Prima che la stagione morisse fredda

Portato sulle spalle da uno zéfiro

Mi sollevai per il cielo aurato

.....

Ha temprato il legno della viola

Per rafforzare sia il grave che l'acuto?

Ci ha curvato il ventre del liuto?

.....

Hai foggiato un modo così aereo

Da estrarre la foglia dalla radice?

Hai trovato una nube così lieve

che non sembri né nebbia né ombra?

Ezra Pound, The Pisan Cantos

Percorsi e problemi

Nel presentare brevemente il secondo numero di Altra Storia (sostanzialmente il terzo, perché il secondo è stato quello dell'estate scorsa dedicato monograficamente a Spagna '36) non ci possiamo esimere da alcune considerazioni.

Innanzitutto la forma un po' artigianale e provvisoria del bollettino, la sua mancanza di una periodicità regolare sono da addebitare, da una parte, a obbiettive difficoltà di natura tecnico-organizzativa-finanziaria, ma, dall'altra, alla scelta di uscire quando se ne danno le condizioni, ovvero quando gli stimoli ricevuti - siano esso il portato di una discussione interna o di materiali, testi, ricerche pubblicate da altri - ci inducono all'individuazione di un "percorso" interessante e inerente i temi e le problematiche che abbiamo dichiarato essere nostre nella presentazione del primo numero del bollettino.

Percorsi dunque di discussione e di analisi che si sono sostanziati (e si sostanzieranno) o in specifiche iniziative (come la rassegna "multimediale" su Spagna '36 dell'estate scorsa) o in filoni di ricerca (come quello sul ruolo degli anarchici genovesi e liguri nella Resistenza) o in "finestre" informative e di recensione di testi (come è stato per la proposta di rilettura di Montaldi) o in più d'una o in tutte le cose insieme.

Percorsi che implicano, comunque e sempre, problemi, a volte difficili o sgradevoli da affrontare. A quest'ultima categoria appartiene indubbiamente il dibattito sul revisionismo storico che affrontiamo su questo numero. Sgradevole non tanto perché il nocciolo delle rivisitazioni dei grandi avvenimenti e processi storici sia connotato essenzialmente in senso conservatore se non reazionario (Furet, Nolte, De Felice, ecc.) e dunque agli antipodi del nostro punto di vista, quanto piuttosto perché una delle propaggini di questi processi di revisione riguarda il nazismo e l'eliminazione degli ebrei nei lager. Che poi ben più che una propaggine si tratta in quanto cronologicamente il revisionismo olocaustico si manifesta in ambito storiografico ben prima di quello più generale che inerisce gli ultimi duecento anni di storia a partire dalla Rivoluzione francese.

Sgradevole, malsana, inutile è la contabilità dei morti e la discussione arida sulle modalità e gli strumenti tecnici dell'eliminazione. Sgradevole, puerile e inutile quella sulla volontarietà dello sterminio da parte dei nazisti: deportare e detenere milioni di persone in condizioni disumane manifesta un intento distruttivo e genocida che non può essere prodotto di circostanze peculiari ma progetto razionalmente perseguito. Infine sgradevole e discutibile utilizzare quella tragedia per far politica oggi in funzione dell'odierno dramma delle popolazioni palestinesi, come oggi si fa, da una parte e dall'altra, ribaltando le considerazioni sull'esistenza o la portata dello sterminio sul diritto o meno all'esistenza dello Stato d'Israele.

Perché dunque se ne dovrebbe parlare? E perché comunque se ne dovrebbe trattare se la maggior parte di chi ne parla, di chi ne discute è dichiaratamente di destra se non filo-nazista? Non c'è una risposta "forte", decisiva, altamente convincente. Ci sono tuttavia dei dubbi che non se ne possa tacere, che non si possa scavalcare il problema contrapponendo revisionismo colto e "nobile" (quello che rivaluta le rivolte dei contadini vandeani o le radici sociali del fascismo) a quello olocaustico filonazisteggiante, becero e criminale. Le nostre ragioni le diremo in "corso d'opera" ovvero nelle schede e nelle recensioni che alcuni di noi hanno curato su questo argomento - ciascuno dalla propria sensibilità culturale e politica. Una la anticipiamo subito: per non fare come gli struzzi, per non soggiacere al conformismo - se non in certi casi all'opportunismo e all'ipocrisia - che permea molti ambienti di sinistra quando c'è da trattare di argomenti "impopolari" rischiando magari la propria pilatesca "bell'immagine", perché non c'è nulla di cui non si possa parlare.

Completano questo numero del bollettino due "percorsi" già intrapresi (Spagna '36 con la trascrizione della conferenza di Abel Paz e Claudio Venza e la seconda parte della ricerca sugli anarchici genovesi nella Resistenza) e uno, ambizioso, che abbiamo intenzione di attivare: i grandi movimenti studenteschi degli anni '60/'70 introdotti dallo Zengakuren giapponese. In ultimo, la consueta rassegna delle pubblicazioni che riceviamo e a proposito della quale ci corre l'obbligo di una precisazione: abbiamo segnalato e segnaleremo tutte le riviste ricevute a prescindere dalla loro impostazione, ciò ovviamente non significa nulla in quanto a condivisione dei loro orientamenti.

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Conferenza di Abel Paz e Claudio Venza su "Spagna '36"

Genova Cornigliano - 14 giugno 1996

Claudio Venza: Volevo dedicare venti-trenta minuti sia al discorso d'inquadramento storico della situazione spagnola degli anni trenta, sia del ruolo, importante, determinante, secondo me, che ha svolto l'anarchismo in terra iberica.

Prima di entrare nel merito del discorso voglio dedicare questa conversazione al ricordo di un compagno di Genova, originario di Rovigno d'Istria, che è stato in Spagna e anzi che era già in Spagna nel 1931 all'epoca della Seconda Repubblica, che ha conosciuto il carcere nel periodo cosiddetto "progressista" dal 1931 al 1933. Questo compagno ha attraversato le vicende della rivoluzione e della guerra e quasi per caso è riuscito a portare la pelle in Italia, nell'isola di Ventotene dove è stato confinato nel 1941. Lì ha ripreso subito i rapporti con altri compagni e dal 1943, dopo l'otto settembre, ha partecipato alla Resistenza prima nella sua terra d'origine, in Istria, ma da lì ha dovuto scappare perché la situazione di conflitto e di tensione con i comunisti locali era talmente pericolosa che più volte era stato minacciato di morte. Parlo di Nicola Turcinovich, un compagno che ha dato moltissimo al movimento anarchico e libertario e all'intero movimento operaio, un compagno che è morto nel 1971. E' appunto nel ricordo suo e di altri militanti che hanno dato tutto alla causa dell'emancipazione degli oppressi, che voglio entrare nel discorso della situazione spagnola degli anni '30.

Una situazione in forte fermento, con grandi convulsioni sociali, come dicono gli spagnoli che usano questo termine di convulsiòn molto spesso. Una situazione sia economica che sociale di notevoli trasformazioni, in cui i conflitti politici erano sempre più radicalizzati, diventavano sempre più acuti e sempre più estreme erano le poste in gioco. Sempre più si evidenziava, in questa prima parte degli anni '30 fino al 19 luglio del 1936, il fatto che nel territorio spagnolo o avrebbe vinto una forza reazionaria di terribile restaurazione o avrebbe invece avuto campo libero di sperimentare le proprie idee un movimento operaio e contadino, in cui la presenza libertaria era fortissima a partire dalla I Internazionale.

La Spagna degli anni '30 costituisce un'eccezione nel quadro europeo. Già nell'Italia nel 1922, come tutti sanno, c'è il regime fascista. Nel gennaio del 1933 nel cuore dell'Europa industriale va al potere il nazismo e nel giro di pochi anni elimina tutto il movimento operaio e anche il movimento democratico. Il nazismo era stato apertamente sottovalutato sia dalla III Internazionale che dai partiti socialisti e comunisti in Germania. Difatti il nazismo arriva al potere anche grazie ai conflitti esistenti fra comunisti e socialisti. Il movimento operaio tedesco aveva sulla carta milioni e milioni di aderenti, quasi dieci, soprattutto organizzati nei sindacati socialdemocratici, ma nel giro di pochissimi mesi la sua esistenza viene addirittura cancellata dalla repressione del regime di Hitler. Negli anni '30 resiste solo una parte dell'Europa occidentale, la Francia dove si manifestano, a partire del 1935, le tendenze del Fronte Popolare e l'Inghilterra dove c'è un'alternanza al governo di laburisti e di conservatori; a parte questi due paesi e il Nord già nella seconda metà degli anni '30 l'Europa è dominata dalle forze reazionarie.

La Spagna invece resiste e la Spagna dimostrerà il 19 luglio del 1936 che solo un'iniziativa popolare di un movimento che era sempre stato criticato a livello europeo, dai grandi apparati socialisti perché giudicato troppo spontaneista, troppo disorganizzato, troppo atomizzato in tante realtà regionali, troppo individualista, ebbene questo movimento sarà in grado di bloccare un golpe, con pochissime armi, con molto entusiasmo e con grande determinazione e coraggio.

La Spagna degli anni '30, che si avvia in qualche modo con la Seconda Repubblica ad un periodo di progressismo, di riformismo, soprattutto nel primo biennio, dal '31 al '33, affronta dei problemi di carattere fondamentale. Il problema dei problemi è la questione agraria. Non c'è solo il latifondo, sistema di controllo della proprietà rurale, basato appunto su enormi proprietà e su una classe di proprietari sostanzialmente assenteista e immobilista, a caratterizzare la situazione rurale in Spagna ma in molte regioni, dalla Galizia alla Catalogna, si ritrova il cosiddetto minifundio, cioè la proprietà rurale minuscola, assolutamente insufficiente per il mantenimento della famiglia contadina.

I ceti politico-progressisti, repubblicani e socialisti in sostanza, che salgono al potere con la seconda Repubblica promettono di risolvere la questione agraria, avviano dei dibattiti nelle Cortes però ad ogni dibattito, ad ogni seduta essi indietreggiano di fronte alle pressioni politiche e alle prove di forza che i latifondisti sostengono nel paese. Infatti esiste una fortissima alleanza, un intreccio delle forze reazionarie. I latifondisti, l'esercito, la Chiesa costituiscono un blocco che vuole impedire ogni cambiamento reale della realtà spagnola. Ma un cambiamento profondo non è nemmeno voluto da questo ceto politico dirigente che si rende conto di avere un consenso sociale estremamente ridotto, essi rappresentano in pratica gli strati urbani progressisti ma la stessa realtà urbana in Spagna è abbastanza circoscritta. A parte Madrid, Barcellona, Valencia, Bilbao, gli altri centri sono piuttosto grossi borghi rurali che non delle città nel senso che di solito si attribuisce a questo termine. Ebbene essi promettono di dare la terra ai contadini. Si scontrano due tendenze, la tendenza dei repubblicani che avrebbero visto con favore la creazione di piccole e medie proprietà individuali e la tendenza dei socialisti che invece erano a favore di proprietà collettive. Essi assicurano, in un modo o nell'altro, di dare la terra ai contadini ma questo procedimento di espropriazione e di consegna della terra ai contadini perché la potessero effettivamente coltivare e quindi passare dallo stato di bracciante, completamente alla mercé dei padroni, allo stato di contadino che in qualche modo diventa coltivatore diretto, non si realizzerà. Non si realizzerà soprattutto perché questo ceto dirigente politico non vuole sfidare il blocco reazionario, non vuole mettere in gioco gli interessi dei latifondisti, i quali potrebbero appunto collegarsi con l'esercito, dispongono della copertura ideologica e culturale della Chiesa cattolica e potrebbero spazzare in breve tempo questo governo progressista. Perché in realtà l'unica, vera forza che potrebbe realizzare una riforma agraria vera e propria, che potrebbe risolvere il problema della proprietà immobilista e parassitaria sarebbe il movimento contadino insieme al movimento operaio. Per chiare ragioni di classe i governanti non vogliono dare troppa importanza al movimento operaio e contadino, anzi in alcune situazioni particolari per essi sarà più pericoloso un movimento contadino autorganizzato che non gli stessi conservatori reazionari raccolti attorno ai latifondisti.

Il caso che dimostra come la volontà della riforma agraria si esauriva in una serie di dibattiti retorici alle Cortes di Madrid, scoppia nel gennaio del 1933. In vari villaggi la popolazione insorge e dichiara il "comunismo libertario", stufa del proprio stato d'inferiorità e di sfruttamento. E' una popolazione che non è assolutamente subalterna dal punto di vista culturale anche se oppressa e sfruttata dal punto di vista economico e questa è una cosa di fondamentale importanza per capire cosa succederà poi nella rivoluzione del '36. Interviene ovunque la Guardia Civil, ma anche le Guardias de Asalto, cioè un corpo di polizia creato dalla Seconda Repubblica. In un piccolo villaggio andaluso, a Casas Viejta, una famiglia di contadini resiste all'ordine di arrendersi alla forza pubblica e le Guardias Civiles insieme alle Guardias de Asalto, che significa il vecchio apparato repressivo tradizionale dello Stato spagnolo insieme alla nuova polizia repubblicana, danno l'assalto agli ultimi resistenti isolati e incendiano le abitazioni. Si compie un massacro di contadini.

La Repubblica invece di dare la terra ai contadini da il piombo, cioè la repressione. Questo fa crollare tutte quelle attese che esistevano nel proletariato rurale e operaio spagnolo nei confronti della Seconda Repubblica e di questo ceto progressista. Quindi nelle elezioni del novembre '33 c'è un altissimo tasso di astensionismo, vince la destra e inizia il cosiddetto Bienio Negro, cioè un periodo repubblicano ma apertamente conservatore. Durante il Bienio Negro c'è l'insurrezione delle Asturie, la regione mineraria del nord in cui la UGT e la CNT (la CNT è il sindacato anarchico, l'UGT è il sindacato socialista) avevano raggiunto un accordo di collaborazione. Nel giro di pochi giorni essi riescono ad aver ragione delle guarnigioni della Guardia Civil e a proclamare una forma di autogestione proletaria. Questa è un'esperienza che dura quindici giorni, interviene l'esercito (che tra l'altro è guidato da un ufficiale ancora poco noto di nome Francisco Franco) e nelle Asturie ci saranno centinaia di persone, soprattutto minatori, uccise; migliaia di arrestati e di deportati e si raggiungerà un totale di circa 30.000 detenuti. Sarà proprio la richiesta dell'amnistia ai 30.000 detenuti che sarà appoggiata, alla fine del '35 - inizio del '36, dai partiti del Fronte Popolare che si costituisce sia per ragioni spagnole, sia per la pressione internazionale, soprattutto dell'Unione Sovietica e dei partiti comunisti dell'Europa occidentale. Ebbene il Fronte Popolare si presenterà alle elezioni con questa grande promessa di liberare 30.000 detenuti politici. Ciò permetterà al Fronte Popolare di vincere le elezioni del febbraio 1936 e quindi di avviare un nuovo periodo, un periodo estremamente frenetico, intenso.

Nei pochi mesi che vanno dal febbraio '36 al 18 luglio riprendono le occupazioni delle terre da parte dei contadini. Nell'industria gli operai dimostrano maggior volontà di far pesare la propria forza organizzata e in generale si prospetta un braccio di ferro di carattere definitivo.

Nel frattempo la Seconda Repubblica ha cercato di affrontare il problema dell'esercito, ma anche qui senza destituire i generali apertamente reazionari, per non suscitare una reazione di tipo corporativo contro questo ceto politico repubblicano. Ha affrontato il tema della Chiesa cattolica e anche qui, a parole, scegliendo una politica nettamente anticlericale ma andando a passi molto cauti quando si trattava di portare alle estreme conseguenze un discorso di ridimensionamento delle organizzazioni clericali che controllavano una parte considerevole dell'assistenza, della educazione e di altri settori legati ai servizi. Si può dire che l'unico problema che viene risolto dalla seconda Repubblica, già nel primo biennio del '31-'33, è la questione catalana. Comunque la Seconda Repubblica concede lo Statuto alla Catalogna nel '32 ed è uno Statuto che permette di consolidare nella regione più sviluppata, più moderna, più ricca della Spagna un forte consenso nei confronti dell'ipotesi repubblicana riformista ed innovatrice.

In questo quadro è fondamentale dire qualcosa sul ruolo dell'anarchismo in Spagna. Dirò brevemente qualcosa che mi sembra molto importante e cioè perché, secondo la mia analisi, l'anarchismo in Spagna trionfa sul marxismo. L'ipotesi marxista viene abbandonata dalle organizzazioni operaie e contadine per una serie di ragioni abbastanza evidenti. Marx e i suoi seguaci erano soprattutto degli industrialisti, degli operaisti esasperati. Per essi solo il proletariato delle grandi industrie era in grado di mettere in discussione, e poi di abolire, il sistema di sfruttamento capitalistico. Erano soprattutto dei politici parlamentari, soprattutto Engels, cioè predicavano, sostenevano l'utilità di organizzare dei partiti politici, di presentarsi alle elezioni e di cercare attraverso le vie istituzionali di migliorare le condizioni di vita delle classi oppresse. Ma erano soprattutto dei centralisti: il marxismo è quasi sempre stato, in tutte le sue varianti, un'organizzazione di tipo centralistico. Sono in pochi a prendere le decisioni di fondo e ai fedeli, ai seguaci, agli adepti, agli aderenti, agli iscritti viene chiesto un forte rispetto della gerarchia interna.

Questo discorso appariva come fortemente antitetico rispetto all'esperienza dei movimenti più avanzati in Spagna, già prima della I Internazionale: nei movimenti più avanzati erano molto diffuse le idee federaliste. Coloro che si ponevano il problema di trasformare la società spagnola pensavano ad una società comunque molto decentrata, basata sulle autonomie e sul patto federale. Il federalismo era già presente ai tempi della Prima Repubblica del 1873 ma già nei decenni precedenti era il pane quotidiano di tutti gli innovatori, di tutti quelli che volevano svecchiare la situazione.

L'anarchismo, oltre ad essere federalista, non aveva definito una sorta di gerarchia a proposito del soggetto rivoluzionario. Per gli anarchici era, e in qualche misura è, indifferente che sia l'operaio o il contadino, che sia l'una o l'altra categoria, limitandoci a questi due campi di lavoratori dipendenti, ad essere la parte fondamentale del cambiamento rivoluzionario. Inoltre l'anarchismo proponeva la via dell'azione diretta rifiutando ovviamente la via dell'azione parlamentare.

In Spagna, sia per un sostrato culturale di carattere federalista, sia per l'evidente corruzione che lo Stato spagnolo applicava a tutte le pratiche elettorali e sia per la diffusione di una popolazione prevalentemente rurale, il marxismo viene praticamente emarginato fino alla fine del secolo all'interno del movimento operaio più o meno organizzato. Solamente con l'inizio del XX secolo c'è ad esempio il primo deputato socialista, Pablo Iglesias, che si fa eleggere alle Cortes con l'appoggio dei repubblicani. Non è nemmeno un candidato che vince a nome del PSOE che era stato creato nel 1879.

E' importante considerare che il carattere popolare dell'anarchismo ha due regioni in cui si manifesta in modo apparentemente contraddittorio, in realtà complementare. Da un lato l'Andalusia, la regione più africana, più arretrata, più rurale in cui i campesinos, cioè i contadini, sono estremamente sensibili ad un discorso di creazione di una nuova società. Nei grossi borghi rurali la gente vive già una situazione di estraneità e di inimicizia nei confronti dello Stato. Lo Stato arriva per sottrarre i giovani, attraverso il servizio militare, alle necessità della campagna e quindi al sostegno familiare, o lo Stato arriva con l'agente delle tasse.

Al tempo stesso, ad esempio nei borghi rurali, il problema della cultura e della conoscenza è un problema fortemente sentito. I braccianti che lavorano 10-12 ore al giorno si ritrovano alla sera e nei circoli culturali del sindacato cercano di imparare a leggere e a scrivere. Essi vedono nelle capacità culturali minime, come quelle dell'alfabetizzazione, un rafforzamento delle loro possibilità di emancipazione e c'è una grande attesa, una grande speranza che attraverso la diffusione del libro, del giornale, si possa capire come funziona questo apparato complesso e complicato che li fa soffrire dalla mattina alla sera. C'è anche una grande attesa, una grande determinazione, essi pensano che sia possibile uno sbocco rivoluzionario.

