 aprile 1881: il padre vi gestiva un negozio di cornici, la madre era figlia di un ufficiale della corte granducale del Baden. Al ginnasio Leopold non era certo uno studente brillante, e l'insegnante di latino lo riteneva più portato per una professione commerciale, tanto da spingerlo a trasferirsi in un istituto tecnico. Parecchio tempo dopo, Ziegler si rammaricava di non aver potuto completare gli studi ginnasiali, con tutte le conseguenze che ne erano derivate. Soleva ripetere: «Ancora oggi invidio coloro che hanno fatto gli studi classici».
Nonostante questa "falsa partenza", Ziegler potè comunque intraprendere gli studi di filosofia seguendo un percorso un po' più lungo, e conseguire la laurea. Grazie ad Arthur Drews il giovane si era accostato al pensiero di Eduard von Hartmann, leggendone La filosofia dell'inconscio, e più in generale a quello di Fichte, Hegel e Schelling. Aveva quindi letto Piotino, Meister Eckhart e Nietzsche. Ben presto giunse a maturare una propria posizione originale, nonostante le precarie condizioni di salute limitassero le sue capacità lavorative. A ventisei anni fu infatti colpito da una forma di tubercolosi osteoarticolare dell'anca, di cui patì le conseguenze per tutto il resto della vita. A causa dell'infermità gli rimase preclusa una carriera accademica che sarebbe stata certamente alla sua portata. Nella precaria condizione di cosiddetto "libero" docente, che comportava ristrettezze economiche e la dipendenza da qualche padrino accademico, potè continuare a dedicarsi alla filosofia solo grazie alla moglie Johanna, che gli assicurò i mezzi materiali di sussistenza.
Dal punto di vista della filosofia, nel maturare la propria posizione prendendo le distanze da Hartmann, Ziegler non abbandonò il tema che quest'ultimo aveva reso centrale, cioè l'inconscio". La psicologia del profondo e l'etnologia gli dischiusero inoltre fruttuose prospettive per una reale comprensione dello spirito umano nei suoi tratti originari. In una sua nota autobiogràfica si legge:
Accanto al pensiero umano configuratosi nell'epoca moderna secondo il modello della scienza, ossia secondo le forme e le categorie della logica generale, a parere di Ziegler si deve porre la forma di pensiero assai più antica e un tempo universalmente valida che si esprimeva nelle immagini mitiche, nei simboli, nei geroglifici. A suo giudizio la causa dell'atrofia religiosa va individuata nella rimozione violenta dei tratti più originari dell'anima, relegati dalla coscienza nell'inconscio, e ciò è dovuto al preoccupante impoverimento della vita comunitaria e della prassi cristiana. Guidata dappertutto da un'idea di scienza puramente concettuale e utilitaristica, l'epoca presente sta ineluttabilmente smarrendo ogni capacità di reinterpretare in maniera corretta l'eterno simbolismo dei culti e dei riti antichi, e di conservarlo attraverso le sue metamorfosi, assumendo in sé il proprio passato e salvandolo. Progressivamente la coscienza si scinde dall'inconscio, la scorza dal nocciolo... Vengono a mancare l'aggancio, il legame, il collegamento; invano si crede di sostituire con una qualsiasi ideologia, dall'esterno o dall'alto, ciò che un tempo agiva dal centro come sacramento e carisma.
È questa la valutazione che il sessantasettenne Ziegler ha dato di sé. Ciò che sembra essere contenuto in nuce nell'opera giovanile, concentrata su temi tanto diversi, ciò che qui è la sommessamente si preannuncia, dopo la raggiunta maturità si dispiega finalmente in una serie di opere molto ricche e dense. Secondo le sue stesse parole, ha luogo in esse il tentativo «di rianimare lo spirito perduto della tradizione comune all'umanità... e di imparare di nuovo a leggere l'alfabeto dello spirito del mondo - in un certo senso dimenticato dai popoli - con i suoi svariati segni, le immagini, le rune, in una maniera corrispondente alle attuali potenzialità e capacità».
