L’ apparato digerente consiste in un canale cui sono annesse alcune
ghiandole: le salivari maggiori, il fegato e il pancreas.
La prima porzione è definita anche segmento di transito, presenta
una superficie liscia, che deve essere lubrificata da ghiandole che producono
muco per ridurre gli attriti. Il materiale alimentare viene assunto a livello
della bocca, con la masticazione si costituisce il bolo alimentare che
passa nella faringe e nell’esofago, in cui l’apparato digerente assume
quella configurazione a tubo che, ad eccezione dello stomaco e dei primi
segmenti, lo caratterizza sino alla fine.
Il segmento di transito presenta quindi caratteristiche particolari
dovute al fatto che il materiale alimentare vi soggiorna transitoriamente
prima di raggiungere lo stomaco. Nello stomaco hanno inizio i processi
digestivi, la digestione tuttavia inizia già a livello della cavità
buccale ad opera dell’amilasi salivare (ptialina) contenuta nel segreto
delle ghiandole salivari.
Nel segmento di transito avviene l’assunzione del cibo, la masticazione
(preparativi per la digestione), la deglutizione, la progressione verso
l’esofago, la fonazione e la respirazione. Il punto cruciale è dato
dall’incrocio tra vie digestive e vie respiratorie: a livello della porzione
terminale della faringe, l’aria inspirata imbocca le vie respiratorie:
l’epiglottide deve essere sollevata. Una volta giunto nello stomaco, il
bolo sosta per un periodo di tempo variabile da pochi secondi a molte ore.
Il tempo di permanenza nello stomaco può essere determinato
tramite somministrazione di un mezzo di contrasto.
Lo stomaco digerisce in modo sommario le proteine, dando origine a
grossi polipeptidi di vario peso molecolare. Anche l’amilasi salivare viene
degradata in quanto non resiste alle condizioni presenti nell’ambiente
gastrico.
Nell’intestino tenue viene completata la digestione di polipeptidi,
polisaccaridi e grassi, grazie all’azione degli enzimi amilolitici, proteolitici
e lipolitici del succo pancreatico, e della bile secreta dal fegato che
però non contiene enzimi.
Inoltre nell’intestino tenue si compiono processi di assorbimento di
amminoacidi, esosi e die prodotti di digestione dei grassi.
L’intestino tenue è provvisto di strutture specializzate per
l’assorbimento (villi intestinali).
L’intestino crasso assorbe acqua e quindi concentra i residui non digeribili,
ne assicura la progressione e l’eliminazione.
Il retto è la sede in cui si raccoglie il materiale fecale.
E’ provvisto di una struttura muscolare per l’espulsione del materiale
fecale.
Riassumendo l’apparato digerente è formato dal canale alimentari
e dagli annessi al canale alimentare (ghiandole salivari, fegato, pancreas).
Il segmento di transiti è costituito da: bocca (vestibolo e cavità
buccale), istmo delle fauci (tonsilla palatina e tonsilla linguale), faringe,
esofago.
FUNZIONI DEL SEGMENTO DI TRANSITO
- Assunzione del cibo
- Respirazione
- Masticazione e preparazione del bolo alla digestione. La saliva utilizzata
a questo scopo, proviene dalle ghiandole salivari maggiori, ma anche dalle
ghiandole salivari minori o intramurali, che creano localmente condizioni
diverse in base alla necessità (saliva sierosa nel vestibolo della
bocca per evitare il ristagno di detriti, saliva mucosa a livello del palato
duro per lubrificare una zona soggetta a forti attriti).
- Deglutizione e progressione del bolo
- Sede di sensibilità gustativa
- Sede di funzioni immunitarie (tonsille)
Per tutte queste ragioni l’apparato digerente si integra con il sistema
osteoarticolare, muscolare, con le ghiandole annesse e con i vari tipi
di mucosa.
La mucosa di rivestimento si trova in regioni sottoposte al minimo
grado di attrito, quali la superficie interna di labbra e guance.
La mucosa masticatoria si dispone a rivestire quelle regioni
della bocca che risultano sottoposte a notevole attrito durante l’assunzione
del cibo, ma masticazione e la progressione del bolo.
La mucosa specializzata svolge funzioni specializzate. Si trova principalmente
a rivestire il dorso della lingua, dove la presenza di papille conferisce
alla mucosa stessa, riccamente innervata, la proprietà di ricevere
stimoli tattili anche di minima intensità e stimoli specifici della
sensibilità gustativa.
DIVISIONE
VESTIBOLO DELLA BOCCA
Il vestibolo della bocca è uno stretto solco delimitato anteriormente
dalle labbra e guance, posteriormente dalle arcate gengivodentali. E’ importante
la presenza di saliva sierosa per detergere questi solchi ed evitare ristagno
di detriti.
CAVITA’ ORALE
La cavità orale è occupata quasi completamente dalla
lingua. La lingua è un’organo estremamente mobile, svolge compiti
essenziali nell’assunzione di cibo, nella formazione del bolo e nella deglutizione.
Partecipa alla fonazione (emissione di un linguaggio articolato), ed è
sede della sensibilità gustativa. Presenta un corredo muscolare
di muscoli striati (movimenti volontari), divisi in muscoli intrinseci
ed estrinseci, che garantiscono carattere di mobilità.
La mucosa della lingua presenta caratteristiche diverse a seconda delle
zone.
La mucosa del dorso è la superficie esposta ad attriti ed a
sollecitazione a seguito della sua compressione contro il palato, quindi
occorre una mucosa fortemente aderente al piano muscolare: epitelio di
rivestimento, lamina propria, piano muscolare, assenza di muscularis mucosae
e sottomucosa. Le regioni non sottoposte a sollecitazioni meccaniche ed
attriti, sono caratterizzati da una mucosa poco aderente ai piani sottostanti
ed alla presenza di una tonaca sottomucosa.
Viceversa ad di sotto della lingua abbiamo la presenza della sottomucosa
e quindi la mucosa non aderisce in modo così forte al piano muscolare.