L'altra regione in cui l'anarchismo ha solidissime radici è la Catalogna, la regione più europea, la più ricca, sia per i commerci che per le industrie, e più moderna della Spagna, tra l'altro la sede della città che è più avanzata culturalmente, Barcellona. In Catalogna l'anarchismo assume soprattutto l'aspetto dell'anarcosindacalismo operaio, ma chi sono questi operai? Sono soprattutto ex braccianti che hanno abbandonato dei territori dove avevano condizioni di vita insopportabili, sono arrivati in una grande città e in questa città spesso si sono scontrati con una borghesia nazionalista-catalanista che faceva pesare loro il fatto di non conoscere le tradizioni e la lingua catalana (la lingua catalana fa parte delle lingue neolatine ed è abbastanza diversa dal castigliano). Di fronte all'impatto con questa realtà urbana, dalle dimensioni e dai problemi così ampi, le organizzazioni sindacali operaie offrono una visione del mondo complessiva, offrono la possibilità, tra l'altro, di apprendere a leggere e a scrivere all'interno delle scuole sindacali, offrono una forte solidarietà di classe per cui l'individuo, sradicato dal suo ambiente rurale, ritrova dei nuovi rapporti sociali e proletari all'interno di questa città. Barcellona, dal punto di vista borghese, è fortemente sviluppata nel senso artistico, pensiamo al modernismo e ad altri movimenti dell'avanguardia estetica, ma dal punto di vista delle condizioni di vita è estremamente deprimente per questi operai appena arrivati. Ebbene l'anarchismo in Barcellona troverà quella che alcuni hanno chiamato "la Mecca", cioè la città nella quale più si elabora, più si lotta, più si stampa, più ci si organizza per abbattere il sistema autoritario.

Non passo attraverso le varie tappe della storia del movimento anarchico e libertario, che è una storia molto intensa, molto tesa e anche molto sofferta, ma voglio ricordare solo un caso. In questo periodo Francisco Ferrer (un maestro libertario, non è tanto un teorico dell'educazione libertaria quanto invece un organizzatore) realizza diverse realtà educative, la Escuela Moderna, diverse entità dove possono andare i figli degli operai e dove per esempio c'è la coeducazione tra i sessi, dove non c'è un rapporto autoritario tra il maestro e i discenti, i giovani, c'è invece un rapporto comunitario dove cioè si apprende giocando in un terreno di estrema fraternità e parità almeno tendenziale. Francisco Ferrer che era l'animatore di questo movimento viene accusato di essere l'ispiratore di una rivolta, quella del luglio 1909, e verrà fucilato il 13 ottobre 1909 nel Castello di Montjuch, quasi all'interno della città di Barcellona. La fucilazione di Francisco Ferrer scatenerà nell'intera Europa - e questo dimostra come la Spagna non sia isolata, specialmente dal punto di vista dei movimenti popolari - scioperi generali, assalti ai consolati spagnoli, proteste di vario genere. Per esempio nella mia città, a Trieste, duemila cittadini faranno una pubblica dichiarazione di abiura dalla Chiesa cattolica per protesta contro l'assassinio di Francisco Ferrer. Ciò sta a significare che la popolarità di questo personaggio - che rappresentava in qualche modo se vogliamo una speranza di tipo illuminista: la razionalità nei confronti dell'oscurantismo clericale - era estremamente forte in tutto lo scenario europeo.

A Barcellona poi vi è un periodo di guerriglia urbana che va dal '17 al '23, un periodo nel quale i militanti sindacali che volevano essere attivi dovevano girare con la pistola per difendersi dai pistoleros della Patronal. Ne vengono uccisi più di un centinaio. In questo periodo la CNT, creata nel 1910, si rafforza e in qualche modo si radicalizza ulteriormente. C'è l'abitudine a difendere anche con i mezzi violenti, però non esaltati in quanto tali. C'è un costumbre, direbbero gli spagnoli, di usare anche mezzi violenti per essere se stessi, per non piegare il capo, per non dissolversi.

Con l'avvento poi della dittatura di Primo de Rivera si crea nel 1927, in un momento di clandestinità, la FAI. La FAI è l'organizzazione especifica, cioè l'organizzazione anarchica vera e propria, mentre la CNT è il sindacato di tendenza libertaria. Nella FAI si concretizza quella che era già l'idea, quella che era la convinzione, l'ipotesi organizzativa, o modello, se vogliamo di Bakunin, l'Alianza para la Democracia Socialista, cioè un gruppo di militanti tutti dediti alla causa, disposti a giocare la propria vita per l'avvento di una società di liberi ed uguali. Ma la FAI ha anche il compito di ostacolare l'infiltrazione comunista-marxista all'interno della CNT. E' vero che nel frattempo l'UGT, il sindacato socialista, si era sviluppato per conto suo e aveva trovato alcune regioni favorevoli, per esempio nei Paesi Baschi o in alcune categorie produttive della capitale di Madrid, però è altresì vero che il marxismo, soprattutto di tendenza comunista dopo il 1917, cioè coloro che facevano riferimento all'Unione Sovietica cercano di infiltrarsi all'interno dei sindacati e della CNT perchè il progetto ambizioso è quello di sottrarre la CNT all'ambiente libertario. La FAI sorge anche come tentativo di porre un argine a queste infiltrazioni. Al tempo stesso la FAI vuole evitare degenerazioni di tipo riformista e possibilista, che sono sempre presenti all'interno di ogni movimento sindacale anche quando si basa sull'azione diretta. Ma nella FAI si creano anche dei gruppi che oggi chiameremmo di controcultura, di rapporti comunitari alternativi, ci sono ad esempio gruppi che si dedicano al naturismo, altri all'esperanto, altri al vegetarianesimo e ruotano intorno ad un tema che abbiamo già trattato, seppur in modo schematico, alla questione dell'educazionismo.

Sarà la FAI a costituire l'ultimo ridotto, anche nei periodi più critici per la CNT, perché costituirà una sorta di movimento di irriducibili che non accettano, anche nei periodi di maggior dittatura, di essere emarginati.

Non entro adesso nel merito di altri problemi che pur sarebbero importanti, come ad esempio il rapporto tra movimento operaio e Seconda Repubblica, appunto fra il '31 e il '36, ma voglio dire qualcosa sui contenuti più importanti, secondo me, della rivoluzione sociale che scoppia dopo il 19 luglio del '36.

Il 18 luglio, come si sa, c'è il golpe dei generali che parte dal Marocco, che punta sui cosiddetti africanisti, sul settore dell'esercito che risiede nel vicino Marocco, a sud di Gibilterra. Ebbene il golpe non viene bloccato, si badi bene, dalla parte lealista dell'esercito che è minoritaria, e anch'essa incerta, il golpe non viene bloccato dai politici che anzi cercano di scendere a patti con i generali golpisti (si offre ad esempio ad uno dei generali insorti il posto di Ministro della Difesa in un futuro governo rimpastato) e quindi c'è una forte incertezza sull'attegiamento da assumere. Invece entra in gioco, con tutta la sua forza, con tutta la sua irruenza, il movimento operaio e soprattutto nelle grandi città, a Barcellona e a Madrid in particolare, anche a Valencia e Bilbao, il golpe viene sconfitto. La sconfitta è dovuta soprattutto alla presenza sindacale. Dovremmo aggiungere un dato molto importante, i sindacati della CNT e dell'UGT che si equivalgono numericamente ma il primo è più importante per tutta una serie di ragioni, raccolgono intorno a se circa tre milioni di aderenti e quindi dal 40 al 50%, a seconda dei calcoli, dell'intera massa dei lavoratori subordinati. Questo significa che è la presenza di gran lunga più importante sulla scena sociale e sulla scena politica. I partiti raccolgono in fin dei conti solo poche decine di migliaia di iscritti.

L'immissione di questa forza popolare, così sganciata dalle regole dei politici, cambia immediatamente il quadro spagnolo. Essi in qualche modo sono scesi in lotta per impedire ai militari di fare ciò che, ad esempio, il generale Uriburu aveva già compiuto in Argentina, e tra Argentina e Spagna i collegamenti sono piuttosto intensi, ovviamente. Nel 1930 il generale Uriburu aveva fatto un golpe in Argentina e la FORA, il sindacato anarchico, si era astenuto da ogni forma di protesta perché considerava questo golpe una questione che riguardava unicamente i conflitti all'interno delle varie tendenze della classe politica. I golpisti erano nettamente reazionari e si opponevano ai radicali moderatamente riformatori ed estremamente corrotti. La FORA non aveva proclamato lo sciopero generale e pochi giorni dopo la vittoria del golpe era iniziata una repressione così forte che era stato completamente decapitato: il sindacato libertario non si riprenderà più. Il caso spagnolo fa tesoro dell'esperienza argentina, per non dire dell'esperienza europea ad esempio tedesca.

Il movimento popolare si trova ad essere protagonista nelle prime settimane della riorganizzazione della società. Si creano quelle strutture armate autogestite, paritarie che sono le milizie e sui luoghi di lavoro si da l'avvio all'espropriazione dei mezzi di produzione sia nell'industria, sia soprattutto nelle campagne, e vengono iniziate le attività collettivizzate. Questo significa che si passa da un sistema, quello capitalista, ad un sistema che viene definito dagli stessi protagonisti da comunismo libertario, cioè da eguaglianza nella libertà, un sistema che si contrappone non solo a quello capitalista ma anche a quello socialista burocratico, di caserma e repressivo, che si sta realizzando in Unione Sovietica. Le collettività non sono la panacea immediata, non sono un miracolo che risolve tutto, hanno evidentemente molti problemi al loro interno. Soprattutto nelle campagne, dove il ciclo produttivo è più semplice, dove quell'esperienza di chi già lavorava la terra permetteva loro di autogestirsi senza una grande difficoltà, dove i padroni erano già dei parassiti e inoltre per di più assenti, dove lo Stato era un nemico evidente, l'esperienza collettivista riesce ad incidere profondamente e si riesce, ad esempio, ad abolire il denaro come mezzo di accumulazione del potere economico. Si crea un patto solidale fondato sull'autonomia e sul federalismo. Si realizza una aspirazione secolare degli abitanti a gestire collettivamente nelle assemblee e attraverso i comitati, la produzione, la distribuzione, il soddisfacimento dei bisogni della popolazione. Questi bisogni, si badi bene, nelle campagne sono abbastanza elementari, siamo negli anni Trenta e la gente non è abituata ai livelli consumistici degli anni nostri.

Certamente nell'industria le collettività si devono scontrare con problemi più complessi. C'è il condizionamento derivante dalla situazione bellica e soprattutto il governo chiede all'industria di produrre il materiale bellico. Soprattutto c'è un problema di fondo, interno, dato dal fatto che il processo produttivo è più difficile, per cui è importante avere l'appoggio dei tecnici, c'è il problema delle materie prime e c'è il problema evidentemente dello smercio, dell'utilità sociale della produzione. Comunque, sia nelle campagne che nelle città, la tendenza è quella egualitaria. Si vuol dimostrare che non c'è una contrapposizione tra campagna e città quando chi decide è il popolo stesso che si autorganizza, e molti dei tradizionali conflitti tra le zone urbane e quelle rurali possono essere risolti, non tutti ovviamente, attraverso il principio della solidarietà di base, della solidarietà di classe.

Gli obbiettivi, le realizzazioni rivoluzionarie non si fermano all'aspetto economico, sarebbe un modo economicista e troppo limitato, troppo arido, considerare solo le questioni della produzione. Si innesta invece un meccanismo di trasformazione dei rapporti sociali in cui, ad esempio, il ruolo della donna viene completamente trasformato. Non solo per le esigenze belliche (gli uomini sono al fronte) ma anche perché attraverso le organizzazioni, le discussioni, le partecipazioni dirette, l'uscita praticamente delle donne dall'isolamento e dalla subordinazione delle pareti domestiche, molte funzioni sociali sono svolti in prima persona dall'elemento femminile.

Non c'è purtroppo il tempo per entrare nel merito di altre questioni che mi sembrerebbero importanti e nemmeno per trattare il tema che di solito riesco ad affrontare che è quello della partecipazione italiana alla rivoluzione ed alla guerra, ma se ne potrà parlare più tardi. Quindi la parola a Diego.

Abel Paz: Il compagno che mi ha preceduto nell'introdurre il quadro storico complessivo ha offerto i chiaro-scuri della situazione. E' necessario dedicare un tempo considerevole a questi aspetti perché se non sono presenti è difficile poi riuscire a capire la problematica che si svolge in Spagna e questo comporta degli ostacoli nell'arrivare a mettere a fuoco bene ciò che oggi è tuttora vivo e tuttora vitale della situazione spagnola rivoluzionaria.

Mi dispiace di non poter disporre come sarebbe giusto per poter affrontare bene questo argomento di tutta una settimana, una settimana culturale o controculturale nella quale, per due ore al giorno, almeno, sia possibile affrontare i vari aspetti del problema, perché un dubbio che mi resta spesso è che non so se si sono capiti o meno alcuni aspetti importanti. Cercherò di non insistere sui punti che già sono stati trattati, anche se in alcuni casi dovrò farlo. Voglio dire che trovandoci nel 1996 e a sessant'anni di distanza dai fatti di cui parliamo cercherò di presentare una riflessione generale sugli avvenimenti tenendo soprattutto conto che la storia ci offre la possibilità di estrarre da essa una serie di insegnamenti che ci possono servire oggi.

La rivoluzione scoppia in un momento cruciale in cui ci sono molti conflitti, conflitti interni, conflitti di interessi imperialistici che limitano anche la possibilità di creare un fronte unico nei confronti del nazismo che sta dominando in Europa. La rivoluzione in sostanza è scomoda, è scomoda per molti potenti ma in qualche modo anche per noi stessi. Siamo nell'epoca del patto russo-francese, del patto russo-inglese, di patti difensivi e in questa situazione il golpe militare del 18 luglio 1936 cambia la situazione complessiva, procura un rovesciamento generale delle condizioni in cui si stava svolgendo la politica in Europa. Chi viene più danneggiato da questa iniziativa rivoluzionaria è la socialdemocrazia francese perché la Spagna le pone una domanda molto precisa: Che cosa farai adesso?

Per quanto riguarda la Russia dominata da Stalin, Stalin in quel momento si trova di fronte ad un sistema che mostra diversi punti di crisi, egli sta eliminando i vecchi quadri bolscevichi, deve fare i conti con le situazioni di vari partiti comunisti europei che hanno grossi problemi, sia di sconfitta che di riorganizzazione, e quindi la rivoluzione in Spagna gli procura ulteriori complicazioni.

Gli unici che hanno una chiara idea del comportamento da assumere sono Hitler e Mussolini. Entrambi non certo per imporre in Spagna il proprio sistema fascista o nazista ma piuttosto come punto di espansione per rafforzare le proprie posizioni in vista della guerra che stanno preparando. Queste sono le premesse di qualcosa che ancora non siamo arrivati a disegnare.

L'anarchismo in Spagna ha una responsabilità enorme perché in Europa attraverso vari sistemi, attraverso varie fasi ed eventi, l'anarchismo è stato in pratica represso e cancellato. Gli unici movimenti che esistono nel quadro europeo sono l'anarco-sindacalismo spagnolo o quello svedese, ma la Svezia è notevolmente lontana ed appartiene ad un'altra condizione complessiva. Di fronte ad una situazione che si sta radicalizzando in Spagna, gli anarchici che vorrebbero la rivoluzione in Europa si rendono conto che non ci sono le condizioni favorevoli per cui vedono l'unica via di espansione possibile verso il Terzo mondo, in particolare ovviamente verso il Marocco spagnolo. Quindi essi cercano di essere presenti nella popolazione spagnola del Marocco per crearsi delle basi operative per un futuro scontro.

C'è un proverbio tradizionale che dice: "l'uomo propone e Dio dispone". A noi mancavano otto-dieci anni per sviluppare una efficace rivoluzione, non solo dirigendola verso l'Europa ma anche verso il Terzo mondo. Noi avevamo appreso dalle riflessioni di Bakunin successive alle sue esperienze, ai suoi interventi, alle sue partecipazioni alle varie rivoluzioni in Europa che la rivoluzione non deve limitarsi ad un ambiente, ad un quadro nazionale e che nemmeno si può risolvere con una sorta di volontariato internazionale che converga in un punto. Invece è fondamentale creare delle condizioni nei paesi che possono essere coinvolti, dove ipoteticamente la rivoluzione si può diffondere. Occorre creare tutta una serie di tensioni sociali affinché ci siano più centri rivoluzionari nel continente europeo, in questo modo si eviterebbe l'isolamento.

Il golpe era in qualche modo prematuro per noi, ma certamente non era prematuro per chi lo condusse, per i generali reazionari, in quanto il processo di costruzione di un movimento rivoluzionario sempre più forte stava facendo dei passi avanti, si stavano contagiando delle altre situazioni e soprattutto si era creata una specie di fede nelle possibilità rivoluzionarie. Per cui c'era una fortissima attesa fra gli operai e i contadini, negli ambienti rurali e negli ambienti urbani verso un evento rivoluzionario a breve termine. Bisognava mantenere questa attesa, questa mistica rivoluzionaria, a tutti i costi, anche correndo il rischio di far precipitare gli eventi, perché altrimenti il capitalismo, che comunque è dotato di un'intelligenza e di una volontà di sopravvivenza, avrebbe trovato un nuovo modo di produzione e nuove condizioni salariali che avrebbero portato ad un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori subordinati, togliendo la base economica ad un evento rivoluzionario. Successe a Barga, una zona mineraria a nord di Barcellona. Qui nel 1932, senza consultare i gruppi anarchici che erano attivi nei dintorni, una parte della popolazione assaltò il municipio e disarmò la Guardia Civile, instaurò il comunismo libertario, dichiarò abolita la proprietà privata e la moneta. A Figols, nei dintorni di Barga, per 36 ore fu instaurata questa nuova società comunista libertaria. Questo aveva una grande importanza, perché dimostrava che era possibile vincere, sia pure temporaneamente e costituiva uno stimolo per le altre situazioni. Si realizzava allora quella che noi chiamiamo "la propaganda attraverso il fatto", la propaganda del fatto che vale molto di più di milioni di parole perché dimostra la possibilità di uno sbocco rivoluzionario.

Nel governo repubblicano, dal '31 al '33, nel primo periodo, c'erano quattro ministri socialisti. Particolarmente importante fu il ruolo svolto da Largo Caballero che era il Ministro del lavoro. Egli aveva l'obbiettivo di dissolvere o ridurre la CNT a favore della UGT, di sottrarre forza alla CNT per rafforzare la UGT, il sindacato socialista. Venne proclamato ad esempio da questo governo repubblicano, nel biennio progressista, un decreto che creava i Comitè paritari, dei comitati misti costituiti da rappresentanti dei lavoratori e rappresentanti del padronato e che dovevano affrontare i problemi delle controversie di lavoro. La CNT, il sindacato libertario, non poteva accettare questo perché era un sindacato extraparlamentare, a favore dell'azione diretta, della lotta frontale fra capitalisti e lavoratori. Perciò qualunque sciopero proclamato dalla CNT fu immediatamente illegale, il che significava costruzioni di barricate, arresti, scontri con la polizia. Di questi scioperi illegali, sul piano nazionale dal '31 al '36, se ne scatenarono più di un centinaio, centoquattordici per l'esattezza. In questi conflitti c'erano spesso morti, militanti incarcerati e deportati. In tutto questo periodo c'erano delle tensioni sempre molto forti.

Una parte importante della classe lavoratrice che si riconosceva nell'anarchismo, bisogna ricordare che la CNT aveva un milione e più di afiliados e bisogna anche ricordare che allora gli iscritti al sindacato erano molto più attivi rispetto alla realtà di oggi, partecipavano sempre alle assemblee, c'era una situazione di mobilitazione sociale molto elevata, gli stessi familiari degli iscritti al sindacato si sentivano immersi in questa lotta.

Mentre in Europa l'epoca della I Internazionale, delle insurrezioni, delle mobilitazioni e degli scontri era ormai tramontata, noi continuavamo a mantenere quel livello di conflitto all'interno della società e quindi eravamo il plotone degli irriducibili.

