Mentre dalla fine degli anni quaranta esiste un sistema
di regole multilaterali per lo scambio internazionale di merci ( GATT-
General Agreement on Trade and Tariffs - poi trasformatosi in OMC - Organizzazione
Mondiale per il Commercio) e dal 1995 anche per lo scambio di servizi (GATS),
manca finora una regolamentazione multinazionale per gli "investimenti
diretti internazionali" (IDE). Essi vengono disciplinati con un'ampia serie
di trattati bilaterali, circa 600, in modo poco trasparente ed in parte
contraddittorio.
Dall'inizio degli anni Novanta e' diventata sempre piu'
evidente negli Stati Industrializzati, e soprattutto nell'Unione Europea,
l'esigenza di un quadro giuridico multilaterale sugli investimenti, che
ne promuovesse lo scambio, nella convinzione che una piu' ampia circolazione
di capitali sul piano mondiale sarebbe foriera di maggiore sviluppo per
tutti.
Mentre inizialmente l'Europa si e' sforzata di affrontare
tali questioni nel quadro del GATT e poi dell'OMC, gli Stati Uniti hanno
da subito privilegiato l'OCSE ( Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico) quale luogo privilegiato per ospitare i negoziati tra
gli Stati industrializzati.
In questo modo, gli Stati Uniti hanno puntato a conseguire
piu' rapidamente un accordo globale tra i ricchi del pianeta ( i 29 paesi
membri dell'OCSE) da lasciare aperto all'adesione degli stati non membri.
Questi paesi non avranno pertanto partecipato al negoziato,
altamente tecnico, ed avranno dunque soltanto la scelta di adeguarvisi,
negoziando eventualmente i tempi per l'attuazione.
Anche i paesi in via di sviluppo (PVS), per i quali l'IDE
rappresenta una componente essenziale del proprio finanziamento ancor piu'
degli aiuti, potranno solamente firmare successivamente il testo convenuto.
L'unione Europea ha accettato tale approccio e da alcuni
anni, dunque, sono in corso a Parigi dei negoziati per liberalizzare gli
investimenti.
Questi negoziati sono stati condotti senza tener conto
delle diverse organizzazioni della societa' civile (sindacati, ONG, organizzazioni
di difesa dell'ambiente ,dei diritti dell'uomo....) e il progetto di accordo
non prende in considerazione gli accordi internazionali (in particolare
la "Dichiarazione di Rio", la "Agenda 21", il "codice di condotta delle
Nazioni Unite per la protezione dei consumatori", il "Habitat Global Plan
of Action", il "UNCTAD Set of Multilateral Agreed Principles for the Control
of Restrictive Business Practices").
I concetti:
Il MAI si basa su tre concetti -disposizioni fondamentali:
1- gli stati devono eliminare ogni trattamento
preferenziale su base nazionale, ovvero mettere tutti - investitori nazionali
ed internazionali - sullo stesso piano giuridico, rinunciando a privilegiare
un'impresa nazionale quale beneficiaria di un investimento;
2- di conseguenza, i governi si devono impegnare
ad abbattere ogni ostacolo alla circolazione dei capitali stranieri nel
loro territorio;
3- le imprese multinazionali si vedono riconosciute
il diritto di portare in tribunale quei governi che a loro avviso hanno
dato il via a "politiche discriminatorie", sancendo in tal modo la fine
della possibilita' per le istituzioni legali, democratiche e legittime
nazionali di decidere cosa si fa in casa propria.
Considerazioni:
In termini di democrazia, la supremazia ulteriormente
sancita nell'accordo dell'economia sulla politica ha conseguenze fatali.
Il progetto di accordo MAI non rispetta il diritto dei
paesi ad esercitare un controllo democratico sugli investimenti.
E' importante che resti garantito il primato della politica
nella definizione del quadro di riferimento e che non avvenga alcun trasferimento
di competenze a poteri economici non legittimati democraticamente.
Soprattutto va garantito un effettivo controllo democratico
sulle transazioni economiche e finanziarie interagenti fra loro e imperscrutabili
per i cittadini.
Dato l'enorme intervento del MAI in settori centrali
dell'economia e della politica e in campo sociale degli Stati nazionali,
risulta inderogabile la trasparenza e un dibattito pubblico approfondito
all'interno degli Stati firmatari.
Gli obblighi del MAI non devono sfociare in una liberalizzazione
troppo ampia dell?IDE e non devono espandere eccessivamente lo spazio di
manovra delle multinazionali a scapito dei compiti statali di indirizzo
delle politiche economiche, sociali e ambientali.
Il MAI deve offrire una tutela affinche' esso non possa
essere sfruttato per svuotare standard nazionali in campo ambientale e
sociale, ossia, i diritti sociali ed ambientali acquisiti non devono essere
smantellati.
La liberalizzazione degli investimenti comporta infatti
il rischio che i flussi di capitale vengano concentrati nelle regioni
dove sono meno elevati i costosi oneri di protezione ambientale e/o i diritti
di tutela dei lavoratori ritenuti un ostacolo. Tale circostanza diventera'
sempre piu' attuale nella misura in cui i PVS parteciperanno ad un futuro
MAI.
Va deplorato che le questioni del regime fiscale degli
investimenti e degli utili debbano restare escluse in un primo tempo.L'armonizzazione
delle tasse sulle imprese e sugli utili diventera' a lungo termine irrinunciabile
data la crescente integrazione dei mercati.
E' essenziale che il principio del partenariato quale
caratteristica peculiare delle relazioni tra paesi svuluppati e PVS sia
concretamente rispettato, la qual cosa presuppone che si tenga conto degli
interessi dei PVS e delle loro politiche nazionali nonche' degli interessi
degli investitori.
Infine, l'integrazione regionale, che e' ormai una priorita'
delle politiche di sviluppo, non deve essere messa in discussione dalla
regolamentazione sugli investimenti.