3 - IL MOVIMENTO DEI GHIACCIAI

Un ghiacciaio si muove a causa dei seguenti fattori concomitanti:

 

I fattori più interessanti nello studio dei movimenti dei ghiacciai sono quelli intrinsechi e cioè quello della forza di gravità e quello della plasticità del ghiaccio, che comunque agiscono in modo combinato tra loro.

 

 

- La forza di gravità

L’effetto della forza di gravità è particolarmente evidente per quanto riguarda le lingue dei ghiacciai locali con bacini di ablazione a forte pendenza; infatti la forza di gravità è tanto maggiore quanto maggiore è la pendenza del terreno e quanto più grande è lo spessore della massa glaciale, per cui ne risulta un flusso verso il basso più o meno veloce. Tutto ciò è riscontrabile sperimentalmente mediante un’operazione che prevede di piantare dei pali in senso perpendicolare alla direzione di scorrimento del ghiacciaio e di osservarne la differente dislocazione (pali spostati più in basso e disposti ad arco convesso verso la valle) dopo un certo periodo. Per il tipo di ghiacciai suddetti si riscontra che la velocità delle lingue glaciali, per ragioni di attrito, è massima alla superficie e al centro, mentre è minima in prossimità del substrato roccioso e ai lati, analogamente a quanto avviene per un fiume. Vedremo in seguito come lo studio del fenomeno della plasticità del ghiaccio concorra a comprendere e a descrivere il movimento e la sua velocità, alle varie profondità all’interno di un ghiacciaio.

La suddetta operazione di picchettaggio consente anche di misurare la velocità dei ghiacciai, permettendo di quantificare due dei succitati fattori ("stagioni" e "variazioni climatiche"). Infatti, a parità di inclinazione dei pendii, la velocità di scorrimento risulta maggiore durante l’estate e dopo inverni particolarmente nevosi.

Le velocità di spostamento di un ghiacciaio varia generalmente da 2-3 cm fino a 1 m al giorno, anche se si riscontrano casi di ghiacciai che alternano periodi di spostamenti molto rapidi (anche oltre i 100 m al giorno) ad altri con spostamenti molto lenti.

 

Nel suo movimento verso il basso a causa della forza di gravità un ghiacciaio, nonostante le sue caratteristiche plastiche, quando incontra un brusco salto di pendenza o delle pronunciate asperità può subire nella massa della sua lingua glaciale delle frantumazioni che possono essere di piccole dimensioni oppure che possono originare baratri profondi anche fino a 40 m, detti crepacci. A seconda della loro direzione ed ubicazione i crepacci possono essere trasversali o longitudinali e marginali o terminali; talvolta incrociandosi possono formare dei sistemi di fratture che dividono il ghiacciaio in blocchi, chiamati seracchi.

 

- La plasticità del ghiaccio

L’effetto della plasticità del ghiaccio è particolarmente importante nello studio dei movimenti dei ghiacciai regionali (inlandsis) e ghiacciai locali posti su superfici poco inclinate, per i quali la pressione dovuta al peso dei ghiacci fa fluire verso l’esterno le masse più profonde provocando un’azione di stiramento (analogamente a quanto avviene in una pressa che comprime un materiale plastico che, libero al contorno, schiacciandosi si deforma espandendosi); per questo motivo la velocità risulta più accentuata alla base dei ghiacci in prossimità del letto (dove le forze di compressione dovute al peso della massa sovrastante sono naturalmente maggiori), piuttosto che in superficie.

 

Analizziamo più a fondo il fenomeno della plasticità del ghiaccio.

Il ghiaccio si comporta in prima approssimazione come un liquido ad alto indice di viscosità, per cui la sua plasticità è un fenomeno molto importante, oltre che nello studio dei movimenti degli inlandsis, anche per uno studio più approfondito del fenomeno completo del movimento delle lingue glaciali dei ghiacciai locali posti su pendenze lievi ma anche di quelli ad elevate pendenze.

