La Fine del Mondo, Einaudi, Torino, 1977.

(Parte I della schedatura)

ETHOS DEL TRASCENDIMENTO

(15) La tensione, la capacità di azione storica che oltrepassa l'organico, la crisi potenziale che permanentemente portiamo con noi è l'ethos del trascendimento: "... il compito primordiale e inderivabile è appunto far passare dall'ordine della vitalità a quello dell'umanità, cioè della valorizzazione intersoggettiva della vita". "L'ethos del trascendimento nella valorizzazione intersoggettiva, cioè l'ethos culturale che sempre di nuovo si distacca dalla natura e che per questo distaccarsi forma la società e la storia umana inesauribile in movimento nella concretezza della biografia individuale".

(17-18) "L'ethos è sempre oltre, nel senso che deve essere sempre oltre. Non si esaurisce mai in un singolo individuo (che muore mentre la sua opera tende ad andare oltre di lui) in nessuna società, civiltà, epoca, in nessuna particolare forma di coerenza culturale. Tutte le ideologie operative si articolano dentro questo ethos e la misura della loro efficacia è in rapporto alla loro non assolutizzazione metafisica. Ciò che tuttavia progredisce è il consapersi, il possedersi sempre più chiaro di questo ethos: ed in questo progresso è il senso della vita umana". La non assolutizzazione metafisica equivale a non dogmatizzazione e a non alienazione di elementi culturali: l'alienazione blocca il senso, la dogmatizzazione impedisce di mantenere le aperture. Vi è quindi una direzione del progresso storico: il progresso nella consapevolezza.

(183) "L'uomo è distacco, dalla immediatezza del vivere, questo distaccarsi è trascendimento valorizzante e questo trascendere non è a sua volta trascendibile verso la mera naturalità del vivere (l'astratta natura senza l'umano) o verso lo Spirito ormai tutto realizzato (l'astratto essere ormai sottratto al compito di andare oltre). Ciò significa che la condizione umana è sempre nell'oltrepassare la vita nel valore, e che una di queste valorizzazioni - la prima, inaugurale valorizzazione - è quella della progettazione comunitaria dell'utilizzabile, per entro la quale si costruiscono un interno rispetto ad un esterno, il proprio corpo rispetto agli altri corpi, la serie delle resistenze e delle abilità, la esistenza singola nel quadro di un mondo, comunitario, un ordine istituzionale nella produzione di beni materiali (l'ordine economico), e nella codificazione del rapporto comunitario (l'ordine sociale), e infine di una scienza dell'utilizzazione fondata sul principio pratico della osservazione e dell'esperimento e sul come-se della legalità assoluta della natura"

(223-4) L'Et. Rit. viene preso come concezione esemplare del tempo che annulla l'azione morale dell'uomo. Contro questa concezione l'uomo ha dovuto lottare per affermare la sua azione positiva e libera. Dal punto di vista umano l'et. rit. è l'assenza di significato, la natura cieca. Il tempo lineare si può aprire in modo simbolico accettando l'et. rit. sul piano mitico e ridischiudendo mediatamente l'agire storico. O, ancora, come dominio scientifico delle leggi naturali.

(240) Al tempo ciclico e a quello lineare occorre aggiungere il tempo etico che è scelta consapevole di fronte a problemi, in vista dell'unificazione dell'umanità: e' una scelta mai garantita.

(264) La morte individuale "Il pensiero che l'individuo singolo finirà inevitabilmente col morire rischia di diventare un sintomo morboso nella misura in cui si isola nella coscienza e la invade paralizzandola; chi si chiude in questo pensiero in ciò stesso comincia a morire, e di una morte che è la peggiore di di tutte in quanto si annunzia come vuoto del pensare, come vano fantasticare e come crescente terrore del nulla morale che avanza. Poichè proprio questa è la medicina della morte, il rinnovantesi impegno ad operare secondo valori intersoggettivi, comunicare con gli altri attraverso questi valori, e il trascendere in tale guisa senza sosta la mera individualità biologica, rialzandola ad ogni istante verso la peranenza della vita "che vale". La morte dell'individuo è il momento strettamente privato dell'individuo stesso, il più clamoroso segno della egoità: è l'incomunicabile per eccellenza, tanto che la stessa parola "morte" è l'unico suono necessario che tuttavia non ha messaggio da trasmettere, l'unico dire che raccoglie tutta la possibile insignificanza del dicibile umano. Ma l'individuo, che è uomo, si fonda e si mantiene come tale per questo emergere valorizzante della presenza, per questo dischiudersi del privato al pubblico, per questo mondo di altri in cui si ascolta e si risponde, in un discorso che conosce tregua appena nel sonno riparatore senza sogni (poichè‚ anche nel notturno sognare il discorso continua, sebbene in una forma cifrata per la coscienza desta). In questa prospettiva e in questa dinamica la morte come condizione terminale dell'individuo biologico si tramuta in quel morire che è nascere alla intersoggettività dei valori: cioè il morire dell'individuo biologico, che in un certo senso comuncia con la nascita, si riplasma in un 'far morire nel valore operando nella concretezza di una società storica'".

(279) Storicismo non è dire che l'uomo è nel tempo, riducendo la storia alla temporalità, al divenire. Storicismo è la concezione dell'uomo come produttore di valori culturali, in atto di trascendere l'immediatezza temporale per elevarsi "alle permanenze idealmente immortali dell'opera umana" qualificata dai valori. "Quando si dice al compagno di viaggio terreno 'la buona parola', o quando con slancio cordiale gli si da la mano per aiutarlo a non naufragare, il qui e l'ora del divenire sono oltrepassati e viene fondata un'opera che per il fatto stesso di andare oltre la mera individualità biologica è destinata a non perire mai più. La stessa opera economica misurata col criterio del distacco dalla natura e degli strumenti materiali e mentali per renderepiù umano un genere di vita è trascendimento del momento puntuale, istantaneo, della storia, iscrivendosi con ciò nella permanenza che vince il tempo. Senza dubbio gli individui in senso biologico muoiono. Le loro opere possono nel tempo cronologicamente misurabile essere dimenticate, le civiltà scomparire, e persino l'umanità tutta soccombere in una catastrofe cosmica: ma la permanenza di cui si parla non appartiene all'ordine del tempo misurabile, e dello spazio visibile, ma è conquistata per sempre nell'attualità dell'opera qualificata secondo valore. E se anche nell'ordine del tempo misurabile e della spazialità visibile scomparissero l'operatore e l'umanità tutta un istante dopo che l'opera è stata compiuta, nulla può questa immane catastrofe materiale contro la permanenza che l'opera secondo valore fondò sulla roccia: l'attualità dell'operare ha sperimentato interiormente l'eterno, ha trasceso il qui e l'ora, e senza evadere dal mondo ha reso immortale il mondo al di là di ogni possibile catastrofe cosmica. In date condizioni storiche ciò ha avuto bisogno del simbolismo protettivo dell'immortalità individuale, e di una metastoria mitica in cui fossero salve tutte le permanenze: ma ciò è in rapporto alla estrema maturità culturale che si richiede per operare secondo valore restando paghi della inattaccabile eternità inaugurata dalla attualità dell'opera".