PALATO
A livello del palato duro abbiamo una mucosa fortemente aderente al
piano osseo (mucosa masticatoria). Nel palato molle abbiamo una mucosa
di rivestimento.
ISTMO DELLE FAUCI
E’ un breve segmento, le pareti laterali sono costituite dai due archi
palatini, glossopalatino anteriormente, e faringopalatino posteriormente,
tra cui si trova la tonsilla palatina, accolta nella fossa tonsillare.
Il pavimento è costituito dalla mucosa della base della lingua,
largamente occupata dalla tonsilla linguale.
ANATOMIA
MUCOSA DI RIVESTIMENTO
La mucosa di rivestimento è lassamente aderente ai piani sottostanti,
sui quali può scivolare. E’ presente uno strato do sottomucosa,
caratteristica della superficie di labbra e guance.
Le labbra sono organi mobili, delimitanti la rima buccale, servono
per l’assunzione di cibo e la fonazione. Sono provviste di un corredo muscolare,
vi si distinguono una superficie esterna cutanea, una superficie interna
rivestita da mucosa, ed un margine libero o di transizione (bordo roseo
o vermiglio).
La cute è formata da epitelio pavimentoso cheratinizzato, nel
maschio sono presenti peli e ghiandole sebacee.
Il bordo roseo è fornito di un epitelio pavimentoso stratificato
molto spesso, privo di melanociti negli strati basale e spinoso. La lamina
propria (derma) si solleva in papille assai alte che si approfondano nell’epitelio.
Queste papille connettivali sono riccamente vascolarizzate: l’assenza di
pigmento e la ricchezza del corredo vascolare determinano il caratteristico
colore rosso. La superficie interna delle labbra presenta la mucosa di
rivestimento (epitelio pavimentoso stratificato, con un modesto grado di
cheratinizzazione, per la mancanza di forti attriti, la lamina propria
provvista di lobuli ghiandolari a secrezione pura, piano muscolare costituito
da muscoli intrinseci ed estrinseci).
MUCOSA MASTICATORIA
La mucosa masticatoria si dispone a rivestire quelle regioni della
bocca che sono sottoposte a notevole attrito durante l’assunzione del cibo,
la masticazione e la formazione del bolo.
Queste regioni corrispondono alla mucosa gengivale e al palato duro.
Durante la masticazione si sviluppano forze notevoli (20/25 kg) e quindi
occorre una mucosa estremamente compatta e robusta.
Caratteristiche: esteso rapporto epitelio di rivestimento-lamina propria,
quindi la lamina propria si solleva in papille alte ed assai slanciate,
la lamina propria è molto consistente e presenta numerose fibre
collagene in uno strato di connettivo estremamente denso, notevole cheratinizzazione
dell’epitelio di rivestimento. Quest’ultimo è del tipo pavimentoso
stratificato, molto simile a quello dell’epidermide, ma non presenta uno
strato corneo. Abbiamo così uno strato basale costituito da cellule
proliferanti (elementi di rimpiazzo, avviene un turn over continuo).
Queste cellule si portano gradualmente verso gli strati più
superficiali, nel contempo si differenziano e si trasformano (citomorfosi
cornea dell’epidermide.
La mucosa masticatoria è costituita da: uno strato spinoso,
strato granuloso (strato lucido nell’epidermide), strato cheratinizzato.
Queste cellule via via che procedono verso gli strati più superficiali,
presentano un citoplasma in cui si accumulano fascetti di tonofilamenti
che si associano a granuli cheratoialini. Il processo di cheratinizzazione
è direttamente proporzionale al grado di attrito cui è sottoposto
l'epitelio.
MUCOSA SPECIALIZZATA
Si trova principalmente a rivestire il dorso della lingua. Presenta
particolari caratteristiche che conferiscono alla mucosa stessa la capacità
di ricevere stimoli tattili anche di intensità minima, e stimoli
specifici della sensibilità gustativa.
Si distinguono nella lingua un’apice, un corpo ed una radice posta
dietro al V linguale.
In corrispondenza del dorso della lingua la mucosa presenta diversi
tipi di papille. In generale le papille possono essere definite come rilievi
di varia forma della lamina propria, sui quali si dispone seguendone il
profilo l’epitelio.
Le papille vallate sono le più voluminose tra le papille della
lingua. Sono disposte lungo il V linguale e sono costituite da un voluminoso
rilievo connettivale cilindrico, l’epitelio si affonda intorno alla papilla,
ne raggiunge la base e risale in questo modo tutto intorno alla papilla
e viene a formarsi un profondo solco circolare detto vallo.
Le papille fungiformi sono rilievi ristretti alla base e rigonfiati
alla loro estremità libera, assumono pertanto la forma di fungo
o clava. Sono localizzate su tutto il dorso, ma sono più numerose
all’apice e lungo i margini.
Le papille foliate si trovano sui margini subito al davanti del pilastro
glossopalatino. Su tutta la superficie del dorso si trovano le papille
filiformi o corolliformi, non contengono calici gustativi, e quindi non
hanno funzione gustativa.
Le altre papille accolgono calici gustativi.
INNERVAZIONE
L’innervazione sensitiva della lingua riguarda la sensibilità
generale e la sensibilità gustativa specifica.
Alla sensibilità generale dei 2/3 anteriori della lingua provvede
il nervo linguale, ramo del nervo mandibolare del trigemino. I calici gustativi
presenti nei 2/3 anteriori della lingua sono innervati dalla corda del
timpano, ramo intrapetroso del nervo faciale.
Il terzo posteriore della lingua è innervato dal nervo glossofaringeo
(rami linguali), che raccoglie stimoli della sensibilità viscerale
generale e della sensibilità specifica.
L’innervazione dei calici gustativi della faringe e dell’epiglottide
è affidata al nervo vago.
Abbiamo nel complesso 10000 calici gustativi che si distribuiscono
in prevalenza sul dorso della lingua.
MECCANISMO DELLA PERCEZIONE GUSTATIVA
La struttura delle papille vallate è caratteristica in quanto
i calici gustativi sono contenuti all’interno del vallo, quindi le sostanze
sapide devono raggiungere il vallo, nel quale devono essere presenti condizioni
di estrema fluidità: nel fondo del vallo si aprono i dotti escretori
delle ghiandole gustative a secrezione sierosa, il cui secreto mantiene
deterso il vallo permettendo così la stimolazione gustativa.
