Capitolo 5

IL RITO

L'azione che ordina

Quella definita dal mito è una realtà nella quale non può più intervenire nessuno, uomini o dei. Naturalmente questa immutabilità non è un fattore assoluto: essa non esprime una realtà universale, esprime solo ciò che una determinata cultura ha preteso e voluto intendere immutabile per lei. Quanto della realtà sia immutabile è dunque una scelta di ciascuna cultura. Una scelta arbitraria, si potrebbe dire. Una scelta creativa, in effetti, perché gli elementi che si voglio immutabili sono la premessa per poter esplicare l'azione dell'uomo nel resto del reale. A ciò che si vuole immutabile (mito) si contrappone ciò che invece si vuole mutabile e cioè tutto quello spazio dell'esistenza umana, naturale e sociale (situazioni, cose, persone ...) sul quale è possibile agire mediante il rito. Avremo allora riti autonomi, non rivolti a divinità e che consentono un intervento diretto dell'uomo nel reale, e riti cultuali (rivolti a divinità o esseri superiori capaci di agire nel presente) i quali consentono di agire sul reale per il tramite dell'azione degli esseri extraumani.

Un rito è un'azione, o un insieme di azioni, che vanno svolte in un certo, preciso, modo. In astratto possiamo dire che ogni rito è composto da tre momenti o fasi. La fase di allontanamento, nella quale si crea una frattura rispetto alla normalità introducendo una realtà "altra", destorificata (es.: nel rituale iniziatico i bambini vengono "rapiti" da adulti camuffati da mostri i portati nella foresta); la fase di margine, nella quale si realizzano condizioni diverse da quelle reali (nella foresta ai bambini vengono inflitte torture e mutilazioni e vengono rivelati i miti della comunità); la fase di riaggregazione, di ritorno alle condizioni normali (i bambini, ora adulti, tornano al villaggio pronti ad iniziare le attività proprie del nuovo status). Il rito, nelle tre fasi, media un "passaggio" da una condizione ad un'altra superando una crisi o comunque qualificando una nuova realtà (analogamente il mito racconta sempre il passaggio da una condizione iniziale caotica e negativa, tramite determinate azioni, ad una nuova condizione ordinata e positiva).

Il rito non è un doppione della natura nel senso che esso esprimerebbe soltanto la presa d'atto da parte umana di cambiamenti naturali (es.:l'iniziazione del passaggio dal bambino all'adulto, il matrimonio del passaggio da celibe a sposato), quasi che, comunque, i cambiamenti si realizzerebbero da soli. Al contrario il rito è il procedimento mediante il quale si sottraggono momenti e fenomeni di importanza esistenziale al dominio della natura e della contingenza per inserirli nell'esistenza del gruppo. E' dunque un atto creativo che costruisce la realtà e non una finzione.

E' vero che noi attribuiamo al rito di inaugurare una strada mediante il taglio del nastro un valore puramente retorico, ritenendo che la strada svolgerebbe comunque la sua funzione anche senza taglio del nastro, ma ciò accade solo perché non si tratta di un vero rito ma solo di un gesto retorico. Riti come l'iniziazione e il matrimonio costruiscono, nelle culture che li praticano, un nuovo stato sociale (e non biologico-naturale) per l'individuo che li subisce. Essi non accompagnano o sanciscono i mutamenti di condizione: li producono. Un individuo che non abbia passato i previsti riti iniziatici per giungere all'età adulta rimane permanentemente nella condizione di bambino e come tale è trattato. Del resto anche noi conosciamo riti che producono cambiamenti reali e non simbolici: si pensi agli effetti di una sentenza di condanna in un rito giuridico.

La funzione dei riti è di sottrarre gli eventi di importanza vitale al dominio del puramente naturale, del casuale, dell'incontrollato, per inserirlo in un ordinamento culturale, umano, retto da regole comunitarie. Facciamo il caso di un rito di purificazione che ha il compito di proteggere dall'impurità. L'impurità (in qualunque modo sia rappresentata, dal timore hindù di toccare un fuoricasta alla paura tutta occidentale dei microbi), con la sua possibilità pericolosa di contagio, apre una breccia nell'ordine delle cose, minacciando la realtà con il caos disgregatore. Di qui la necessità di eliminare un contagio che, per essere controllabile, deve essere espresso in termini significativi (es.: sporco, impurità collettiva) in modo da stabilire un rimedio (es.: lavaggio, espulsione del capro espiatorio). E' un'operazione creativa mediante la quale il gruppo si assicura il controllo di quanto potrebbe altrimenti turbare l'equilibrio.