Da questa visuale, e «da nessun'altra», come egli tiene a sottolineare, vanno letti i libri del periodo successivo, cominciando da Uberlieferung (Tradizione, 1936) e Apollons letzte Epiphanie (L'ultima epifania di Apollo, 1937). L'opera in due volumi Menschwerdung (Farsi uomo, 1947) offre una particolare interpretazione della tradizione, sulla scorta delle sette richieste del "Padre nostro", e precisamente come «parola del Signore del Vangelo che letteralmente ringiovanisce il mondo». I suoi ispiratori, i veri e propri garanti spirituali, sono evocati nella dedica posta in esergo al primo volume, che recita: «Alle anime dei tre ultimi: Jakob Bòhme, Sòren Kierkegaard, Franz Baader».
Tra le opere più tarde va ricordata infine anche Dos Lehrgespràch vom allgemeinen Mense/yen in sieben Abenden (Dialogo didascalico dell'uomo universale in sette serate, 1956). In quello stesso anno Ursula von Mangoldt pubblicò in traduzione tedesca Il Re del mondo di Rene Guénon, con una prefazione di Ziegler che lo presenta come uno tra i pensatori della tradizione con cui sentiva maggiore affinità. Vi afferma tra l'altro:
In qualità di fondatore della dottrina della "tradizione integrale", che si oppone al processo di degenerazione dell'umanità, Guénon fa appello all'unico rimedio ancora in grado di garantire la salvezza. Respingendo le molte proposte particolari per cambiare sul piano sociale ed economico la situazione mondiale, tutte in continuità con la serie delle rivoluzioni verificatesi dalla fine del Medioevo in poi, Guénon mira subito all'intero e ci assegna il compito inderogabile di rammemorare l'eredità che ci accomuna nella nostra origine, dunque il compito di ricordare la tradizione integrale, il "sapere originario" che determina l'uomo come uomo, ossia la rivelazione originaria oggi perduta ma non ancora definitivamente sepolta.
Quanto a Evola, egli lo conosceva solo di nome. Un amico di Ziegler, lo scrittore conservatore Edgard Jung, che fu assassinato dai nazisti nel 1934 e con il quale Evola pare avesse progettato la costituzione di un "partito ghibellino", intendeva far incontrare i due "tradizionalisti" così diversi tra loro, ma non riuscì a realizzare questo suo proposito. Ziegler morì il 25 novembre 1958.
Tradizione
Si è detto che Ziegler ed Evola si sono preclusi la comprensione del mondo scientifico europeo per il fatto che entrambi hanno recepito in maniera troppo eccentrica la tradizione orientale. Nei confronti di Ziegler questa osservazione non è pertinente in quanto egli disponeva di un ottimo bagaglio di conoscenze scientifiche, le stesse di coloro che "richiamava all'ordine" e ai quali proponeva i risultati del metodo tradizionale. Walter Heinrich, che ha fatto propria questa valutazione, ne trae la seguente conclusione:
L'opera di Leopold Ziegler ci appare come il coronamento del metodo tradizionale, in quanto porta alla luce le conseguenze che ne derivano per il mondo occidentale. In essa è analizzato e sfruttato l'intero patrimonio dell'etnologia, della sociologia e della scienza religiosa, nei cui meandri gli uomini del nostro tempo non sono più in grado di orientarsi. Ziegler sa collegarsi alla scienza occidentale, che per tanti è così importante e addirittura irrinunciabile, e per questo la sua opera appare a molti più aderente alla realtà è più convincente che non quelle di Guénon ed Evola. Tuttavia, specialmente nella nostra epoca, essa avrà bisogno di tempo prima di sviluppare i suoi effetti. Ma non è l'opera ad aver bisogno di tempo, piuttosto è il tempo ad aver bisogno di essa.
Già in Das heilige Reich der Deutschen (II sacro impero germanico, 1925) Ziegler aveva assunto la prospettiva tradizionale, mettendo in luce come la dimensione spirituale trascendente si manifesti e si innesti nei diversi processi storici. In Uberlieferung (Tradizione, 1936) e nelle opere della maturità porta a compimento questa sua intuizione. Il suo assunto fondamentale, antitetico rispetto all'ideologia del progresso, è che alla base di tutto ciò che si forma e diviene ci sia un'idea originaria, un archetipo. Nessun'immagine derivata «eguaglia» l'idea originaria di volta in volta presupposta, e quest'ultima non è affatto disponibile a piacimento. Ziegler osserva:
Un'epoca come la nostra, che ha dimenticato in maniera così profonda l'indimenticabile — in greco: alétheia, la verità — e che per giunta vacilla tra uno strappo e l'altro nei confronti della tradizione fino a che nulla più vi sarà da dimenticare né da ricordare, una tale epoca bene o male deve ricominciare dall'ABC.