Le ghiandole sierose (di Ebner) occupano la regione del V linguale.
Nell’uomo inoltre è stata dimostrata la presenza di cellule ciliate
nel fondo del vallo, che si occupano di evitare fenomeni di ristagno del
secreto di queste ghiandole. Infine le ghiandole gustative producono una
glicoproteina del peso di 19kd, che viene legata attraverso appositi recettori
sulla superficie delle cellule gustative. Questa glicoproteina rappresenta
il vettore delle sostanze sapide.
Le ghiandole gustative sono associate anche agli altri due tipi di
papille che presentano calici gustativi.
Nell’uomo le papille foliate sono rudimentali (atrofiche), presentano
una struttura simile alle altre papille, ma il connettivo, rivestito da
epitelio, si solleva in estroflessioni più allungate ed appiattite.
I calici gustativi sono formazioni epiteliali, annidati nello spessore
dell’epitelio pavimentoso stratificato che riveste i solchi delle papille
vallate, foliate e fungiformi. I calici gustativi sono formati da cellule
epiteliali, e si può riconoscere una base slargata che si trova
in prossimità della lamina basale dell’epitelio, ed un’estremità
apicale ristretta che giunge in prossimità della superficie libera
dell’epitelio. In corrispondenza dell’apice del calice gustativo, gli elementi
più appiattiti dell’epitelio delimitano un breve tragitto che viene
chiamato canale gustativo. Questo si apre in superficie attraverso il poro
gustativo esterno, mentre in profondità si mette in rapporto con
la parte apicale del calice attraverso il poro gustativo interno. I calici
gustativi sono costituiti da cellule gustative, cellule di supporto e cellule
basali.
Le cellule gustative presentano all’estremo apicale lunghi villi, cui
si attaccano le glicoproteine che rilevano la stimolazione gustativa. Tuttavia
queste glicoproteine si attaccano anche sui lati di queste cellule, ed
infatti la stimolazione gustativa può avvenire anche per via ematica.
Alla base di queste cellule si trovano terminazioni nervose (giunzioni
citoneurali).
Le cellule sensoriali sono recettori sensoriali specifici di 2°
tipo: sono cellule epiteliali, i recettori sensoriali specifici di 1°
tipo sono cellule nervose (cellule dei coni e dei bastoncelli della retina,
cellule olfattive).
Le cellule basali sono cellule staminali, cioè elementi di rimpiazzo
per le cellule gustative. Le cellule di supporto sono elementi che stanno
differenziandosi in cellule gustative: è presente quindi un ciclo
che culmina nell’apoptosi delle cellule gustative (nell’uomo questo ciclo
ha una durata di 25 giorni).
Se denerviamo una papilla i calici lentamente degenerano, il che significa
che la presenza di fibre nervose è necessaria per mantenere il turn-over
e quindi per mantenere la funzionalità del calice.
Esofago
La tonaca mucosa dell’esofago appare svincolata dalla tonaca muscolare
per interposizione di una tonaca sottomucosa assai sviluppata.
La mucosa si solleva in rilievi che quando l’organo non è attraversato
dal bolo ne riducono il lume conferendogli, in sezione, un’aspetto stellato.
Alla formazione di tali rilievi prende parte anche la sottomucosa.
La mucosa consta di epitelio di rivestimento, lamina propria, muscularis
mucosae. L’epitelio di rivestimento è pavimentoso stratificato,
con un modesto grado di cheratinizzazione perché il bolo vi transita
rapidamente, ed esiste possibilità di attriti. Nella lamina propria
c’è un’infiltrazione linfocitaria e non presenta ghiandole, ma è
attraversata dai condotti escretori di ghiandole che si trovano nella sottomucosa
(solo nell’esofago e nel duodeno le ghiandole sono localizzate nella sottomucosa).
La sottomucosa è costituita da connettivo lasso, e si solleva
in rilievi che conferiscono all’esofago un lume irregolare (stellato).
Le ghiandole esofagee sono tubuloacinose ramificate a secrezione mucosa.
La tonaca muscolare presenta assetto a struttura differente: nel terzo
superiore la tonaca muscolare è in continuazione con quella della
faringe e risulta perciò formata da fibre muscolari striate.
Segue una zona di transizione, quindi la muscolatura liscia prevale (strato
circolare interno più strato longitudinale esterno).
Stomaco
Sia macroscopicamente che microscopicamente abbiamo grosse diversità
nel passaggio tra segmento di transito e stomaco, territorio in cui avviene
la digestione.
Nel segmento di transito la mucosa è caratterizzata da un epitelio
stratificato e da una lamina propria molto densa. Nello stomaco abbiamo
una vascolarizzazione notevole ed una mucosa con un’epitelio semplice.
Vascolarizzazione: arteria gastrica sinistra (che deriva dal
tronco celiaco), arteria gastrica destra (che deriva dall’epatica propria),
arterie gastriche brevi (che derivano dall’arteria lienale), arteria gastroepicloica
destra (che deriva dall’arteria gastroduodenale), arteria gastroepicloica
sinistra (che deriva dall’arteria lienale).
Appena superato l’imbocco dell’esofago nello stomaco, cambiano le caratteristiche
dell’epitelio di rivestimento. L’epitelio esofageo è pavimentoso
stratificato, l’epitelio gastrico è cilindrico costituito da una
sola fila di cellule assai alte. La mucosa esofagea anche se sollevata
in pieghe insieme alla sottomucosa, si presenta liscia, la mucosa gastrica
presenta un’aspetto irregolare, caratteristica dell’alternarsi di rilievi
detti creste gastriche e depressioni dette fossette gastriche.
Nello stomaco è possibile distinguere tre territori: il cardia,
regione immediatamente seguente all’imbocco dell’esofago nello stomaco,
fondo e corpo, e parte pilorica distinta in un primo tratto
slargato (antro pilorico) ed in un secondo tratto canaliforme (canale pilorico).