Quando il proletariato organizzato si trova diviso in due grandi sindacati a cui aderisce più della metà della popolazione attiva è necessario raggiungere un accordo fra queste organizzazioni per far fronte ad una situazione rivoluzionaria. La CNT propose un patto di alleanza con l'UGT, ma Largo Caballero rifiutò questo patto perché il suo obbiettivo era quello di far sparire l'anarchismo dalla Spagna, in questo senso era molto più socialdemocratico che non socialista. Quello che propose la CNT si realizzò il 6 ottobre del 1934 nelle Asturie e quello avrebbe potuto essere una prova generale per la rivoluzione in Spagna. L'unica forza rivoluzionaria sullo scenario spagnolo al momento era la CNT. Il Partito Comunista era in realtà una forza politica piccola, manipolata, estremamente rigida in quanto dominata dagli agenti di Stalin. Forse una forza emergente a lui vicina era il POUM, formato nel novembre del '35 dalla fusione del Blocco Operaio e Contadino e dalla Sinistra Comunista, però avrebbe avuto bisogno di un certo tempo, di alcuni anni per elaborare un proprio progetto, per attirare gli eretici e i ribelli del partito socialista e del partito comunista, ma ebbe poco tempo e tra l'altro fece l'errore grave di entrare nel Fronte Popolare e di farsi eleggere alcuni rappresentanti. Questo lo metteva in realtà al margine delle forze rivoluzionarie. Sul POUM non è questo il momento di approfondire il discorso, comunque è interessante come esperienza politica di un partito che nacque male e a cui mancò il tempo per maturare.

Bisognava fare in modo che le organizzazioni sindacali collaborassero tra di loro in vista di un futuro scontro armato, per cercare di dare uno sbocco alla rivoluzione che evitasse le soluzioni dittatoriali. Gli anarchici non pensavano evidentemente ad una forma dittatoriale della nuova società rivoluzionaria e quindi c'era un'idea, uno sforzo per dar vita ad una sorta di alleanza con la base, perché le alleanze si fanno con la base e non con il vertice, per cercare in caso di necessità di realizzare un'esperienza più avanzata, basata sulla democrazia diretta, sull'autogestione generalizzata e su una rivoluzione che potesse animare la simpatia del proletariato di varie parti d'Europa e in particolare della Francia e in particolare verso i dissidenti del Partito Comunista. Questa idea si doveva appoggiare anche sulla valorizzazione della situazione marocchina.

A volte si dice che gli anarchici non sono degli strateghi, che sono degli ingenui, che siccome non fanno la politica non sanno come muoversi. In realtà esiste una propria politica degli anarchici ed essi la scelgono quando si trovano di fronte a determinate situazioni e seguono una propria linea. La rivoluzione però, non va dimenticato, non può seguire nessun modello. Chi pensa di dare un modello, una sorta di gabbia, alla rivoluzione meglio che vada in ristorante, mangi e vada a dormire. In realtà la classe lavoratrice che è quella che fa la vera e propria rivoluzione, va ben al di là di tutti i piani di chi pretende di rappresentarla e di governarla.

La situazione che si era creata in tutta la Spagna, ma in particolare a Barcellona, nella settimana dal 13 al 19 di luglio era particolarmente pesante e preoccupante. Si sapeva che qualcosa stava per accadere nelle caserme. Particolarmente forte era l'antimilitarismo della Gioventù Libertaria, la sezione giovanile del movimento libertario. Quando questi giovani si trovavano di fronte all'obbligo di fare il servizio militare e ad essi si diceva che non era il caso che andassero nella clandestinità, che dovessero fuggire, perché in questo modo il movimento veniva anche a perdere dei militanti. L'antimilitarismo di allora era molto diverso da quello d'oggi. Si consigliava dunque ai giovani di entrare nelle caserma, di costituire dei comitati antimilitaristi, di imparare ad usare le armi, di controllare i capi e di restare in stretto contatto con il movimento libertario.

Il movimento rivoluzionario anarchico aveva ovviamente una struttura legale ed una struttura illegale, la struttura illegale era costituita dai Comitati di Difesa, costituiti da delegati della CNT, della FAI e della Gioventù Libertaria. Questo Comitato di Difesa preparava in realtà le condizioni per la creazione di un Comitato Rivoluzionario e poiché bisogna dire le cose con il loro nome, essi si occupavano della direzione della resistenza armata contro le iniziative golpiste. Spesso nei sindacati si discuteva sul da farsi nel momento in cui i militari avrebbero deciso di scendere in strada. Era un tema costante delle nostre riunioni sindacali.

Allora avevo quindici anni, e i quindici anni di allora non erano i quindici anni di oggi, era tutta un'altra esperienza, tutto un altro ambiente, e non ero l'unico ad essere un giovincello in quei posti. Vi posso assicurare che nessuno dei lavoratori in quel momento, quando si aspettava l'iniziativa dei militari, stava parlando della rivoluzione. Quello che si pensava era di far fronte, di fermare l'iniziativa dei militari, affinché non succedesse in Spagna quello che era già successo in Germania. Non si volevano perdere le conquiste che si erano ottenute sia sul piano della libertà d'espressione che sul piano dell'organizzazione propria. Quindi era una posizione difensiva. Lo stesso spirito che si respirava, che si esprimeva nei sindacati era presente nei Comitati di Difesa locali e in quelli di tipo più generale ed era nel pensiero di militanti come Durruti, Ascaso, Jover e altri. Non c'erano insomma dei progetti avanzati, nessuno pensava di instaurare di lì a poco il comunismo libertario, si pensava a far fronte al pericolo fascista e di formare un blocco contro le iniziative fasciste. Questo è molto importante perché quando si parla di rivoluzione e non si conosce questo, come altri elementi essenziali, si finisce per parlare di qualcosa che non esisteva nella realtà.

Tra le migliaia di operai che lottavano nei sindacati e che erano pronti a rispondere ad eventuali iniziative militari, in pratica non c'erano armi o ce n'erano molto poche. Ad esempio erano disponibili complessivamente un centinaio di pistole, strumenti troppo deboli per far fronte ad una intera guarnigione (non si sapeva nemmeno di quanti elementi fosse composta) che avrebbe potuto scendere in strada per cercare di controllare la città e i suoi abitanti. I Comitati di Difesa confederali presero contatto con Luis Companys che era il presidente del governo autonomo di Catalogna e chiesero con insistenza delle armi. "Bisogna armare i lavoratori che sono gli unici che possono fermare le truppe. Se i militari prendono l'iniziativa, fanno un golpe, ci fucilano tutti e anche tu, Luis Companys". E lui rispose "Bene, quando verrà il momento vi darò le armi". Ma quello era il momento e in sostanza Companys non diede nessuna arma. Fu necessario assaltare delle armerie, costruirsi ex-novo delle bombe molto semplici, delle cocktail molotov e altre cose di questo tipo. Voglio citare un episodio nel quale vedo qualcosa di molto importante in un processo rivoluzionario di questo tipo. Nella notte tragica del 18 luglio, quando migliaia di persone erano di fronte alla Generalitat e chiedevano armi che non ottenevano, per proteggere il palazzo furono chiamate tre compagnie di Guardie di Assalto, la polizia repubblicana. Erano composte da tre-quattrocento uomini ed erano molto vicine ai manifestanti. Avevano paura perché se la massa avesse dato l'assalto essi sarebbero stati eliminati. Ad un certo momento gli altoparlanti annunciano che le truppe sono uscite dalle caserme. Cala un silenzio assoluto, totale, nella piazza. Le Guardie di Assalto si guardano l'un l'altra e praticamente si chiedono cosa avrebbero fatto. Uno di loro si rende conto di avere non solo una pistola ma anche un fucile e pensando di aver troppe armi, da la pistola a un lavoratore. Il suo gesto è imitato da altri. Essi non erano più della Guardie di Assalto disciplinate, dei militari, ma si erano schierati dalla parte dei lavoratori ed erano ridiventati degli esseri umani. Io ho molto impressa questa situazione perché è uno di quei passi decisivi per avviare un momento rivoluzionario.

Avrei voluto parlare ancora del Comitato delle Milizie Antifasciste e dell'occupazione delle fabbriche, però mi vedo costretto a chiudere qui il mio intervento per dare la parola a voi per delle domande o dei commenti, quello che volete, che sia comunque legato ai temi che sono stati affrontati sia dalla relazione di Claudio che dalla mia.

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PERCORSI

ZENGAKUREN e altro

Una delle prossime iniziative a cui l'A.S.C.D. sta lavorando è una ricerca sull'esperienza politica dello ZENGAKUREN (il movimento studentesco giapponese).

Chi, alla fine degli anni '60, era già abbastanza adulto per interessarsi a "quelli come lui", che agivano nelle varie parti del mondo, ricorderà sicuramente le foto trasmesse dalle agenzie di stampa internazionali, che ritraevano, tra il fumo dei lacrimogeni, compatte fila di manifestanti armati di lunghi bastoni.

La lontananza fisica, ma soprattutto culturale, permise ai più, in quel tempo, di liquidare sbrigativamente quell'esperienza come la versione "orientale" di quello che accadeva a casa nostra. Inoltre, mentre negli anni successivi si poté disporre di abbondanti materiali e analisi di ogni tipo sui movimenti giovanili e studenteschi in USA, Germania, Francia e Italia, sullo ZENGAKUREN continuò a gravare il silenzio, per lo meno a livello di massa.

Ci è sembrato opportuno, quindi, cominciare col dire qualcosa; tuttavia non è stato solo il desiderio di colmare, seppure parzialmente, una lacuna d'informazione a muoverci in questa direzione. La precocità dello ZENGAKUREN (l'organizzazione nasce quasi venti anni prima dei corrispondenti movimenti occidentali ed esaurisce la propria storia alle soglie degli anni '70) ci ha posto brutalmente di fronte ad alcuni nodi (uno per tutti: l'influenza esercitata dalla politica estera Sovietica sulle campagne di mobilitazione studentesca), che potrebbero aprire interessanti campi d'indagine ed analisi anche su alcune "storiche" battaglie di casa nostra.

Questo si iscrive nel progetto più ampio dell'A.S.C.D. di dare spazio e voce al dibattito interno al movimento rivoluzionario intorno a temi poco conosciuti e/o affrettatamente ritenuti conclusi.

Questione fondamentale, messa in luce anche dalle vicende dello ZENGAKUREN, resta il difficile rapporto tra soggettività e oggettività rivoluzionaria in un percorso dalle conseguenze non sempre predeterminabili. A questo proposito vorremo proporre nell'arco dell'iniziativa una chiave interpretativa "dall'interno del movimento" attraverso alcuni film di N.Oshima, che possono facilitare la comprensione delle condizioni e delle dinamiche attraverso le quali si determinano le lacerazioni interne che portarono allo scioglimento dello ZENGAKUREN.

P.C.

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DOSSIER REVISIONISMO

Revisionismo e revisionisti

Premessa

Mi riallaccio alle considerazioni collettivamente espresse nella presentazione del bollettino per motivare brevemente le ragioni che, secondo me, rendono sgradevole ma necessario affrontare un tema difficile come quello del revisionismo storico e in particolare le sue propaggini più malsane (revisionismo olocaustico).

La possibile revisione (o meglio il tentativo di riscrittura) di avvenimenti e processi storici è una delle ragioni d'essere di un'associazione come la nostra. Perché, come abbiamo scritto nella presentazione del primo numero di Altra Storia, se la storia è quella scritta e omologata dai vincitori e il dominio del capitale e della borghesia sono più saldi che mai, allora affinché i protagonisti di tutti i grandi rivolgimenti sociali - le masse popolari e il proletariato - non hanno nessuno che si assuma - concretamente, conseguentemente e con forza - il compito di ristabilire i corretti rapporti all'interno dei processi storici.

Tuttavia le grandi trasformazioni e i grandi rivolgimenti di questi ultimi due secoli - che hanno sempre visto il capitalismo trionfare - hanno visto anche le classi borghesi impegnate in uno scontro all'ultimo sangue per la supremazia e per l'affermazione dei modelli di apparati statuali di classe più consoni all'affermazione dei propri interessi. Ciò sia a livello dei contesti nazionali che - affermatisi nazionalmente i diversi modelli - a livello internazionale. Queste lotte, intrecciatesi a un livello diverso di considerazione con le guerre imperialiste come risposte del capitale alla propria svalorizzazione, hanno sempre portato a battaglie ideologiche fondate sulla contrapposizione di modelli culturali, ideali che rendessero significante, giustificassero o addirittura nobilitassero il dominio raggiunto o ancora da raggiungere. Naturalmente questa brama di egemonia ideologica non può che riverberarsi sul passato come certificazione della qualità dell'oggi e della progettualità per il futuro. Dunque, ad esempio, la storia come arma.

Dunque nel "secolo breve", così come è stato definito da Hobsbawm il periodo dal 1914 all'89, travagliato da due guerre mondiali imperialiste, da grandi crisi economiche e da sconvolgimenti politico-sociali, segnato in qualche modo dall'odissea del socialismo reale (dalla rivoluzione del '17 al crollo dei regimi dell'est) è stato campo di battaglia di modelli politico-ideologici statuali e istituzionali estremamente differenti (se non formalmente contrapposti): democrazie borghesi, fascismi, nazismo, socialismo di Stato. Questa lotta ha riverberato nei modi e nei tempi quella ben più materiale tra le diverse opzioni di sviluppo capitalistico nei diversi contesti geo-politici assumendo tuttavia autonomia da essa e, in qualche modo, ne ha rafforzato la virulenza. Questa lotta - combattuta eminentemente a livello politico, facendo leva sulla condizione miserabile delle grandi masse popolari e proletarie e sulla loro naturale aspirazione ad emanciparsene - non poteva non riflettersi, sul piano ideologico-culturale su diversi livelli: il primo, e in parte l'ho già citato, è quello dell'elaborazione e della contrapposizione di modelli di società in grado di superare le contraddizioni e di mediare ad un livello superiore gli interessi e le necessità dei vari strati del corpo sociale; il secondo è quello di dare un senso ai processi storici collegandoli agli accadimenti in atto e alle trasformazioni dichiarate necessarie, dunque la costituzione di un paradigma storico-filosofico che dimostri l'ineluttabilità del trionfo del proprio modello (curioso il parallelo tra "la fine della storia" degli apologeti del capitalismo al crollo dell'URSS e quella intravvista da molti marxisti al tempo del futuro crollo del capitalismo e all'instaurarsi della società comunista); il terzo livello è quello concreto e pratico della revisione dei processi e degli accadimenti storici proprio in funzione del secondo. Molte intellighenzie e intellettualità di professione si sono sempre applicate con diligenza a questi compiti a loro delegati, a volte disinteressatamente, più spesso per mercenario impegno. Dunque l'interesse che possono suscitare questi tentativi è relativo o al loro intrinseco valore o per il significato che assumono nelle intenzioni dei "revisori" o per tutte e due le cose insieme. A grandi linee, dunque un po' semplificatoriamente, direi che alla prima e, in parte, alla terza categoria appartengono molti tentativi di rivedere sostanzialmente alcuni grandi eventi della storia contemporanea a partire dalla Rivoluzione francese. Furet, Nolte, De Felice, tanto per citare alcuni nomi, sono tra i principali revisori. Il primo si è applicato appunto all'89 francese. Il secondo e il terzo alle vicende che hanno portato all'avvento del nazismo e del fascismo e alla natura, anche sociale, di questi regimi. Non si tratta certo di intellettuali di sinistra e il loro impegno è volto prevalentemente a liquidare i topoi della tradizione rivoluzionaria e a giustificare, se non in qualche modo a rivalutare, movimenti e ideologie nazionalfasciste. Si tratta tuttavia di operazioni di buon livello culturale e storiografico che possono presentare oggettivi elementi di interesse. E' abbastanza evidente tuttavia che queste riscritture hanno cominciato a suscitare interesse al di fuori dell'ambito accademico e specialistico quando i mass-media hanno incominciato ad occuparsene promozionalmente e ciò è accaduto, guarda caso, quando la crisi economica e gli sconvolgimenti del 1989 hanno determinato un clima di revanche delle middle classes contro il protagonismo e l'assistenzialismo statale e contro un presunto monopolio ideologico e culturale di impronta marxista che ne sarebbe stato il tramite cultural-politico. Di qui e a cascata: la Vandea popolare, la natura social-popolare del fascismo, il giustificazionismo del nazismo e del suo universo concentrazionario come risposta al gulag e allo stalinismo, il "virus" rivoluzionario che ha travagliato l'Europa per due secoli, ecc. (per un'analisi critica del revisionismo storico può essere d'aiuto il libro di Domenico Losurdo). E' altresì ovvio che questa operazione non poteva che essere compiuta, diretta e orientata da una destra politica e intellettuale ultra sensibile alle pulsioni "neoliberiste garantite" di grandi gruppi capitalistici e agli umori mutati del corpo sociale. Il fatto curioso è che spesso questa operazione ha rivalutato contemporaneamente interpretazioni liberiste ed elementi di apologia del totalitarismo statalista. Ma forse la contraddizione è meno netta di quanto si tenda a pensare.

Detto questo a guisa di sintetica premessa e volendo affrontare il problema del revisionismo storico diacronicamente e nella sua complessità bisogna iniziare da quella propaggine malsana del dibattito che ha precorso in realtà la discussione generale: il cosiddetto revisionismo olocaustico.

Bisogna pur parlarne...

Negli anni tra il 1948 e il 1950 Paul Rassinier, resistente francese e reduce da Buchenwald, scriveva e dava alle stampe due testi molto importanti: "L'esperienza vissuta" e "L'esperienza degli altri" raccolti poi in un unico volume dal titolo "Le mensonge d'Ulysse". L'intento di Rassinier era, almeno inizialmente, quello di denunziare, tramite la narrazione della propria esperienza personale, l'atrocità dell'universo concentrazionario dei lager tedeschi e quanta parte di questa mostruosità fosse dovuta ad una parte delle stesse vittime - i Kapò, politici e comuni - che per motivi nobili e meno nobili, per la propria sopravvivenza personale o di gruppo, si era trasformata in una feroce ed ottusa burocrazia dei lager, che rivaleggiava in brutalità con le stesse SS. Niente di più, solo una lucida denunzia di un meccanismo che trasformava vittime in complici dei carnefici. Nessuna revisione né dell'entità dei crimini nazisti, né delle tecniche di eliminazione. Non può sfuggire, anzi, la sostanziale analogia tra l'impianto dello scritto di Rassinier (e la descrizione degli avvenimenti che vi sono riportati) e quello del più celebrato e conosciuto dei libri di denunzia dello sterminio nei lager: "Se questo è un uomo" di Primo Levi. Tuttavia lo scritto di Rassinier ebbe sorte ben diversa: diede la stura a pesanti attacchi politici e poi personali da parte proprio dell'establishment dei partiti di sinistra e dei resistenti dell'ultima ora che si erano sentiti colpiti. La risposta di Rassinier fu, appunto, "L'esperienza degli altri", un libro dove analizzava la letteratura concentrazionaria dell'epoca (ivi compresa una parte della memorialistica) mettendone in risalto le aporie più vistose. Ciò non poteva che far salire il tono delle polemiche, con le prime accuse di antisemitismo, e, parallelamente far scendere la qualità del dibattito. Aperte le cateratte del revisionismo olocaustico molti vi si gettarono con foga: politici, intellettuali di varia estrazione, storici veri, storici finti, vecchi nazisti e neonazisti, antisemiti, qualche settore dell'estrema sinistra. E' quasi impossibile riassumere o anche citare decorosamente il lievitare della discussione. In ogni caso, morto Rassinier nel 1967, è a Robert Faurisson che tocca la palma dell'alfiere delle tendenze revisioniste. I suoi scritti verranno pubblicati esclusivamente da case editrici di destra e di estrema destra. Ciò è stato al contempo un segno dell'interesse prevalente per questo tema e un letto di Procuste per ogni possibile rivalutazione di alcuni elementi di ricerca storica.

Pur nella sua relativa "clandestinità" e ristrettezza il filone revisionista e il dibattito che vi si sviluppava attorno cresceva in alcuni paesi (Francia e ovviamente Germania) e si ramificava in più direttrici: da un lato la contabilità dei morti e la disamina delle tecniche di eliminazione, da un altro la volontarietà dello sterminio e la sua pianificazione, da un altro ancora la natura del nazismo, e da ultimo il rapporto fra lo stermino nei lager e la fondazione e l'esistenza dello Stato di Israele. Ricordiamo a quest'ultimo proposito il recente e discusso libro di Roger Garaudy.

Analizziamo nel seguito brevemente queste ramificazioni e, anche per orientare chi volesse approfondire le questioni, indicheremo alcuni testi inerenti - come del resto abbiamo già fatto prima - usciti recentemente o comunque reperibili ancora facilmente.