CRISI DELLA PRESENZA

La documentazione psicopatologica costituisce uno strumento fondamentale per comprendere le forme della crisi. Per quanto culturalmente condizionata la crisi a sé e al mondo comporta forme sostanzialemtne affini in quanto significa il crollo dell'ethos del trascendimento, cioè del trascendente principio umano di presentificazione. (14-15) "Prima ancora di affrontare qualsiasi ricerca sulle apocalissi culturali occorre in via preliminare valutare la fine dell'ordine mondano esistente nel suo significato universale di rischio antropologico permanente, cioè come rischio di non poter esserci più in nessun mondo culturale possibile". Lo scopo della documentazione psicopatologica sulla fine e sul crollo ha lo scopo di mettere a nudo tale rischio nella sua forma estrema ed esasperata in modo da far meglio risaltare le reintegrazioni culturali (religiose) che hanno il compito di combattere questi rischi e di operare la mediazione che consente la riapertuira ad un mondo operabile e significante". (29) Da un punto di vista clinico la differenza fra le varie modalità della "fine del mondo" sono rilevanti: nella prospettiva analitico-esistenziale ciò che importa è l'unità genetica della fenomenologia psicopatologica che si articola a partire dalla crisi della presenza. (73/4): La cautela delle distinzioni psichiatriche nell'interpretare il tema del delirio di fine del mondo è giustificata ma è legittima l'analisi esistenziale che interpreta il vissuto di fine del mondo come rischio: rischio che trionfa nella malattia psichica; è recuperato nel simbolo culturalmente condizionato dell'escatologia, del millenarismo, delle apocalissi. Qui il rischio del vissuto privato e incomunicabile è ripreso e integrato secondo valori intersoggettivi comunicabili; là vi è il crollo.

(74) La storia ha bisogno delle indicazioni dello psichiatra, questo di un giudizio storiografico che restituisca l'episodio morboso ad una biografia concreta.

(16) Gli stadi psicopatologici acquistano senso solo se si parte dall'ethos del trascendimento, da una analisi della valorizzazione intersoggettiva che costituisce l'umanità e da un apprezzamento storico-culturale dei determinanti livelli di valorizzazione e dei conseguenti rischi di regressione e di caduta. Occorre cioé considerare questi rischi e il loro recupero all'interno di una determinata cultura, per evitare di riferirli astrattamente ad una generica "natura umana" e per poter valutare gli aspetti positivi/negativi di reintegrazione/disgregazione dei vari vissuti: "Per misurare l'una e l'altra (= reintegrazione e disgregazione ndr.) occorre sia una valutazione di ciò che permanentemente appartiene all'uomo e alla sua potenza culturale in tutte le epoche e in tutti i luoghi, sia una valutazione delle concrete soluzioni culturali che hanno avuto luogo nella storia umana: occorre cioè‚ una filosofia della cultura".

(18) Per certi aspetti la malattia, come rischio universale, acquista aspetti metafisici: "Nell'ammalarsi psichico, ciò che nel sano sta come rischio di continuo oltrepassato si tramuta in un accadere psichico caratterizzato dal non poter oltrepassare tale rischio e da infruttuosi conati di difesa e reintegrazione".

(58:) "L'essere-nel-mondo costituisce e si mantiene per un dovervi essere valorizzante che sempre di nuovo si fa valere contro la tentazione del nulla". Ovvero il trascendimento è minacciato dal non trascendimento, dal rischio di non essere nel mondo, dal nulla storico. (30) E' tuttavia consapevole del condizionamento culturale delle malattie.

Mondo del malato

(29) Definizione del "mondo del malato" citando psichiatri (Idler, p.236; Storch p.801): il mondo è normale quando ha un senso, da soddisfazione, promuove lo sviluppo. E' abnorme quando separa invece di riunire gli uomini, quando si restringe, si atrofizza; quando "si perde" e scompare il sentimento del possesso e dell'operabilità dei beni. (41/2:) L'uomo è ente storico e non naturale, ha un passato e si proietta in un futuro; è comprensibile solo a partire dal suo orizzonte storico, dal suo esser stato e dalle sue possibilità nel futuro. Modifica il suo orizzonte e svolge se stesso e il suo mondo nel comune operare. La malattia è la limitazione di queste capacità di modificazione (gli sfugge l'interpretazione della malattia come tentativo di dialogo con codici limitati da parte di chi soffre).

Caduta

(59) "Nella "caduta" del mondano la presenza vive angosciandosi il suo proprio abdicare, esperisce l'intenzionalità che non riesce più a trovare il proprio compimento". Si può passare dall'assenza di significato, di vuoto, del mondo, all'eccesso di significato: da un universo in tensione che si sfalda nel nulla ad un'universo sclerotico di una inerzia mortale; perdita della domesticità. "Il tutt'altro del mondo si demondanizza, riflette il perdersi della funzione presentificante della presenza, il suo diventar altra (il suo alienarsi) in luogo di mantenersi il come dell'identico e del diverso". (59/69:) Qualcosa di radicale afferra le radici della persona, l'accadere muta di qualità come categoria del reale e in luogo di presentarsi come domanda cui si oppone una risposta si presenta nella modalità dell' "essere agito da", in modo che è cancellata la possibilità di rispondere e l'individuo è spossessato.

(91-92) "Vissuti di un mondo che, a partire da un certo momento, perde il suo carattere "quotidiano", e ne acquista uno nuovo sono tanto poco psicopatologici che in un certo senso tutta la vita culturale è intessuta di tali momenti. Ad es. la morte di una persona cara. Il vuoto consiste di nel crollo di una molteplicità di rapporti che ora non hanno più referente. Occorre redistribuire i significati in modo da fare a meno di quella presenza: è un mutamento di significato. La patologia non è questa redistribuzione ma il crollo dell'energia relazionale e semantica, della presenza che è incapace di passare i diversi "morire" storici.

(134) La catatonia come tentazione di ridurre il divenire all'essere in una destorificazione radicale che rifiuta ogni rapporto con il mondo.

(169-9) De Martino non contesta che le psicopatologie abbiano e definiscano un universo (ovvero che tramite il loro linguaggio i pazienti tentino di comunicare qualcosa) vuole però evitare che per questa via vengano confusi insieme visioni psicopatologiche, del fanciullo, dei primitivi, del poeta, della magia, senza possibilità di discriminazione.

DOMESTICITA', FONDO A DISPOSIZIONE

(50) Ciò che definisce pienamente il carattere di normalità dell'ordine mondano è la sua progettabile intersoggettività, il suo appartenere all'operabilità sociale culturalmente condizionata. Questo è ciò che è definibile "domestico", "familiare", "mio": ciò che è comunicabile ad altri. Nella normalità dell'ordine mondano ciò che è privato si apre prima o poi agli altri in una dinamica di valori intersoggettivi. L'incomunicabilità, l'esaltazione egocentrica ed assoluta del proprio intimo, se non è contestazione di una socialità sclerotizzata e dogmatica, se non è premessa per un nuovo sforzo di apertura, è morbosità, caduta della presenza storica.

(95/6) Nei vissuti di mutamento radicale (ambedue: quelli di perdita del sè oppure del mondo) alla base c'è il mutamento di segno della presentificazione intenzionale. "La presentificazione si compie sempre entro uno sfondo di ovvietà non attualente problematizzata" (95). Questo sfondo è la base su cui si fonda l'agire che di volta in volta raccoglie l'attenzione della presenza e la indirizza verso singoli progetti qualificati, al doverci essere qui ed ora. L'ovvietà di questo sfondo non problematizzato fonda l'ethos del trascendimento: questo poggia su "una infinita storia di atti di domesticazione umana, di progetti comunitari impliciti, sedimentati attraverso generazioni e la tradizione" (95) e che dal passato giungono a noi attraverso la storia, la cultura, le forme sociali e famigliari nelle quali attualmente siamo cresciuti. "Proprio per questo immenso affidamento all'altrui operare si costruisce lo "sfondo", l'orizzonte (...) la radice che rende possibile il raccoglimento presentificante in una iniziativa qualificata, nel contributo nostro, qui ed ora, alla progettante storia comunitaria dell'uomo" (96). Nella nostra azione non siamo mai soli ma sorretti dall'opera di tutti i viventi, vicini e lontani, presenti e passati; rammemorabili, dimenticati o mai conosciuti la cui unica traccia è in ciò che hanno compiuto, nella continua opera domesticatrice del mondo che ci consente di emergere in una "Patria dell'agire". Questa fedeltà all'umano è la condizione per la nostra libertà attuale.