Le funzioni digestive dello stomaco dipendono dalla secrezione ghiandolare
di una precisa zona dello stomaco costituita da corpo e fondo.
La mucosa cardiale ha principalmente la funzione di facilitare il passaggio
del bolo dall’esofago allo stomaco mentre nella parte pilorica hanno inizio
quelle modificazioni che preludono a ciò che avverrà nel
duodeno. Gli enzimi digestivi gastrici, le pepsine, sono enzimi proteolitici
che hanno la proprietà di idrolizzare il legame peptidico all’altezza
di alcuni amminoacidi specifici come gli aromatici.
Il loro pH operativo è compreso in un’intervallo tra 1,6 e 3,6.
L’azione delle pepsine produce polipeptidi di varia grandezza la cui completa
digestione avverrà nel tenue.
Gli enzimi che operano nel duodeno necessitano invece di un pH alcalino
(7,5/8).
Di conseguenza, deve verificarsi un fenomeno di neutralizzazione del
contenuto che già inizia a livello del piloro. Inoltre a livello
delle ghiandole piloriche sono presenti particolari cellule endocrine,
le cellule G, che secernono gastrina, un’ormone che agisce localmente (effetto
paracrino), stimolando la produzione di acido cloridrico.
L’organo non disteso appare sollevato in pieghe alla cui formazione
prende parte anche la sottomucosa. La mucosa gastrica è sollevata
in rilievi ravvicinati, detti areole gastriche. La superficie è
sollevata in rilievi (creste) che delimitano cavità che si affondano
nella mucosa (fossette). La muscularis mucosae rimane al di sotto di una
spessa lamina propria in cui è possibile distinguere una porzione
superficiale ed una profonda.
Il territorio superficiale è costituito da un’alternarsi di
rilievi (creste gastriche) ed infossamenti (fossette gastriche). L’asse
delle creste è costituito da tessuto connettivo lasso, con infiltrazioni
di linfociti e plasmacellule, non si trova alcuna struttura ghiandolare
nella porzione superficiale.
Il territorio profondo si estende sino alla muscularis mucosae, è
occupato da ghiandole che si aprono nei fondi delle fossette gastriche.
STRUTTURA
E’ caratterizzato da un’epitelio di rivestimento: qualunque organo
esposto costantemente a livelli di pH molto acidi sarebbe danneggiato,
la mucosa gastrica invece, benché bagnata da acido cloridrico, e
quindi da un’ambiente incompatibile con la vita cellulare, non viene distrutta.
Un ruolo fondamentale è svolto dale cellule epiteliali, che rivestono
le fossette. Queste cellule sono tutte uguali: presentano un nucleo spostato
in posizione basale, ed il citoplasma sopranucleare occupato da un materiale
chiaro e schiumoso (muco). Questi elementi devono essere pertanto considerati
cellule a muco, secernono il muco il cui punto isoelettrico è prossimo
alla neutralità. Una volta secreto, esso si disperde su tutta la
superficie mucosa.
Una caratteristica delle cellule a muco dell’epitelio gastrico è
la distribuzione intracellulare del muco stesso. Contrariamente a quanto
si verifica nella maggior parte delle cellule che producono muco infatti,
in queste cellule le gocciole di muco mantengono costante la propria individualità,
non mostrando alcuna tendenza a confluire. Si stabilisce in tal modo una
netta differenza, dal punto di vista morfologico, ad esempio con le cellule
mucipare caliciformi in cui il muco si ammassa, per confluenza delle singole
gocciole, in un’unica vasta raccolta sopranucleare (tela).
In queste cellule (mucosa gastrica) le modalità di eliminazione
ed elaborazione del secreto differiscono da quelle di altri tipi di cellule
a muco: le gocciole di muco vengono continuamente prodotte a livello del
Golgi, e continuamente versano il loro contenuto all’esterno, per fusione
della loro membrana con la membrana plasmatica (esocitosi), non si ha quindi
una fase di accumulo distinta da una fase di espulsione dell’elaborato.
Se così fosse, si disperderebbe sì una grande quantità
di muco, ma la cellula resterebbe del tutto sguarnita e le occorrerebbe
diverso tempo per risintetizzare una quantità di muco sufficiente
a rivestirla. In questo modo invece la cellula può presentare una
difesa continua dall’ambiente acido. il muco si stratifica in superficie,
la stratificazione è permanente, perché la secrezione è
costante.
Nelle ghiandole gastriche del corpo e del fondo si trovano cellule
che producono cloroioni ed idrogenioni (cellule delomorfe). Nel lume ghiandolare
si ha la formazione di acido cloridrico. L’acido cloridrico deve superare
il muco ed entrare nell’ambiente gastrico.
Queste stesse cellule producono ioni bicarbonato che, immessi nel sangue,
attraverso la rete capillare vengono portati nello strato di muco regolandone
il pH (6,7).
L’acido cloridrico non attacca la mucosa, e dalle ghiandole attraversa
la mucosa stessa senza intaccarla, per arrivare nel lume gastrico. l’acido
cloridrico, quando incontra il muco, lo attraversa in modo particolare:
in forma molecolare, molecola per molecola, si crea dei percorsi, sottili
canali.
Una volta raggiunto il lume gastrico, l’acido cloridrico a contatto
col muco dà luogo a fenomeni di repulsione. La barriera di muco
può facilmente essere danneggiata da asprina, associando alcool
ad asprina salta completamente la barriera di muco, la mucosa viene danneggiata
sino ad avere emorragia.
A livello del cardia, la mucosa presenta la conformazione generale
di tutta la mucosa gastrica (creste e fossette). Nei fondi delle fossette
si aprono le ghiandole cardiali, tubulari composte.
A livello di corpo e fondo, le ghiandole tubulari semplici, sono dette
ghiandole gastriche propriamente dette, ed in esse è possibile distinguere
tre porzioni: colletto, corpo e fondo.
A livello del piloro le ghiandole sono tubulari ramificate, e con il
loro fondo possono arrivare a prendere rapporti con la muscularis mucosae.