Tratta da Uberlieferung, questa diagnosi della situazione attuale allude alla via che deve seguire chi intenda uscirne, e che Ziegler stesso ha percorso. Come sanno i suoi lettori, mai egli promette di rendere "facile" il cammino né propone una via regia. Si accosta piuttosto alla tradizione secondo tre approcci: nel libro del rito, in quello del mito e in quello della doxa.
Nel primo parla dell'homo magus, inteso come l'uomo originario che per mezzo di "fatture", ossia mediante l'influsso di formule magiche, agisce sugli esseri e sulle potenze del proprio ambiente. Si tratta quasi della manifestazione di una religiosità primordiale non ancora estinta. Anzi, da questa fonte originaria fluisce una corrente sotterranea alla quale ha attinto ogni religiosità posteriore, ogni sapienza successiva. Da qui ricavano il loro nutrimento spirituale tutti i posteri, siano essi sapienti, iniziati, maestri, profeti o portatori di salvezza.
Ziegler si distingue da Guénon e da Evola per il fatto che - nel libro conclusivo della doxa — il suo pensiero mette capo alla signatura crucis, il segno della croce. Se nelle prime due sezioni dell'opera egli aveva interpretato il rito come azione sacra e il mito come storia sacra, nella terza concepisce la doxa (sulla scorta di Piatone, ma più ancora del Nuovo Testamento) come dottrina sacra, da non intendere però come un insegnamento proveniente dall'esterno.
Per evitare un simile fraintendimento, Ziegler aggiunge che il termine e il concetto di doxa eccedono la dottrina degli ortodossi: «Nell'uso linguistico evangelico doxa rinvia all'autorivelazione diretta del sacro stesso (argomento e oggetto della storia e dell'azione sacre), quindi all'autorivelazione di Dio come tale»8.
Al riguardo Ziegler introduce un concetto fondamentale della mistica ebraica: la sekina. Nella qabbalah il termine esprime la presenza illuminante di Dio nel mondo. Sotto il profilo qualitativo è perciò qualcosa di più di una semplice "dottrina", in quanto «essa è un evento che si attesta e si certifica da sé»: doxa, sekina,, come illuminazione che non tollera alcun confronto. Ci muoviamo nella sfera della trasfigurazione di Cristo.
Effettivamente, tramite l'invocazione con il "segno della croce", Ziegler intende riferirsi a lui, all'ultimo Adamo (eschatos Adam), all'esemplare dell'"uomo eterno", di cui a rigore non si può parlare senza spiegare prima l'incontro tra elemento maschile ed elemento femminile. A questo punto, e per la prima volta all'interno della sua opera, Ziegler introduce la figura della "Grande Madre" (magna mater): Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito nella figura della Sophia divina completano l'immagine trinitaria. Non deve sorprendere che qui compaia la Sophia divina, dal momento che Ziegler si richiama a Jakob Bòhme e a uno dei suoi grandi allievi nel diciannovesimo secolo, Franz Baader. Fu proprio Bòhme, protestante di matrice luterana, a svelare in modo originale l'immagine della Sophia alla cristianità occidentale, suscitando l'estasiata sorpresa di molti.
In altri termini, in Uberlieferung Ziegler si richiama alla tradizione stessa, rendendola comprensibile e trasparente a partire da Cristo e per ritornare a Cristo. La sua "cristologià" sopravanza di gran lunga la teologia gesuana di corto respiro, che nel migliore dei casi, oltre al nobile "uomo di Nazareth", sembra conoscere tutt'al più un'immagine non originaria del "Cristo", basata su scritti confessionali storicamente condizionati. Ma la visione di Ziegler non è forse espressione di quella gnosi da sempre stigmatizzata dalla Chiesa? Non è forse fanatismo, eresia? In breve, esoterismo gnostico?