(142) "Si esiste, ci si sente persona, nella misura in cui, nel momento critico in cui si è chiamati ad esserci, stanno a nostra disposizione le memorie retrospettive dei comportamenti efficaci per modificare la realtà e la coscienza prospettica creatrice di ciò che occorre fare, qui ed ora, per riuscire a produrre il valore nuovo, la iniziativa creatrice personale. In questa dialettica tra memoria retrospettiva e slancio prospettico si inserisce la presenza. Famiglia e società e quindi la cultura nel suo complesso, foggiano la misura della nostra esistenza, stabiliscono l'orizzonte di sicurezza dell'esserci: e nella misura in cui la cultura in cui apparteniamo non riconosce dipendenze irrazionali, servili e disumane e non ha dogmatizzato l'imperio della natura, noi ci siamo nella storia con sicurezza e libertà. Coloro che, nella loro vita, hanno memorie anguste di comportamenti efficaci e una pesante eredità di scacchi subiti, di momenti critici non oltrepasati, sono presenze fragili, esposte alla crisi".

(134) L'irreversibilità del divenire non annulla, del resto, l'irreversibile apparire di situazioni nuove. "Le memorie di situazioni analoghe già esperite e di comportamenti corrispondenti già utilizzati non annulla mai il carattere di novità delle situazioni stesse e l'impegno di trascenderle con iniziative originali, con decisioni "anche" integrate nella società e nella storia".

Ontologia

(107/8) cita V. E. Freiherr von Gebsattel, Prolegomena einer Medizinischen Anthropologie, Springer Verlag, Berlin-Gottinghen-Heidelberg, 1954; p.31: Quando la coscienza è concentrata su un tema l'ambiente esterno sparisce. Questo non essere non è patologico poiché‚ la coscienza, allorché‚ riemerge dai suoi pensieri e si riapre all'esterno, recupera come presente questo ambiente esterno. Ciò significa che il legame con l'ambiente esterno è presente anche quando non è attualizzato (a differenza dalle patologie). Una universale relazione alla totalità del mondo precede i contenuti sensibili, le percezioni, i singoli vissuti. Nell'incontro con un singolo aspetto del mondo è presente questa totalità che si particolarizza. Esplicitare le modalità di questa presenza non consapevole nei singoli vissuti è un grande problema ontologico. Il rapporto uomo mondo fonda i singoli atti di percezione e movimento: Heidegger lo riconduce al fenomeno della possibilità e del potere: entrambi sono da comprendere a partire da una dottrina del divenire. Commento di D.M. (108): esistere è possibilità, poter essere, mutare se stesso e agire nel divenire: "Esistiamo nel e con il mondo in quanto in una struttura delle possibilità ci troviamo in rapporto ad essa": siamo un progetto di possibilità di agire nel mondo, di stabilire con esso relazioni, anche se incompiute.

Simbolo (301)

"Il simbolo è un ponte lanciato fra origine e termine, è ripresa rammemorante e anticipazione prefigurante, che toglie al qui e all'ora il suo rischio dispersivo e annientante, sollevandolo ai compiti della valorizzazione comunitaria della vita. Attraverso il simbolo il qui e l'ora è sottratto all'inerte passare con ciò che passa e alla perdita di ogni orizzonte di operabilità che dischiude il significante futuro: attraverso il simbolo il mero istante presente si costituisce come presenza presentificante, diventando momento propizio per qualche cosa, richiamo vibrante alla prassi culturale: 'è tempo di ...' ".

360) L'Apocalisse può essere intesa dai primitivi come crollo totale dell'ordine causato da una colpa, dalla violazione di una delle norme che istituiscono e controllano l'inalterabilità. (377) Il mondo è innanzitutto ordine, orizzonte operativo della comunità. (378:) Il rischio diventa sopportabile e attraversabile nella misura in cui la storicità è occultata, esclusa dalla coscienza. Il simbolismo ha questa funzione. Il rito è la forma del comportarsi più prossima all'ordine immutabile del mito. Il divenire vi appare ridotto al minimo della ripetizione dell'identico.

CULTURA/NATURA

(219-20; fino a 224) La fine del mondo è tema culturale determinato (es: le apocalissi) e rischio antropologico permanente. La cultura è l'esorcismo contro questo rischio. Attraverso una apparente ciclicità l'Et. Ritorno ridischiude la presenza alla storia.

(265) Umanità come comune misura dell'umano, al di là delle astrattezze metafisiche sulla "natura umana" e dei relativismi che dividono l'uomo in gruppi, classi, strati, sessi, categorie ... Occorre ristabilire l'universalmente umano che opera nella varietà delle situazioni esistenziali.

(267) Criticando Lévi-Strauss: ciascun simbolo ha il compito di circoscrivere orizzonti impedendo il caos irrelato di percezioni e reintegrando una crisi in potenza. Questi simboli hanno un valore socialmente accreditato.

SESSO

544-5 (Moravia) Il sesso, nel crollo dei valori e significati, è comunque qualcosa di irrefutabile, certo. La sessualizzazione dell'universoè il mezzo per creare un rapporto e superare l'isolamento. Tuttavia il sesso come natura non è capace di creare valori e ridischiudere un mondo. La maturazione sessuale è rilevante perché‚ è inserita in un universo di socializzazione. Le regole e i valori sul sesso sono, nella storia degli individui il primo accesso ad un mondo di valori. Le condotte umane sono inserite e iniziano in famiglia rispetto ai famigliari: dipendono dalle scelte culturali di adulti che sono inserite in quadri di scelte economiche-sociali che a loro volta fanno i conti con le crisi e i probemi di maturazione sessuale in famiglia. Il primato non spetta al sesso (materialismo individualista) o alla società (materialismo storico) o ai valori (idealismo) ma all'ethos del trascendimento, l'oltrepassare situazioni nei valori.

GIOCO

229-30 Per i bambini giocare rappresenta la maniera per istituire con il reale un rapporto destorificato: il reale non adeguatamente posseduto, diviene controllabile e aperto all'opera umana grazie all'azione giocosa metastorica che consente di controllare tutti gli elementi. "Giocare, nel senso dei giochi infantili (giocare alla mamma e al bambino, alla cucina, al treno, ai ladri, agli indiani ...) significa istituire con il reale che ancora non si possiede un rapporto "destorificato" in virtù del quale si si possiedono e si controllano tutti gli elementi, per quanto su un piano metastorico. Tale rapporto anticipa l'epoca in cui tutte le cose ora giocate diverranno meno plastici eventi storici, non interamente dipendenti dalla propria signoria, e dotati di tutta la serietà e l'impegno e l'incertezza della dura realtà. (...) L'urto con la realtà che si viene attenutao nella sua asprezza trasportandosi in una realtà addomensticata, sognante, simbolica e soprattutto manovrabile secondo regole gi… note, messe in opera dal giocante via via che svolge il proprio giuoco. Ciò però che nel giuoco non ha rilievo è il mito, l'immagine di tempi primordiali fondatori operati da numi e ripetuti cerimonialmente: questo aspetto resta senza espressione nella levit… del giuoco che è un semplice immediato abbandonarsi ad un sognante rapporto demiurgico con il reale. Gli animali giuocano per anticipare il mondo della preda da cacciare, ma con oggetti molto più docili e prevedibili che non la preda reale.