L’architettura della mucosa è diversa nei vari tratti dello
stomaco: a livello di corpo e fondo, le creste sono piuttosto basse, mentre
a livello del piloro il rapporto tra creste e corpo ghiandolare e quasi
di 1:1, quindi le creste sono molto alte (sono dette creste villiformi).
Nelle ghiandole gastriche propriamente dette esistono differenze notevoli
tra cellule del colletto, del corpo e del fondo. Nel corpo sono più
frequenti le cellule tondeggianti, con nucleo centrale, e fortemente acidofile,
sono le cellule delomorfe, responsabili dell’emissione di H+ e Cl- (nel
lume ghiandolare), ed HCO3- (al polo basale). Sono acidofile in quanto
provviste di numerosi mitocondri, e le proteine mitocondriali hanno un’elevato
punto isoelettrico. Le
cellule delomorfe producono anche il fattore intrinseco, che viene
immesso nel lume ghiandolare, e si trova quindi successivamente nel lume
gastrico.
Il fattore intrinseco è una glicoproteina che rende possibile
l’assorbimento della vitamina B12 presente negli elementi a livello dell’intestino
tenue.
Gli enterociti possiedono un recettore per legare il fattore intrinseco.
La vitamina B12 è necessaria per l’enterocitopoiesi, per cui un
difetto nella produzione del fattore intrinseco, quale si osserva nella
gastrite atrofica, causa una avitaminosi B12 che si manifesta con le caratteristiche
dell’anemia perniciosa.
Le cellule delomorfe diventano più rare verso il fondo, dove
si trovano cellule basofile, le cellule adelomorfe, che producono pepsinogeno
e renina.
Le ghiandole si aprono nel fondo delle fossette.
In corrispondenza del colletto si trovano le cellule del colletto,
che presentano un’aspetto schiumoso e producono muco acido.
Questo muco probabilmente facilita il passaggio di acido cloridrico
attraverso il muco neutro.
In corrispondenza di corpo e fondo si trovano le cellule adelomorfe.
Vi sono poi cellule staminali dalle quali derivano, per mitosi, le
cellule dell’epitelio di rivestimento della mucosa. Abbiamo una continua
produzione di cellule che possono rimpiazzare con differenziamento progressivo
le cellule epiteliali andate incontro a morte e sfaldamento.
Se provochiamo quindi danni all’epitelio possiamo rimpiazzare le cellule
danneggiate, se il danno interessa la mucosa più profonda nessuna
cellula staminale può differenziarsi in delomorfa o adelomorfa,
e si va incontro al rischio di ulcera gastrica (dalle cellule staminali
derivano anche le cellule dei tubuli ghiandolari).
Nel cardia sono presenti ghiandole tubulari composte, costituite da
cellule a muco (muco neutro), rare cellule delomorfe ed endocrine.
Nel piloro le ghiandole sono tubulari ramificate, sono costituite da
cellule che producono muco neutro (per neutralizzare il succo gastrico),
cellule secernenti gastrina (cellule G), cellule endocrine.
Nel corpo e fondo sono presenti ghiandole tubulari semplici, che sono
costituite da cellule del colletto (secrezione di muco acido), da cellule
delomorfe (HCl, HCO3-, fattore intrinseco), cellule adelomorfe (pepsinogeno,
renina).
Le cellule staminali sono elementi di rimpiazzo per le cellule a muco
dell’epitelio di rivestimento. La somministrazione di farmaci antimitotici
determina da distruzione selettiva di questi elementi, e preclude la possibilità
di rimpiazzo. Le cellule staminali sono localizzate nella zona dei colletti.
MECCANISMI LEGATI ALLE GHIANDOLE
Nelle ghiandole gastriche propriamente dette si trovano tre tipi di
cellule: delomorfe, adelomorfe, ed endocrine.
Le cellule delomorfe tendono ad essere più numerose nella parte
alta del tubulo ghiandolare, presentano una forma vagamente piramidale,
sono caratterizzate da intensa acidofilia. La porzione basale, più
arrotondata e voluminosa, si trova a ridosso della membrana basale, mentre
l’apice è posto verso il lume ghiandolare. La membrana plasmatica
che riveste la parte apicale delle cellule, si introflette verso l’interno
delimitando capillari di secrezione, che permettono una maggiore estensione
della membrana.
La membrana che delimita i due versanti del capillare di secrezione,
si solleva in lunghi microvilli. Il citoplasma, nelle vicinanze del capillare
di secrezione è stipato di mitocondri. L’associazione mitocondri-membrana
rende ragione degli imponenti fenomeni di trasporto attivo che hanno luogo
durante la secrezione di acido cloridrico.
SCAMBIO ASSOCIATO
| |
Cl- ---> | ----> H2O <- OH-
-- |--> Cl-
| * * |160 mEQ/L
HCO3- <- |-- HCO3- + H+ H+ ------ |--> H+
| |155 mEQ/L
CO2-> |--> CO2 + H2O -> H2CO3 |
|
--> |--> acqua
H2O-> |-> anidrasi carbonica |
(plasma)
(lume gastrico)
[H+] plasma è circa 5 * 105 mEQ/L
[H+] succo gastrico è circa 150/160 mEQ/L
Le cellule adelomorfe presentano nucleo in posizione basale, basofilia
marcata, RER assai sviluppato (particolarmente esteso al polo profondo),
Golgi sopranucleare, granuli estrusi per esocitosi. Producono il pepsinogeno,
precursore inattivo della pepsina, queste sono enzimi proteolitici, in
genere classificate come peptidasi, in realtà hanno la proprietà
di idrolizzare il legame peptidico a livello di alcuni amminoacidi, fenilalanina
e tirosina. La digestione gastrica delle proteine è quindi estremamente
sommaria e produce grossi polipeptidi.
Si conoscono vari tipi di pepsine (in elettroforesi 7, in immunologia
2).
Nelle condizioni di acidità in cui si trova lo stomaco, il pepsinogeno
perde un frammento polipeptidico, che verosimilmente maschera il sito attivo
dell’enzima, e si trasforma in pepsina. Il pH ottimale operativo della
pepsina è compreso tra 1,6 e 3,6.