Di fatto, non furono risparmiate a Ziegler simili accuse. Sotto lo pseudonimo di Hermann Fichtner, nel 1936 Alois Dempf gli comunicava: «Non posso considerare come verità divina, ma solo come metafisica dell'identità il nucleo esoterico di ciò che Lei chiama tradizione integrale». E il gesuita Erich Przywara disapprovava gli sforzi di Ziegler volti alla ricerca dell'uomo "eterno" nel primo Adamo, che è l'uomo caduto ancora bisognoso della redenzione.
Ziegler, che per lo meno negli anni della maturità si era sentito parte della "Chiesa invisibile", ricevette certamente anche diversi incoraggiamenti, per esempio da Reinhold Schneider che, nell'agosto del 1936, gli scrisse di aver percepito «la meravigliosa armonia tra la tradizione e il cristianesimo, che pervade il libro intero», e di averne tratto «il più grande beneficio che da tempo io abbia ricevuto; un patrimonio che rimarrà mio, così come a ogni passo nel prosieguo del cammino Le rimarrò con piacere debitore riconoscente»9.
Era naturale che Ziegler trovasse punti d'appoggio in
altri
pensatori, quantunque, nella pratica del metodo tradizionale,
essi fossero avviati per una strada che non poteva coincidere con la sua. Fra
questi, egli nomina ripetutamente
Réne Guénon e, richiamandosi ai suoi scritti, lo
«giudica di importanza epocale sotto
molteplici punti di
vista»10, dichiarandolo «senza riserve il nostro garante»11.
Farsi uomo
I libri non vivono solo i loro destini, ma sono anche partecipi del destino dei loro autori, o, per meglio dire, dei loro primi destinatari. Proprio in Ziegler il motivo del destino è da includere nella lectio continua della sua opera letteraria. Basti ricordare la sua salute cagionevole, continuamente compromessa da malattie, lo stato di necessità che lo accompagnò per tutta la vita, il bisogno del sostegno e dell'aiuto della sua compagna, Johanna, che si ammalò di cancro e morì prematuramente: una perdita, questa, ancor più grave per lui, che già soffriva di seri disturbi alla vista. E non va dimenticata la sua precaria condizione economica: spesso non si riflette abbastanza su quanto pesino, anche su autori "di successo", magari di testi di spiritualità, le ristrettezze economiche in cui talvolta versano. Non è poi difficile comprendere come, all'epoca del Terzo Reich, Ziegler, che era amico di Edgard Jung e Reinhold Schneider, non potesse far conto su alcun tipo di sovvenzione statale quale "libero" scrittore.
Va quindi interpretato come segno di un'incrollabile fedeltà alla propria missione l'intento di proseguire attraverso un'altra opera il lavoro culminato in Tradizione. Ne fa cenno la sua biografa, Martha Schneider-Fassbaender, ricordando ancora la situazione esistenziale dell'autore:
I due volumi di Farsi uomo nacquero in anni assai difficili: la malattia e la morte della compagna, la vista compromessa fino quasi alla cecità, gli avvenimenti bellici, la dittatura del terrore. Tutto ciò accadeva mentre Leopold Ziegler era dedito all'elaborazione del testo. Nel medesimo arco di tempo convivevano dunque in lui contraddizioni estreme: necessità, morte, realizzazione creativa. Lo stato di necessità materiale non fu per lui un ostacolo insormontabile: numerosi esempi testimoniano di come la forza creativa sappia rendersi indipendente dal destino. Lo conferma una lettera scritta a un amico, nel 1941: «Da alcune settimane vivo in preda a una febbre creativa. Gli ultimi tre capitoli del nuovo lavoro sgorgano per così dire di getto, e riesco appena a secondare questo impulso che mi allontana sempre più dall'eone presente»13.
