Ascesa al monte Ventoso



Nella sua narrazione a Dionigi da San Sepolcro, Petrarca scrive di essersi imbattuto in un passo della storia dei Romani di Livio, e precisamente in quello dove Filippo di Macedonia, salito sul monte Emo, "di lassù credette di vedere, secondo si diceva, due mari, l'Adriatico e l'Eusino". Lungi dall'essere un exemplum medievale, questo pare piuttosto essere uno spunto per una riflessione di carattere storico-filologico . Petrarca è assai accurato nel riportare fonti ed opinioni degli antichi: scrive sia il parere del geografo Pomponio Mela sia quello di Tito Livio: E' dunque "in nuce", in queste righe, la modernità dello scrittore aretino che, al contrario dei medievali, evita di porre in modo dogmatico un autore antico e classico, bensì, muovendo da esso trae motivo per una riflessione ed introdurre la propria narrazione: " mi è sembrato scusabile in un giovane di condizione privata quello che non fu biasimato in un re".

Tra la riga 174 e 190 troviamo invece l'elemento cristiano. Petrarca, pensando al proprio caso, rievoca episodi simili accaduti ad Agostino e ad Antonio, folgorati anch'essi da parole lette nelle Bibbia. Ecco il poeta, colpito da queste parole, volgere il suo sguardo dentro di sé e la ricerca di Dio venire a configurarsi come una ricerca interiore, come la scoperta dell'unica realtà che sia degna di ricerca, cioè l'uomo, lo spirito, "cui magno nihil magno est".

Questa epistola rappresenta, come dice E. Garin, un appello all'interiorità rivolto all'uomo. Infatti tutto in questa lettera tende all'introspezione e alla meditazione interiore, anche l'elemento esteriore; questo nella composizione petrarchesca è volto all'analisi di quel dissidio interiore, fulcro della personalità di Petrarca; ma l'interiorità, nota Garin, non coincide con un ascetico isolamento , bensì è un'esaltazione del mondo umano. Questo porre l'uomo al centro di ogni meditazione è un elemento tipico della spiritualità petrarchesca.

Petrarca è cosciente del fatto che, per dirla come Garin, la "conversione dalla natura allo spirito" è la "necessaria premessa per una nuova valutazione del regno dello spirito". E' per questo che Petrarca osserva con occhio addolorato ma allo stesso tempo compiaciuto, riconoscendo in se stesso una duplicità, il proprio dissidio interiore ( es. " s'intreccia una battaglia ancor oggi durissima ed incerta per il possesso di quel doppio uomo che è in me"). Nel Petrarca, infine, c'è sempre un anelito alla quiete dello spirito, come dimostrano le parole di commiato dall'amico.



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