MITO/RITO

Somiglianza tra fenomenolog. psicopatol. e mitico-rituale (da 62-3 a 65-6) Due questioni: a), perché‚ la psicosi somiglia al simbolo mit/rit e viceversa; b) distinguere la psicosi dal simbolismo religioso di società storiche. Le questioni si unificano. Ambivalenza psicotica = rischio; ambivalenza mit/rit = soluzione culturale del rischio. Riprendendo il rischio si somigliano, ma risolvendolo si differenziano. La prima chiude, la seconda apre ai valori. Considerare la magia come malattia psicologica, ridurla a malattia, separarla astrattamente, è compiere un'astrazione. (65): "Il soccorso dell'analisi esistenziale in psicopatologia e dei reperti della etnopsichiatria hanno tanta importanza quanto le tecniche filologiche cui la storiografia è strettamente legata". (136) Una delle funzioni del ritualismo è la ripetizione rigorosa di un certo ciclo di atti. Non il contenuto ma questa forma della ripetizione opera in senso destorificante e dunque protegge dalla storicità. Nel rito è la metastoria che si ripete. Peraltro un po' di storicità si attacca inevitabilmente all'agire rituale e un'oscura consapevolezza del divenire non può non essere presente. L'evasione nella metastoria che si ripete fa parte della storia, avviene nella storia, è pur sempre un atto storico che non può sottrarsi alla novità e alla iniziativa. Di qui lo scrupolo dell'esatta reiterazione, la mania di esattezza, il dubbio dell'errore nell'esecuzione.

(138) In generale ogni momento del divenire è nuovo e quindi critico per la presenza. Al limite, la difesa radicale da questo rischio, esteso a tutti indiscriminatamente i momenti del divenire, a tutta la storia, consiste nel rifiuto di qualsiasi contenuto dell'esperienza, di qualsiasi iniziativa, di qualsiasi adattamento". (Si riattacca dopo poche righe sunteggiate con la citazione che segue) (138-9) Catatonia, flessibilità cerula, imitazione speculare, stereotipia, manie ritualistiche, costituiscono le forme patologiche di questo tentativo di ridurre il divenire all'essere. (139:) "In generale queste forme di difesa non sono compatibili con la civiltà, hanno un carattere spasmodico e caricaturale, appartengono cio‚ al dominio della psicopatologia. Le difese culturalmente significative cominciano quando la rischiosità si socializza, istituzionalizzandosi in dati momenti critici dell'esistenza, e lasciando libere, cioè profanamente operabili, parti più o meno estese di storia. Le difese culturalmente significative cominciano dunque quando il sistema di guarentigie più che a sopprimere radicalmente il divenire è volto piuttosto a rendere mediamente possibile il concedersi ad esso, il dischiudersi, sia pure a patto, alla storia. Certe sfere storiche della realtà sono dischiuse in quanto si entra in esse attraverso il nesso mitico-rituale in quanto cioè la loro storicità viene trasfigurata (in realtà permessa) attraverso la iterazione dell'identico (della prima volta, del mito delle origini)".

(limite dello storicismo di D.M.)

(260-1) Problema di che cos'è il mito in sè e come distinguerlo dalla massa dei prodotti culturali. Mito come tecnica di destorificazione e di donazione di senso. (233-4) Mediante la destorificazione mitica l'iniziativa storica del qui e dell'ora, con la sua concreta responsabilità, viene occultata e mascherata. In questo modo, operando come se l'azione fosse la ripetizione di una iniziativa primordiale, si ridischiude di fatto il concreto agire storico. (234): "Il senso del mito è nella sicurezza che deriva dal suo tecnicismo, e così pure il senso delle cose che dal mito procede (...) D'altra parte se il mito attenua, occulta, riduce, maschera la storicità del divenire (e quindi protegge dal tempo che avanza) esso costituisce un orizzonte di configurazione, di fermata e di ripresa rispetto al ritorno irrelativo del passato". Il mito pertanto protegge dalla proliferazione storica del divenire e dalla ripetizione di un passato che torna senza essere stato oltrepassato, come estraneità psichica indominabile.

(210-11) Destorificazione e crisi del Cristianesimo

(secolarizzazione). Non si può considerare il simbolismo mit/rit e la relativa destorificazione come una condizione necessaria per costruire un orizzonte culturale in grado di fronteggiare la crisi. La necessità di una simile condizione è storicamente condizionata e nel mondo contemporaneo viene meno. Ciò che conta è l'intersoggettivitò dei valori, il mantenere l'apertura a questa intersoggettivitò, la volontò sempre rinnovantesi di produrre cultura. L'orizzonte metastorico per comunicare ciò può in certe epoche essere necessario ma non è un universale. Per fare il bene non è necessario farlo per Dio. Un tempo la relig. era una necessità positiva, oggi può essere un ostacolo all'incontro degli uomini.

STORIA E STORIOGRAFIA

(170 ma anche 172) Il mondo dell'alienazione non è compatibile con nessuna vita culturale: non è un mondo. La malattia è una non condizione culturale (e dunque non un minimo di risposta possibile da parte del malato, magari utilizzando un linguaggio di altri, imposto, non possedendone uno proprio adeguato. E' forse il retaggio crociano del fatto che della follia, del negativo, non si da storia). Al massimo un conato, che però è "sforzo inautentico, destinato al fallimenti" (172). (Il criterio del rischio di non esserci diventa un universale pan umano, disegnato in modo vario dalle varie culture ma in sè presente ovunque. Correlativamente è un universale la presenza, che pure si disegna in vari modi). (172-3): Naturalmente è il contesto storico-culturale che determina il valore positivo o negativo dello sforzo di mondanizzazione: è il giudizio storico-culturale che distingue il delirio patologico dal millenarismo religioso. Il "senso" del comportamento è un problema storico: questo rende il giudizio estremamente difficile. Infatti comporta: 1) il concetto di cultura come trascendimento della situazione secondo valori; 2) l'apprezzamento dei valori in atto in una cultura; 3) la dinamica del comportamento, se aperto culturalmente o chiuso patologicamente, se protettivo reintegrante o privato fallimentare. Questo giudizio è difficile per le culture altre; nella nostra, inoltre, occorrerà distinguere i dislivelli culturali interni ed apprezzare le dinamiche cultura/sub cultura.

(176) E' la "realtà storica" che decide della sanità dei comportamenti (non della realtà): sono sani quelli che riflettono alternative e scelte accettate pubblicamente e che trovano rispondenza nelle rete degli istituti e delle tradizioni. La coscienza giudicante storicamente è essa stessa un prodotto storico. (176-7) Vedi il caso dell'operaio che si sente influenzato dal capofabbrica in ogni ogni momento della sua vita, anche quelli intimi. La patologia psichiatrica non è nel "sentirsi influenzato", poiché‚ tale tema è diffuso e normale in molte culture. L'anormalità consiste nel fatto che questo rapporto di influenza, normale tra i primitivi, avviene in una società industrializzata. E' nel fatto che l'operaio non può trovare nel suo ambiente - classe operaia - strumenti accreditati di fattura-controfattura e sia costretto alla crisi privatamente, senza possibilità di riscatto. La normalità sarebbe un'azione politico-sociale-pubblica di reazione al capofabbrica. E' una inattualità storica a costituire la malattia.

Storicismo

(?) L'espressione mito=storia sacra comporta un equivoco uso della parola storia. Se indica che il mito è "vero" per chi lo racconta si ripete descrittivamente e banalmente la coscienza mitica, senza questionare la genesi, la struttura la funzione di questa coscienza. Il problema è misurare il mito rispetto al nostro concetto di storia, misurazione che comporta un impegno verso la storia culturale dell'Occidente, legato alla presa di coscienza della storicità della condizione umana. (274) Diversi significati del termine storia. A) l'immediata esperienza che l'uomo ha di essere centro di operatività mondana secondo valori comunitari; B) conoscenza storiografica: quel particolare bene culturale che è la ricostruzione del fare umano immediato indagando le ragioni e le finalità umane al di là dei limiti della coscienza soggettiva come è vissuta dai protagonisti: ritorno consapevole della memoria sul fare e consapevole rigenerazione nel pensiero; C) storicismo, impegnata visione del mondo e della vita per cui il reale è inteso solo come effetto della valorizzazione culturale umana, valorizzazione che comporta origine e destino integralmente umani dell'operare. Nulla è che non si possa totalmente ricondurre all'umanità dell'operare. (276): Storia: 1) descrizione della coscienza soggettiva; 2) riduzione della coscienza soggettiva a cause; 3) processo unitario tra questi elementi.