Simile il discorso per i riti che sempre accompagnano la nascita. Un neonato è qualcosa di nuovo che viene ad inserirsi, turbandolo, in un ordine pre-esistente. Prima non c'era ed ora è qui con la sua presenza invadente. Una novità radicale che incide, di punto in bianco, sulla vita di tutti mutando profondamente l'equilibrio e l'ordine consolidato dei rapporti familiari e sociali. Questa novità deve essere mediata, ridotta ad ordine: ad essa occorre dare significato trasformando un evento naturale disordinato in un fatto culturale accettato e positivo. Questi riti significano l'ingresso, dal nulla, della vita. Discorso analogo potrebbe essere fatto sui riti funebri nei quali occorre mediare e ridurre a valore l'orrore del vuoto che, immediatamente, accompagna l'evento naturale della morte.

Un rito destorifica la crisi, la sottrae al suo svolgimento naturale sul quale l'uomo non ha presa, e la risolve su un piano "protetto", nel quale non avvengono mutamenti che non siano quelli prodotti dal rito stesso. Il rito è sacro proprio in quanto è opposto all'agire profano e con la sua azione destorificata, sottratta alla storia, si oppone alla mutevolezza e diversità delle azioni quotidiane: come la quotidianità è casuale e mutevole così il rito è preciso e sempre uguale a se stesso, senza tempo. Il mito ha per oggetto la realtà immutabile e si esprime in varianti mitiche ognuna diversa dalle altre; il rito ha per oggetto la realtà contingente e mutabile ed è pertanto visto come immutabile: la sua immutabilità, il suo rimanere sempre uguale nelle innumerevoli ripetizioni, è la condizione per poter controllare il divenire storico. La sacralità del rito, come quella del mito, non deriva da un particolare carattere mistico o religioso: per sacralità intendiamo semplicemente una realtà che, poiché ritenuta importante, non muta. E' la sacralità che può avere l'aula di un tribunale dove la legge è uguale per tutti.

Operatori rituali

In molte culture, soprattutto quelle primitive, gran parte dei riti possono essere compiuti da chiunque. Altri necessitano di una qualche specializzazione e possono essere eseguiti solo da persone particolari (capofamiglia, anziani ...). In altre culture, e in genere in quelle cosiddette superiori, la tendenza è al formarsi di personale specializzato la cui funzione è quella di compiere i riti. In questo caso normalmente la specializzazione avverrà sia nel senso che solo alcuni e non tutti, in genere dopo una qualche iniziazione, potranno compiere i riti, sia nel senso che alcuni operatori rituali saranno specializzati in alcuni riti ed altri in altri. Così, ad esempio, vi saranno sacerdoti dedicati al culto di varie divinità, oppure vi saranno "guaritori", cercatori d'acqua, addetti alle inaugurazioni, e così via. Parleremo di operatori rituali riferendoci in senso stretto a questo personale specializzato (sacerdoti, sciamani, guaritori ...) ma ricordando che, più in generale, il titolo spetta a chiunque mediante un rito opera una trasformazione nel reale.

Gli operatori rituali sono per certi versi i sostituti nell'attualità dei soggetti mitici: come questi erano capaci di operare trasformazioni nel tempo mitico, gli operatori rituali sono capaci di operare trasformazioni nel presente. Essi hanno dunque, nel momento in cui officiano il rito, una capacità "mitica". Abbiamo dunque una contrapposizione logica tra il dire mitico, su azioni di tanto tempo fa, e il fare rituale, nel tempo presente.

Questa somiglianza funzionale tra esseri mitici e operatori rituali, connessa con l'altra per la quale tanto il mito quanto il rito avvengono in un tempo "destorificato", spiega il motivo per il quale gli operatori rituali sono sovente caratterizzati esteriormente in modo diverso rispetto alla normalità degli uomini. Un operatore rituale non è un uomo normale, partecipa in qualche modo del potere di trasformazione degli esseri mitici, e simbolizzerà questa sua diversità mediante forme di abbigliamento o di comportamento diverse da quelle del resto della popolazione. Ad esempio un operatore rituale non potrà mangiare certi cibi, o esibirà una differenza di comportamenti sessuali, o vestirà in modo abnorme.

