Prefazione 

 

 

I ghiacciai sono spesso definiti come le acque "immobili" della Terra . Tuttavia tale definizione è soltanto apparentemente corretta . Infatti, se è vero che le zone coperte dal ghiaccio, come le vaste calotte della Groenlandia e dell’Antartide così come le distese che si trovano a ridosso delle più alte vette montuose di tutti i continenti (ad eccezione dell’Australia dove non esiste alcun tipo di ghiacciaio), possono apparire a prima vista come statici deserti gelati privi di vita (tranne che per batteri e spore invisibili) caratterizzati da un’imponente immobilità, è pur vero che, osservando e studiando più a fondo il fenomeno dei ghiacciai nei vari aspetti, ci si può rendere conto come essi non siano affatto "immobili", ma abbiano invece effettivamente una propria complessa dinamica, sia se ci limitiamo ad esaminare contenuti intervalli di tempo relativi ad osservazioni attuabili ai nostri giorni, sia se andiamo a considerare periodi geologici passati. L’insieme degli studi sui ghiacciai ci dà la possibilità di acquisire sempre maggiori conoscenze sulle cause dei cambiamenti avvenuti nel tempo relativamente al nostro pianeta, alle forme di vita su di esso e all’evoluzione dell’uomo, nonché la possibilità di comprendere sempre meglio l’influenza che i ghiacciai hanno anche al momento attuale, poiché si tratta di sistemi in un certo senso "viventi" che si formano, si muovono e che interagiscono a breve e a lungo termine con i vari fenomeni della Terra nel suo complesso (terre emerse, acque dolci, acque salate e atmosfera), specialmente per quanto riguarda il loro potere equilibrante del clima rappresentando in effetti veri e propri "serbatoi di freddo a capacità variabile".

 

1 - CARATTERISTICHE GENERALI DEI GHIACCIAI

Storicamente possiamo affermare che si cominciò ad approfondire lo studio dei ghiacciai a seguito del nascere dell’idea che sulla Terra, in ere precedenti, i ghiacciai fossero per numero e per estensione ben maggiori di quelli attuali, cioè quando osservatori locali (per lo più pastori, cacciatori e boscaioli) verso la fine del 1700 avevano notato in alcune regioni svizzere la presenza di massi rocciosi che apparivano estranei al contesto paesaggistico e che successivamente furono scoperti avere composizione differente dalle rocce tipiche del posto di ritrovamento, ma che sembravano piuttosto appartenere a formazioni rocciose molto lontane. Inoltre molti affioramenti rocciosi presentavano superfici levigate e graffiate simili a quelle sicuramente erose dall’azione dei ghiacciai visibili a quote più elevate nelle parti delle valli ancora coperte da ghiacci. Quindi, escludendo la possibilità del trasporto dei massi e dei residui dovuto a fiumi o torrenti, circolava ufficiosamente l’idea di una precedente maggiore estensione di ghiacciai che avrebbero causato direttamente il trasporto dei massi suddetti, fino a quando fu pubblicato in Svizzera uno scritto che interessò vivamente James Hutton, medico e proprietario terriero scozzese, il "padre della geologia" il cui motto era "nel presente risiede la chiave del passato" che riassume la dottrina oggi detta "uniformismo" o "attualismo ", tuttora dominante il pensiero geologico ( gli stati passati della Terra non sono fondamentalmente differenti da quello attuale, non essendoci bisogno di ricorrere alla spiegazione delle catastrofi per comprendere i vari fenomeni, in quanto la storia della Terra è fatta di trasformazioni graduali e ininterrotte, ed è quindi sufficiente studiare i processi che si possono osservare quotidianamente). Il viaggio del 1795 di Hutton nella regione svizzera del Giura vicino a Neuchâ tel, lo convinsero completamente che i blocchi di granito dovevano essere stati trasportati da ghiacciai della catena alpina che in passato si sarebbero estesi per 100 Km al di fuori delle Alpi verso nord. Però i successivi scritti di Hutton non vennero presi in considerazione dagli studiosi del tempo perché quell’ipotesi avrebbe rivoluzionato le teorie del tempo, implicando che la Terra fosse molto più vecchia di quello che allora si riteneva. Il mondo scientifico del resto continuava a sostenere ufficialmente che la presenza dei suddetti massi estranei fosse stata originata da catastrofi, quali enormi inondazioni, facendo specifico riferimento al "diluvio universale".

Successivamente, nella prima metà del 1800, su invito di alcuni studiosi locali che avevano ripreso le conclusioni derivanti dalle osservazioni eseguite anche da gente comune, il naturalista svizzero Jean Louis Agassiz, dopo un primo periodo di forte scetticismo, ma dopo successive personali osservazioni sui massi e detriti nonché sui movimenti dei ghiacciai in generale, formulò ufficialmente la nuova ipotesi dedicando poi la restante parte della sua vita, specialmente dopo il suo trasferimento all’università statunitense di Harvard, nel tentativo di convertire il mondo scientifico a tale ipotesi, avvalorandola con ulteriori evidenze relative alla morfologia di molti luoghi e paesaggi caratterizzati dalla presenza di enormi massi isolati, profondi solchi scavati nella roccia e depressioni in zone pianeggianti, chiare conseguenze di ghiacciai ormai scomparsi.