L'homo magus è capace di simili "rapimenti" solo perché attinge a una fonte segreta di energia: rendere questa fonte accessibile anche ad altri è lo scopo che Ziegler si era prefisso. Nel corso degli anni Quaranta ciò avvenne tra l'altro attraverso la sua interpretazione del "Padre nostro" in Farsi uomo. Fin dalle prime battute il lettore si accorge che egli si esprime in uno stile del tutto differente da quello dei teologi. A un'ampia introduzione fanno seguito l'invocazione e poi le sette richieste del "Padre nostro", fino a che pregando egli cessa di pensare e di interpretare: la preghiera diventa l'opus magnum déi'homo magus.
Cristiano appartenente alla "Chiesa invisibile", Ziegler rimane fedele al suo tema anche in questo testo così fortemente cristocentrico. È il tema dell'unica, grande tradizione dell'umanità, che Ziegler interpreta tuttavia nel senso di quell'ecumene che abbraccia le religioni dell'intero pianeta e alla quale è stata affidata in diverse favelle la parola della rivelazione. Secondo il presupposto di Ziegler, nulla ci può distogliere non tanto dal commisurare la parola evangelica al piano della tradizione comune o addirittura dall'interpretare quella a partire da questa, quanto dal porre viceversa la tradizione comune sotto il tetto sicuro della parola evangelica e lasciare che ne sia ricoperta. Così, nulla ci è più estraneo del tentativo stolido e insensato di voler comprendere meglio il manifestarsi del Logos di Cristo partendo da Lao-Tzu o dal Buddha, dal maestro oankara o da Ramanuja. E tuttavia non vogliamo nemmeno porre la tradizione dell'Estremo e del Medio Oriente, al pari di quella del Vicino Oriente o di quella ebraica, ellenistica, iranica, sotto la tutela della parola che eternamente continua a esprimersi... Mettendo la parola evangelica in posizione preminente al centro della tradizione comune, poniamo finalmente termine all'insensata usanza dei riformatori che brandivano quella stessa parola, con asprezza crescente, proprio contro la tradizione comune.
In un'epoca che comincia a intravedere che cosa significhi vivere in un mondo multiculturale e multireligioso, e che deve prenderne pienamente coscienza con urgenza, non si può rinunciare all'insegnamento di Leopold Ziegler. È quindi sorprendente che non ci si sia accorti prima che egli è un autentico padre spirituale, un mago illuminato dalla stella di una profonda conoscenza di Dio.
L'uomo eterno
Ogni dottrina e ogni movimento spirituale non sviluppano unicamente una forma di teosofia, ma anche una cosmosofia e una antroposofia. Leopold Ziegler non rinunciava al dialogo con gli scienziati: aveva conseguito una seconda laurea con Ernst Haeckel e teneva molto a conciliare il proprio itinerario di riflessione non solamente con i risultati della ricerca teologica e delle scienze religiose, ma anche con quelli delle scienze naturali. Dal suo Dialogo didascalico dell'uomo universale possiamo ricavare il principio che struttura la sua visione: «Fin dall'organismo unicellulare originario l'animalità porta in grembo l'uomo. E questo il nucleo di verità dell'intera teoria evoluzionistica, che si potrebbe dunque intendere come un'ininterrotta antropofania». Ma come si realizza la tendenza dell'uomo a farsi uomo (Menschwerdung), sia come specie sia come realizzazione di ciascun individuo?
Per Ziegler il mezzo e il fine sono l'"uomo", e precisamente l'uomo universale o eterno che storicamente si chiama ed è Gesù Cristo. Questo è il convincimento di Ziegler che, senza affermarlo espressamente, si pone nella linea della tradizione ortodossa. Il suo Cristo, perciò, non è solo l'eone celeste colto dagli gnostici ma non riconosciuto come il Cristo incarnato in Gesù di Nazareth. È ben di più: è la concreta realizzazione storica dell'uomo universale, eterno. Nell'opera matura del filosofo questa figura è costantemente presente. È utilizzata per esempio per chiarire la sua concezione estetica in L'ultima epifania di Apollo (1937), poi nei due libri di cui abbiamo già parlato e infine, quasi a coronamento dell'intera sua opera, nel Dialogo didascalico dell'uomo universale (1956).
E così nel nebuloso orizzonte della nostra coscienza si staglia per la prima volta l'astro splendente dell'homo universalis, il vero uomo, l'uomo essenziale [che è] in tutti gli uomini, l'uomo per eccellenza o l'uomo in sé e per sé.