Anche presso le popolazioni nelle quali non esistono operatori rituali specializzati, popolazioni nelle quali i riti vengono compiuti da uomini che normalmente si comportano come tutti gli altri, quando il rito viene celebrato gli officianti assumono abbigliamenti particolari e si comportano in modo "diverso" dal normale. Ad esempio prima di celebrare un rito, che già di per sé rappresenta una frattura nella normalità perché realizza un tempo destorificato, gli officianti dovranno astenersi dai rapporti sessuali, mantenere un comportamento calmo e posato, e così via.

Le iniziazioni

Con il termine iniziazioni si intendono, in generale, quell'insieme di riti che segnano il passaggio di un individuo dallo stadio di fanciullo a quello di adulto. In linea di principio le iniziazioni vanno distinte dai riti di pubertà i quali, pur avvenendo all'incirca alla stessa età ed avendo sovente carattere simile, sono eseguiti privatamente, all'interno della famiglia. Le iniziazioni hanno invece sempre un carattere pubblico e sono svolte non solo nell'interesse dei singoli ma dell'intera comunità. Esse rappresentano non solo un passaggio di condizione per i giovani ma anche un rinnovamento per la società. Proprio per questo carattere simbolico sociale non è necessario tutti i giovani siano iniziati. Possono esserlo solo i maschi e non le femmine, oppure solo gruppi scelti in rappresentanza di tutti.

Le iniziazioni sono sempre segrete: non è consentito ai non iniziati di assistervi. Durante le cerimonie, che hanno frequentemente carattere violento, ai giovani vengono insegnati i riti e i miti del popolo cui appartengono: viene cioè insegnata loro la distinzione, che quella cultura stabilisce, tra ciò che è definitivo (mito) e ciò che è invece mutabile (rito) e, mediante ciò i valori fondamentali della loro civiltà. Il compito delle iniziazioni è di culturalizzare i giovani, di sottrarli alla loro condizione naturale per farli diventare membri della loro cultura, fermo restando che ogni cultura qualificherà a suo modo ciò che intende per natura e ciò che intende per cultura. Le iniziazioni costruiscono il cosmo sociale agendo sul materiale umano. Questo avviene destorificando ritualmente i giovani per la durata dell'iniziazione, inserendoli in un tempo diverso dal quotidiano, "mitico", un tempo nel quale è possibile agire per plasmare il mondo e conferendo loro una diversa qualità, quella di uomini adulti, rispetto a ciò che erano prima. Non di rado nel periodo di margine i giovani sono sottoposti a disciplina e restrizioni inusuali e severissime oppure hanno la possibilità (e in qualche caso il dovere) di agire in modo totalmente libero dalle normali restrizioni sociali. In entrambi i casi si evidenzia una diversità rispetto alla normalità quotidiana.

Oltre le iniziazioni generali possono poi esistere iniziazioni particolari, necessarie per entrare in alcune particolari categorie sociali, come i guaritori, gli indovini e così via. Non tutti possono ricevere queste iniziazioni e i meccanismi di selezione sono i più vari. Queste iniziazioni rendono capaci gli iniziati di agire ritualmente ad un livello superiore a quello degli altri uomini: esse superano ad un secondo grado la natura culturalizzando chi le subisce ad un livello superiore rispetto agli altri uomini. La normale condizione umana, quella ottenuta con la prima iniziazione che ha culturalizzato l'individuo naturale, si configura come il grado da cui occorre separarsi per giungere ad un nuovo livello. Di qui la possibilità di invertire i simboli e di usare in positivo ciò che, nelle iniziazioni era usato per definire il negativo. Per esempio le iniziazioni normali provvedono a sottolineare l'individualità sessuale dell'individuo mentre l'iniziazione a guaritore può comportare manifestazioni di bisessualità o di inversione sessuale, cioè di sessualità indistinta, non-umana.

Sacrifici e preghiere

Praticamente tutti i riti possono essere cultuali, finalizzati al culto di un essere sovrumano, e normalmente questa è la regola nelle culture cosiddette superiori. In questo caso da un parte i riti asseriscono l'esistenza dell'essere sovrumano e i suoi caratteri specifici e dall'altra stabiliscono un rapporto di controllo. Sovente ci imbattiamo in espressioni secondo le quali sono gli esseri sovraumani ad esigere il culto da parte degli uomini in cambio di favori e vantaggi. Ciò trova una espressione rovesciata nelle preghiere-minaccia rivolte agli esseri sovraumani se non realizzeranno i desideri degli uomini, in pratiche dissacratorie (rovesciamento di altari), nella soppressione di culti. Questi comportamenti indicano una coscienza, sia pure molto oscura, del fatto che gli esseri sovrumani possono esistere solo nella misura in cui sono "coltivati", nella misura in cui ricevono un culto.