(276-7) a) Res gestae: atti storici con coscienza limitata e motivazioni e finalità inconsce. Integrati in tal modo dallo storico i fatti storici sono razionali: interpretabili secondo coerenze definite. L'irrazionalità nasce da ignoranza. b) Historia rerum gestarum: storiografia; c) Res gerendae: attuale

decisione secondo valore. In tutti e tre i casi la storia è dominata da valori intersoggettivi: a) cooperazione; b) memoria ricostruita; c) decisioni orientate da valori. (257) "L'identità di filosofia e di storiografia, la filosofia come momento metodologico della storiografia, la storiografia come liberatrice della storia, la contemporaneità di ogni storiografia, l'universale concreto come inveramento della sintesi a priori, ed infine lo storicismo come risoluzione di ogni realtà nella storia, tutto ciò è l'ulteriore corso della dissipazione, nel pensiero, di quella non accettazione della storia che alimenta magie e religioni". La presa di coscienza storicistica come dissipazione della metastoria religiosa ma anche dell'angoscia di fronte all’infinitezza /indefinitezza di tempo e spazio.

Storiografia

(275) Primo passo della conoscenza storica è accertare la coscienza che hanno avuto i contemporanei di un fenomeno. "Ma con ciò il suo compito è tutt'altro che esaurito perché‚ la conoscenza storiografica non consiste nel ripetere il vissuto consapevole che accompagna il fenomeno culturale, ma nel situare questo vissuto in una rete di condizioni e di risultati che non appartengono ovviamente alla coscienza contemporanea e che tuttavia conferiscono a quel vissuto la sua realtà e verità, il suo 'significato' e la sua 'importanza'". I rischi della storiografia sono da una parte 'ripetere' semplicemente la coscienza contemporanea, dall'altra attribuire a questa coscienza ciò che appartiene alla sfera delle condizioni inconsapevoli o quei risultati percepibili solo in una prospettiva maturata successivamente. "Buon lavoro storiografico è quello in cui, in primo luogo, il lettore è messo in condizioni di sapere, rigo per rigo, a che cosa si riferisce il discorso: se alla coscienza degli operatori storici, o alle condizioni e motivazioni inconsapevoli ad essi, o ai mediati risultati che fecero maturare un fenomeno oltre la coscienza dei suoi contemporanei".

(270-1) Storiografia religiosa ed etnocentrismo critico

Compito della storia delle religioni è ricostruire motivazioni e finalità (consapevoli ed inconsce) che generano le tradizioni e le modificano. Riduzione della coscienza mitica alla storia cui deve abbinarsi la ricerca delle ragioni del mascheramento mitico. Occorre giustificare la funzione storica del simbolismo mitico. Occorre rendere esplicita la coerenza implicita del comportamento religioso, sottrarre il mito alla sua apparente irrazionalità e intenderne la funzione storicamente necessaria. Questo atto di compresione impedisce poi alla ragione di adottarlo in prima persona e di credervi. (272-3): "La storiografia ha il compito di convertire ciò che gli uomini credono di fare in ciò che gli uomini realmente fanno, in modo da giustificare sia il loro credere sia la realtà che ne risulta. Ciò significa che noi non dobbiamo sospendere le categorie interpretative foggiate dalla nostra civiltà occidentale, e farle tacere per ricevere il messaggio delle civiltà prmitive: al contrario dobbiamo impiegarle deliberatamente, e avvalerci del nuovo materiale documentario per correggerle e approfondirle. Noi non possiamo strapparci dal cuore la nostra storia, e neppure contemplare noi e 'loro' da un punto di vista astrattamente superiore che non saprebbe quale possa essere: noi possiamo soltanto misurare loro secondo il nostro metro, non senza migliorare - misurando – le stesse unità di misura e gli stessi strumenti di misurazione che la nostra storia culturale ci offre. Ciò significa che la nostra determinazione della qualità di una civiltà religiosa primitiva coinvolge la determinazione della nostra stessa civiltà: noi scegliamo gli altri in quanto scegliamo noi stessi. Il che è inevitabile: una storia senza opzioni filosofiche, senza scelte di Weltanshauungen, non è oggettiva, è semplicemente una storia condotta secondo posizioni filosofiche acritiche, contraddittorie, ingenue".

Storia e metastoria: dalla metastoria alla storia

(351) Confronto tra concezioni metastoriche del divenire. Eterno Ritorno con riassorbimento della proliferazione del divenire nella esemplarità mitica. La concezione giudaica di un tempo unilineare con arché‚ ed escaton. Questa si arricchisce nel Cristianesimo di un evento centrale (Incarnazione) rispetto al quale assumono significato le scelte storiche. Questa concezione si fonda sulla fede in Cristo, venuta meno la quale si aprono due alternative. L'unilinearità totalmente mondana della storia (progresso della scienza nel Positivismo, dell'Idea nell'Idealismo e suo rovescimanto nella dialettica marxiana) <questa uniliearità può comportare un ottimistico automatico progetto unitario simile a quello giudaico>; la frantumazione relativistica (e nichilistica): biologizzante in Spengler, negli esistenzialismi negativi, coperta di scientismo in un contemplativo relativismo culturale). (352) Contro questo irrazionalismo occorre affermare: a) "il riconoscimento della reale dispersione attuale delle genti, delle culture, delle storie, cioè la liquidazione definitiva della duplice eredità mitica dell'eterno ritorno dell'identico come di un piano unitario della storia universale". b) Il riconoscimento di dover relazionare (confrontare) l'attuale molteplicità delle genti, delle culture, delle storie nella prospettiva di un comprendere e di un operare che unifichi l'umanità dispersa: unificazione che stà però come compito davanti a "noi", e non come piano prestabilito da Dio e dalla Materia" Il compito che ci aspetta è quello di costruire noi stessi e di riconoscerci come uomini donatori di senso nella storia, senza presupporre nulla di scontato, senza presupporre che la storia abbia un senso di per sé. Naturalmente il nostro agire e donar senso è condizionato e delimitata è la rosa di possibile scelte: "ma la storia rischia sempre di di nuovo di perdere qualsiasi senso, malgrado tutte le condizioni affinché‚ ne abbia uno". c) La consapevolezza che il compito di operare questo confronto e questa unificazione spetta a noi occidentali, il prodotto dell'unica cultura che ha maturato la possibilità e l'esigenza della scienza del confronto: l'etnologia (storica). d) In questo confronto non si tratta di rinunciare alla nostra cultura occidentale rinunciando all'Occidente ma di mettere in causa questa cultura prendendo coscienza dei suoi limiti superando così l'umanesimo classico. Questo realizza la grande potenza dell'Occidente che lo rende unico e non a caso egemonico. Ciò è possibile solo realizzando un umanesimo integrale totalmente mondano (etnocentrismo critico). e) la risoluzione della filosofia in antropologia quale risultato di questo umanesimo integrale nato dal confronto con le altre genti a partire dalla cultura storica dell'Occidente come centro operativo e unificante. (In altre parole l'umanità ancora non esiste come fattivo riconoscimento unitario dell'uomo: essa è un compito che spetta all'Occidente, l'unico che ha prodotto un umanesimo. Tale umanesimo occorre ampliare mettendo in discussione le nostre categorie ma senza rinunciarvi).