Da notare che lontano dai pasti, il pH gastrico si porta su valori
intorno a 5, ciò inattiva la pepsina, proteggendo le pareti dello
stomaco dall’azione litica di questi enzimi.
Le cellule adelomorfe producono anche renina, una proteasi che digerisce
le proteine del latte, abbondante nel periodo neonatale.
Nell’antro pilorico è presente la gastrina (cellule G), e bombesina
(cellule P). La gastrina è un polipeptide di 34 amminoacidi, ma
sono attive anche forme a 17 amminoacidi dette minigastrine.
E’ prodotta dalle cellule G, che si trovano concentrate sopratutto
nelle ghiandole piloriche. La gastrina stimola le cellule delomorfe a secernere
acido cloridrico, ed è quindi in grado di regolare il pH dello stomaco.
Le cellule che producono gastrina regolano la loro attività
principalmente in base allo stato di riempimento dello stomaco, quando
questo è pieno, le pareti dell’organo si distendono (stimolo di
natura meccanica) avviene la produzione di gastrina, le cellule delomorfe
sono spinte ad accelerare la produzione di acido cloridrico di 6/8 volte.
Viceversa nello stomaco vuoto le pareti non sono distese, diminuisce
la produzione di gastrina, quindi di acido cloridrico ed il pH si alza
.
Secondo un’altra ipotesi, le cellule G potrebbero avvertire variazioni
di pH ed in tal modo si attuerebbe una regolazione feedback tra produzione
di acido cloridrico e secrezione di gastrina.
La bombesina è un polipeptide a 15 amminoacidi, ha un’effetto
stimolatorio sulla motilità gastrica ed intestinale, e sulla secrezione
pancreatica esocrina. E’ prodotta dalle cellule P, localizzate nell’antro
pilorico e nel duodeno.
Altre ghiandole presenti sono le ghiandole cardiali, gastriche propriamente
dette, piloriche. Queste secernono serotonina, somatostatina, VIP (peptide
intestinale vasostatina).
La somatostatina (cellule D) inibisce la secrezione acida delle cellule
delomorfe, e la secrezione esocrina del pancreas. E’ un polipeptide di
40 amminoacidi.
Intestino tenue
Le funzioni dell’intestino tenue sono: digestiva, in quanto completa
la digestione degli alimenti, iniziata nella bocca e nello stomaco, mescolando
il chimo gastrico con il succo intestinale, succo pancreatico e la bile;
assorbente in quanto attiva il passaggio nel sangue e nella linfa dei prodotti
della digestione e di altre sostanze ingerite (acqua, sali e vitamine);
motoria in quanto causa il rimescolamento del contenuto intestinale e la
sua progressione.
Perciò le diverse strutture dell’intestino tenue hanno attività
secretiva, assorbente, motoria.
Infine alcune cellule specializzate hanno attività endocrina,
secernendo vari ormoni gastro intestinali. Quindi il tenue come lo stomaco,
produce secrezioni esocrine (succhi digestivi), ed endocrine (ormoni gastro
intestinali).
STRUTTURA
La struttura delle quattro tonache che costituiscono la parete del
tenue, è comune al resto del canale alimentare, e la mucosa riveste
una particolare importanza funzionale.
Essa è sollevata in numerose pieghe, alla cui formazione prende
parte anche la sottomucosa, che ne aumentano la superficie. La lamina propria
contiene vari noduli linfatici solitari, i quali specialmente nell’ileo,
si aggregano a costituire le placche di Peyer.
La mucosa a sua volta consta di epitelio di rivestimento, lamina propria
e muscularis mucosae. La superficie della mucosa del tenue presenta numerose
estroflessioni digitiformi, i villi intestinali, che contribuiscono ad
incrementare la superficie assorbente. I villi presentano un’asse connettivale,
dipendenza della lamina propria, e contengono al loro interno una rete
di capillari sanguiferi, ed un vaso linfatico (chilifero).
Lungo tutto il tenue alla base dei villi si trovano le ghiandole o
cripte intestinali, tubulari semplici.
Oltre a queste, ma solo nel duodeno, si trovano le ghiandole duodenali,
tubulari composte, poste nella sottomucosa.
I villi presentano anche una componente muscolare, dipendenza della
muscolaris mucosae. Questo è importante in quanto permette il fenomeno
della spremitura del villo. La contrazione di queste fibre muscolari, determina
movimenti ritmici del villo, utile ai fini dell’assorbimento e del drenaggio
della linfa dal vaso chilifero.
Esistono alcune differenze di struttura tra duodeno e tenue mesenteriale:
nella prima parte del duodeno (bulbo duodenale) non sono presenti pieghe
circolari, i villi nel duodeno non presentano la forma di estroflessioni
digitiformi, ma hanno un’aspetto laminare.
Solo nel duodeno sono presenti ghiandole nella sottomucosa (sono presenti
a livelli della 1° e 2° porzione e secernono muco neutro). I tubuli
ghiandolari si aprono al fondo delle cripte.
Le caratteristiche di configurazione interna spiegano il diverso aspetto
che le varie parti del tenue mostrano all’esame radiologico, eseguito dopo
somministrazione di un mezzo di contrasto.
La parte superiore del duodeno si riempe infatti in modo uniforme,
e si presenta intensamente e regolarmente opaca (è il bulbo duodenale
in cui mancano le pieghe semicircolari).
Le restanti porzioni del duodeno, proprio per la sporgenza di pieghe
nel lume, presentano un riempimento irregolare che conferisce loro l’aspetto
fioccoso, che caratterizza anche l’immagine radiologica delle restanti
parti del tenue.
ANATOMIA
Lo strato assorbente (epiteliale), che ricopre tutta la mucosa, e perciò
anche i villi, è costituito da un solo strato di cellule cilindriche.
La morfologia e la funzione dell’epitelio varia in base alla posizione:
l’epitelio dei villi è costituito da enterociti (cellule assorbenti),
e cellule caliciformi.