La contabilità delle vittime e le tecniche del massacro

E' obbiettivamente l'aspetto più detestabile di un dibattito di per sé poco gradevole. Un aspetto che cresce su se stesso, incancrenendosi e incanagliendo in una macabra aritmetica e in una serie infinita di polemiche. Eppure se le penne fossero più lievi e le coscienze più limpide e rispettose non ci sarebbero motivi per non addentrarvisi. E' del tutto ovvio - almeno per chi scrive - come il fatto che le vittime dello sterminio (che poi non furono solo ebrei ma zingari, russi, rivoluzionari, omosessuali, delinquenti comuni) siano state 4, 6 o 10 milioni nulla toglie e nulla aggiunge alla sua efferatezza. Dove e come fossero dislocate le camere a gas, come funzionassero o addirittura se ci fossero o no, non attenua e non aggrava le terribili responsabilità dei nazisti. Tanto più ciò sembra evidente, tanto meno risulta comprensibile l'accanimento con cui si è disputato di ciò. Piccole incongruenze geografiche o toponomastiche, piccole contraddizioni nelle testimonianze di reduci, caratteristiche tecniche dei trasporti o dell'organizzazione dei lager hanno dato stura a lunghissime dissertazioni tese a limare, correggere, rettificare in alto o in basso il numero dei morti. Le caratteristiche dello Zyklon B (il gas originariamente usato nella disinfestazione dei parassiti) o il potere letale dell'ossido di carbonio hanno prodotto interminabili polemiche sui tempi della loro letalità. Per chi intendesse avventurarsi su questo terreno - premettendo che un po' tutti quelli, noti e meno noti, che hanno trattato dello sterminio vi sono scivolati - sono da segnalare il libro di J.C.Pressac "Le macchine dello sterminio" che si connota per essere una ricerca rigorosa sui forni crematori e nel campo delle opere di compilazione, il testo di Till Bastian "Auschwitz e la "menzogna su Auschwitz"" che è un riassuntino un po' schematico di tutta la questione ma è facilmente reperibile.

L'intenzionalità dello sterminio

Anche su questo terreno si sono avventurati numerosi revisionisti, in massima parte di estrema destra, nell'intento - direi trasparente per quanto riguarda i filo nazisti - di derubricare le responsabilità del nazismo riducendo il tutto a mero accidente o a combinazione di brutalità dei gradi inferiori delle SS, regime dei campi, malattie, ottusa e teutonica applicazione di norme burocratiche che rendeva ancora più letale la vita nei lager. Piacevolezze di questo tipo pervadono tutti i testi dei revisionisti di destra. Anche qui sembrerebbe del tutto ovvio che pur mancando documenti di fonte nazista contenenti esplicite direttive per lo sterminio (ci sono tuttavia nei documenti ufficiali inquietanti riferimenti ad una Endlösung - Soluzione finale - a cui attribuire il significato di un trasferimento di massa verso l'est sembra una vera e propria forzatura, e ci sono nei documenti amministrativi dei campi richiami a "trattamenti speciali" che quantomeno dovrebbero indurre a sospetti) la sistematicità dell'eliminazione degli internati e la sua ampiezza non dovrebbero lasciar adito a dubbi di sorta sull'intenzionalità che animava i nazisti. Deciso contraddittore di queste tesi revisioniste è Pierre Vidal-Naquet, storico dell'antichità, che da anni è impegnato sul terreno antirevisionista. Un testo, recentemente uscito, di Gianni Moriani tenta di inquadrare il genocidio nei lager nelle coordinate storiche dell'antisemitismo e delle politiche razziali.

La natura del nazismo

E' un po' una delle chiavi di volta del dibattito revisionista. Vi si scontrano due tesi antitetiche, non tanto sul nazismo quanto sul suo rapporto con la società capitalista.

Secondo la prima il nazismo è una mostruosità fuori della storia, un abominio irripetibile, un accidente sul cammino progressivo e democratico delle società borghesi. Per la seconda (propria di una parte della sinistra rivoluzionaria) il nazismo (così come il fascismo ed altri regimi dittatoriali) non è un'eccezione ma solo una forma specifica e brutale del dominio capitalista. Non c'è (almeno secondo un'area grosso modo assimilabile alla Sinistra comunista, ma non solo) una differenza sostanziale tra i vari regimi borghesi ma una sorta di "normalità" del male capitalistico. E' ben noto a quali paradossi abbia portato la schematizzazione e l'ipersemplificazione di questa tesi quando molti dei suoi sostenitori, messi di fronte all'alternativa fascismo-antifascismo in situazioni concrete di scontro di classe hanno optato per una "neutralità" incontaminata. Per quanto riguarda il revisionismo di sinistra il dibattito si è sviluppato prevalentemente in Francia intorno alle posizioni di Guillaume e della Viellie Taupe. Un testo fortemente critico contro queste posizioni, uscito recentemente in Francia e non ancora tradotto, è "Libertaires et "ultra-gauche" contre le négationnisme", una elaborazione collettiva di ex esponenti dell'area vecchio-talpista.

Un tentativo di leggere, dal punto di vista di classe, la genesi dei regimi nazi-fascisti e le loro nefandezze è nell'articolo Nazismo, olocausto, revisionismo e democrazia, scritto da un compagno dell'A.S.C.D. che conclude questo dossier.

E in Italia?

Escludendo il ciarpame nazi-fascistoide, il dibattito italiano - debole e scarsamente seguito, anche se parzialmente risvegliato dalla recente traduzione del libro di Garaudy - è stato polarizzato dagli scritti di Cesare Saletta e da sparsi articoli di pubblicazioni dell'area bordighiana. Ma mentre i secondi affrontano il problema dalla loro consueta angolazione di equiparazione dei vari regimi politici capitalistici (e quindi criticando la messa "fuori della storia" del nazismo e dei suoi crimini), i primi scendono direttamente nel dibattito tecnico sulle modalità dello sterminio. Nel complesso tuttavia questo tipo di dibattito non è mai decollato e se si escludono i testi precedentemente segnalati (e alcuni altri) non rimane che segnalare (salvo errori od omissioni) un paio di pubblicazioni: il n.3 del 1995 de La Lente di Marx che contiene un dossier dal titolo La polemica sull'"olocausto" e la pubblicazione bolognese di Transmaniacon titolata La ProvocAzione Revisionista. Per concludere, per chi volesse cimentarsi con il punto di vista della "nuova destra" su questi argomenti, dalle farneticazioni che la popolano si potrebbero estrarre gli scritti di Carlo Mattogno e articoli sparsi comparsi su Trasgressioni e Diorama che quantomeno si distinguono per il taglio culturale dignitoso.

Di molto altro non c'è e, visti i termini in cui si propone spesso il dibattito sul revisionismo olocaustico, nessuno può sentirne troppo la mancanza.

Concludo rendendomi conto della schematicità e della parzialità dei percorsi d'approfondimento proposti, ma, siccome il dibattito revisionismo-sterminazionismo annovera ormai migliaia di scritti, andare oltre significherebbe addentrarsi o nel ciarpame o in un contesto specialistico dal dubbio interesse.

gia.

SCHEDA 1

Domenico Losurdo, Il revisionismo storico - problemi e miti, Ed. Laterza, Bari 1996.

L'autore, ordinario di storia della filosofia presso l'università di Urbino, tenta una rilettura degli ultimi due secoli di storia attraverso una critica delle tesi revisioniste più note (Nolte, Furet, ecc.) che si intreccia con quella di una serie di categorie ritenute fondamentali: guerra civile, rivoluzione, totalitarismo, genocidio, ecc. Il risultato non è privo di interesse per un inquadramento più generale delle questioni trattate in questo dossier.

RECENSIONE 1

Paul Rassinier, La menzogna di Ulisse, Ed. Graphos, Genova 1996

Il testo che presentiamo può essere considerato uno dei primi, forse il primo, a operare una revisione dell'iconografia ufficiale sui campi di concentramento.

Per chi giudica gli scritti in base alle idee politiche degli autori, pratica così cara agli stenterelli à la Collotti, Vidal-Naquet, ecc. crediamo che sia necessario dare al lettore alcune informazioni sulla biografia di Paul Rassinier. A sedici anni, nel 1922, si iscrive al PCF sotto l'influenza di Victor Serge e si schiera ben presto all'opposizione fino a che, nel 1932, ne viene escluso. Con alcuni operai cerca di dare vita ad effimere organizzazioni indipendenti di estrema sinistra lavorando altresì con Rosmer e Monatte sul piano sindacale. Ritenendo in seguito impossibile lavorare in piccoli raggruppamenti di sinistra aderisce alla SFIO (Sezione Francese dell'Internazionale Operaia, cioè il Partito Socialista). Quando la Francia è occupata dall'esercito tedesco è un resistente della prima ora (cosa questa che per noi, comunisti rivoluzionari, non è un merito), viene arrestato dalla Gestapo e dopo undici giorni di torture è deportato prima a Buchenwald, poi al lager di Dora dove resta fino alla fine della guerra.

Il testo è diviso in due parti: la prima è "L'esperienza vissuta" uscito nel 1948 e la seconda "L'esperienza degli altri" uscito nel 1950 col titolo "Le Mensonge d'Ulysse" riveduto poi nel corso dei primi anni '60.

Effettivamente il testo è, per così dire, scandaloso, in quanto disvela la realtà dei campi di concentramento in maniera da risultare differente dai racconti dei reduci o sedicenti tali, così come risulta differente da chi ha fatto dell'antifascismo la propria fortuna politica o accademica.

Nella prima parte l'autore descrive ciò che ha effettivamente visto e vissuto nei campi di Buchenwald e di Dora: il primo scandalo è che l'organizzazione del campo era affidata ai detenuti stessi, era la Häftingsführung che chiamiamo autoamministrazione: il campo era diviso in Block, a sua volta diviso in Flügel, il primo diretto da Blockältester, o capi-Block, coadiuvati da Stubendienst, o domestici, due per ogni Flügel e poi via via fino ad arrivare alle Strafkommando, le squadre di punizione, alla Lagerschutz (polizia del campo) fino ai Kapò. Si trattava solo ed esclusivamente di detenuti. Le condanne a morte per impiccagione, spesso per sabotaggio, se comminate dalle SS, erano eseguite da quei detenuti che nell'autoamministrazione avevano la funzione di boia. Le SS si facevano vedere raramente nel campo, esso era gestito dagli internati stessi attraverso la loro autorganizzazione e accadeva sempre che non lesinavano randellate, umiliazioni fisiche e psicologiche e uccisioni nei confronti dei loro compagni di sventura con una ferocia e una scelleratezza che le SS, in un primo tempo responsabili del campo, non attuavano. E' vero che quando allo schiavo si dà, temporaneamente, la possibilità di comandare, lasciandolo nella sua condizione di schiavo, si rapporta nei confronti dei suoi subalterni con una ferocia e una malvagità ben superiore a quella dei suoi padroni. La posizione privilegiata della burocrazia degli internati dava loro la possibilità di non lavorare nella cava di pietra di Buchenwald o nel sottosuolo di Dora e di prelevare sistematicamente cibo destinato alla massa dei detenuti, così come dava loro la possibilità` di frequentare il bordello allestito nel lager di Dora che era destinato ad essi ed essi solo, in quanto gli altri sventurati non avevano né il diritto, né la voglia e neanche la forza di frequentare.

Se in un primo tempo la Häftlingsführung, a Dora, era in mano ai detenuti comuni (elementi "asociali", "oziosi"), successivamente, passa in mano ai politici, nella fattispecie ai comunisti o meglio ai sedicenti tali. Scrive Rassinier: "E la necessità della lotta per la vita, gli appetiti più o meno confessabili, hanno preso il sopravvento su tutti i principi morali. Alla base vi era il desiderio di vivere o di sopravvivere. Nei meno scrupolosi, esso si accompagnato al bisogno di rubare del cibo, poi di associarsi per rubare meglio - i politici, giacchi in quella circostanza l'operazione richiedeva più destrezza che forza - sono stati i più forti nel conquistare il potere solo perché erano i meglio nutriti. E sono stati i più forti anche per conservarlo perché intellettualmente erano i più abili".

Lo scandalo nel rapporto di Rassinier sta nel mostrare la sordida complicità fra carcerieri e carcerati, dove parte dei carcerati si trasforma essa stessa in carceriere, in aguzzino, sempre più feroce dell'aguzzino che sta in alto per compiacere a quest'ultimo, per farsi bello e per non avere grane; notiamo che tra l'altro che all'interno del lager esisteva anche un Bunker, o prigione interna, allestita su iniziativa della stessa autoamministrazione.

Occorre precisare la natura di questi comunisti o presunti tali. In quegli anni i partiti comunisti erano ormai stalinizzati, pertanto quando Rassinier parla di comunisti intende gli staliniani anche se alla fine del testo, nei suoi commenti politici, commette l'errore di identificare lo stalinismo col bolscevismo contrapposti a un comunismo che starebbe solo in Marx, cioè nell'immaginazione di Rassinier.

La seconda parte del libro è intitolata significativamente "Le mensonge d'Ulysse" in quanto, attraverso la metafora del peregrinare di Ulisse e dei suoi racconti, i menzogneri hanno aggiunto e tolto particolari imbarazzanti ai loro racconti al fine di essere resi belli di fama e di sventura. E' chiaro, difatti, che a molti dei sopravvissuti resta difficile confessare come hanno potuto avere salva la vita e allora addossano alle SS o a Kapò non meglio identificati la responsabilità delle loro nefandezze praticate nei lager. I politici che hanno ammesso di aver fatto parte dell'autoamministrazione del lager lo hanno fatto tacendo le loro responsabilità di tante crudeltà e giustificando la loro partecipazione all'autoamministrazione con la necessità di doversi assumere il dovere di tramandare ai posteri la testimonianza delle atrocità perpetrate nei campi; atrocità, peraltro, da essi stessi commesse: si sono autodefiniti come una sorta di razza eletta incaricata di raccontare, una volta libera, le brutture dei campi di concentramento.

Forse non è vero quanto sostiene Rassinier sul fatto che in "alto loco" non si sapesse nulla circa gli accadimenti nei campi di concentramento, caso mai è vero, invece, che anche le forze alleate democratiche sapessero, ma tacessero perché Hitler lavorava anche per loro nella distruzione fisica e politica del proletariato e nel contribuire a mantenere in vita il capitalismo in crisi acutissima.

A proposito del problema delle camere a gas, sulla loro esistenza o meno, non è in questo testo che Rassinier ne confuta l'esistenza, si limita a dire "che degli stermini mediante gas siano stati praticati, mi pare possibile se non certo" e "la mia opinione sulle camere a gas? Ve ne furono: non tante quante si crede. Degli stermini con questo mezzo pure ve ne furono". Al di là della esistenza delle camere a gas, noi rifiutiamo di vedere il nazismo come il Male demoniaco per eccellenza, in esso vediamo invece l'espressione della più alta concentrazione di contraddizioni capitalistiche a livello mondiale, la massima necessità pertanto di razionalizzare la propria organizzazione al fine di schiacciare il proletariato politicamente e di estrarne il massimo del plusvalore, fino all'esaurimento. Donde il lavoro forzato, le morti per malattia, fame, freddo e la eliminazione di una massa di sovrappopolazione non utilizzabile a quel tasso di profitto ormai troppo basso.

Per quanto riguarda le motivazioni politiche su tante invenzioni sui lager, Rassinier sostiene che tra Stalin e Truman, così come tra Kruscev e Kennedy, è sempre esistito un canale sotterraneo di intesa su questo punto, tale che ad ogni tentativo o voce di autonomia dell'Europa dai due blocchi, o di velleità di unificazione della Germania, entrambe le potenze avessero tirato fuori dal cilindro il coniglio dei campi di sterminio per isolare e demonizzare la Germania di fronte al mondo. Questo può essere vero, noi crediamo piuttosto che il nemico per il capitalismo internazionale era, ed è, il proletariato europeo e soprattutto quello tedesco, sicché si addossava e si addossa ai tedeschi come nazione tutte le colpe della seconda guerra mondiale e dei lager in particolare, in maniera da ottenere il risultato di annegare, da una parte, il proletariato tedesco, dopo averlo diviso geograficamente e politicamente nella massa informe del "popolo" o della nazione tedesca e, dall'altra parte, di separare questo stesso proletariato dai suoi fratelli di classe del mondo intero. Il gioco è continuato lungo tutto il dopoguerra presentando, ogni volta che il proletariato mostrava la sua autonomia, il pericolo fascista, i lager come castigo divino tale da fare accettare lo stato di cose esistente agli sfruttati di tutto il mondo.

Rassinier non si pretende marxista, si ritiene un socialista umanitario e pacifista vecchio stampo, per lui "è il campo stesso, in sé, che bisogna prendere di mira, indipendentemente dal luogo dove si trova, dagli scopi per i quali è utilizzato e dai regimi che lo impiegano", dunque non esita a denunciare i campi in URSS, in Grecia nel 1950 e nelle colonie, chiedendosi anche qual è la realtà negli Stati Uniti e denunciando gli opposti campi fascista ed antifascista come da condannare entrambi. A proposito dell'URSS risponde in maniera puntuale e fin troppo paziente ad un articolo firmato dai nullafacenti di professione Merleau-Ponty e Sartre, dove sostenevano che i campi di concentramento sovietici sarebbero stati più umani e anche una necessità per un paese che stava difendendo l'umanità dallo sfruttamento.

Noi sosteniamo che il lager nazista reso istituzione (oggi anche meta turistica) e trasformato nel Male Assoluto è servito alle potenze imperialiste antifasciste da Grande Alibi per giustificare le bombe su Hiroshima e Nagasaki, i bombardamenti su Dresda e Amburgo, per la politica di riarmo contro il "totalitarismo", per l'union sacrée fra tutte le classi e per la difesa della democrazia.

Il testo cade di tono quando Rassinier, per dimostrare il pressapochismo e la mancanza di serietà o la disonestà di ex deportati, discetta sul numero dei morti, trasformandosi in un contabile; per noi resta un libro da leggere per ribadire la necessità di parlare della responsabilità delle democrazie e dei democratici e della loro complicità col nazismo nell'ultima guerra e nella distruzione fisica e politica del proletariato.

Mauro Guatelli

SCHEDA 2

Primo Levi, Se questo è un uomo - La tregua, Einuadi, Torino 1989.

Testi troppo noti, specialmente il primo che riguarda la testimonianza dell'autore della sua detenzione nel campo di Auschwitz, perché si debbano spendere altre parole. Varrebbe tuttavia la pena di rileggere Levi e la sua descrizione dell'universo concentrazionario tenendo presente il testo di Rassinier. La distanza non è poi così grande come si è tentato di far passare.

RECENSIONE 2

Roger Garaudy, La politica dello Stato d'Israele e i suoi presupposti mitologici, Ed. Graphos, Genova 1996.

Nel dicembre 1995, Garaudy scrive: "Questo libro è dedicato alla malattia mortale del nostro secolo, l'integralismo dei dirigenti delle tre religioni rivelate: il cristianesimo, l'islamismo e l'ebraismo. Questo integralismo consiste, attraverso una lettura letterale e selettiva della parola rivelata, nel fare della religione lo strumento di una politica, sacralizzandola."

Il testo in questione si pone lo scopo di disvelare le falsità sulla storia del sionismo e sulla nascita dello stato di Israele. Tutti gli Stati hanno bisogno, per la propria esistenza e per la loro formazione, di qualche mitologia, ma il fatto è spinto al massimo livello per gli stati che si pretendono emanazione di un dio. Israele, stato artificiale, sorto dopo la seconda guerra mondiale senza alcuna giustificazione storica se non quella di essere la longa manu dell'imperialismo americano, più di altri stati ha bisogno di crearsi un alibi per la propria esistenza. Tutti gli stati per la loro formazione o rifondazione hanno bisogno di una mitologia: le democrazie vittoriose della seconda guerra mondiale, hanno il loro mito nell'antifascismo; la nostra Italietta "repubblica-nata-dalla-resistenza", ha nel partigianesimo il suo mito.

Il libro di Garaudy è una fonte inesauribile di rivelazioni e disvelamenti, ottimamente documentati da un importante apparato di citazioni. Possiamo darne solo un piccolo assaggio, come un'anteprima, sperando che serva per impegnare il lettore a inoltrarsi in questo scritto.

Il sionismo, movimento politico e spirituale alla base dello stato ebraico, nasce come movimento nazionalista, fondato da Theodore Herzl; esso non si rifà alla religione ebraica, ma al nazionalismo europeo del XIX secolo e difatti il suo fondatore dice: "La questione ebraica non è per me, una questione sociale, né una questione religiosa [...] è una questione nazionale".