Tra i riti più diffusi per rendere culto ad una divinità o ad un essere sovrumano vi è il sacrificio. Questo può assumere la forma di offerta primiziale, dono, o comunione. Nel primo caso il sacrificio precede il consumo umano ed equivale alla consacrazione di una parte del prodotto per riservare agli uomini il resto. Alla base dell'offerta primiziale vi è una visione del mondo secondo la quale questo non è dell'uomo, gli è estraneo, è di altri. L'intervento umano per appropriarsi di beni (soprattutto nel caso della caccia e dell'agricoltura) si configura come un illecito e pertanto come pericoloso. L'uomo è colpevole di sottrarre alla natura qualcosa che non gli appartiene e controlla la colpa e l'ansia che derivano dal suo appropriarsi scaricando su altri la responsabilità del gesto ("altri" e non il cacciatore hanno ucciso la preda; un animale e non l'agricoltore ha colpa del raccolto) oppure limitando la portata della violazione ad una sola parte, quella meno importante (agli uomini vanno le carni dell'animale ma le ossa, da cui risorgerà la vittima, vanno lasciate al Signore degli animali).

L'offerta primiziale stabilisce che gli uomini non pensano solo a sé ma sono pronti a dare agli dei una parte del loro lavoro: la prima parte, in genere, poiché simbolizza il primo momento dell'azione, quella che rompe la situazione pre-esistente. L'offerta destorifica una parte del bene impedendo il consumo umano ed elevandolo al livello divino: a questa consacrazione di una parte corrisponde la desacralizzazione dell'altra. Il dono è sovente l'interpretazione soggettiva dell'offerta. Esso comporta una consacrazione dell'offerta sia per un ringraziamento sia per chiedere un aiuto. La comunione è l'opposto dell'offerta primiziale: in questo sacrificio il gruppo o il singolo lasciano il livello umano per elevarsi a quello della divinità: mediante il consumo di un pasto consacrato l'uomo stesso si consacra. La comunione rafforza i legami di gruppo favorendo sentimenti di intimità e solidarietà.

Diffusa, come mezzo per rapportarsi ad un essere superiore, è anche la preghiera. Questa non necessariamente è un'invocazione di soccorso in caso di bisogno. Può essere un'invocazione ma può anche essere un elogio, un ringraziamento o semplicemente l'espressione della certezza (e della volontà) che l'essere cui è rivolta esiste. Frequentemente il ringraziamento è usato nei sistemi culturali monoteistici. Le parole delle preghiere hanno la funzione di forgiare la personalità dell'essere sovrumano cui si rivolgono (è buono, potente ...). Come invocazione la preghiera appare sovente in momenti di crisi, che possono essere occasionali, individuali, periodiche (crisi prevedibili) abituali (crisi permanenti).

I riti cultuali sono di norma, come si è detto, rivolti ad esseri attivi nel presente. In qualche caso, però, esistono anche riti rivolti a personaggi mitici (o mitizzati), come nella Grecia antica con i suoi riti rivolti agli Eroi. Questo però non ci impone di cercare nuove categorie tipologiche (magari quella dei riti rivolti a personaggi mitici) bensì di dare risposte storiche: nel caso greco ci impone di domandarci come mai quella cultura abbia dato origine a una simile pratica. La risposta potrebbe essere che il rito rivolto agli eroi ha la funzione proprio di impedire uno stretto contatto con gli eroi, di impedire che questi, la cui azione va bene solo nel tempo mitico, possano tornare ad agire nel presente. Sarebbe cioè il modo per lasciarli oziosi. In questo modo anziché cercare di ampliare le nostre categorie per cercare di farvi entrare i fatti greci abbiamo dissolto le nostre categorie relativizzandole alla Grecia.

Se è vero che da una parte praticamente tutti i riti possono rivestire un ruolo cultuale ed essere riferiti ad una divinità, nondimeno non esiste nessuna necessità, sul piano logico, per la quale un rito debba essere cultuale e non autonomo. In linea di principio, su un piano astratto, un rito non ha alcun bisogno di essere inserito in un sistema cultuale e può svolgere le sue funzioni di controllo del reale come rito autonomo. Lo stesso rito, pertanto, può presso un popolo essere usato per rendere culto ad una divinità, presso un altro essere autonomo. Ogni cultura stabilirà i propri usi a riguardo.