Nelle cripte l’epitelio è costituito da cellule caliciformi,
cellule indifferenziate, cellule endocrine e cellule Paneth. Nelle cripte
si osservano frequentemente cellule epiteliali in mitosi. Ricerche autoradiografiche,
condotte con somministrazione di precursori radioattivi del DNA (H3- timidina),
hanno dimostrato che le cellule che derivano da queste mitosi, risalgono
lentamente, ma continuamente verso l’apice del villo.
Le cellule epiteliali si formano quindi per mitosi nelle cripte, e
si differenziano via via che risalgono verso l’apice del villo, che raggiungono
in 3 (ileo), o 5/7 giorni (digiuno e duodeno).
Le cellule apicali assorbenti hanno un corredo enzimatico più
completo, e presentano la più elevata capacità assorbente;
invecchiate vengono infine estruse dall’apice del villo nel lume intestinale.
La velocità di estrusione perl’intero intestino tenue umano è
piuttosto elevata: circa 20/50 milioni di cellule al minuto, corrispondenti
a circa 250 grammi di cellule al giorno.
La vita media di una cellula epiteliale è di conseguenza piuttosto
bassa (circa 2 giorni).
La notevole rapidità di rinnovamento delle cellule epiteliali
ha il significato di mantenere sempre in perfetta efficienza la superficie
assorbente. Farmaci citostatici che bloccano la mitosi, paralizzano l’attività
di queste cellule e pregiudicano il normale turn over.
Il fondo delle cripte non è marcato, quindi hanno un’altro significato:
le cellule di Paneth presentano numerosi granuli di secrezione fortemente
acidofili che contengono una proteina con un elevato punto isoelettrico
(11/12).
Le cellule di Paneth sono sierose con nucleo basale, Golgi sopranucleare,
e RER in posizione basale. La proteina contenuta nei granuli è il
lisozima. Si ritiene che attraverso la produzione di lisozima, le cellule
di Paneth, svolgano una funzione regolatrice nei confronti della flora
batterica intestinale.
Il lisozima distrugge selettivamente i batteri che dal crasso risalgono
nell’intestino tenue. Il lisozima è in grado di distruggere quei
batteri che presentano acido muranico nella loro membrana e non agisce
contro altri batteri, quali i saprofiti (che non sono patogeni), che si
annidano nell’intestino dove svolgono funzioni importanti.
In generale l’ultrastruttura degli enterociti non è diversa
da quella delle altre cellule epiteliali; caratteristica è invece
la presenza di microvilli alla loro superficie libera. Questo aumenta ulteriormente
(15/40 volte) la superficie assorbente della mucosa, sicché questa,
tenuto conto dello sviluppo di valvole conniventi, villi e microvilli,
raggiunge i 300 mq per tutto l’intestino tenue.
Il duodeno riceve lo sbocco delle vie biliari extraepatiche (per l’immissione
della bile), e del condotto pancreatico principale (per l’immissione del
succo pancreatico).
Bile e succo pancreatico sono ricchi di ioni bicarbonato, e contribuiscono
pertanto insieme al muco ad innalzare il pH, creando le condizioni ottimali
per l’azione degli enzimi pancreatici.
La mucosa del tenue consiste di epitelio di rivestimento (enterociti e cellule mucipare), lamina propria (forma lo stroma dei villi ed accoglie le cripte intestinali), e la muscularis mucosae la quale invia fascetti nel villo
VILLI INTESTINALI
La lamina propria si solleva in sottili lamine (duodeno), ed estroflessioni
digitiformi rivestite da epitelio. La lamina propria costituisce lo stroma
del villo. La struttura del villo presenta quindi una componente connettivale
lassa con numerose cellule linfoidi; un’importante rete capillare sottoepiteliale:
in questo modo i prodotti dell’assorbimento accedono direttamente al sangue;
una componente muscolare costituita da fascetti di fibre muscolari lisce
che provengono dalla muscolaris mucosae, che possono terminare liberi nello
stroma o fissarsi al vaso chilifero; una componente linfatica: il vaso
chilifero inizia a fondo cieco all’apice del villo, attraversa la muscularis
mucosae e passa nella sottomucosa dove si trova un ricco plesso linfatico.
L’epitelio di rivestimento è costituito da due tipi di cellule,
enterociti e cellule caliciformi secernenti muco. Si possono reperire rare
cellule endocrine e linfociti intraepiteliali. Gli enterociti sono cellule
alte, prismatiche, provvisti di un’esteso orletto striato; alla base dei
microvilli si trova la trama terminale, che rappresenta una zona in cui
le cellule sono fortemente saldate le una alle altre attraverso dispositivi
di giunzioni: zonula occludente, aderente e desmosomi. Ciò impedisce
il passaggio di materiale dal lume intestinale negli spazi intercellulari
(il passaggio di sostanze deve essere diacellulare). Questo è molto
importante in quanto i microvilli hanno una membrana ricca di proteine,
alcune enzimatiche essenziali per la digestione finale di glucidi e protidi
prima del loro assorbimento.
La trama terminale corrisponde ai punti in cui le cellule sono saldate
le una alle altre, e presentano un’organizzazione di filamenti actinici
stabilizzati da qualche filamento di miosina.
AZIONE DEGLI ENZIMI
Al di sotto della trama terminale si trovano in genere vescicole di
REL, nelle quali avviene la risintesi dei trigliceridi, a partire da due
monogliceridi ed acidi grassi liberi (a catena lunga).
Con metodiche istochimiche è possibile individuare una serie
di proteine enzimatiche a livello dell’orletto striato degli enterociti.
Si tratta di oligosaccaridasi di peptidasi, oligopeptidasi, enterocinasi.
Il lattoso viene scisso in glucoso e galattoso dalla lattasi (ß-galattosidasi);
la saccarasi idrolizza il saccaroso dando origine a glucoso e fruttoso.
Saccarasi e lattasi sono due delle oligosaccaridasi presenti nella membrana
microvillare dell’intestino umano.
Nei microvilli sono presenti almeno 11 peptidasi, con diversa specificità.