Le leggi razziali di Norimberga, sotto il III Reich, prendono spunto dalle leggi ebraiche come è confermato da Streicher durante l'interrogatorio al processo di Norimberga.

Un mito da sfatare è il presunto antifascismo dei dirigenti del movimento sionista; mentre l'immensa maggioranza degli ebrei si era schierata contro Hitler, la minoranza fortemente organizzata dei dirigenti sionisti patteggiarono con i nazisti dal 1933 al 1941. Dice Garaudy: "L'unica preoccupazione dei sionisti, che era di creare un potente stato ebraico, unita alla loro visione razzista del mondo, li rendeva molto più anti-inglesi che antinazisti. Dopo la guerra essi divennero, come Menahem Begin o Itzak Shamir, dirigenti di primo piano nello Stato di Israele."

A proposito del vero o presunto olocausto, il libro di Garaudy si sofferma sulla cosiddetta "soluzione finale" quale progetto uscito dalla Conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942. Generalmente, gli storici di regime, qualunque regime esistente o esistito, hanno visto in questa Conferenza la decisione dei nazisti alla "soluzione finale", intendendo con questo termine lo sterminio in massa degli ebrei con le camere a gas. Si è tradotta con il termine sterminio lo sradicamento degli ebrei dai territori tedeschi: generalmente i termini tedeschi di "zuruckdrangung der Juden aus dem Lebensraum" (letteralmente: eliminazione degli ebrei dallo spazio vitale) sono stati tradotti con "sterminio" e anche termini più "innocui" come Ausrottung (estirpazione, evacuazione) sono stati tradotti in inglese, francese, russo e, buon ultimo, italiano, dove hanno operato ottimi traduttori, con il termine di "sterminio". E qui entriamo nello spinoso problema dell'esistenza delle camere a gas. Noi non parteggiamo per i negazionisti o i revisionisti sul problema delle camere a gas, e tanto meno per gli antirevisionisti, anche perché non abbiamo condotto studi approfonditi in materia, ma dobbiamo dire che le tesi revisioniste ci sembrano, lo sottolineamo per i duri di comprendonio, ci sembrano convincenti. Al di là dell'esistenza delle camere a gas, sarebbe interessante sapere perché alcune di queste sono state ricostruite dopo la guerra in campi dove pure la storiografia ufficiale ne ha ormai escluso l'esistenza (ci riferiamo a Dachau) e dove insegnati di sinistra e progressisti portano i loro studenti in pellegrinaggio per vedere, come nei film dell'orrore, le nefandezze del nazismo. Quando questi preti della borghesia rossa avranno il coraggio di indagare da dove proviene il plusvalore che li mantiene?

Ciò che a noi preme sottolineare è il fatto che - siano o meno esistite le camere a gas - per tutti gli antifascisti la loro esistenza, o il loro mito, sono state manna da elargire al proletariato disorientato e allontanato dalla sua politica. Le camere a gas vengono presentate come il massimo degli orrori, il nazismo come deviazione della storia, come "escrescenza" non necessaria del capitalismo, mentre il capitalismo, quello sano, "normale," diventa un Moloch per il quale immolarsi; gli orrori passati sono utilizzati per coprire con una cortina fumogena gli orrori del presente, e fra orrori del presente, e del passato, il maggiore: l'esistenza della legge del valore e della merce. Ma Garaudy non è un comunista, né lo è mai stato, e non arriva a queste conclusioni. E' solo un borghese più meno onesto come può esserlo un borghese - ormai fuori da ogni lobby politica e intellettuale - che ricerca, per quanto può, la sua la verità. Il suo testo, basta saperlo leggere, è una ricca documentazione bene formulata sulla questione ebraica.

Fra gli altri argomenti citiamo le vicissitudini del Diario di Anna Frank, forse ritoccato dal padre tanto da perdere il valore di documento storico.

I suoi amici di classe non gli perdonano le sue scelte e il nostro è costretto a pubblicare i suoi testi in maniera semiclandestina, fuori dal circuito delle grandi case editrici di sinistra e di destra, ma, naturalmente, fuori anche dalle piccole case editrici gauchistes che proprio sull'antifascismo hanno fatto tanto fortuna. Ricordiamo che in Francia la legge Gayssot punisce i reati di opinione e sotto questa legge sono già incappati diversi autori che propagandavano la negazione delle camere a gas. Diversi giornalisti hanno presentato questo testo come l'opera di Satana o di Hitler. Le Canard enchainé scrive: "Con Garaudy, ci si può aspettare di tutto"; L'Humanité (organo del PCF) si augura che la legge Gayssot possa farlo tacere; Libération: "Garaudy è passato nel campo antisemita"; Le Monde: "Un vecchio rosso passato dall'altra parte dello specchio: i neri" mentre Le Figaro denuncia la collusione fra i fascisti e i comunisti.

Roger Garaudy è un personaggio controverso, a suo tempo stalinista poi, nella controversia con l'URSS, filocinese, poi tante altre cose, ma mai stato dalla parte del proletariato e ora messo a tacere dalla legge Gayssot. Noi non ce la prendiamo con la legge Gayssot perché diamo per scontato che la borghesia faccia scrivere la storia ai suoi accademici ai suoi tribunali e ai suoi questori.

Rudiger

SCHEDA 3

Jean-Claude Pressac, Le macchine dello sterminio, Ed. Feltrinelli, Milano 1994.

Nato nel 1944, farmacista di professione. Partito da posizioni revisioniste, in seguito, anche in base ai risultati delle sue ricerche, si è fatto paladino della necessità di rifiutare ogni tentativo di ridimensionare o addirittura di negare lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti. Opere precedenti: Technique and Operation of the Gas Chambers, pubblicato negli USA nel 1989.

Questo testo è costruito sugli archivi russi dove sono stati reperiti oltre 80.000 documenti inerenti la "soluzione finale" e provenienti dalla Direzione delle costruzioni (Bauleitung) di Auschwitz. Altre fonti di documentazione i fondi del Museo di Oswiecim (Polonia), di Coblenza, Weimar e Berlino e di Yad Vashem (Israele). La ricostruzione delle tecniche di cremazione è puntigliosa ed estremamente documentata anche per quanto riguarda i rapporti tra l'amministrazione dei lager ed alcune grandi industrie tedesche. Appartiene tuttavia a quel genere di testi che, per la freddezza dell'approccio scientifico ad una materia così dolorosa, lasciano un senso di disagio.

SCHEDA 4

Till Bastian, Auschwitz e la "menzogna su Auschwitz", Bollati Boringhieri, Torino 1995.

E' un modesto testo di compilazione, senza la pretesa di fornire nuovi elementi, che ha tuttavia il pregio di sintetizzare efficacemente le posizioni antirevisioniste (o "sterminazioniste" come alcuni dicono) attraverso la ricostruzione degli avvenimenti di Auschwitz. La parte più debole è quella dedicata all'analisi delle posizioni e dei testi revisionisti che risulta estremamente semplificatoria.

RECENSIONE 3

Pierre Vidal-Naquet, Gli assassini della memoria, Editori Riuniti, Roma 1993.

I sei scritti in cui è diviso il libro (Un Eichmann di carta, Faurisson e Chomsky, Dalla parte dei perseguitati, Tesi sul revisionismo e Gli assassini della memoria) sono stati scritti e pubblicati tra il 1980 e il 1987.

Essi costituiscono un preciso atto di accusa agli intenti dei revisionisti (gli "assassini della memoria" appunto), una vigorosa condanna morale nei confronti di chi ha deciso che le cose non potevano essere andate così e, dunque, ha ritenuto di piegare anche la ricerca storica a questa pregiudiziale. Vidal-Naquet critica una metodologia di ricerca che scarta o demolisce speciosamente tutto ciò che non concorda con i propri fini.

L'autore dichiara di non voler discutere "con" i revisionisti, ma "dei" revisionisti, dei loro misfatti, della loro bassure morale e delle aberrazioni politiche che la ispirano. In effetti Vidal-Naquet finisce col discutere "con" i revisionisti, nel senso che ne critica aspramente le tesi e le conclusioni e così non poteva non essere. Questo è un elemento che aggiunge efficacia alla sua opera. Per tenere fede ai suoi intenti iniziali avrebbe dovuto essere meno schematico e superficiale nell'analisi che cataloga tutti i revisionisti come antisemiti o destrorsi, da Nolte a Faurisson, senza risparmiare Chomsky, intellettuale libertario che è entrato nel dibattito solo per ribadire il diritto alla libertà di parola e di ricerca. Ciò fa torto a figure come quella di Rassinier e all'intelligenza di Vidal-Naquet stesso.

Un piano di esclusiva condanna morale delle ricerche revisioniste può essere anche capito come momento di indignazione nei confronti di un'attività odiosa e speciosamente orientata a sostenere tesi precostituite, ma - da quest'ultimo punto di vista - non si sottrae, evidentemente, alle stesse accuse di partigianeria, dell'aver sposato aprioristicamente una tesi.

Diverso è ritenere che le tesi revisioniste siano - oltreché storicamente inesatte - moralmente basse perché fanno leva su piccole discrepanze di testimonianze di un tragico vissuto e che lucide e razionali di certo non potevano essere. Qui forse le esigenze della ricostruzione freddamente oggettiva confliggono con il rispetto necessario per ferite ancora aperte. Se si deve scegliere tra "accanimento" ricostruttivo e il velo del silenzio, mi pare che Vidal-Naquet non abbia dubbi. Non è facile dargli torto.

g.b.

SCHEDA 5

Gianni Moriani, Pianificazione e tecnica di uno sterminio, Ed. Muzzio, Padova 1996.

"Anche se centrata in particolare sulla "politica razziale del nazionalsocialismo" (con una appendice sulla repressione fascista degli ebrei italiani e l'antisemitismo della R.S.I.), l'opera di Gianni Moriani esamina in generale il fenomeno del genocidio nel suo variegato, e purtroppo ricorrente, manifestarsi nella storia. Dunque una "pratica antica", che ha radici profonde e diffuse e che sembra conservare sempre intatta la capacità di riprodursi....Fa spicco il senso storico dell'autore, mediante il quale si dimostra come un disegno orrendo quale quello del genocidio arrivi ad attuarsi dopo una lunga, articolata, implacabile azione ai più vari livelli." [Dalla prefazione di Massimo Cacciari].

SCHEDA 6

Cesare Saletta si occupa da lungo tempo e con estrema competenza della questione olocaustica da posizioni revisioniste di sinistra. Segnaliamo un suo testo facilmente reperibile: Per il revisionismo storico contro Vidal-Naquet, Ed. Graphos, Genova 1993.

SCHEDA 7

La Lente di Marx ha dedicato largo spazio nel n.3 del 1995 a questioni inerenti la libertà di ricerca storica sull'olocausto. Articoli e scritti di Aldo Bernardini, Franco Cardini, Ennio Di Nolfo, Piergiovanni Donini, Costanzo Preve, Rossana Rossanda (viene riprodotto un articolo da lei scritto per il Manifesto), ecc.

SCHEDA 8

La ProvocAzione Revisionista, numero unico editato a Bologna nel 1994, costituisce un'interessante "finestra" sul dibattito revisionista (pro e contro) nell'ambito dell'estrema sinistra. Purtroppo non crediamo che sia mai stato distribuito fuori, appunto, da quest'ambito.

SCHEDA 9

Carlo Mattogno è autore di numerosi scritti sull'argomento. Le sue posizioni sono chiaramente di destra, ma l'esposizione delle sue discutibili tesi non cade nella beceraggine. Segnaliamo un suo libro recente: Rassinier, il revisionismo olocaustico, Ed.Graphos, Genova 1996.

SCHEDA 10

Trasgressioni e Diorama sono due riviste storiche della destra colta e filosofeggiante che non disdegnano di assumere posizioni "antisistemiche". Animate da Marco Tarchi cercano a volte il dibattito con esponenti dell'intellettualità di sinistra. Il filone da cui traggono ispirazione è quello della destra intellettuale francese il cui esponente più rappresentativo è Alain de Benoist.

NAZISMO, OLOCAUSTO, REVISIONISMO E DEMOCRAZIA

La letteratura sul nazismo, i campi di concentramento, lo sterminio degli ebrei, ecc. è già sufficientemente ampia da renderne difficile la padronanza a chi non sia storico di professione o, comunque, non si dedichi specialisticamente alla materia. Mi limiterò quindi ad alcune considerazioni di carattere generale sul nazismo e sulla querelle che oppone storici cosiddetti "sterminazionisti" e "revisionisti", nei cui rispettivi campi mi sembra si possano annoverare autori di differenti impostazioni politiche. Detto per inciso, ritengo che, per quanto "asettica", un'indagine storica muova sempre da determinate ipotesi di lavoro ed inoltre non è detto che i "fatti", sia pure rigorosamente vagliati, siano capaci, di per sé, di condurre a conclusioni univoche.

Comunque, dovrebbe essere evidente che un conto è accertare l'esistenza o meno delle camere a gas, o verificare le dimensioni della carneficina di ebrei compiuta dal regime hitleriano, altro, ad esempio, dare un'interpretazione globale del nazismo protesa ad attenuare e giustificare le sue caratteristiche violentemente reazionarie. A parte ciò, il primo problema di fronte a cui ci si trova è proprio questo: cosa fu il regime nazionalsocialista e, di conseguenza, come si deve considerare la posizione politica di quanti operano oggi secondo linee che tendono a "revisionare" il giudizio rispetto ai canoni ancora largamente dominanti nella storiografia ufficiale e nelle valutazioni politiche? La risposta a un tale quesito ha un peso fondamentale nell'inquadrare le diverse questioni particolari. Ora, proprio a questa domanda si risponde correntemente con la demonizzazione assoluta del nazismo, assunto a vera e propria incarnazione del Male che irrompe nella storia, portatore di una barbarie e di una violenza inumana, il concentrato, per definizione, di ogni nefandezza. Una siffatta "spiegazione", poi, nei paesi come l'Italia, le cui popolazioni hanno conosciuto l'occupazione tedesca successivamente all'armistizio e il cumulo di stragi e di orrori che la caratterizzò, si è sedimentata in un luogo comune che dall'antinazismo è scivolato nella velata condanna del "popolo tedesco", identificato in qualche modo con quel regime.

La "mostrificazione" del nazismo è stata perseguita per il semplice motivo che essa permette di collocare questo regime fuori dalla storia e quindi fuori dai concreti rapporti di classe che lo generarono. Il nazismo non sbuca dal lato oscuro della coscienza, non è l'emergere dell'irrazionale e dell'inumano: esso è invece un prodotto storico preciso, il frutto combinato del dominio capitalistico in generale - scosso da una crisi profonda - e dalla situazione concreta in cui la borghesia tedesca si venne a trovare, schiacciata dalle condizioni della pace di Versailles e chiusa nelle sue velleità espansioniste dalle potenze imperialistiche rivali in Europa e al di là dell'oceano. Con l'avvento al potere del partito nazionalsocialista e la nascita del Terzo Reich, la borghesia tedesca sanziona la sconfitta definitiva del proprio proletariato - i cui tentativi rivoluzionari negli anni precedenti erano stati schiacciati grazie all'azione della socialdemocrazia - e avvia il motore del riarmo e della preparazione alla guerra. Il carattere di violenza estrema del nazismo, gli orrori di cui è intrisa la sua storia, sono dunque parte integrante della storia della borghesia: essi sono la forma più dispotica che il dominio di classe può raggiungere in particolari condizioni storiche, la dimostrazione delle potenzialità di violenza reazionaria che sonnecchiano nei periodi normali, per scatenarsi non appena le condizioni dello sfruttamento del proletariato e le basi di esistenza del modo di produzione capitalistico siano messe in discussione.

La storia, tuttavia, la scrivono i vincitori, nel senso che, di norma, le forze sconfitte materialmente lo sono anche spiritualmente. Nella fattispecie, l'interpretazione del nazismo come un "buco nero", qualcosa contro cui venivano chiamati a combattere gli uomini in quanto tali, privi cioè di ogni determinazione di classe, in nome della "civiltà" tout-court, fu la "morale storica" che venne tratta. Essa, oltre a scindere ogni legame fra nazismo e capitalismo, per fare salvo quest'ultimo, presentava anche il vantaggio di rispondere adeguatamente alla composizione dello schieramento vittorioso, capeggiato dalle "forze alleate". Questo, infatti, insieme agli anglo-americani, era formato dalla Russia e dalle forze partigiane, di cui i partiti staliniani erano parte considerevole. Tanto più, dunque, il regime hitleriano era dipinto come una creatura demoniaca, ciecamente irrazionale, tanto più facile risultava l'operazione di presentare le democrazie sopravvissute o ricostruite dopo la sua disfatta come democrazie di "tipo nuovo", alla cui salvaguardia sarebbero stati interessati per primi gli stessi proletari. E' questa, ad esempio, la storia del dopoguerra in Italia, con la Costituzione antifascista della Repubblica "nata dalla Resistenza", nel cui ambito la "democrazia progressiva" di cui parlerà l'VIII congresso del PCI togliattiano avrebbe potuto, secondo i desiderata dei riformisti, svilupparsi organicamente.

Nelle sue linee generali, questa è l'unica lettura che un comunista rivoluzionario può fare degli avvenimenti che tennero a battesimo la seconda guerra mondiale, perché lega in modo organico lo sviluppo delle contraddizioni del capitalismo con le trasformazioni delle sovrastrutture politiche e statuali, senza scindere le storia in una serie insulsa di regole ed eccezioni, scandite dall'alternarsi di Bene e Male. E' chiaro che, in una tale visione, il problema dell'esistenza o meno delle camere a gas, o quello dell'esatto ammontare degli ebrei eliminati dal nazismo, così come il grado di pianificazione cosciente della "soluzione finale", diventano secondari. Sia chiaro che l'aggettivo "secondari" non ha affatto la funzione di relativizzare o sminuire la portata delle atrocità e dello sterminio perpetrati dal regime hitleriano. E' assodato che le dimensioni di tale sterminio furono enormi e coinvolsero non soltanto gli ebrei, ma anche le minoranze politiche ostili al nazismo e, più in generale, le popolazione dell'Europa orientale, finite sotto il tallone del Terzo Reich e sottoposte ad un meccanismo infernale di repressione e sfruttamento come forza-lavoro oltre i limiti dell'esaurimento fisico.

Analizzare dettagliatamente le politica del regime nazista, prima e durante il conflitto, per comprendere se le sistematiche persecuzioni anti-ebraiche evolsero verso un vero e proprio progetto di "soluzione finale", è certamente importante, non solo per una questione di precisione storiografica, ma anche da un punto di vista strettamente politico, dal momento che l'odio contro il giudaismo, così come il mito della razza eletta, ebbero un ruolo ideologico e pratico nell'ascesa del partito nazionalsocialista. Semmai, occorrerebbe indagare più accuratamente la funzione concreta - oltre che di collante ideologico - che ebbe la persecuzione contro gli ebrei. Ma la pianificazione cosciente dello sterminio di massa, se può far toccare alla violenza nazista un livello ancor più elevato di orrore, non può modificare la sua natura di strumento di una borghesia che, con la violenza più barbara, tenta di imporsi sulle potenze rivali che la accerchiano e che intendono negarle il suo "buon diritto" di sfruttare, oltre al proprio proletariato, anche le aree esterne che "spettano" all'imperialismo tedesco. La brutalità del nazismo non è altro dalla brutalità di un sistema capitalistico che vive normalmente di sfruttamento ed oppressione e che, nei momenti di crisi, mobilita le sue riserve di violenza e distruzione, senza arrestarsi di fronte alla barbarie più rivoltante: ne è invece, come già detto, parte integrante.