(352-55) L'uomo ha nella storia sempre mascherato la produzione attiva dei valori mediante un apparato simbolico destorificante. La storicità ha sempre avuto la meglio su questi apparati simbolici obbligando l'uomo a modificarli e tuttavia l'uomo ha sempre riproposto altri sistemi destorificanti. Il mutamento non è stato mai attribuito in toto all'azione umana ma lo si è negato o ricondotto a interventi mitici o rituali. Con ciò era esorcizzata rispetto alla coscienza la storicit…. In un determinato contesto storico-geografico, la tradizione giudaico-cristiana, la storia appare nel suo valore, sia pure ancora in un contesto simbolico mitico-rituale. Il mondo moderno ha laicizzato totalmente questa visione della storia. Il problema è se l'uomo, oggi nella civiltà occidentale, possa liberarsi di questo sistema simbolico destorificante e accettare la totale storicità della condizione umana. Un dubbio che affiora in De Mart. Essere nell'esistenza è forse possibile solo mascherando la storicità. Senza maschera si muore. D'altra parte oggi non è più possibile ancora avere maschere: continuare ad averle sarebbe ancora come morire. La risposta a questo quesito appena accennato Š una speranza: il simbolismo mitico-rituale mascherava l'asprezza della storicità in condizioni di grande rischio. La modernità con la sua coscienza storica e la consapevolezza di ciò che può fare con il lavoro può rendere meno rischiosa la condizione umana e rendere superflua, in prospettiva, la destorificazione mitico-rituale. (A prescindere dal latente evoluzionismo il rischio esistenziale è maggiore nei "primitivi" e minore in noi. E' ridotta l'universale condizione di rischio: questa potrebbe essere una possibilità storica offerta dall'Occidente oggi).

(356) Oggi occorre scegliere tra accettare o meno la storicità della condizione umana. Non accettarla, poiché‚ accettarla potrebbe significare la distruzione del coraggio e dell'energia morale civilizzatrice, comporta il recupero di simboli destorificanti e mascherare l'opera umana con segni che rimandano ad altro. Accettarla significa avere il coraggio e la forza di creare civiltà e valori intersoggettivi di continuo distaccandoci dalla natura nella direzione di realizzare un mondo che sia patria per l'uomo. La prima alternativa rimarrà in piedi nella misura in cui la rete di limiti nella quale siamo chiamati ad operare è troppo fitta per liberarcene senza un richiamo al metastorico, una garanzia simbolica di "già fatto". La seconda alternativa è un compito da realizzare contro la tentazione di ricadere nella prima. La nostra è epoca di transizione: "alla mente abbiamo già davanti il quadro di un umanesimo integrale, ma in noi e intorno a noi c'è l'insidia dell'angoscia e il bisogno del porto sicuro".

Storiografia

(402-12) Critica la distinzione di Lévi-Strauss tra etnologia e storia (ed etnografia e antropologia) poiché‚ la storia non è solo riproduzione di coscienza degli attori ma ricostruzione di ambienti, esigenze e finalità oltre questa coscienza (dunque di "inconscio"). La più elementare osservazione empirica presuppone già categorie interpretative (e ciò pone ipoteche sull'obiettività dei modelli meccanici). Lo stesso problema dell'obiettività scientifica è occidentale.

ETNOCENTRISMO CRITICO

(281) Il relativismo culturale, la pretesa di fare storia ponendosi fuori, sopra, i valori della cultura occidentale: "Ora è da osservare che una pretesa del genere è ineseguibile: lo stesso relativismo culturale su cui si fonda è un pensiero nato dalla cosiddetta crisi dello storicismo, cioè costituisce ancora un fenomeno culturale europeo, di cui si potrebbero indicare i tempi di origine e di sviluppo in Germania, nella prima metà di questo secolo. Non è possibile rendersi esterno alla civiltà di cui si fa parte, e a volta a volta giudicare tutte le civiltà, la propria compresa, ponendosi in una prospettiva che diremmo divina se non fosse semplicemente un tardo surrogato dell'orientamento mitico della religione. Per l'Europeo la sua civiltà è il suo stesso pensiero, ed è qualche cosa di più: un bene da difendere, da accrescere, da dilatare. Si può continuare a pensare scegliendo i propri problemi dentro le grandi alternative che la propria civiltà pone, ma non si può porre la propria civiltà accanto alle altre, e tutte considerarle come prospettive alla pari, da scegliere alla pari come punti di vista giudicanti. (...) Si deve dialogare con il mondo ma la propria parte bisogna conoscerla bene, altrimenti si rischia di cadere in un enorme pettegolezzo, in un chiacchierare ambiguo e sciocco (...) che è soltanto la maschera di una abdicazione senza limiti. Del resto dove è mai questo crollo dei valori europei? Se per Europa si intende (282:) non già una designazione geografica, ma un orientamento della vita culturale, ciò che di impegnativo e di decisivo è oggi nel mondo si chiama Europa. Europa è la cultura americana, europeo è il marxismo che ha alimentato la rivoluzione russa e quella cinese, europeo è il Cristianesimo, europea è la scienza che ha condotto all'era atomica. Noi siamo chiamati a decidere dentro questo mondo culturale, e a giudicare secondo il metro che esso ci offre. E' in questa fortezza che dobbiamo scegliere il nostro posto di combattimento".

Umanesimo etnografico

(389-392) La neutralità dell'etnografo è impossibile. L'osservazione avviene tramite le categorie interpretative e di osservazione dell'etnologo occidentale senza le quali nulla è osservabile (es: natura/cultura, normale/anormale, psiche sana/malata, io/mondo, conscio/inconscio, individuo/società, bene/male, utile/dannoso, bello/brutto, vero/falso, razionale/irrazionale, linguaggio, comunità, tecnica, spazio, tempo, sostanza, causa, fine; ma anche prassi, storia, morale, arte, religione ...). L'utilizzo di queste categorie trascina inconsapevolmente l'intera storia della cultura occidentale, con decisioni, scelte, polemiche, distinzioni, con il rischio di proiettarle acriticamente nella cultura aliena che ne è impartecipe o che vi ha partecipato con modalità diverse (es, magia: polemiche cristiane contro magia demoniaca; magia naturale/bassa magia cerimoniale; scienza/magia; crisi dello scientismo e rivalutazione romantica e artistica della magia; magia e psicologia del fanciullo e nella psicopatologia; dibattito sul paranormale ...). Rinunciando alle categorie non si può osservare e riferire, adottandole dogmaticamente si finisce nell'etnocentrismo acritico. La soluzione è nel mettere in discussione mediante il confronto con l'alieno: la storia aliena di cui la cultura altra è espressione e la nostra storia, presente nelle nostre categorie interpretative. (391:) "Questa duplice tematizzazione della storia propria e della storia aliena è condotta nel proposito di raggiungere quel fondo universalmente umano in cui 'il proprio' e 'l'alieno' sono sorpresi come due possibilità storiche di essere uomo, quel fondo, dunque, a partire dal quale anche 'noi' avremmo potuto imboccare la strada che conduce all'umanità aliena che ci sta davanti nello scandalo iniziale dell'incontro etnografico". L'etnologia è dunque un radicale esame di coscienza il cui esito è la relativizzazione delle nostre categorie e una "verifica della dimensione umana oltre la consapevolezza che dell'essere uomo ha avuto l'Occidente" (391). Ciò porta al riconoscimento, oltre lo scandalo iniziale, dell'attuale dispersione degli etne e delle culture, e delle diverse storie. L'umanità comune non è allora un fatto ma un compito, un ideale di unificazione. (395) L'uso non acritico delle categorie comporta la consapevolezza della loro genesi storica e l'esigenza di ampliarle e riplasmarle mediante il confronto. Il confronto si fonda sull'assunto che le nostre categorie e quelle degli altri non siano incommensurabili, ma che esista un fondo comune di umanità. Questo è un postulato.

(397) Nella dispersione delle scelte culturali storiche, delle differenti strade seguite, l'Occidente è l'unico che ha maturato la consapevolezza storicista dell'origine e dela destinazione totalmente umane dei beni culturali, di una loro determinazione storica, di un ethos universalmente umano che è trascendimento della vita secondo valori intersoggettivi, confronto con altre culture in vista dell'unificazione di ciò che è umano: concreta e rinnovantesi esigenza morale. Questa è la grandezza dell'Occidente e la sua missione, missione e compito che non sono garantiti da nulla.