 

Come già descritto a proposito della formazione di un ghiacciaio, le molecole d’acqua costituenti il ghiaccio (ciascuna costituita naturalmente da due atomi di idrogeno ed una di ossigeno: H2O) sono generalmente disposte in gruppi fondamentali di sei, con gli atomi di ossigeno di ciascun gruppo collegati a formare un esagono. Gli esagoni sono collegati tra loro da forze abbastanza elevate, dando origine a varie possibili forme disposte in un piano come in un foglio. I vari "fogli" sono sovrapposti uno all’altro come in un libro e sono legati tra loro tramite gli atomi di ossigeno, però mediante forze più deboli delle precedenti. E’ proprio questa differenza nella forza dei legami che conferisce al ghiaccio le interessanti proprietà meccaniche che influenzano il comportamento sia dei ghiacciai di montagna, sia delle distese di ghiaccio. Infatti in entrambi i casi, se immaginiamo un cubetto di ghiaccio all’interno di un ghiacciaio dobbiamo concludere che esso è sottoposto a uno sforzo di taglio, generato da forze di trazione non complanari che tendono a sfaldare il cubetto stesso. Infatti, nel primo caso (ghiacciaio su una forte pendenza), lo sforzo di taglio è generato dalla rilevante componente della forza di gravità pensabile applicata nel baricentro della faccia superiore del cubetto e diretta verso il basso parallelamente alla direzione del pendio, forza che viene contrastata dalla forza opposta applicata alla base del cubetto stesso e che tende a vincolarlo a tutta la massa di ghiaccio. Nell’altro caso (distese quasi piane di ghiaccio come gli inlandsis oppure ghiacciai locali a ridotta pendenza), lo sforzo di taglio è originato dall’effetto dell’enorme pressione dovuta a tutto il peso della massa sovrastante che, causando sforzi di compressione verticali, provoca comunque forti deformazioni orizzontali con notevoli componenti tangenziali che esaltano ulteriormente le deformazioni con le azioni di stiramento del materiale ghiacciato che si trova in profondità, come più sopra accennato.

Contrariamente a quanto avviene per esempio in un metallo piuttosto rigido dove a causa di notevoli sforzi di taglio si innescano fratture con inevitabile slittamento relativo delle parti, col risultato che le altre zone devono sostenere tutto lo sforzo con conseguente innesco progressivo di altre fratture sino al completo collasso, nel ghiaccio si ha che quando i legami fra gli atomi si rompono, quasi immediatamente si riformano in quanto gli atomi cambiano sistematicamente i rispettivi compagni formando nuovi legami. Si determina così il fenomeno della "deformazione plastica ", che spiega anche il motivo del lento fluire dei ghiacciai lungo i fianchi delle montagne.

Fra le sostanze plastiche il ghiaccio occupa un posto molto particolare, perché la sua velocità di deformazione e di collasso aumenta molto rapidamente all’aumentare dello sforzo di taglio. Infatti è possibile fare un esperimento con piramidi di cubetti, ciascuna costituita da un materiale plastico differente dalle altre; i tempi impiegati dai cubetti sovrapposti, di dimensioni decrescenti, per inglobarsi amalgamandosi uno nell’altro sotto l’azione della deformazione plastica provocata dal proprio stesso peso saranno differenti a seconda del materiale (per il ghiaccio anche quattro volte più delle comuni materie plastiche). Infatti, mentre per queste ultime raddoppiando le dimensioni il tempo di collasso viene a dimezzarsi, nel ghiaccio si riduce ad un ottavo, secondo una legge sperimentale (legge di Glen). Quindi il ghiaccio si indebolisce molto rapidamente all’aumentare dello sforzo di taglio. Questa proprietà è responsabile di gran parte del drammatico comportamento dei ghiacciai di tipo alpino (cedimenti improvvisi su tratti dei bacini ablatori particolarmente ripidi, con possibilità di valanghe di ghiaccio).

Consideriamo un ghiacciaio alpino di spessore uniforme a contatto con un substrato irregolare ma con pendenza uniforme. E’ ovvio che le forze derivanti dal peso del ghiaccio sono maggiori sul fondo del ghiacciaio; questo significa che se immaginiamo un piano parallelo al substrato all’interno del ghiaccio, lo sforzo di taglio sarebbe molto maggiore se il piano fosse scelto in profondità piuttosto che in superficie. Secondo la legge di Glen quindi, la deformazione plastica sarebbe molto più rapida alla base del ghiacciaio che non sulla superficie, come anche si è potuto misurare sperimentalmente su ghiacciai alpini.