Per i liberali di ogni sfumatura e per i democratici piccolo-borghesi, che pretendono di incatenare il capitalismo ai metodi di governo pacifici e parlamentari, senza capire che le forme politiche vanno e vengono sulla base della loro praticabilità nei rapporti fra le classi, le camere a gas nei lager o il genocidio premeditato divengono non il picco più rivoltante, bensì l'essenza stessa del nazismo. Esso deve essere arrivato fino a tal punto, perché lo si possa combattere non con la lotta proletaria per l'emancipazione della schiavitù salariata, ma con l'unione sacra fra tutte le classi sociali e gli Stati "democratici", al fine di ripristinare la convivenza civile, cioè il normale sfruttamento proletario, la normale violenza contro le classi oppresse, la normale barbarie quotidiana. Certo, il democraticismo in genere ed il riformismo, sia di origine staliniana che socialdemocratica, in particolare, non hanno bisogno che si arrivi agli estremi di Hitler per trovare giustificazione al proprio congenito interclassismo. Ma, nel caso in questione, opporsi al nazismo alla loro maniera implicava la partecipazione attiva ad un fronte della guerra imperialista, significava chiedere al proletariato di tutti i paesi di scannarsi affinché, su una piramide di 50 milioni di morti e su una massa di sofferenze indicibili, il sistema capitalistico nel suo insieme potesse riprendere a funzionare e gli apparati potere essere ricostruiti, senza rischi per le varie borghesie.

L'indicibilità della nefandezza nazista era dunque un ingrediente indispensabile. Analogamente, il revisionismo storico reazionario punta ad un capovolgimento speculare di questa tesi, preservandone il fondamento idealistico, allo scopo di attenuare le colpe di quel regime, se non di compierne una grottesca rivalutazione. E' evidente che, una volta che sia rescisso ogni legame organico fra la lotta di classe e lo sviluppo di determinati regimi politici, la valutazione di questi ultimi dipende dalla "quantità" di Bene o di Male in essi presenti, dalla rispondenza ai criteri morali generali, dal rispetto dei diritti umani e così via. Così, per restare su un argomento connesso a questa materia, la costituzione dello Stato di Israele viene legittimata, con un analogo procedimento idealistico, da coloro che vedono in essa la riparazione allo "olocausto", un appellativo, quest'ultimo, che soffonde la persecuzione e lo sterminio reale degli ebrei di un alone mistico. In maniera rovesciata, in alcune pubblicazioni neonaziste si può leggere che, se si ottenesse la prova dell'inesistenza delle camere a gas, o la prova che la "soluzione finale" non fu mai progettata dal nazismo e che i lager erano campi di lavoro la cui altissima mortalità era conseguenza del freddo, della fame e delle malattie - e non una finalità scientemente perseguita - allora si dovrebbe avanzare l'ipotesi che lo Stato di Israele non ha alcuna legittimità "davanti a Dio e davanti agli uomini". Va invece detto che la creazione d'Israele sul territorio storico della Palestina fu una operazione squisitamente imperialistica, come dimostra il suo ruolo di gendarme delle grandi potenze in Medio Oriente ed il ferreo legame con gli USA oltre la sua natura costituzionalmente colonialista e razzista. Ma ciò non ha nulla a che vedere con l'esistenza o meno dell'olocausto e con le dimensioni complessive dello sterminio ebraico. In questo, revisionismo reazionario e sionismo si dimostrano convergenti proprio nel legare la "questione ebraica" (che si trascina da secoli nella storia dei paesi europei) con l'esistenza di Israele.

Per i "democratici", come già detto, l'inenarrabile brutalità del nazismo diviene la comoda giustificazione del loro sostegno "alla parte buona della borghesia". Con ciò essi non si accorgono, tra l'altro, di salvare anche la "parte cattiva", come empiricamente dimostra il fatto che, una volta sconfitta la Germania, i vincitori - USA in testa - integrarono rapidamente molti quadri nazisti nel proprio apparato di potere, chi in funzione di addestratore in qualcuna delle numerose dittature militari del Sudamerica, chi direttamente nella rete di spionaggio, ecc. Tuttavia ciò non deve spingere i comunisti rivoluzionari a negare il carattere di eccezionalità del nazismo e della sua violenza reazionaria. Essa consiste soprattutto nel fatto che tale regime si affermò nel cuore dell'Europa, cioè del mondo più avanzato, in virtù di un insieme di avvenimenti certamente eccezionali come lo sono quelli che preparano una guerra imperialista mondiale. La virulenza della macchina nazista era direttamente proporzionale alla potenza del suo apparato industriale e finanziario, lanciato nello sterminio sistematico dei propri nemici, un apparato che fu capace di raggiungere vette di orrore applicando alla violenza ed alla repressione le tecniche industriali della produzione di massa. Buona parte del terrore che il democratico piccolo-borghese prova nel contemplare il regime hitleriano è dovuto alla percezione di tale fatto, deformata però dal suo latente razzismo. E' un "eurocentrismo" pieno di sé che gli fa valutare il Terzo Reich come la più grande tragedia della storia, mentre alle efferatezze e ai "massacri etnici" compiuti dai regimi sanguinari sparsi nelle periferie del mondo riserva solo un sospiro di compassione, davanti al telegiornale, prima di mettersi a mangiare: si sa, "quei" popoli devono ancora imparare la convivenza pacifica... Al contrario, lo sterminio di massa nel cuore dell'Europa lo riempie di sgomento, è il segnale angoscioso che qualcosa di profondo non funziona come dovrebbe, ed allora il nostro democratico corre a rifuggiarsi nell'idea che ciò non può essere che frutto di "mostruosità", una tremenda eccezione della storia che non deve più ripetersi ...nel mondo civilizzato. Il paradosso di tutto ciò è che, mentre il criterio generale di giudizio del piccolo-borghese consiste nell'applicazione del suo "metro morale" agli avvenimenti, è poi lui che applica alla storia la morale della latitudine.

Una considerazione, infine, sul revisionismo "di sinistra". E' senz'altro necessario smontare l'impalcatura ideologica "democratica" usata per sostenere lo sforzo bellico dello schieramento imperialista anglo-americano e la ricostruzione degli Stati borghesi. Come ho detto, non penso che i mezzi tecnici con cui furono eliminati gli ebrei o l'esistenza di un piano scientificamente predisposto per lo sterminio siano in sé e per sé determinanti. Tuttavia, mi sembra che il revisionismo su tali argomenti sia stato accettato da parte di qualche rivoluzionario con l'implicita speranza che esso semplifichi tutta la materia, riducendo il nazismo ad un regime autoritario come tanti. Un po' come dire: l'esistenza delle camere a gas non sarà determinante, ma, se non ve ne furono tanto meglio; sarà più facile per noi costruire uno schieramento "indifferentista" nei confronti del potere borghese, sia esso democratico o reazionario. Ritengo invece che la critica rivoluzionaria non consista nel ridurre fenomeni diversi alla loro comune matrice, cioè nel farli uguali prescindendo dalle loro specificità. Essa deve bensì ricondurre le forme politiche al potere di classe, che è borghese in entrambi i casi, ma cogliendone le particolarità e facendosi carico anche del carattere di eccezionalità che, in determinate circostanze, gli avvenimenti possono assumere.

P.F.

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DIBATTITO

Un altro punto di vista su "Alle origini del comunismo dei consigli" di P.Bourrinet

In questo intervento cercherò di analizzare i "punti d'ombra" rispetto ad una mia visione soggettiva del libro di Bourrinet sulla sinistra comunista tedesco-olandese e sia rispetto alla recensione di Mauro Guatelli apparsa sul bollettino "Altra storia" di Genova del gennaio 1996.

Avendo incontrato Philippe Bourrinet nel gennaio di quest'anno a Milano durante la presentazione del suo libro (organizzata dagli Amici di Van der Lubbe) ho approfondito la mia conoscenza rispetto al testo in questione e alle valutazioni che l'autore da oggi sul libro.

Bourrinet ha dato un taglio "leninista" all'opera, cercando - anche in modo artificioso - di non contrapporre il pensiero di Lenin e l'apparato sovietico della Terza Internazionale alle organizzazioni e ai teorici della sinistra comunista tedesco-olandese. E' significativo come esalti quasi unicamente la componente del KAPD più vicina alla Terza Internazionale e come metta in risalto Gorter, indubbiamente uno dei teorici più militanti di quel periodo, ma si dimentichi quasi di Otto Rühle. Personalmente ritengo l'apporto dell'unionista tedesco uno dei più lungimiranti, sia rispetto alla Russia sia al rapporto avanguardia-massa.

Sono in disaccordo con l'autore quando contrappone Pannekoek all'unionismo: basti ricordare una lettera di Pannekoek del 1920 (riportata nel libro di Autier-Barrot, La sinistra comunista in Germania):"L'idea che debbano esservi due organizzazioni degli operai distinte è falsa".

L'involuzione che l'autore intravvede nel passaggio dal comunismo di sinistra al comunismo dei consigli è opinabile. Se è vero che ci sarà una drastica diminuzione numerica, accompagnata da una fase controrivoluzionaria, tuttavia non impedirà a questa corrente di avanzare enormemente a livello teorico. Tuttavia la fragilità organizzativa non era un elemento di debolezza ma un chiaro rifiuto del ruolo del partito e della centralizzazione. Il GIC olandese si prefigurava come organizzazione-movimento, si pensava come soggetto politico minimo all'interno del soggetto principale: la classe. Tale schema verrà ripreso da numerosi gruppi negli anni 60/70 e dalle componenti più libertarie dell'autonomia proletaria italiana.

Bourrinet nel suo libro spiega la scomparsa storica di questa corrente adducendo come motivo principale la debolezza organizzativa; ironia della sorte vuole che le componenti della sinistra comunista italiana siano praticamente estinte pur essendo iper-organizzativiste. Tuttavia l'autore constata anche che con la ripresa del movimento di classe degli anni 60/70 numerose esperienze a livello internazionale daranno nuova linfa a questa corrente.

Il rifiuto del partito e l'introduzione della forma consiglio operaio (dobbiamo ricordare che i consigli operai non erano dei feticci organizzativi, Pannekoek infatti ricordava che i consigli operai in età capitalista vogliono dire lotta di classe; questa precisazione è necessaria perché una delle accuse più ricorrenti a questo movimento è stata quella del suo acceso "gestionismo") era in effetti un superamento dello stesso Marx, anche se, all'epoca, questo sarebbe risultato un'offesa per i teorici marxisti consiliari.

L'abbandono dello spirito guida e la nuova valutazione della spontaneità operaia sono la chiave di lettura che spiega quel superamento. Era la stessa classe operaia che, autonomamente, si sbarazzava di tutti gli strumenti borghesi e, all'interno della lotta di classe, si organizzava per il comunismo libero. Vi è dunque un superamento della stessa politica e del militantismo.

Parlando direttamente con l'autore ho potuto chiedergli il perché dell'impostazione leninista del libro. Bourrinet mi ha risposto che lo scrisse quando era militante di un gruppo politico e questo aveva inciso negativamente nella stesura del testo che era risultato viziato da alcune chiusure ideologiche. Oggi riscontrava anche lui delle forzature e aveva un atteggiamento più conciliante rispetto all'evoluzione della sinistra comunista tedesco-olandese.

Io considero questa corrente dal punto di vista storico e quindi non attualizzabile, tuttavia penso che sia stata un'esperienza tra le più floride del movimento operaio. E con questo sbarazzo il campo da possibili "insegnamenti e consigli". Importante è sapere che è esistita una tendenza sovversiva che negava tutte le forme di rappresentanza borghese e i rispettivi modelli organizzativi. Questo mi basta per intravvedere un filo rosso che lega le tendenze sovversive del passato con quelle attuali.

D.N.

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RICERCHE

Gli anarchici nella resistenza in Liguria (parte seconda)

L'avvento del fascismo, la clandestinità

Ci fa da filo conduttore la "Relazione del lavoro svolto durante il periodo fascista, insurrezionale e dopo la liberazione"1 stesa da un compagno non identificato nell'immediato dopoguerra: "Dopo le battaglie sostenute contro i fascisti, culminante nell'assalto alla Camera del Lavoro di Sestri Ponente nella quale i fascisti e le guardie regie ebbero la peggio, la situazione s'inasprì sempre più contro gli anarchici".

Nel biennio rosso i militanti e i gruppi anarchici erano una forza ragguardevole, attiva e sempre presente nelle lotte sociali e politiche nel Genovesato. I punti di forza del movimento: la Valpolcevera e i comuni operai del ponente cittadino (Sestri P., Cornigliano, S.P.D'Arena, ecc.). Secondo la polizia alla fine del 1919 il numero dei militanti di questi gruppi era di oltre duecento e vengono citati, tra i più attivi ed influenti, tra gli altri, Gastone Cianchi, Emilio Grassini, Angelo Dettori. In campo sindacale la situazione era ancora più favorevole: consistenti nuclei libertari erano presenti nei vari stabilimenti del gruppo Ansaldo (Fonderia, Cantiere, Proiettificio, Vagonificio) e in varie altre importanti aziende metallurgiche e metalmeccaniche (Ferriere di Sestri P., Ferriera di Trasta, ecc.) dislocate nel ponente e nella Valpolcevera. Le lotte operaie di quegli anni culminate nell'occupazione delle fabbriche avvenuta l'uno e due settembre 1920 vedevano particolarmente attivi anarchici, libertari e sindacalisti rivoluzionari organizzati nell'USI. Tra questi Pietro Caviglia, Angelo Dettori, i fratelli Stanchi, Emilio e Natale Grassini, Piana, Antonio Negro, Pasquale Binazzi, ecc. La storia racconta come si concluse l'occupazione e come svanì l'ultima grande occasione per un attacco rivoluzionario offerta alla classe operaia: le esitazioni della C.G.L., l'accettazione da parte del Partito socialista e della stessa C.G.L. del compromesso giolittiano, lo smantellamento del movimento. A Sestri Ponente la maggioranza degli operai organizzati nella locale Camera del Lavoro respinse quella che fu definita "la beffa atroce del controllo operaio", ma ciò non servì a nulla come a nulla servì il tentativo dell'USI di estendere il movimento alle ferrovie, ai porti, alle navi nel convegno regionale convocato a S.P.D'Arena il 7 settembre. La risoluzione di palazzo Marino cancellò tutto e lasciò i lavoratori disarmati di fronte alle reazione fascista2.

La Camera del Lavoro di Sestri P. a forte maggioranza anarchica e sindacalista rivoluzionaria (venne diretta da sindacalisti e anarchici a partire dal 1905 e nel biennio rosso da Antonio Negro) e che contava quasi quattordicimila iscritti era tuttavia osso duro da rodere e ancora per qualche tempo mantenne intatte le sue capacità d'organizzazione e di lotta. Tuttavia "La sera del 4 luglio 1921 le squadre fasciste provenienti da Genova, dopo essersi abbandonate ad atti di violenza contro singoli lavoratori, mossero all'assalto della sede della Camera del Lavoro, mentre reparti di carabinieri e poliziotti assistevano senza intervenire. Nella C.d.L. si trovava un centinaio di operai ed ebbe inizio così una violenta battaglia che durò tutta la notte e nella quale carabinieri e poliziotti si affiancarono ai fascisti, facendo uso di moschetti e di bombe a mano; all'alba i difensori, esaurita ogni possibilità di resistenza, riuscirono a lasciare l'edificio e a mettersi in salvo mentre la Camera del Lavoro venne devastata dagli assalitori."3 Uno sciopero dei lavoratori sestresi protrattosi dal 5 al 7 luglio non riusciva ad impedire la chiusura e l'occupazione da parte dei carabinieri della sede della CdL. Solo il 31 luglio essa veniva restituita con l'imposizione di un "patto di pacificazione" siglato per gli organizzatori sindacali da Angelo Dettori e Angelo Faggi4.

L'accordo venne ben presto disatteso dai fascisti e la C.d.L. doveva essere chiusa definitivamente nel 1922. L'attacco fascista divenuto generalizzato contribuì a scompaginare definitivamente le vecchie organizzazioni sindacali e politiche - intransigenti o tentennanti che fossero - in tutta la Liguria, come nel Genovesato e nel ponente cittadino. E' tuttavia degno di rilevanza il fatto che l'ultimo Congresso nazionale ufficiale dell'USI si tenesse a Genova il 28 e 29 giugno 1925 e che vi fosse una discreta rappresentanza di delegati per la Liguria e per Genova in particolare a dimostrazione di legami non del tutti scissi con il proletariato delle grandi fabbriche.5

Si chiudeva comunque - per gli anarchici come per gli altri - una fase della storia della lotta di classe e si apriva un nuovo capitolo contrassegnato da attività cospirative, lotte isolate, azioni anche individuali che in qualche modo avrebbero mantenuto una continuità tra il passato e la speranza di un futuro diverso.

I nomi dei compagni che abbiamo citato e di molti altri protagonisti di quelle lotte, li ritroveremo nella lotta clandestina, vittime di persecuzioni politiche, in esilio, militanti in terra di Spagna, al confino, e finalmente nella lotta armata contro il fascismo.

Note

1 - Relazione del lavoro svolto durante il periodo fascista, insurrezionale e dopo la liberazione (nel seguito semplicemente Relazione), dattiloscritto conservato in originale nel Centro di Documentazione Anarchica di Piazza Embriaci (Genova). L'attribuzione più verosimile di questo scritto sembrerebbe quella a Pietro Caviglia perché la prima parte di questo scritto compare - con piccole variazioni - all'interno dell'articolo titolato "La Resistenza anarchica nella grande Genova" apparso sul numero 16 A.XLIV di Umanità Nova del 26 aprile 1964 a firma Caviglia - Marzocchi e dunque, escludendo Marzocchi per motivi stilistici, l'ipotesi subordinata è che la relazione sia stata stesa proprio da Pietro Caviglia.

2 - Gino Bianco, L'attività degli anarchici nel biennio rosso (1919-1920), Il movimento operaio e socialista in Liguria A.VII n.2 Aprile-Giugno 1961

3 - G.Perillo, Il movimento operaio italiano, Roma 1977

4 - ASG, Carte della Prefettura Gabinetto, pacco 21 - Il testo è riportato in G.Faina, Le lotte di classe in Liguria 1919-1921, Genova 1965

5 - Resoconto del Convegno Nazionale dell'Unione Sindacale Italiana, Genova 28 e 29 Giugno 1925. Conservato in originale presso la Biblioteca Max Nettlau di Bergamo e riportato integralmente in Autogestione n.6, Autunno-Inverno 1980 nell'articolo "U.S.I. ultimo atto - Il Convegno Nazionale di Genova 1925" di Maurizio Antonioli.

Tra i delegati di Genova sicuramente Antonio Negro e Attilio Caggero. Riportiamo alcune parti del resoconto: "Dopo il decreto di morte governativo del 7 gennaio [si fa cenno al decreto di scioglimento dell'USI del pretore di Milano del 7 gennaio 1925], i sindacalisti rivoluzionari d'Italia si sono riuniti nella capitale della Liguria ed hanno emanato un decreto di vita per la gloriosa ed eroica Unione Sindacale Italiana. Il Convegno tenutosi in secreto è riuscito imponente contrariamente ad ogni aspettativa. Erano rappresentate la Lombardia con 10 rappresentanti fra cui le città di Milano, Bergamo, ecc.; il Piemonte con 2 rappresentanti; la Liguria con 5 rappresentanti, fra cui principalmente la nostra Sestri Ponente, La Spezia, ecc.." e più avanti, specificamente sulla situazione genovese: "Attilio Caggero di Sestri Ponente porta il saluto del proletariato ligure. Dice che il morale delle maestranze operaie metallurgiche è quanto mai alto; alcune agitazioni come quelle delle maestranze delle Ferriere Bagnara si son chiuse con risultati soddisfacenti. Si nota un risveglio in tutta la Liguria. L'oratore porta a sostegno della sua affermazione dei dati precisi con risultati ottenuti dai sopralluoghi della Spezia, Novi Ligure, Savona, S.P.D'Arena..."

Clandestinità, esilio e repressione

"Con l'accusa del fascismo al potere molti compagni dovettero riparare all'estero. Coloro che non vollero varcare le frontiere furono quasi tutti bastonati, carcerati e inviati al confino"1. In effetti sono molti i compagni che già dal 1921 subiscono duramente i colpi della reazione montante. Almeno tre sono gli assassinati: Primo Palmini a Pegli, Rossi a Sestri Ponente e Pierino Pesce a Coronata;2 molti anche i feriti dalle squadre fasciste. Altri come Adelmo Sardini, Lorenzo Gamba, Augusto Boccone, Costantino Sansebastiano, Francesco Rangone, Emilio Grassini - solo per citare alcuni nomi che ritroveremo nell'arco di tutta la lotta di opposizione al fascismo - sono arrestati, ammoniti, iscritti nelle liste di proscrizione già a partire dai primi anni '20. Lo stesso Gamba, Pietro Caviglia, Bruno Raspi, Renato Gori debbono riparare in Francia insieme a molti altri. All'entrata in vigore delle leggi eccezionali e del tribunale speciale altri militanti anarchici sono colpiti: Carlo Benati è arrestato nel '25, Paquale Binazzi e Vincenzo Toccafondo nel '26, Virgilio Mazzoni e Umberto Seidenari inviati al confino nel '26, Gastone Cianchi ammonito e sottoposto a stretta vigilanza, Armando Bugatti arrestato nel '28. Il movimento anarchico e sindacalista genovese (così come nel resto d'Italia) è duramente colpito dalla repressione e forse più d'altri, almeno agli inizi, patisce le proprie forme organizzative federative particolarmente vulnerabili alla perdita dei contatti.