 

- Generalità dei ghiacciai

E’ possibile classificare i ghiacciai nelle seguenti due grandi categorie:

 

 

I ghiacciai locali sono formazioni allungate di neve ghiacciata progressivamente accumulatasi immediatamente sotto elevati picchi montuosi. Tali formazioni di ghiaccio, che possono essere alte centinaia di metri e lunghe anche molti chilometri, avanzano con velocità di anche qualche metro al giorno sino a raggiungere zone situate a quote inferiori dove, assottigliandosi progressivamente, scompaiono sciogliendosi e dando origine a tanti ruscelli.

I ghiacciai regionali (o continentali o polari o comunemente detti "inlandsis") si sono formati alle latitudini polari boreali a causa delle precipitazioni nevose avvenute nel corso di migliaia di anni. La neve accumulata infatti si è di volta in volta trasformata in ghiaccio coprendo quasi tutte le terre emerse polari con uno spessore da 2 fino a 5 Km, lasciando scoperte solamente le vette più alte dei rilievi.

Alcuni di questi ghiacciai, scendendo fino al mare, formano pareti a picco quasi continue con possibilità di distacco di grossi blocchi, altri ghiacciai, avanzando attraverso strette valli, si possono pure frantumare in grossi blocchi.

Questi blocchi, destinati ad andarsene alla deriva, sono detti iceberg e sono distinguibili in iceberg artici, che si formano per distacco di blocchi di ghiaccio dalle lingue dei ghiacciai locali di tipo vallivo (V. paragrafo relativo alla morfologia dei ghiacciai) che scendono fino al mare, e in iceberg antartici, molto più estesi e con sommità piatta, formatisi dal distacco dalla barriera dell’immensa distesa glaciale continentale che arriva sino al mare . Nella formazione degli iceberg ha naturalmente importanza fondamentale l’azione del mare, sia con le sue correnti sia con l’oscillazione del proprio livello e della propria temperatura. Gli iceberg antartici possono raggiungere dimensioni enormi, con altezze anche di 300 m ed estensioni sorprendenti; per esempio nel 1956 ne venne individuato uno con una superficie di 32 000 Km2, un’isola galleggiante più grande della Sicilia.

E’ bene specificare chiaramente che quando si parla di ghiacciai si intendono sempre formazioni glaciali di acqua dolce derivate da accumulo di precipitazioni nevose. Nelle regioni polari avviene anche il congelamento dell’acqua marina con la formazione di campi di ghiaccio (icefield) che per disgelo si frantumano in lastroni (banchisa o pack) che sono quindi leggermente salati e che raramente raggiungono spessori superiori ai 2 m, potendo raggiungere al massimo i 6 m considerando anche le precipitazioni nevose sovrastanti. Anche i grandi laghi posti alle alte latitudini possono gelare e produrre un ghiaccio dolce, il quale non deriva da accumulo di precipitazioni nevose e, come la banchisa, presenta spessori relativamente piccoli.

Quindi gli iceberg sono sempre formati dal ghiaccio di ghiacciai, e quindi si tratta di formazioni glaciali di acqua dolce. Questo tipo di ghiaccio è più pesante di quello normalmente conosciuto, essendo molto compresso, tanto che gli iceberg sono per i 5/6 immersi nel mare. Come curiosità si può ricordare che in certi paesi, come in Alaska, nella prima metà del novecento quando non era ancora sviluppata l’industria del freddo, veniva talvolta sfruttato il ghiaccio degli iceberg per uso anche domestico e che, in considerazione della qualità dovuta alla mancanza di salinità e al peso specifico dovuto alla compressione originaria che consente una maggiore resa in termini di più lento scioglimento e di migliore utilizzo, più recentemente si è addirittura sviluppato un progetto, finora non realizzato ma comunque teoricamente possibile, che prevede di rimorchiare alcuni iceberg fino alle coste di zone aride per sfruttare al meglio quelle masse di acqua dolce altrimenti inutilizzate.

 

- La linea delle nevi persistenti

I ghiacciai si trovano in quelle regioni o a quelle altitudini ove la percentuale di neve caduta nel corso dell’anno è superiore a quella che si scioglie durante l’estate. L’altitudine al di sopra della quale le nevi permangono per tutto l’anno viene detta limite delle nevi persistenti e varia prima di tutto con il variare della latitudine e in secondo luogo a causa di fattori locali; infatti perché tale fenomeno avvenga è necessario un clima particolarmente rigido e questo è causato dalla temperatura dell’atmosfera che diminuisce con l’aumentare della latitudine e della altitudine.

Praticamente si può dire con buona approssimazione che sopra al suddetto limite la temperatura rimane a 0o C o è inferiore, per cui le precipitazioni sono soltanto nevose e il sole non riesce mai a sciogliere completamente la neve caduta durante la stagione fredda. Evidentemente alle alte latitudini (zone polari) il limite delle nevi persistenti si trova addirittura al livello del mare, mentre spostandosi verso l’equatore tale limite si eleva sempre più e, per trovare neve anche d’estate, occorre elevarsi di qualche migliaio di metri. Per esempio sui monti della Scandinavia il limite delle nevi persistenti si innalza già a 1500 m di altitudine, sulle Alpi si trova a 2800 m e nelle regioni equatoriali, sul Kilimangiaro in Africa, raggiunge quasi i 5600 m.