IL DRAMMA DELL'APOCALISSE CRISTIANA

Tempo e messaggio cristiano dell'apocalisse (284-303)

(286) L'annuncio del regno è travagliato da due rischi opposti: l'imminenza della fine che rende inoperabile il mondo e l'attualità che chiude gli eletti in un godimento beato ma inerte che esclude ogni operosità. Il Cristianesimo si forma operando contro entrambi questi rischi. Per rendere operabile il mondo, magari proprio nella prospettiva del Regno, occorre combattere il rischio dell'iminenza della fine, dilazionandola e spostando l'attenzione dall'imminenza al lavoro che occorre compiere per renderla attuale (Sp. Santo e chiesa). (288:) l'attesa non è passiva Gesù sposta l'attenzione dalla data della fine all'opera da compiere grazie allo Sp. Santo e alla testimonianza operosa: è l'inizio dell'epoca dell'apostolato. Il ritorno di Cristo è certo ma indeterminato il momento. Occorre lavorare per preparare adeguatamente questo II Avvento. Questo dispiega l'orizzonte operativo dell'agire umano che rischiava di chiudersi nell'imminenza della fine. Il II Avvento è certo (fondato) perché‚ Cristo è GIA' apparso (morte e resurrezione), ma questo GIA' comporta, differendo in modo indeterminato il quando del II Avvento, una testimonianza nel tempo. Questo GIA' è salvifico nella misura in cui è un NON ANCORA: questa distanza dispiega il ruolo e l'azione apostolica della chiesa e dei fedeli. (288-9:) Una data definita, un quando stabilito, comporterebbe il rischio dell'inerzia nell'attesa sterile. Ma anche un GIA', se vissuto come compimento e maturazione attuale ha lo stesso pericolo in un compimento già realizzato. La tensione tra già e non ancora, con il primo che garantisce e spinge verso il secondo in una vigile tensione, il sentirsi vivere nell'epoca dello Sp. Santo, della chiesa, della testimonianza sino ai confini della terra, rende il Crist. fondatore di civiltà e dischiude la storia. La prediccazione si apre come compito e come prospettiva, come lavoro necessario per il compimento del tempo prima del II Avvento.

(290-1) E' possibile interpretare la genesi del protocristianesimo come esemplarizzazione di una storica risoluzione del cordoglio che trasfrorma Gesù morto in Cristo risorto e il morto che torna nel morto-risorto presente nella chiesa e nel banchetto eucaristico. Le apparizioni di Cristo dopo la morte testimoniano la Resurrezione e la presenza di Cristo nella chiesa sino al compimento del piano temporale di salvezza. Dopo l'Ascensione la discesa dello S.S. inaugura l'epoca in cui il morto-risorto è con i credenti sino alla fine, per donare la spinta alla testimonianza missionaria. (291:) "Il Cristianesimo diventa un grande rituale funerario per una morte esemplare risolutiva del vario morire storico e come pedagogia del distacco e del trascendimento rispetto a ci• che muore (il che poteva aver luogo solo in quanto il morto era l'unto dell'Uomo-Dio)". Abbiamo un esempio storico di soluzione della crisi e la garanzia mediante la fede della presenza del Risorto nella comunià. La celebrazione eucaristica rappresenta contemporaneamente l'evento passato di un Cristo al centro del piano temporale di salvezza (mito che garantisce e fonda la salvezza futura) e l'evento futuro della definitiva Parusia.

(292) Rito istiruzionalizzato, calendarizzato e socializzato celebra l'Ultima cena e la fine/Avvento. La celebrazione della domenica, il giorno del Signore, rende disponibile l'esserci-nel-mondo negli altri periodi: disponibilità che è fondata dalla liturgia domenicale ma che è irriducibile ad essa. Il finire è già iniziato ma non è imminente e puntuale, con il relativo carico di angoscia, bensì atturerà nel tempo secondo un piano di salvezza. Il risultato è la liberazione del tempo. Con l'Eucarestia si introduce nel tempo storico un rito periodico che libera il tempo restante.

Cristianesimo e coscienza storica

(295) Il modello dell'Et. Rit. mistifica il divenire storico riassorbendolo in un modello metastorico in modo che ogni possibile crisi, ma in realtà ogni momento storico, ogni ora ed ogni domani, è ricondotto ad un già operato da esseri mitici. Il Cristianesimo introduce il modello temporale della storia umana come centro tra un inizio ed una fine. Centro che da senso decisivo alle singole scelte e assegna alle varie epoche un posto univoco e un significato nel piano di salveza, la storia, che si dispiega dalle origini alla fine. La ripetizione (rituale) non concerne le origini assolute ma l'evento centrale. Tutto il tempo naturale (stagioni, anni astronomici ...) e mondano (vicenda storica di Cristo) è riassorbito nell'anno liturgico che ciclicamente ripete, con Natale e Pasqua, l'evento centrale. Questa ripetizione che continuamente rinnova la vicenda dell'Incarnazione, in potenza opera una totale destorificazione del tempo. Idealmente ogni domenica, ogni messa, ogni settimana, ogni giorno, ogni attimo, sono riassorbiti nella vicenda calendariale. Questa destorificazione non ripete però le origini ma un evento centrale, storico, della storia della salvezza. In ciò è la paradossia cristiana del tempo. La ripetizione dell'evento dona senso alla storia umana, fa apparire e crescere la coscienza della storia all'interno della cornice simbolica ripetitiva. Apre un processo irreversibile, in un tempo ancora ampio prima della fine indeterminata, nel quale occorre agire con decisioni costruttive. Occorre realizzare una comunità dell'amore, testimoniare il Vangelo: nulla è garantito miticamente. Sorge la consapevolezza dell'importanza della decisione individuale irripetibile, di una responsabilità storica potenzialmente senza appello.

(296:) Lo sviluppo è una cosccienza totalmente civile, la presa di coscienza dell'orizzonte totalmente umano della storia.

Metodologia per lo studio del protocristianesimo (302-3)

1- Il compito è quello di analizzare le ragioni umane, consapevoli e non, alla base della dinamica di questa manifestazione culturale. Comporta riassorbire i fatti nella coerenza, consapevole e non, delle loro ragioni totalmente umane, rinunciando per principio (storiografico) ad ogni motivazione divina ed extraumana. Ricondurre ciò che apparve di origine divina alle coscienze dell'epoca, a motivazioni umane; mostrare la necessità storica di questo apparire di origine divina per le coscienze dell'epoca; dichiarare le inconsapevoli motivazioni umane. 2- Queste ricerche nascono da esigenze attuali: l'essere uomo nel protocristianesimo ed oggi sono dialetticamente collegati. 3- Il documento fondamentale è il N.T. La storia da ricostruire è quella della comunità cristiana e della chiesa. Gesù giunge a noi tramite le testimonianze, le attese, le interpretazioni, le reazioni della comunità. Il ricordo di Gesù parlante si collega alle elaborazioni di questo ricordo e alle reazioni comunitarie per la morte di Gesù e alle necessità per la comunità di collegare quel ricordo e questa morte. Il vero soggetto è la comunità rammemorante nella dinamica del rammemorare. Questo rammemorare ovviamente non risponde alle esigenze del "vero storico" ma a quelle della costruzione di un nuovo fenomeno culturale: il Cristianesimo. Dunque il compito non è autenticare i dati della memoria neotestamentaria ma ricondurre ogni momento e modo di questa memoria davanti al tribunale storiografico. 4- La memoria del NT costituisce una unità organica, svolgimento coerente di diversi momenti di costruzione che hanno significato insieme: la totalità verifica ogni momento e ogni momento accenna alla totalità. Questa memoria costruisce una unità dinamica che lo storico può sciogliere nella genesi reale. Alcuni momenti storici, "incidenti", particolari (morte di Cristo, rinvio del Regno) non spiegano l'atteggiamento complessivo di questa memoria nè la spiegano come se fossero cause naturalistiche e meccaniche di sviluppo. La qualità di questa memoria risulta dalla capacità di oltrepassare e riplasmare incidenti che potevano dissolverla o essere irrilevanti. Questo riplasmarli in un discorso unitario è possibile poichè‚ il discorso conteneva sin dall'inizio la volontà e la possibilità di accogliere e recuperare tali incidenti trasformandoli in argomento e verifica della nuova vitalità storico-culturale.