"Un minuscolo gruppo rimase nella Liguria ammonito o negletto, il quale, sia pure sotto la vigilante osservanza dei poliziotti e delle spie fasciste, riuscì a passare ventitre anni nella cloaca fascista senza rinunzie pur pagando regolarmente regolari corsi di carcere preventivo, qual delizie del nuovo regime"3. Gli anni bui del regime non intimidiscono più di tanto i compagni rimasti a Genova e scampati alla galera o al confino. Anzi è proprio a partire dagli anni '30 che si ristabiliscono i contatti, dapprima tra i militanti genovesi, a piccoli gruppi, e poi tra questi e quelli delle altre località (infaticabile è stata in questo senso l'opera di Pasquale Binazzi che negli anni non passati tra galera e confino tessé instancabile una rete di collegamenti clandestini), infine con i compagni in esilio in Francia. Si passa cioè dalla ribellione e dalla resistenza individuale o dalla cospirazione armata di singoli o piccoli gruppi che progettano il "gesto esemplare" o il "tirannicidio" - come nel caso del gruppo di Faustino Sandi, Guido Marzocchi e Pietro Meloni condannati a 30 anni di carcere per aver in concorso tra loro e con altri costituito "associazione tendente a provocare strage e preparato attentato al duce" con sentenza del Tribunale Speciale del 15/6/19324 - alla ricostruzione di una rete organizzativa di lotta antifascista e di propaganda anarchica.

"Si deve appunto a questo piccolo gruppo sparpagliato nei vari paesi del genovesato se la fiaccola dell'anarchismo continuò ad ardere luminosa in mezzo alle tenebre fasciste."5. Chi fossero i compagni che hanno tenuta accesa la fiaccola in mezzo a mille difficoltà lo possiamo solamente supporre: sicuramente Emilio Grassini, testimone in seguito lucido e attento di quegli anni, certamente i fratelli Stanchi, probabilmente Toccafondo, Mazzoni, Sardini e gli altri rimasti, nei brevi periodi liberi tra arresti, carcere e confino.

"Dobbiamo aggiungere che a differenza di quanto avvenne in altri partiti, i superstiti dell'anarchismo ligure non ebbero bisogno di coprirsi con l'orpello ributtante del "doppio gioco", di indossare cioè i simboli contrari all'anarchia."6. L'intransigenza e il rigore dei principi, la "fede" cocciutamente rivendicata, la "refrattarietà" al conformarsi sono certo sempre state caratteristiche precipue degli anarchici (a volte così caparbiamente esibite da rischiare più che l'estraneità, l'antagonismo nei confronti dei duttili tatticismi sacrificati alla politica "rivoluzionaria" di classe), non c'é dunque motivo di dubitare che tra le fila dei nostri compagni le defezioni siano state pochissime.

Pochissime quelle dovute a calcoli di opportunità personale, alcune dovute ad una sorta di "grande sonno" che per molti finirà il 25 aprile del '43, sicuramente nessuna dovuta ad un doppio gioco programmato, all'entrismo cioè nelle organizzazioni di massa del fascismo - che ad esempio i quadri comunisti spesso attuarono per mantenere comunque aperto un rapporto con le masse lavoratrici. Un limite o una coerenza totale? Probabilmente tutte due le cose insieme.

Seguiamo ancora la Relazione: "[gli anarchici] Pagarono di persona rimanendo coerenti ai nostri ideali. Gli schedari polizieschi sono lì a confermare la nostra asserzione: "L'anarchico schedato (vi si legge) mantiene le sue idee, continua su di lui la sorveglianza", oppure "seguendo gli ordini ecc. abbiamo arrestato l'anarchico schedato X il giorno .... e lo abbiamo rilasciato il giorno .... Continua la sorveglianza". Di questi rapporti i dossier dei nostri compagni sono pieni e non ne troverete uno in cui vi sia una parola che faccia dire allo sbirro: l'anarchico X si ricrede, si pente ecc."7.

Le schede della polizia che abbiamo potuto consultare8 recano la stampigliatura "Anarchico" sovente seguita da "pericoloso" e dalle azioni da intraprendere: vigilare, mantenere sotto stretta sorveglianza oppure per i fuoriusciti iscritti nelle liste di frontiera: segnalare, perquisire, arrestare. Più della metà del campione di schede che è stato possibile visionare si riferisce a militanti espatriati all'avvento del fascismo o negli anni immediatamente successivi. In una prima approssimazione è anche possibile stabilire quali furono i paesi meta dell'emigrazione: la Francia innanzitutto (almeno il 20% vi si stabilirono), poi la Spagna, gli USA e l'Argentina in maniera consistente, e poi ancora il Belgio, Tunisi, Londra, ecc. Dalle stesse schede siamo poi in grado di indurre le condizioni professionali prevalenti: operai dell'industria in maggioranza, poi braccianti, muratori e artigiani; questo spaccato sostanzialmente coincide con quello che è possibile ricavare dalle schede dei condannati dal Tribunale Speciale e - come vedremo - dalle biografie dei compagni che abbiamo ricostruito: tanti lavoratori del braccio (provenienti infatti in prevalenza dalle zone ad altra concentrazione operaia del Genovesato), pochissimi intellettuali di professione ma moltissimi generosi ed entusiasti autodidatti.

Note

1 - Relazione citata

2 - Dall'articolo di E.Grassini "Per la storia del nostro movimento in Liguria (parte I)" pubblicato su L'Amico del Popolo, A.II n.4 del 6/4/1947 traiamo la seguente testimonianza: "Negli scontri con le forze reazionarie monarchico- fasciste caddero: a Pegli il compagno Palmini Primo di La Spezia, a Sestri il sindacalista Rossi colpito a tradimento dai sicari della borghesia; e molti compagni feriti in azione più o meno gravemente, mentre a Coronata cadeva il ribelle Pierino Pesce, elemento insofferente di ogni disciplina e molto vicino a noi... "incamerato" poi, come il Palmini, fra i caduti del PCI allora appena nato." Su Pierino Pesce anche: AA.VV., Campi e SIAC protagonisti della resistenza antifascista contro il nazismo invasore in difesa di libertà e democrazia, Genova 1985.

Al di là dell'appartenenza politica di Palmini e Pesce - peraltro per quanto riguarda Pierino Pesce timidamente confermata dal libro curato dall'ANPI di Cornigliano Quarantesimo anniversario della Repubblica, Genova 1986 - c'è da rilevare che l'oscuramento del ruolo degli anarchici nell'antifascismo e nella Resistenza (da parte principalmente dei comunisti) è dovuto ad almeno due fattori: il primo è la pura e semplice mistificazione storica per ragion di partito (come probabilmente è in questi due casi); il secondo, ben più preoccupante, è la vera e propria rimozione collettiva che ad esempio porta alcuni anziani membri dell'ANPI di Cornigliano ad affermare che nella delegazione non v'erano anarchici attivi durante la lotta di liberazione e cancellando così di colpo l'opera di compagni come Ogno e Quintili nel CLN o quella di Grassini nella cospirazione antifascista o dell'intera Brigata Pisacane e dei suoi membri. Che questa rimozione sia poi il risultato di processi orwelliani di riscrittura della storia proletaria in epoca stalinista o abbia altre cause poco importa: se la memoria è così facile da cancellare abbiamo a temere soprattutto per il futuro.

3 - Relazione citata

4 - Da Biga-Conti-Paoletti, I precursori della lotta per la libertà nella Liguria contemporanea - Dizionario biografico, Genova 1994

5 - Relazione citata

6 - Relazione citata

7 - Relazione citata

8 - ASG Fondo P.D.A., B.538,539 - Si tratta purtroppo solo di una parte limitata dello schedario che comunque rende bene l'idea dell'entità e della tipologia delle segnalazioni.

Una prima ripresa

"Mentre la polizia e fascismo sorvegliavano l'anarchismo per "salvare l'Italia" i nostri compagni superstiti mantenevano i contatti di paese in paese e persino con l'estero. Fu appunto verso il 1930-32 che in un Primo Maggio riuscirono ad avere dalla Francia una infinità di giornali e, in parte a diffonderli"1. L'attività di diffusione organizzata di stampa e opuscoli clandestini deve essere iniziata in forma organizzata un po' prima di quanto ricordasse l'estensore della Relazione. Questa è almeno l'impressione che si ha scorrendo gli elenchi e le imputazioni dei rinviati al Tribunale Speciale. I contatti con l'emigrazione anarchica all'estero dei compagni genovesi sembrano risalire almeno al 1927. Infatti all'inizio di quell'anno viene arrestato a Genova Luigi Galleani perché trovato in possesso di giornali anarchici stampati a New York. Possiamo dunque supporre che già dal '27 fosse in via ricostruzione una rete clandestina di distribuzione di stampa anarchica proveniente dall'estero (USA, Francia). La supposizione viene poi confermata dall'arresto e dall'invio al confino di altri militanti anarchici genovesi accusati di aver diffuso stampa anarchica negli anni immediatamente successivi (Armando Bugatti incarcerato nel '28, Giovanni Battista Repetto inviato al confino nello stesso anno, Delfino Podestà confinato nel '29, Romeo Gandino di Sestri L. diffidato e iscritto nell'elenco delle persone da arrestare a scopo preventivo). L'episodio specifico a cui si riferisce Grassini è probabilmente la diffusione clandestina di una gran quantità di giornali e manifesti, arrivati dalla Francia, nel maggio-giugno del '31 e in seguito al quale un gran numero di compagni - particolarmente a Sestri P. - furono indagati, arrestati, ammoniti o confinati. Nel giugno del 1931 un rapporto della capitaneria di Porto di Genova segnalava che nascosti nella nave "Teresa Schiaffino" erano stato rinvenuti almeno 500 manifesti anarchici. La polizia riteneva che fossero stati caricati a Marsiglia con la complicità di qualche scaricatore anarchico2. Evidentemente non tutto il materiale fu individuato o altro ne giunse o prima o dopo. Tra i compagni che furono colpiti qualche mese dopo ricordiamo Lorenzo Biselli (condannato al confino), Pietro Caviglia (arrestato e poi rilasciato), Giovanni Cortese (ammonito), Antonio Grasso (arrestato e poi prosciolto), Augusto Guarducci (condannato al confino), Gaetano Mosti (condannato al confino), Giuseppe Pastorino (condannato al confino), Oreste Picco (condannato al confino), Beniamino Restori (condannato al confino), Giacomo Testani (condannato al confino) e infine i fratelli Stanchi, Attilio e Carlo, anch'essi inviati al confino e che probabilmente furono tra i principali organizzatori dell'attività clandestina insieme allo stesso Grassini. Ce ne fornisce conferma Grassini stesso: " ...una gran parte dei compagni hanno dovuto rifugiarsi all'estero ed i pochi che sono rimasti hanno dovuto lavorare piano e con cautela, dopo lunghi sforzi hanno ottenuto un collegamento con i compagni all'estero quando nel 1931 una spia in seno al movimento aggrava la situazione in modo che dopo pochi giorni questa essendo a conoscenza che a casa di un compagno vi è della stampa, provoca dopo poche ore l'intervento della polizia nella sopraddetta casa, ma nulla riuscirono a trovare di ciò che cercavano causando perciò l'arresto dei fratelli Stanchi Carlo e Attilio, di conseguenza malgrado che la polizia non avesse avuto prove condannò i sopraddetti fratelli a 5 anni di confino. Perciò i compagni hanno dovuto lavorare ancora con più cautela per infiltrarsi nelle masse con qualche scritto."3 Nel novembre del 1932, probabilmente a repressione preventiva di una temuta ripresa anarchica, un rapporto della regia prefettura denunciava un'attività anarchica in Valpolcevera dove era nato un gruppo denominato "Alleanza anarchica" e per questo finivano incarcerati Silvio Battistini, i fratelli Giacomo e Giovanni Gaggero, Giovanni Rolando e Attilia Pizzorno, quest'ultima sospettata in quanto "anarchica schedata" e "pericolosa" di essere a capo del gruppo. Giovanni Rolando e Attilia Pizzorno erano stati negli anni '20 rispettivamente direttore e collaboratrice del giornale anarchico "Gli Scamiciati" allora stampato a Pegli4.

Ci siamo dilungati su questi episodi non tanto per la loro importanza specifica quanto perché in primo luogo, segnano la rinascita di una rete organizzativa ancora fragile ma abbastanza ramificata, con collegamenti anche internazionali; in secondo luogo, perché l'epicentro di questa struttura è Sestri P., ricca in passato di tradizioni libertarie e di presenza anarchica e sindacalista preponderante; in terzo luogo, perché gli arrestati e gli inquisiti sono quasi tutti operai della grande industria genovese e ciò rimarca la natura di classe dell'anarchismo genovese.

Riprendiamo la Relazione: "Purtroppo un lurida spia crediamo di oltre frontiera, informò la sbirraglia e molte case furono perquisite. Vi furono molti arrestati ma nulla cadde solo unghie poliziesche di modo che il tribunale speciale non lavorò. Lavorò invece per alcuni in confino e le nostre file si assottigliarono sempre più. La sorveglianza polifascista non dava tregua e bisognava [tenere] sempre più tutto il contrabbando delle nostre idee nel nostro cervello. Era sufficiente un indirizzo, un saluto, per provocare l'arresto o l'ammonizione, di modo che si può dire che fu una ben grande cosa se riuscirono a rimanere in collegamento in un ben ristretto numero di compagni"5.

La seconda metà degli anni '30 è il periodo del fascismo trionfante, dell'impero, dei successi coloniali e dell'illusione del benessere per tutti. La classe operaia per la verità non beneficia granché di questo presunto stato di cose, sottoposta più che mai alla pressione padronale e all'immiserimento delle proprie condizioni di vita. Ma la "pubblica opinione", come sempre accade, da voce prevalentemente a quegli strati sociali che sono, relativamente, privilegiati dal regime per naturale consustanzialità oppure a quelli irretiti dalla propaganda fascista della "nazione proletaria". Anche gli strati giovanili e studenteschi più vivaci intellettualmente, come ben racconta Zangrandi6 sono sostanzialmente conquistati dal mito della "terza ondata", della riscoperta delle radici rivoluzionarie e anticapitaliste del fascismo e a questo piegano l'entusiasmo per le imprese coloniali o per la prossima guerra di Spagna. Anche dal punto di vista culturale le "aperture" di alcuni dirigenti fascisti7 che fanno mostra di tiepida fronda all'establishment, attraggono intellettuali antifascisti e comunisti ad una sorta di "entrismo culturale" in cui non è chiaro chi fa il gioco di chi. Per la classe operaia e la masse lavoratrici tutto è molto più chiaro, non c'è un solo aspetto del fascismo che non sia organicamente connesso al dominio di classe del grande capitale e ciò si palesa in esperienza diretta di licenziamenti, perdita di potere d'acquisto, aumento dei ritmi di lavoro e peggioramento delle condizioni in cui esso si svolge. La resistenza sindacale è ardua ormai quasi come quella politica, neppure il tentativo di militanti comunisti di infiltrarsi nelle organizzazioni sindacali fasciste produce dal primo punto di vista effetti di sorta, forse è più pagante, alla lunga, sul secondo terreno in quanto prelude alla ricostituzione di una rete di quadri operai e di un reticolo di rapporti all'interno delle fabbriche. Per gli anarchici questi problemi neppure si pongono, l'integrità rigida e la coerenza interna estrema del loro quadro teorico e strategico non permette derive sul piano tattico né oscillazioni sul piano delle alleanze: la lotta al fascismo è la lotta allo Stato e al Capitale e in questa lotta ci si accompagna a chi ne riconosce l'unitarietà. La prospettiva è dunque quella di serrare le fila sotto i colpi della repressione, contarsi, riprendere con cautela i contatti con altri compagni, cercare canali sicuri per la diffusione della propria stampa, fare propaganda ad un tempo per l'idea e contro il regime imperante. Le prospettive sono buie, ma questo è ciò che c'è da fare. Mentre Pasquale Binazzi si prodiga in quest'opera di paziente tessitura a livello di Norditalia, a Genova chi fa da punto di riferimento per i pochi compagni (concentrati a massima parte nel ponente cittadino ed in particolare a Sestri P.) è sicuramente Emilio Grassini, la sua officina di Cornigliano, nonostante la stretta sorveglianza a cui egli è sottoposto, è un po' il centro ideale della rete che si va costituendo.

Eppure nonostante questi siano gli anni più bui è proprio nel '36 che si apre uno spiraglio che incrina l'immagine del fascismo trionfante ed imbattibile: la guerra civile e poi rivoluzione spagnola, l'accorrere di volontari da ogni parte del mondo, la difesa vittoriosa di Madrid, dimostrano che il fascismo e il nazismo non sono invincibili se i militanti rivoluzionari e le masse lavoratrici si riappropriano dell'internazionalismo e dell'iniziativa di classe. Gli anarchici affluiscono a Barcellona e Madrid da tutta Europa. Gli anarchici italiani sono in prima fila e dalla Francia o espatriando clandestinamente dall'Italia accorrono in Spagna. Lo stesso vale per gli anarchici liguri e genovesi:

Carlo Baccigalupo (varie missioni in Spagna nel '37), Virgilio Bertola (colonna Durruti, Madrid, fronte aragonese, ferito a Huesca), Antonio Casella (Divisione Ascaso, colonna Rosselli), Natale Cicuta (colonna Rosselli), Pompeo Crespi (Colonna Rosselli, ferito ad Almudevar), Aldo Fiamberti (Colonna Rosselli), Adelmo Godani (combattente), Giacomo Repetti (Brigata Garibaldi, più volte ferito), Mario Traverso (Colonna Rosselli, caduto in Estremadura), Adamo Agnoletto (Colonna Ascaso), Umberto Marzocchi (Colonna Rosselli, Commissario politico), Nicola Turcinovich (Colonna Ascaso), Marcello Bianconi (Colonna Ascaso), Guglielmo Bertini (combattente), Renato Gori (combattente), Giuseppe Nardi (combattente) sono solo alcuni di coloro che da Genova, dalla Liguria o dall'esilio accorrono in Spagna per difendere la libertà del popolo spagnolo. Insieme a molti altri che da Genova e dall'Italia avevano organizzato il sostegno alle brigate rivoluzionarie (ricordiamo tra gli altri Wanda Lizzari e Giuseppe Lapi condannati al confino per l'aiuto alle brigate "rosse" spagnole), quelli che tornano, dopo l'internamento in Francia e spesso il confino in Italia, si preparano a combattere la stessa lotta contro gli stessi nemici.

Note

1 - Relazione citata

2 - ACS, Sez.Prima busta 24, AA.GG. 1930/31 - citato in Pietro Bianconi, Gli anarchici italiani nella lotta contro il fascismo, Ed.Archivio Famiglia Berneri, Pistoia 1988

3 - Intervento di Emilio Grassini al Congresso regionale della F.C.L.L. del 30/12/1945 tenutosi a Sestri P. - Documento originale dattiloscritto conservato nel Centro di Documentazione Anarchica di Piazza Embriaci (Genova)

4 - ACS, Sez.Prima busta 25, Genova - in P.Bianconi, op. cit.

5 - Relazione citata

6 - R.Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Ed. Feltrinelli, Milano 1962

7 - cfr. Bottai e la sua rivista Primato

Guido Barroero

LETTURE POSSIBILI

A Contre Courant - Syndical e politique - Mensuel - 1 Rue Hugo - F-52100 Bettancourt-La- Ferree - 8 Fr. - n.81 janvier-fevrier 1997

A Rivista Anarchica - Mensile - C.P.17120 - 20170 Milano - £.5.000 - n.234 del marzo 1997: Tutti noi colpevoli; Dietro la Bicamerale; Un continente alla deriva; O la Borsani o la vita; La politica dell'incesto.

Agenzia d'informazione - Bollettino del Movimento per la Pace e il Socialismo - C.P.7218 - 00164 Roma Bravetta - £.2.000.