Le feste

Una particolare attenzione va rivolta alle feste. Per certi versi una festa è un rito ma per altri versi è il quadro di riferimento cronologico per compiere vari riti. Una festa rappresenta una frattura rispetto alla successione dei giorni normali, lavorativi. Per esprimere questa diversità si ricorrerà a comportamenti differenziati rispetto ai comportamenti normali. La festa costituisce la realizzazione di un tempo destorificato, sottratto al divenire del tempo usuale: i giorni sono tutti diversi e fluiscono di continuo mentre la festa è sempre uguale a se stessa. Sotto questo aspetto il tempo festivo è simile al tempo mitico che è diverso dal tempo usuale, di tutti i giorni: con le feste, che del resto si richiamano sovente a eventi mitici, si esce dal tempo contingente e si ritrova il tempo forte che fonda il senso dell'esistenza.

Le feste periodiche sono sovente connesse con la periodicità stagionale, quali l'anno solare, le lunazioni, i cicli vegetativi). Tuttavia anche qui non abbiamo la copia di una realtà già data ma un atto creativo: le feste danno significato a questi cicli, li costruiscono per l'uomo donando loro valore. Del resto non un qualunque momento ciclico diventa una festa ma solo quelli dei quali si vuole sottolineare l'importanza o che rappresentano una crisi simbolica ricorrente. Così si spiega la creazione di cicli artificiali, non naturali, come la settimana. In ogni caso si sottraggono alla contingenza e alla casualità del divenire momenti particolari destorificandoli e attribuendo loro valori umani. La varietà delle situazioni concrete porterà poi alla varietà delle feste le quali esprimeranno la varietà delle situazioni di importanza esistenziale che occorre preservare dall'incontrollabile. In questo modo le feste sono uno strumento per dare significato a tutto il tempo, per cosmicizzare l'anno. Esse sono pertanto la base del calendario: stabilendo le feste il calendario libera il tempo profano per le attività pratiche. Ogni cultura ha le sue feste, anche quelle che non hanno alcuna necessità di conoscere l'esatta durata dell'anno. Si può anzi dire che la necessità di conoscere con certezza una data, e dunque la necessità di comprendere in termini matematici il calendario, nasca dalla necessità di sapere "quando" occorre celebrare una festa.

Anche la festa può essere un rito autonomo o dedicato ad un essere sovraumano.

Guaritori e fattucchieri

Tra le figure più diffuse di operatore rituale vi è il guaritore, il medicine man, la persona cioè che, presso un gruppo, ha la funzione di guarire gli ammalati. Naturalmente la capacità di guarire non va intesa nel nostro senso medico-scientifico: il guaritore non è un medico e la sua azione si svolge prevalentemente a livello simbolico. Egli viene chiamato ad operare in una situazione di crisi e il suo compito è mediare il passaggio ad una situazione di normalità recuperando una situazione di "vivere umano" che la crisi rischiava di travolgere.

Per "medicina" rituale va intesa la capacità di agire in una circostanza dolorosa o spiacevole per trasformarla in piacevole o, almeno, per renderne comprensibili ed accettabili le conseguenze. Si agisce su uno stato di sofferenza per cancellarla ristabilendo la situazione di normalità compromessa dal dolore oppure si agisce sul dolore umanizzandolo e togliendogli il carattere di assurda irruzione del caos nell'ordine normale: il canto del guaritore, che narra la ricerca dell'anima della partoriente rapita dallo spirito malvagio, cattura l'attenzione della donna, le rende comprensibili e pertanto accettabili i dolori del parto, riporta alla normalità una situazione di crisi. Gli operatori rituali operano normalmente estraendo dal corpo dell'ammalato un oggetto estraneo oppure ricercando una delle sue anime disperse che, catturata e ricondotta al suo corpo, consente al malato di ritrovare la salute.