Nella figura 3.1 è illustrato come la velocità di movimento di un ghiacciaio di tipo alpino (come esempio è stato preso il ghiacciaio Athabasca in Canada verso la costa del Pacifico) vari in funzione della profondità misurata. Il ghiacciaio dell’esempio ha uno spessore di 200 m e un’inclinazione di circa 8°. Come si può constatare dal grafico, i 100 metri superiori di ghiaccio si muovono tutti verso valle ad una velocità di circa 30 metri all’anno, mentre lo scivolamento, a contatto con l’irregolare substrato, è molto più lento, non superando i pochi metri all’anno. Tuttavia si può constatare che lo scivolamento avviene praticamente a causa dei 100 m inferiori, anzi in particolare, quasi completamente, a causa dei 50 m basali e ciò in accordo alla legge di Glen. In generale, si conclude che i ghiacciai alpini si muovono verso valle in gran parte a causa di un flusso plastico che si verifica nel ghiaccio stesso, e non per sfregamento contro le asperità del substrato.

Se prendiamo un altro esempio, come il South Cascade Glacier negli Stati Uniti, anch’esso ubicato lungo la costa nord-occidentale del Pacifico, notiamo che ha uno spessore di circa 100 m (quindi la metà del caso precedente) e ha anch’esso un’inclinazione di 8° e condizioni analoghe di temperatura. Tuttavia la sua velocità media in superficie è di soli 8 metri all’anno, cioè circa ¼ della velocità dell’Athabasca; infatti il minore spessore del ghiaccio determina uno sforzo di taglio inferiore vicino alla base del ghiacciaio.

E’ stato calcolato, applicando con altre considerazioni la legge di Glen, che ad un aumento di 10 volte dello spessore, partendo da 200 m per arrivare ad un teorico ghiacciaio spesso 2000 m, si avrebbe un aumento della velocità di ben 10 000 volte, cioè circa 360 000 metri all’anno corrispondenti a 1000 metri al giorno. E’ chiaro che i ghiacciai alpini non possono avere una tale velocità in quanto non esistono bacini collettori tali da alimentare bacini ablatori tanto spessi (i loro spessori sono limitati infatti a qualche centinaio di metri, ben inferiori ai 2000 m dell’esempio teorico). Tuttavia, se consideriamo un ghiacciaio polare, come il Beardmore che attraversa le montagne transartiche, lungo 200 Km e largo 23 Km, che fluisce verso la piattaforma di ghiaccio di Ross, notiamo che ha uno spessore di 2000 m; la sua inclinazione però è di soli 0,8° (cioè 1/10 dei precedenti) e la sua velocità risulta essere di solo 1 m al giorno, contro i 1000 m al giorno relativi all’inclinazione teorica di 8° dell’esempio teorico. Infatti risulta molto evidentemente che lo sforzo di taglio rispetto ad un piano parallelo al pendio è direttamente proporzionale all’inclinazione del pendio stesso e quindi anche la velocità di scivolamento diminuisce bruscamente al diminuire della pendenza. Naturalmente se esiste un pendio anche lieve, il ghiaccio può fluire per distanze anche grandi, tuttavia date le immense forze dovute al peso delle masse glaciali il movimento avviene anche in contropendenza, come per esempio succede nelle depressioni della Groenlandia e dell’Antartide causate dalle calotte glaciali stesse.

 

- Limiti di avanzamento di un ghiacciaio

Come già descritto a proposito della morfologia, in alcune regioni i ghiacciai nel loro avanzare possono giungere sino al mare con successiva formazione di iceberg, oppure, come avviene per la maggior parte dei casi, i ghiacciai avanzano verso il fondovalle dove la temperatura è in media più elevata, per cui un ghiacciaio si assottiglia in conseguenza dei fenomeni di fusione ed evaporazione. Il ghiacciaio termina con la cosiddetta fronte del ghiacciaio, raggiungendo il suo spessore minimo in quanto la fusione della massa di ghiaccio si compie con la medesima velocità con la quale esso si muove. Il fronte del ghiacciaio resta più o meno sempre nella stessa posizione, almeno fino a quando fusione e velocità di spostamento rimangono sincronizzati. Però, dopo inverni caratterizzati da abbondanti nevicate, la massa ghiacciata esercita sugli strati inferiori una pressione tale da causare velocità di avanzamento tali da provocare il superamento dell’abituale traguardo di fronte. Viceversa può avvenire una regressione del fronte stesso in estati particolarmente calde, quando la fusione risulta più veloce del normale.

 

- L’azione di erosione di un ghiacciaio

Un ghiacciaio di tipo vallivo, come i fiumi e come ogni massa in movimento sulla superficie terrestre, esercita un’azione di morfogenesi con erosione e trasporto di materiale detritico.