È stato Ernst Benz (1907-1978), storico della Chiesa e della cultura, a inquadrare dal punto di vista della storia delle idee la dottrina dell'uomo eterno di Ziegler. Secondo la sua ricostruzione, Ziegler è un anello della catena della tradizione della gnosi cristiana, della mistica cristiana orientale e della qabbalah giudaica, che giunge fino a noi, e che ha la sua «forma pienamente sviluppata dal punto di vista teosofico negli scritti di Jakob Bòhme, F.C. Oetinger ed Emanuel Swedenborg... L'uomo divinizzato, il superuomo, qui non è più una figura mitica dei tempi remoti, ma la meta cui l'umanità odierna decaduta deve guardare per tornare a elevarsi, la meta apparsa nella storia già in Gesù Cristo, "il primogenito".
La scienza storica delle religioni ha dimostrato che l'immagine originaria dell'"uomo" (Adamo, Purusa, Manu...) si ritrova in tutte le tradizioni dell'umanità: quest'uomo eterno quale "archetipo antropologico" è il centro "manifestamente segreto" della tradizione. Perciò nell'interpretazione del "Padre nostro" tale centro è proprio il "farsi uomo" (Menschwerdung), che costituisce l'oggetto specifico della meditazione. E quel che hanno percepito da sempre, dal loro punto di osservazione e in base alla loro esperienza, i più acuti tra i primi lettori di Ziegler. Uno di essi, il protestante Karl Bernhard Ritter, aperto alle suggestioni liturgiche e alla pratica della meditazione, giunse a formulare una valutazione che è tutt'altro che un vago giudizio teologico:
Così incalzante, impetuosa, stimolante, ogni pagina di quest'opera, che è ormai affidata alla nostra responsabilità, sembra dimostrare che la sua fortuna non è ancora incominciata. Essa piuttosto è talmente proiettata nel futuro che i contemporanei non sono ancora in grado di recepirne le idee e di abbandonarsi all'influenza della sua potente invocazione. Si tratta di un grandioso tentativo, il più profondo, più vasto, condotto tirando le somme di un'intera epoca, per aiutare una cristianità smarrita dinanzi al proprio compito e incapace di aprirsi un varco e avere ancora qualche efficacia nel nostro mondo.
Dopo questa radicale critica del teologo Ritter nei confronti della propria corporazione, a completamento del quadro resta da dire soltanto che l'intenzione di Ziegler non era di rivolgersi unicamente agli specialisti delle "scienze dello spirito", ma di coinvolgere in un dialogo filosofia) anche gli scienziati. L'uomo, questo essere incompiuto, lasciato libero tra le creature alla ricerca della sua realizzazione, esiste anche per diventare consapevole del proprio destino e agire di conseguenza. Ed ecco il bilancio di Ziegler:
Così abbiamo visto l'uomo universale svilupparsi dall'animale universale grazie a colui di cui egli era ed è l'"antecedente" nel senso più profondo. Inarrestabile, l'uomo universale si mette all'opera senza posa, come il ciclo di tutti i cicli teo-, cosmo- e antropogonici, e di conseguenza come unica, continua, temporanea, retrospettiva divinizzazione, mondanizzazione, umanazione. Ma comunque vogliamo chiamarlo, il portatore è mediatore dell'indimenticabile (cioè della verità), colui che restituisce o colui che verrà rimanendo sospeso, finisce sempre per identificarsi con il Figlio dell'Uomo della rivelazione... Io sono l'ultimo e sono il primo. Io sono l'immemorabile, l'incontaminato, il contaminato. Sono colui che si è incarnato in ogni forma corporea, colui che è stato crocifisso in ogni carne, colui che si è sottratto a ogni corporeità. Io sono la morte, la resurrezione, sono la trasformazione e la vita. Io sono il cambiamento, il rientro, il rimpatrio. Io sono il ritorno e la restituzione18.
Benché unica e indivisibile, la tradizione integrale assume molti volti. Soprattutto, non è attaccata unicamente al passato. Consapevole di ciò che è stato tramandato all'intera umanità, è spiritualmente presente e aperta al futuro.