Alternativa Libertaria - Organo della Federazione dei Comunisti Anarchici - C.P.1418 - 50121 Firenze - £.2.500. - n.0 del febbraio 1997: Ministro sinistro; Apocalittici o integrati; La mucca pazza; L'equivoco ambientale; Donne soldato; Sepulveda: storia di una gabbianella...

Alternative - Bimestrale di dibattito teorico e politico - via della Consulta, 50 - 00184 Roma - £.15.000. - n.5-6 del maggio-ottobre 1996: Dopo il "socialismo reale": La critica del "socialismo reale". Retrospettiva (Sweezy, Bettelhiem, Mandel, Lanzardo, Amin); Ex URSS e Est europeo. Stato e democrazia; Il governo dell'economia; Le esperienze cinese e cubana.

Alternative Libertaire - Mensuel d'alternative libertaire - B.P.177 - 75957 Paris Cedex 20 - 10 Fr. - n.49 janvier 1997: Accords UNEDIC; Education, logement, spectacle, Sans-papiers; Syndicalisme.

Anarkiviu - Bollettino di informazioni storiche, bibliografiche e bibliotecarie sull'anarchismo e i movimenti libertari e rivoluzionari nel mondo - Arkiviu Bibrioteka "T.Serra" - via Mons. Melas, 24 - 09040 Guasiglia (Ca) - £.5.000.

Altreragioni - Saggi e documenti - via Ascanio Sforza, 21 - 20136 Milano - £.18.000 - n.5 del 1996: Fumagalli - Lavoro e piccola impresa nell'accumulazione flessibile; Sacchetto - Nodi di autonomia controllata: il tessile e l'abbigliamento nel Veneto; Moretto - Una zona di esportazione di rango alto e precario; Queirolo- Palmas - Toyota city e River Rouge nel cuore della Lucania; Corrispondenze (Mezentseva, Mc Tell); Voci; Corsivi; Recensioni; Florilegi.

Bandiera rossa - Per la circolazione d'idee e il confronto tra le diverse esperienze d'ispirazione marxista e anticapitalista - via Varchi, 1 - 20158 Milano - £.4.000 - n.66 del febbraio 1997: Dossier: Africa Nera, Africa martire; Speciale: Partiti comunisti in Europa; Giovani: Soggetto sociale o problema politico?; Maastricht e il contratto dei metalmeccanici; Lotte e dibattiti nel mondo; Lotta Continua e Democrazia Proletaria.

Battaglia Comunista - Organo del Partito Comunista Internazionalista - C.P. 1753 - 20101 Milano - £.2.000 - n.1 del gennaio 1997: Le lotte degli operai coreani; Stangata su stangata...; Libera concorrenza addio!...; Perù né con il MRTA né con Fujimori.

Bollettino - Archivio G.Pinelli - via Rovetta, 27 - 20127 Milano - n.8 del settembre 1996: Spagna '36-'39: libertà, rivoluzione, utopia; Ricordo di Aurelio Chessa; La stampa anarchica durante la guerra di Spagna; Cinema e rivoluzione; Camillo Berneri; L'anarchismo coreano.

Chaos - Quaderni di riflessione e dibattito politico e culturale - Bimestrale - via S.Giulia, 64 - 10124 Torino - £.10.000 - n.10 del 1997: L'effetto kanban nell'organizzazione del lavoro alla Fiat di Melfi (L.Fiocco); Note a margine di un'inchiesta nell'industria automobilistica sudafricana (F.Barchiesi); Un'ipotesi di lavoro (M.Turchetto); Noi entriamo nell'avvenire a ritroso (R.Prato); E' possibile pensare la filosofia politica a partire dai nuovi media? (S.Cacciari); Non mentire sul futuro è impossibile e chiunque può mentire su di esso a volontà (Barbrook-Cameron)

Che fare - Giornale dell'Organizzazione Comunista Internazionalista - Bimensile - C.P.7032 - 00162 Roma - £.3.000. - n.41 del gennaio 1997: Impariamo dall'esempio francese!; Tutti contro tutti. E tutti contro il proletariato; Il contratto dei metalmeccanici...; I nodi irrisolti del sindacalismo "alternativo"; Donna e impegno politico; L'America proletaria bianca e nera in cammino.

Collegamenti/Wobbly - Rivista per l'organizzazione diretta di classe - BFS Ed. C.P.247 - 56100 Pisa - £.12.000 - n.4 del 1997 (di imminente uscita)

Comidad - Bollettino di collegamento - c/o Vincenzo Italiano - C.P.391 - 80100 Napoli - n.94 anno 1996.

Comunicazione antagonista - Mensile - Via di mezzo, 46 - 50121 Firenze - n.2 del febbraio 1996

Comunismo - Rivista semestrale - Ed. Il Partito Comunista C.P.1157 - 50100 Firenze - £.10.000. - n.40 del giugno 1996: Seconda Guerra mondiale, conflitto imperialista su entrambi i fronti contro il proletariato e contro la Rivoluzione.

Comunismo libertario - Rivista di teoria e prassi antiautoritaria - Borgo Capuccini 109 - 57100 Livorno - Mensile - £.3.000. - n.25 del dicembre 1996: Dieci anni; L'oggettività delle cifre; Ricostruire l'identità della classe; Le due sinistre; Appunti e riflessioni su riorganizzazione capitalista...(II); L'inefficacia della politica di concertazione di fronte al processo di globalizzazione...; Spagna '36: tra guerra e rivoluzione (V); Terzo settore tra l'illusione del cambiamento e la ristrutturazione capitalista; Fare i conti con la sconfitta, lavorare per l'organizzazione politica degli anarchici.

E' uscito il n.26.

Confrontations - Revue de l'Organisation Socialiste Libertaire - Trimestriel - O.S.L. - Vaud - CP.289 - 1000 Lausanne. - n.32 avril 1996

Dintorni - Rivista mensile - Periodico di informazione scientifico culturale e bibliografica - C.d.M. C.P.259 - 41100 Modena Centro. - n.11 del dicembre 1996: Convegni: Andrea Caffi; Recensioni; Vanzetti, Opera Prima; Bibliografia.

Fax - Foglio di corrispondenza comunista - via Tor Marancia, 115 - 00147 Roma - £.1.000.

Fili rossi - Quadrimestrale - via Giano della Bella, 22 - 50100 Firenze - £.2.500

Germinal - Giornale anarchico e libertario di Trieste, Friuli, Veneto e ... - Quadrimestrale - via Mazzini, 11 - 34100 Trieste - £.3.000 - n.71-72 inverno 1996: Contro Aviano 2000; Sulle foibe; Sulla marginalità degli immigrati; Ex Yugoslavia; Internazionali: Curdi in Germania; Varie: educazione ed autogestione; Liberilibri (inserto del CDA Pecora Nera).

Guerre e Pace - L'informazione negata sui conflitti e le iniziative di pace - via Festa del Perdono, 6 - 20100 Milano - £.2.000 - n.36 del febbraio 1997: Il mondo contro i bambini; Perù un paese sotto sequestro; Belgrado underground; "Passaggio" in Iran; La Russia e la NATO; Timor Est, Nobel contro il silenzio.

Il Comunista - Organo del Partito Comunista Internazionale - Bimestrale C.P. 10835 - 21100 Milano - £.2.000 - 51 agosto 1996: Speciale Fincantieri; Federalismo e secessione; Questioni storiche dell'I.C.; Terrorismo e comunismo; Alto Adige o Sud Tirol; Sud africa.

E' uscito il n.52.

Il Lavoratore Comunista - Organo del Gruppo Comunista Rivoluzionario - C.P.448 - 20100 Milano.

Il Partito Comunista - Organo del Partito Comunista Internazionale - C.P.1157 - 50100 Firenze - £.1.500 - n.245 del gennaio 1997: La classe operaia in Corea...; Spagna, contro la riduzione dei salari...; Metalmeccanici...; La luce del marxismo sulle alternanze congiunturali...; Lavoratori immigrati...

Il Programma Comunista - Organo del Partito Comunista Internazionale - Mensile - C.P.962 - 20101 Milano - £.1.500 - n.1 del gennaio 1997: Il partito di Bertinotti e C. non rifonda il comunismo, ma il riformismo...; Corea è il mondo; Lotta rivoluzionaria, partito di classe e militanza comunista (II); Elogio della pazienza; Due destre un solo capitalismo (a proposito di un libro di Revelli).

Indipendenza - Informazione, Democrazia, Solidarismo, Liberazione - Bimestrale - C.P.15321 - 00143 Roma Laurentino - n.68 del settembre-dicembre 1996: Ambiguità "sinistre"; Dove va il "terzo settore"; Interessi volontari; Dall'altra parte della repressione (incontro con Gallinari); Est; Golfo Persico; Euskadi; Irlanda del Nord; Kurdistan; Chiapas.

L'autogestito - U.S.I. A.I.T. - Federazione provinciale U.S.I. Bologna c/o Nicolini C.P.1342 - 40100 Bologna.

La Rivoluzione comunista - piazza Morselli, 3 - 20154 Milano - Settembre-dicembre 1996: I caratteri della fase; Il "Patto per il lavoro"; La rivolta del tunnel; XXVI Congresso di partito.

Linea proletaria - Per la ricostruzione del Partito Comunista - C.P.1345 Milano - £.2.000 - n.1 dell'aprile 1996

Lotta comunista - Organo dei Gruppi Leninisti della Sinistra Comunista - Mensile - Ed. Lotta Comunista C.P.10265 - 20100 Milano - £.2.000 - n.316 del dicembra 1996: Equilibrio e interesse generale; Maastricht detta il ciclo politico europeo; Vizi e ritardi della borghesia unitaria; Rete renana; Disfida a tre sulla difesa europea; Tokyo alla svolta della globalizzazione; Scolarizzazione e nuovi salariati; "Ideologia americana" e bilancia asiatica.

Lotta di Classe - Giornale periodico dell'Unione Sindacale Italiana - U.S.I. via O.Flacco 22 - 70124 Bari - £.2.000 - n.4 del settembre 1996

Lotta di Classe - Organo periodico dell'Unione Sindacale Italiana - U.S.I. via dei Cunicoli, 11 - 34126 Trieste - £.2.000 - n.7 del marzo 1997: Una vertenza aliena (contratto dei metalmeccanici); Il moto perpetuo del capitalismo, L'Internazionale dei lavoratori; I diritti di chi lavora; Relazione del XX Congresso dell'AIT.

Lutte de classe - Mensuel de l'Union Communiste (Trotskyste) membre de l'Union Communiste Internationaliste - B.P.233 - 75865 Parsi Cedex 18 - 10 Fr. - n.26 del marzo 1997: Algérie; Corée du Sud; Mexique; Mondialisation: l'arène retrouvée du capital financier.

Lutte Ouvriere - Hebdomadaire - Union Communiste (Trotskyste) - B.P.233 - 75865 Parsi Cedex 18 - 9 Fr. - n.1496 del marzo 1997

Noi - Periodico della Federazione delle Rappresentanze di Base - via Giolitti, 231 - 00185 Roma - £.3.000 - n.1 del gennaio 1997: Dalle iniziative sulla finanziaria ai compiti del sindacalismo di base; La riforma Bassanini; Al via i referendum contro le privatizzazioni; Strage del pendolino; Nella finanziaria '97 il Patto del Lavoro.

Nulla da perdere - Foglio di comunicazione antagonista del C.S.A. Zapata - via di S.Croce 10r - n.3 del maggio 1996

Ombrerosse - Materiali di discussione - Bollettino interno del Circolo Culturale Ombre Rosse - O.R. c/o FCLL C.P.6 - 16010 Serra Riccò (Genova) - n.5 del gennaio 1997: Materiali del Convegno "Produzione, società, conflitto di classe: ipotesi e proposte" tenuto a Genova-Sestri P. l'1-2/11/1996.

Operai contro - Giornale per la critica, la lotta e l'organizzazione degli operai contro lo sfruttamento - via Falk, 44 - 20099 Sesto S. Giovanni (Mi) - £.3.000 - n.79 del gennaio 1997: Il capitale contro il salario; Ceti medi contro ceti medi; Scioperi vietati; Il sindacalismo di base alla prova; Zanussi; Il sindacato americano; Ruanda: non è guerra etnica; Inghilterra: la settimana lunga.

Per il '68 - Bollettino di ricerche, memorie, critiche e documentazione su avvenimenti, culture, pratiche alternative e ideologie intorno al 1968 - Centro di Documentazione di Pistoia C.P.347 - 51100 Pistoia - £.5.000.

Porta di massa - Laboratorio autogestito di filosofia - semestrale - corso Malta, 169 - Napoli - £.6.000

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista - Rivista teorica semestrale del Partito Comunista Internazionalista - Milano - £.8.000 - n.12 anno 1996: Alcune considerazioni sul terzo settore; Il Giappone in crisi; Salario e mercato del lavoro; La guerra di Spagna; Sul libero e astratto "pensiero anarchico".

Proposta - Per la rifondazione comunista - Rivista marxista di politica, teoria e cultura - via Panfilo Gastaldi, 29 - 20124 Milano - £.4.000 - n.15 del febbraio 1997: Seconda mozione; Maastricht; Metalmeccanici; Babeuf e gli Eguali; Filo rosso.

Quaderni internazionalisti - via Massena, 50/A - 10128 Torino - Lettera ai compagni n.35: Il feticcio dei mercati.

Rivista internazionale - Organo centrale di intervento della Corrente Comunista Internazionale - C.P. 469 - 80100 Napoli - £.4.000 - n.20 del dicembre 1996: Trionfo del "ciascuno per se" e crisi della leadership americana; Il proletariato non deve sottostimare il suo nemico di classe; Dietro la "mondializzazione" dell'economia l'aggravarsi della crisi del capitalismo; La prima internazionale e la lotta contro il settarismo; Cina 1928-49 (II): Anello della guerra imperialista.

Rivista storica dell'Anarchismo - Biblioteca Franco Serantini - C.P.247 - 56100 Pisa - £.25.000

Rivoluzione internazionale - Organo della Corrente Comunista Internazionale in Italia - C.P. 469 - 80100 Napoli - £.2.000 - n.99 del marzo 1997: Contratto metalmeccanici - Governo, padroni e sindacati truffano i lavoratori; Lotte in Corea; Congresso di Rifondazione; Imperialismo in Serbia; In memoria di Marie-Louise; Sui giurì d'onore; Campagne sul negazionismo; Risposta a Il Comunista; John Reed, un rivoluzionario.

Seme anarchico - Bimestrale - C.P.217 - 25154 Brescia - £.2.000 - n.3 dell'inverno 1996: Sulla metodologia libertaria; Autogestione finalmente nostra; L'anima dell'anarchia è l'azione.

Senza patria - Luogo di Comunicazione antimilitarista e antagonista - c/o La Scintilla via Attiraglio, 56 - 41100 Modena - £.3.000 - n.71 del gennaio 1997: Fino alla noia no alla naja; Non sottomessi; Cronacaro; Autoproduzioni; Nel cuore della bestia (recensione); Delinquenti e folli; No all'AIDS.

Sicilia Libertaria - Giornale anarchico per la liberazione sociale e l'internazionalismo - via G. Galilei, 45 - 97100 Ragusa - £.1500 - n.152 del marzo 1997: Disoccupazione; Marciamo verso Amsterdam; Stopamianto; Delitto e libertà; Antiproibizionismo anarchico; Le due verità; Dal Venezuela; Attentato in Francia.

Sindacalismo di base - Azione diretta per l'autorganizzazione - Bimestrale - C.Scarinzi via Piazzi,15 - 10129 Torino - E-mail: chaos@arpnet.it - £.7.000 - n.3 del gennaio 1997: Sindacalismo di base; Finanziaria; Fiat; Precariato; Turbocapitalismo, Lavoro autonomo; Sanità; L'AIT; Occupazione; Consigli di Gestione; ecc.

Socialismo o barbarie - Rivista bimestrale di politica e teoria - Curata da Socialismo Rivoluzionario - Borgo S.Frediano, 66 - 50124 Firenze - £.8.000 - n.24 del gennaio 1997: Dal basso e da sinistra; Internazionale: Zaire - Barbarie senza limiti, Palestina - Il tunnel dell'etnicidio, Belgio - Rabbia e civiltà, Afghanistan - L'ordine dei Talebani; Nazionale: Una magistratura normale, PRC un congresso blindato; Autorganizzazione; Antirazzismo; Teoria: caso Tresso, Il Marcos/pensiero, Il cantiere vaticano.

Umanità Nova - Settimanale anarchico - via Roma, 48 - 87019 Spezzano Albanese - £.2.000

Volontà - Laboratorio di ricerche anarchiche - via Rovetta, 27 - 20127 Milano - £.25.000 - n.2 del 1996: Spagna 1936 L'utopia è storia (Bernecker, Berneri, Berti, Camacho, Carpena, Castells, de Jong, Fontanillas, Santos, Martì, Piludu, Maura, Venza).

Wildcat - Zirkular - Sisina, Postfach 360 527 - 10975 Berlin - 5 DM

Queste pubblicazioni, insieme a molte altre e al materiale documentario dell'A.S.C.D., possono essere visionate nell'orario di apertura (sabato 10-12). Si prega comunque di telefonare per conferma (Guido Barroero - tel.010-6983898)

Segnaleremo regolarmente, nei prossimi numeri del bollettino, tutte le pubblicazioni che ci verranno regolarmente inviate.

Nei locali dell'ASCD sono in vendita: Comunismo Libertario, Collegamenti/Wobblies, Sindacalismo di Base, Quaderni internazionalisti, Il lavoratore comunista, Il Programma Comunista, Ombrerosse-Materiali di discussione, Porta di massa, A Rivista anarchica, Rivoluzione Internazionale e Rivista Internazionale oltreché i seguenti testi:

AA.VV. - Chi c'era racconta - Testimonianze sulla rivoluzione libertaria del '36 - 80 pp. - £.5.000 *** AA.VV. - Il capitalismo reale - 222 pp. - £.18.000

AA.VV. - Nel maelstrom: De Rerum Natura - £.16.000 *** Anonimo - Dallo sfruttamento nei lager allo sfruttamento dei lager - 60 pp. - £.8.000

Avrich P. - L'altra anima della rivoluzione - 327 pp. - £.20.000 *** Bataille G. - La struttura psicologica del fascismo - 93 pp. - £.15.000

Bordiga A. - Il rancido problema del Sud italiano - 104 pp. - £.16.000 *** Bordiga A. - Scritti 1911-1914 - £.65.000

Bourrinet P. - Alle origini del comunismo dei consigli - 512 pp. - £.58.000 *** Bourrinet P. - Ante Ciliga 1898-1992 Nazionalismo e comunismo in Jugoslavia - 112 pp. - £.22.000 *** Bruzzone R. - Movimento proletario e democrazia extra-istituzionale - 88 pp. - £.10.000 *** C.C.I. - La Sinistra Comunista in Italia - £.10.000

Camatte J. - Il capitale totale - £.11.000 *** Carotti C. - Alla ricerca del Paradiso, l'operaio nel cinema italiano - £.26.000 *** Fabbri Luce - Luigi Fabbri storia di un uomo libero - £.25.000 *** Garaudy R. - I miti fondatori della politica israeliana - £.28.000 *** Giachetti D. - Il giorno più lungo. La rivolta di Corso Traiano - £.15.000

Guillaume P. - Jean-Claude Pressac - 72 pp. - £.10.000 *** Kropotkin P. - Campi, fabbriche, officine - 235 pp. - £.18.000 *** Lasagna R. - Cinema americano - £.28.000

Mercier Vega L. - Azione diretta e autogestione operaia - 143 pp. - £.10.000 *** Mercier Vega L. - La rivoluzione di Stato - 206 pp. - £.15.000

Mingardo M. - Mussolini, Turati e Fortichiari - 168 pp. - £.20.000 *** Peregalli A. - L'altra Resistenza - 392 pp. £.45.000 *** Peregalli A. - Stalinismo - 270 pp. - £.32.000

Poretski E.K. - I nostri - 296 pp. - £.32.000 *** Richards V. - Insegnamenti della rivoluzione spagnola - £.12.000 *** Riechers C. - Gramsci e le ideologie del suo tempo - 264 pp. - £.35.000 *** Rocker R. - Pionieri della libertà - 229 pp. - £.18.000 *** Saletta C. - Per il revisionismo storico contro Vidal-Naquet - 120 pp. - £.16.000

Semprun Maura C. - Rivoluzione e controrivoluzione in Catalogna - 326 pp. - £.18.000

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