Sul potere erosivo dei ghiacciai sono state emesse teorie differenti e discordanti.

Così la teoria ultraglacialista indica nei ghiacciai i più attivi tra tutti gli agenti erosivi. I grandi ghiacciai avrebbero eroso profondamente il paesaggio, indipendentemente da qualsiasi azione precedente, cancellando ogni traccia del rilievo preglaciale.

La teoria antiglacialista invece si basa sull’osservazione che i ghiacciai attuali erodono molto lentamente, anzi in molti casi sembrano proteggere il rilievo. In pratica il ghiacciaio non sarebbe visto come come un valido agente di erosione, ma piuttosto come semplice agente trasportatore di materiali provenienti dall’alterazione termica dei versanti.

Vi sono poi teorie intermedie, che cercando di conciliare le due precedenti estremistiche, ammettono che i ghiacciai possono effettuare una certa erosione, ma soltanto nell’assecondare morfologie e situazioni precedenti. Una valle fluviale , per esempio, dalla tipica conformazione a " V " (dovuta all’azione erosiva delle acque del fiume concentratasi sul fondo del letto lungo una linea che continua ad approfondirsi), può essere più o meno rimodellata dal ghiaccio, e versanti che hanno già subito processi di degradazione per alternanze climatiche, o per cause chimiche o biochimiche, possono presentare materiali già alterati che facilmente possono essere trasportati dal ghiacciaio. Quando invece questo viene a contatto con roccia intatta l’erosione risulta molto rallentata e la morfogenesi meno efficace.

Evidentemente l’erosione glaciale è direttamente proporzionale alla pressione esercitata sul fondo e sulle pareti rocciose e quindi dipende dallo spessore della massa glaciale e dalla sua velocità.

L’insinuarsi del ghiaccio nelle fenditure e le azioni di fusione e di rigelo, conseguenti non soltanto a fattori termici, ma anche di pressione (aumentando la pressione il ghiaccio sgela per poi rigelare con l’allentamento della pressione), portano alla progressiva sconnessione e frantumazione della roccia.

Comunque i ghiacciai trasportano il materiale roccioso incoerente che riescono a staccare dalle pareti della valle nella quale si muovono. Questo materiale, che è molto vario per natura, forma e dimensione (da particelle simili a sabbia fino a enormi massi), agisce da abrasivo con risultati vari a seconda della sua granulometria.

Tra i materiali prodotti dell’azione di erosione di un ghiacciaio, che più propriamente è detta esarazione, sono da ricordare:

L’azione di erosione, dovuta allo sfregamento dei detriti asportati, lascia sulle rocce le caratteristiche striature, tracce che rivelano quale è stata in passato la direzione generale dello spostamento della massa glaciale. Se la roccia è relativamente tenera si hanno vere e proprie incisioni parallele di discreta profondità causate dai ciotttoli e detriti inglobati nel ghiaccio, in altri casi si possono rilevare solamente delle striature leggere che non sono altro che levigature causate dallo sfregamento esercitato dalla lingua glaciale.

Un altro prodotto dell’erosione è rappresentato dalle rocce montonate, dal tipico aspetto gibboso ed arrotondato, formatesi per l’attrito del ghiaccio che ha eliminato le principali asperità passando sopra spuntoni e rilievi rocciosi.

 

Anche i ghiacciai continentali asportano materiale roccioso incoerente e terriccio, con azioni di smussamento e levigazione delle rocce. Però i risultati di tali azioni sono differenti rispetto a quelli che si hanno nei ghiacciai vallivi. Infatti, mentre i ghiacciai vallivi aggirano alla base i picchi montuosi erodendoli e conferendo loro forme spigolose ed aguzze, i ghiacciai continentali scavano e allargano valli parallele al loro stesso movimento, in quanto nell’inglobare i rilievi delle regioni di appartenenza contribuiscono ad eliminare i picchi montuosi.

 

- Le forme glaciali

Le principali morfologie che normalmente vengono attribuite ad azione glaciale e che sono poco osservabili nei ghiacciai attuali, ma sono ben conoscibili nei luoghi già occupati da ghiacciai ora scomparsi, sono le seguenti:

 

Valli glaciali (o valli a " U ")

Per quanto riguarda le cosiddette valli glaciali (o valli a "U") è necessario fare la seguente precisazione. Le valli a "U" erano un tempo ritenute di esclusiva pertinenza glaciale, ma più recentemente questa affermazione è stata messa in discussione.