MARXISMO 423-445 Storicismo, fondo a disposizione, ethos del

Trascendimento

Storicismo e fondo a disposizione

(224-226) Commento a Marx: L'Ideologia tedesca. La premessa della storia è l'azione umana di soddisfacimento dei bisogni elementari. Senza questa azione permanente e rinnovantesi non c'è storia, uomo, società, natura: non c'è nulla. Lo stesso mondo sensibile è un insieme di attività umane sedimentate (= storia) che formano l'appaesamento e gli ambiti, limiti e possibilità delle nostre azioni. La natura è il risultato anche essa di questo lavoro umano di definizione e costruzione: ogni elemento naturale vive solo entro un legame sociale di significati costruito dalle generazioni. Il confine naturale-artificiale varia storicamente (epoche, classi, culture...) e dipende dalla plasmazione storica. La stessa scienza della natura è una costruzione storica e nessun argomento è ricavabile dalle scienze a dimostrazione dell'esistenza di una natura in sè. La natura è inclusa nell'attività sensibile. Tuttavia a volte Marx presenta delle ambiguità e parla di una natura che precede la storia (materialismo dialettico e DiaNat): caduta nella metafisica. (427) Il mondo sensibile dato è il risultato del millenario lavoro di appaesamento: "Percorsi, limiti e resistenze, che stanno ora come "condizioni date", come corpi estesi, come oggetti, racchiudono il risultato di un'attività umana e formano il documento storico di un precedente innestarsi di questa attività su altre condizioni, senza che nel regresso fra operatività e condizioni sia mai possibile uscire dal rapporto umano-naturale per cogliere una "natura in sè", prima dell'uomo e indipendente da esso in senso assoluto".

Ethos del trascendimento

(427-9) Il marxismo come ethos del trascendimento che si vergogna. Cita Marx dall'Ideolog. Ted. Gli uomini hanno una storia perché‚ devono (mussen) produrre vita. Questo dover produrre vita è considerato una ovvietà, una attività fisiologica. Al contrario è il principio trascendentale che opera il trascendimento, il distacco dalla natura e la produzione dei valori che rendono possibile la vita materiale e comunitaria: non un mussen ma un sollen. Senza questo principio il distacco dalla natura e l'inizio della storia rimarrebbero incomprensibili. (431) Il materialismo dialettico (degenerazione positivistica dovuta soprattutto ad Engels) riduce tutta la sovrastruttura a struttura economica. Ma l'attività l'attività umana in senso trascendentale (ethos del trasc.) che è condizione di ogni operare non è riconducibile all'economico. L'ethos del trascendimento della vita (e della natura) è trascendentale in due sensi: 1) è il principio di intellegibilità della realtà umana; 2) è l'ideale regolativo dell'inesaurabilità del processo di trascendimento e valorizzazione. Esso è attivo anche senza consapevolezza o se è mascherato. Le varie epoche e culture giungono a determinate forme di consapevolezza di questo ethos mediante l'ordine sociale ed economico, le varie forme della cultura e i vari sistemi simbolici. Se anche le rivoluzioni (politiche) sono condizionate dal maturarsi delle condizioni economiche e sociali di base, il mutamento non è prodotto automaticamente e non è garantito: l'ethos, la forza morale, può o meno approfittare della possibilità concreta.

(433-4) L'alienazione in Marx è duplice: del prodotto del lavoro (che diventa estraneo e opposto al lavoratore) e dell'azione del lavoro (proprietà di altri): da entrambe sorge l'estraneazione dell'uomo a se stesso e agli altri. L'andar oltre, che è in Marx l'essenza dell'uomo come attività, non si identifica però con l'utilizzazione, che come tale presuppone già coraggio, progetto comunitario, coerenza che sono oltre la mera soddisfazione del bisogno (vitalità) e che da origine ad ulteriori progettazioni comunitarie. Il principio di base che rende intellegibile l'utilizzazione è l'ethos del trascendimento. La riduzione della attività essenziale dell'uomo alla soggettività economica è il limite del marxismo. Nondimeno l'attività economica ha comunque una posizione privilegiata poiché‚ è la testimonianza inaugurale con cui si manifesta il dover esserci nel mondo che è la produzione dei beni materiali.

(437-9) Senza ethos che trascende trasformando la natura ed "appaesandola", senza attività che produce e dona senso, sarebbe solo il caos. Cita Gramsci (438): "Se si immagina che non esiste l'uomo non si può immaginare la lingua ed il pensiere": oltre rimane solo il nulla, il caos. Ma la prassi di Gramsci (e l'attività sensibile del giovane Marx) non è intellegibile senza il principio dell'ethos (del trascendimento) valorizzante (al di là, prima e oltre, del semplice economico). Questa assenza porta al mitologismo di una fine della storia.

APOCALISSE OCCIDENTALE

Apocalisse (466-600)

L'apocalisse è il crollo totale e senza riscatto del fondo a disposizione. Estraneamento di sè e degli oggetti. Nel caso dell'Occidente è idoleggiamento, espresso soprattutto da letterati ed artisti, del privo di senso e del contingente. Le cose, il mondo, si perdono; oppure l'individuo si perde nel mondo e nelle cose. Idoleggiamento irrazionalistico del nula. Malattia degli oggetti o dell'individuo. Naturalmente vi è sempre una reazione ma il permanere di questo tema è significativo.

506-7: Rimbaud.

Impossibile il soggiorno in ciò che è terreno. Si cerca di approfondire il senso della realtà prima del rapporto alienato costituito dalla cultura. Si cerca la "libertà" delle cose in sè e se la banalità quotidiana è l'ordine allora la libertà è il caos. Ma questo è indicibile e travolge la parola e la possibilità stessa di dirlo. E' la pretesa di narrare la non storia. La poesia è vaticinio: oltrepassa determinati ambiti storici dell'utilizzazione e del dire ma non l'utilizzabile e il dicibile come tale. La pretesa di raggiungere le cose nella "terribile libertà" della loro essenza originaria quando ancora non servivano a nessuno è assurda. Le cose, se appartengono ad un mondo, appartengono ad una storia culturale, alla sfera dell'utilizzazione, al progetto comunitario dell'utilizzabile. La stessa pretesa di raggiungere le cose nella loro essenza, prima di ogni rapporto, è condizionata culturalmente ed è espressione della crisi dell'utilizzabilità borghese.

514-26 Lawrence

La critica al naturalismo e allo scientismo mostra la superficialità, disumanità e scarsità di significato di questi in nome di una partecipazione vibrante alla vita. Tuttavia la sua consapevolezza, la coscienza che la ragione ha di sé, coincide con la coscienza dell'intelletto e delle operazioni proprie di questo: siamo ancora nella crisi e nella decuratazione dell'essere umano. L'andar oltre (eth. d. trascend.) coincide con una più ampia ragione che oltre la coerenza del conscio scopre quella dell'inconscio e oltre la potenza operativa dell'intelletto le varie potenze della vita culturale ciascuna dotata di coerenza propria. Questa razionalità articolatrice e legittimatrice di coerenze culturali è la regola interna della prassi ed il fondamento che non può essere ulteriormente trasceso. Azioni, simboli, istituti, sono tutti dentro questa energia primordiale umana. Il più alto sforzo è riconoscersi esplicitamente e crescere tramite la coscienza di questo riconoscimento. La crisi è quando la ragione, spinta dai successi di una particolare potenza (es. scienza) si appiattisce intellettualisticamente su questa potenza.