Questa capacità di trasformare l'inconcepibile doloroso in un concepibile piacevole o almeno sopportabile, è la stessa facoltà che, a livello mitico, avevano gli essere mitici di trasformare il mondo rendendolo "umano", vivibile dagli uomini. Con la differenza che con il mito si fonda l'irrimediabile, mentre con il rito si opera su situazioni rimediabili. Uno dei temi mitici più diffusi è quello dell'origine della morte (ovvero dell'irrimediabile per eccellenza) ma tutte le culture hanno anche riti per rimediare alla morte, differendola per quanto possibile e proteggendo dai mali. Il rito di cura ha un'efficacia relativa: non "cura" la mortalità intesa come caratteristica permanente del genere umano ma solo quella mortalità che è presente come prospettiva in ogni malattia. Combattere la malattia mediante un rito, ovvero curare la malattia, significa combattere la morte.

Nel caso della morte, il fatto che gli esseri umani siano mortali è un ineluttabile dovuto ad azioni mitiche. La morte di un singolo, determinato uomo, però, può rivestire un carattere di particolarità e quindi dover essere interpretata ogni volta. Che gli uomini muoiano è naturale, ma che a quell'uomo, e non ad altri, sia capitato, tra gli infiniti momenti e modi, di morire proprio in quel momento e in quel modo particolare, questo non ha niente a che vedere con quanto narrato dal mito. Abbiamo in questo caso una concezione della morte priva di giustificazioni naturali. Se quell'uomo è morto ciò è dovuto ad una causa particolare, quale ad esempio una stregoneria realizzata da un avversario, un uccisore occulto, proprio allo scopo di uccidere. La morte è sempre un assassinio, così come la malattia può sempre avere una causa in un maleficio operato da altri. In questo modo, quando la cura non ha effetto e l'ammalato muore, gli operatori rituali non potendo far rivivere il morto, possono però vendicarne la morte e punire l'uccisore. L'autore del maleficio è un soggetto attuale che, in questa concezione della morte, svolge la stessa funzione svolta a livello mitico dall'essere che ha introdotto la mortalità umana.

All'uccisore mitico corrisponde l'uccisore rituale. Gli uccisori rituali acquistano per certi versi caratteri mitici: essi sono nascosti, agiscono di notte, vivono fuori dalla società, ai margini del gruppo. Sia che assumano una configurazione del tutto mitica (come le streghe che rapiscono l'anima di notte) sia che mantengano un aggancio con la realtà (un vicino invidioso), gli operatori di malefici sono sempre fuori dalla realtà quotidiana (le streghe vivono nel deserto; il vicino cessa di essere un amico affidabile, si rivolge ad uno stregone ed agisce di notte invece di dormire, è travolto da sentimenti "non normali"). Tuttavia questi assassini devono poter essere attuali, deve essere sempre possibile scoprirli. Non possono cioè trasformarsi totalmente in personaggi mitici - oggetto di racconto - ma si deve poter agire contro di essi, in modo da poter avere sempre una possibilità di azione contro la morte. Combattendo contro la malattia e la morte, scoprendo e donando un nome agli ignoti autori dei malefici, il guaritore dona significato ad una crisi che se irrisolta trascinerebbe nel caos l'esistenza normale sconvolgendola dalle fondamenta. Grazie alla sua azione tutto acquista un significato ed anche la morte diviene controllabile culturalmente: scoprire il colpevole equivale a dare un senso al'insensato e a proteggersi da un rischio terrificante. L'azione contro la morte, la malattia, la mortalità, si configura dunque come protezione dalle influenze stregonesche, dai malefici, da tutto ciò che può essere qualificato come negativo.

Analogamente, anche quelli che possiamo definire "riti di prosperità", sono in definitiva riti contro la morte, contro il negativo.

La donna malevola

Uno dei simbolismi più diffusi, tra le varie culture del mondo, è quello che qualifica il negativo al femminile, mediante le donne. Dalle streghe alle fattucchiere, fino alla donna fatale, gli autori dei malefici sono qualificati come donne. Naturalmente non si tratta di un simbolo universale e di volta in volta occorreranno ricerche specifiche sulle varie culture per comprendere come e perché queste culture abbiano scelto la donna per simbolizzare il negativo. La ricorrenza di questa concezione ci autorizza però ad avanzare delle ipotesi di ricerca.

Un elemento da cui non si può prescindere per qualificare le donne è che esse, e solo esse, hanno la straordinaria capacità di far sorgere dal nulla nuove vite. Esse sono donatrici di vita e mediano il passaggio dei neonati dall'universo extraumano al mondo degli uomini.