Era infatti generalmente ammesso che le valli con profilo a "V" fossero esclusivamente dovute ad erosione fluviale (a causa, come già accennato, del fatto che l’azione erosiva del fiume si è concentrata soprattutto sul letto lungo una linea che continua ad approfondirsi) e che le valli con profilo a "U" fossero dovute esclusivamente ad azione glaciale. E’ però necessario rilevare che molte vallate delle Alpi, dei Carpazi e del Caucaso, che hanno ospitato recentemente dei ghiacciai, presentano profili a "V" e che d’altra parte, in deteminate condizioni di clima caldo-umido o dove si compia una degradazione selettiva dovuta a diversa resistenza delle rocce, anche i fiumi scavano valli a "U".

Il problema non si presenta oggi definito. Si può dire che "generalmente" le valli che hanno subito un modellamento glaciale presentano un profilo a "U", ma che la loro escavazione non è dovuta al solo ghiacciaio, ma anche a fattori precedenti all’instaurarsi di questo, come la preesistenza di una valle fluviale a "V", allargata, approfondita e resa maggiormente inclinata dalla successiva presenza di un ghiacciaio. Non bisogna dimenticare inoltre l’azione successiva avvenuta in periodo postglaciale per opera delle abbondanti acque di fusione dei ghiacci.

Una caratteristica delle valli glaciali più ampie è la presenza di valli minori tributarie che risultano sospese (dette quindi valli sospese o pensili) e che formano con la valle principale dei pronunciati gradini di confluenza. Spesso da queste valli precipitano cascate molto belle. Neppure l’origine di queste è del tutto chiara, comunque si pensa a valli che ospitavano ghiacciai secondari a minore capacità erosiva rispetto a quella esercitata lateralmente dalla lingua glaciale del ghiacciaio principale che avrebbe causato quindi gradini di confluenza talmente alti da giustificare la configurazione sospesa di queste valli minori.

Spesso longitudinalmente nelle valli glaciali si notano dei tratti in contropendenza, detti ombelichi, che solitamente corrispondono ad affioramenti di rocce abbastanza tenere da essere state modellate in modo graduale ma non eliminate dall’azione del ghiacciaio. A questi tratti si alternano dossi, detti soglie, costituite da rocce più dure che hanno resistito meglio all’azione modellatrice del ghiacciaio, mantenendo una pendenza maggiore anche se con una forma arrotondata.

 

Circhi glaciali

Un circo glaciale è una depressione semicircolare o semi-ellittica, dominata a monte da pareti rocciose ripide e parzialmente sbarrata verso valle da una soglia rilevata. In passato i circhi erano imputati completamente ad azione erosiva glaciale, ma secondo le più moderne vedute avrebbero origine composita. Infatti la loro formazione sarebbe dovuta all’alternarsi del gelo e del disgelo della neve con escavazione e ripulitura della nicchia da parte del ruscellamento delle acque di fusione prima dell’instaurarsi del ghiacciaio, il quale però sarebbe responsabile di una azione di modellamento a seguito dell’azione di erosione da parte dei detriti. I circhi sono presenti per lo più alla testa del ghiacciaio e spesso sono riuniti in gruppi e talvolta sono occupati da laghetti.

 

Conche glaciali

Le conche glaciali non hanno pareti ripide come i circhi e risultano essere il semplice risultato dell’azione di scavo operata dalle acque di fusione di un ghiacciaio in corrispondenza di depressioni e cavità comunque preesistenti.

 

Piane di inlandsis

La morfologia delle regioni occupate nel Quaternario da inlandsis ora scomparsi ci dà un’idea dei processi di erosione che devono tuttora avvenire sotto l’enorme coltre di ghiaccio che ricopre la Groenlandia e l’Antartide. Dall’esame delle antiche piane di inlandsis risulta evidente che il ghiaccio erode soprattutto nel settore centrale della calotta glaciale, mentre le zone di accumulo dei detriti si trovano alla periferia, dove si rinvengono delle particolari morene di fondo e terreni caratterizzati da till (V. successivamente a proposito dei depositi glaciali) costituiti principalmente da materiali argillosi. Un chiaro esempio in proposito è fornito dal complesso scandinavo, in cui il rilievo delle zone interne, costituito da dure rocce cristalline, appare modellato in dolci forme collinari striate e levigate, mentre le zone periferiche, corrispondenti alla pianura polacca, risultano dall’attività di deposito del grande ghiacciaio quaternario.