Donatrici di vita, solo le donne hanno quella straordinaria capacità di far sorgere dal nulla nuovi esseri. Ma se la nascita è una vita che viene ad aggiungersi, la morte è una vita che si sottrae, che svanisce. Facile allora legare entrambi i termini allo stesso simbolo e pensare che come la nascita avviene tramite le donne anche la morte sia legata all'universo femminile. Proprietarie della vita, solo loro possono donarla, le donne divengono anche proprietarie della morte: solo loro possono togliere quella vita che hanno donato. La femminilità diviene in questo modo l'espressione della naturalità dell'essere umano, quella naturalità collegata al fatto naturale di nascere e morire. La donna è partecipe della stessa capacità generativa del mondo naturale: è capace di donare la vita naturale e di generare gli individui come sono prima di ogni qualificazione sociale e culturale. La vita che le donne possono donare è tuttavia una vita che deve essere perfezionata. Gli uomini nati naturalmente da una donna hanno poi bisogno di rinascere culturalmente, di integrarsi mediante appositi rituali in una società, di partecipare cioè ad un cosmo umano che è umano proprio nella misura in cui si differenzia dalla natura. La donna è troppo "naturale" per essere pienamente integrata culturalmente e per far sorgere la cultura occorrerà un'azione diversificante in grado di differenziare quegli individui che naturalmente nascono uguali, senza identità. Con una natura simbolizzata dal femminile, questa azione differenziante e qualificante si configurerà come maschile.

Simbolizzata al femminile la natura, la capacità di differenziare gli individui e farli rinascere culturalmente sarà simbolizzata al maschile. La donna fa nascere naturalmente e pertanto può far morire naturalmente; possiede le doti naturali di far nascere e morire. Contro questa naturalità si pone la cultura maschile, ad esempio operando una seconda rinascita, paterna anziché materna: nonostante nasca da una donna il bambino è figlio del padre. Tutte le azioni culturali contro una naturalità femminile avvengono sotto il segno "maschile": maschile è l'inserimento del bambino nella comunità e il controllo culturale della morte, femminile è il dato naturale della nascita e quello della morte stessa. Qualificata al maschile la normalità culturale, facilmente le donne possono assumere il ruolo di alterità rispetto a questa "mascolinità del normale".

Abbiamo qui una, tra le tante possibili, espressioni della dialettica natura/cultura che è alla base di ogni interpretazione culturale.

La divinazione creativa

Abbiamo visto come in caso di morte occorra accertare le cause, scoprire il colpevole e consentire di esercitare una giusta azione di ritorsione, mediante l'azione esplicita della forza o mediante una fattura vendicatrice rivolta contro l'assassino rituale. Presso molti popoli la morte è sempre causata da un autore malefico e per scoprirne l'identità si ricorre ad un atto divinatorio. La cura, come scoperta del colpevole, procede dalla identificazione, tramite la divinazione, della causa del male, del negativo. La divinazione è la premessa per poter curare. Essa ha la duplice funzione di disegnare il cosmo e di ristabilire la normalità, l'ordine, individuando il colpevole e consentendo così mediante l'azione curatrice, il superamento della crisi. Questo significa che è impossibile distinguere tra il ruolo di indovino e quello di guaritore.

L'indovino-guaritore lotta contro il soggetto malefico che è causa del male. In termini più ampi, intendendo la morte come espressione generale del male, in qualunque senso si possa intenderlo, l'indovino lotta contro il male in tutte le sue espressioni. Se il male deriva da una intenzione malefica, compito dell'indovino è stabilire chi ha l'intenzione malefica consentendo, tramite appositi riti, o di eliminarla o di volgerla al bene. La sua azione divinatoria è premessa fondamentale per la cura e in questo senso che svolga lui stesso, direttamente, i riti di cura oppure consigli chi e come debba svolgerli, è cosa secondaria: il primo atto della cura è la divinazione.

La capacità di svolgere azioni divinatorie e mediche caratterizza l'operatore rituale come un soggetto attuale il cui opposto è il soggetto mitico. La funzione curativa nell'attualità si contrappone alla funzione mitica fondatrice dell'ineluttabile. Il soggetto mitico ha introdotto la morte, l'operatore rituale lotta contro la morte e dunque lotta per la sopravvivenza. Naturalmente l'operatore rituale può anche, a volte, possedere capacità stregonesche, può può essere lui stesso lo "stregone malevolo" cui ci si rivolge per fare del male ad altri. In realtà però questa funzione "malevola" è sovente solo il rovescio di quella benevola. Chi si rivolge ad uno stregone divinatore lo fa perché vive comunque una situazione di disagio, a suo modo "malevola" e così quando - ottenuta per divinazione l'identità del colpevole di questo disagio - inizia un'azione negativa stregonesca contro altri, questa, dal punto di vista del soggetto che la intraprende, è "curativa" perché destinata a cancellare una sofferenza. E' chiaro però che dal punto di vista di terzi questa azione potrebbe benissimo connotarsi come stregoneria.

La funzione dell'indovino è quella di agire ritualmente nel campo dell'indovinabile. In questo senso il campo d'azione del soggetto attuale, l'operatore della divinazione, può prendere il posto del campo d'azione del soggetto mitico. La funzione divinatoria, cioè, si sostituisce al mito acquisendo valenze cosmogoniche, appropriandosi della capacità mitica di creare il mondo.

La divinazione non è, come potrebbe apparire, uno strumento che serve per riconoscere una realtà ignota ma già definita ma un'azione ordinatrice in grado di definire una situazione fluida. Se vi fosse un universo ordinato già pronto, realizzato una volta per sempre, lo si potrebbe conoscere una volta per tutte invece di dover "indovinare" volta per volta. Vi è invece una situazione di crisi, potenzialmente disordinata, una frattura nel normale ordine delle cose, che rende fluida la realtà e che la divinazione deve identificare e definire. Ci si rivolge alla divinazione quando le usuali norme di comportamento sono messe in crisi e non sono pertanto sufficienti ad indicare i giusti comportamenti, quando la crisi assume aspetti tali da sconvolgere i fondamenti del vivere personale o comunitario: di fronte a questa situazione occorre reagire con decisioni personali e comportamenti che possano mettere rimedio alla carenza dei normali valori. La divinazione ha proprio la funzione di suggerire i nuovi comportamenti e i nuovi valori. Quando ciò che è noto, le tradizionali certezze, sono messe in crisi da una situazione eccezionale, quando è in atto una crisi normativa, si ricorre alla divinazione la quale definisce una nuova norma (e dunque una nuova realtà, un nuovo universo) tale da ripristinare una situazione di ordine e di vivibilità.

La divinazione è collegata alla capacità di riuscita: indovinare significa avere successo, buona fortuna, ma anche uscire dalle norme di comportamento usuali per evadere nell'azzardo (fortuna, sorte) o nella meditazione. Presso alcuni indiani nord americani il giocatore d'azzardo che indovina il giusto gioco, che è fortunato e vince, acquista carisma agli occhi dei compagni. Ha dimostrato, vincendo, di essere capace di guidare il gruppo nei casi in cui, saltata la normalità, occorre ricostruire un nuovo ordine o comunque in tutti i casi in cui è necessario un leader che intervenga a definire il comportamento appropriato (esempio nelle situazioni particolari di guerra contrapposte alla normalità della pace). Proprio vincendo al gioco ha dimostrato di possedere le qualità dell'indovino, le qualità della guida che sa indovinare "il giusto" comportamento.

Per certi aspetti è simile il caso del sapiente indiano che, mediante il gesto divinatorio di lanciare un sasso su un mandala, cade in meditazione su quel particolare aspetto del mandala evidenziato, "indovinato", dal sasso. Indovinando la giusta casella il sapiente costruisce il suo universo inquadrando la sua esistenza nel nuovo ordine creato dalla sua meditazione.

La salvezza assoluta

Il rito ha dunque la funzione di organizzare il cosmo difendendo l'uomo dal male e dalla morte. Esso dona una protezione relativa, momentanea, poiché prima o poi la morte, l'ineluttabile fondato miticamente, comunque colpirà il singolo. Sono possibili però anche difese assolute, in grado di sconfiggere l'ineluttabilità della morte. Ad esempio ricorrendo ad un mito escatologico che fondi una realtà a venire nella quale non vi sarà la morte. Simili miti si diffondono soprattutto in quei casi in cui sconvolgimenti radicali distruggono del tutto le usuali forme culturali. Una seconda possibilità è costituita da operatori rituali capaci di resuscitare i morti. Un'altra ancora è data da riti capaci di conferire ai morti un'esistenza oltretombale, in grado cioè di sconfiggere la morte naturale. Esempi sono le società anti-morte diffuse in Africa e Nord America, o i Misteri Eleusini in Grecia.