Agiscono su oligopeptidi di amminoacidi neutri o acidi, dando origine ad
aminoacidi liberi, di e tripeptidi. Agiscono anche su oligopeptidi di prolina
e alanina dando origine a dipeptidi; su alcuni dipeptidi dando origine
ad amminoacidi liberi (leucina amminopeptidasi).
Questi enzimi sono fondamentali per completare la digestione di oligosaccaridi
ed oligopeptidi che non è stata completata dagli enzimi proteolitici
ed amminolitici del succo pancreatico.
Esiste tutto un gruppo di malattie da malassorbimento dovute alla mancata
espressione di geni che codificano per queste proteine.
In un’adulto con deficit di lattasi, dopo ingestione di latte il lattoso
viene accumulato nel lume del tenue in quanto manca il meccanismo di digestione
(e quindi non si ha assorbimento) di questo disaccaride. Il grande effetto
osmotico del lattoso richiama fluidi dall’intestino: uno dei sintomi clinici
di intolleranza al lattoso è rappresentato da diarrea.
Una volta completata la digestione, amminoacidi e monosaccaridi vengono
assorbiti dagli enterociti e liberati a livello del polo profondo della
cellula (sono molto facilmente diffusibili). Partono dalla rete capillare
sottoepiteliale, passano poi ai vasi tributari della vena porta, e al suo
sistema per dirigersi al fegato, che quindi riceve tutti i monosaccaridi
e gli amminoacidi assorbiti a livello intestinale.
Per i lipidi la situazione è un po’ diversa: oltre alle
lipasi pancreatiche la digestione dei lipidi richiede la presenza della
bile epatica, che ha proprietà tensioattiva e disperde i grassi
in sospesioni finissime accessibili agli enzimi lipolitici del succo pancreatico
(le gocciole di grasso più compatte non potrebbero essere attaccate
completamente).
La lipasi pancreatica catalizza l’idrolisi dei trigliceridi dando origine
ad una miscela di acidi grassi liberi e 2-monoacil gliceroli che possono
essere assorbiti dagli enterociti. Una volta trasportati nella cellula,
si accumulano a livello del REL dove l’enzima esterasi risintetizza trigliceridi,
che vengono sganciati negli spazi intercellulari profondi, superano la
membrana basale, si portano al vaso chilifero, e per via linfatica al dotto
toracico. Entrano poi nel circolo venoso, e quindi i grassi arrivano al
fegato tramite l’arteria epatica.
Intestino crasso
L’intestino crasso nell’uomo ha una lunghezza di 90/180 cm. E’ suddiviso
in cieco, con relativa appendice, colon (ascendente, trasverso, discendente,
ileopelvico) e retto che si apre nel canale anale. Il crasso differisce
dal tenue di tre bande longitudinale, formate dallo strato più esterno
della muscolatura liscia (tenie), e per le sacculazioni piuttosto irregolari
(haustra coli), che derivano in parte dal fatto che le tenie sono più
corte dell’intestino il che causa ripiegature a tasca. Il crasso presenta
un calibro maggiore del tenue.
La parete del crasso ha un’organizzazione generale simile per le diverse
parti. Fanno eccezione alcune particolarità di organizzazione e
struttura che si rilevano a livello dell’appendice e del retto.
STRUTTURA
Dall’interno all’esterno si osservano nella parete del crasso, la tonaca
mucosa, la sottomucosa, la tonaca muscolare e la sierosa (o avventizia).
La mucosa è liscia, non presenta ne pieghe ne villi. L’epitelio
di rivestimento si dispone alla superficie della mucosa interrotto solo
dagli sbocchi di numerose ghiandole. E’ costituita da enterociti simili
a quelli del tenue, tra i quali sono intercalate cellule caliciformi secernenti
muco. L’orletto striato degli enterociti si presenta nel crasso di altezza
inferiore rispetto al tenue.
La lamina propria accoglie nel proprio spessore le ghiandole intestinali.
Vi si trovano inoltre noduli linfatici solitari, e numerose plasmacellule,
che producono IgA.
Le ghiandole intestinali, come quelle del tenue, sono tubulari semplici
e sono costituite per lo più da cellule mucipare caliciformi; vi
si trovano anche cellule di Paneth, localizzate nei fondi, e cellule endocrine.
La tonaca muscolare presenta uno strato interno di fasci circolari
e uno strato esterno di fasci longitudinali. Questi ultimi non si dispongono
in una lamina continua, ma si raggruppano in corrispondenza delle tenie,
visibili nella gran parte del crasso.
La sierosa non è presente in tutte le parti del crasso: dove
manca è sostituita da una tonaca avventizia.
FUNZIONI
Le principali funzioni del crasso sono: la regolazione del volume,
e la composizione in elettroliti delle feci, contribuendo così alla
conservazione del contenuto idrico e salino delle feci; il contenimento
e l’espulsione delle feci stesse. A tali funzioni contribuiscono le diverse
strutture dell’intestino crasso, svolgendo le seguenti attività:
assorbente, sopratutto ma non esclusivamente di elettroliti ed acqua con
consequente formazione di feci semisolide, secretoria, sopratutto di acqua
ed elettroliti, motoria con il conseguente rimescolamento del contenuto
intestinale e la sua progressione.
Inoltre l’abbondante flora batterica presente nel crasso causa la parziale
digestione di residui alimentari (cellulosa), con produzione di sostanze
in parte assorbite, in parte eliminate con le feci.
La flora batterica del colon, inoltre è in grado di sintetizzare
la vitamina B12 e la vitamina K (coagulazione).
Appendice
La parete dell’appendice, pur mostrando la stessa organizzazione generale
del crasso, si presenta notevolmente ispessita per lo sviluppo che in essa
assume il tessuto linfoide.
La mucosa è liscia come in tutto il crasso. L’epitelio di rivestimento
è formato in prevalenza da enterociti.
La lamina propria, che assume uno sviluppo considerevole, è
occupata da uno strato continuo di tessuto linfoide. La muscularis mucosae
è scarsamente sviluppata, ed è ampiamente discontinua per
l’infiltrazione di linfociti, che dalla lamina propria si portano nella
sottomucosa.
La tonaca muscolare è sottile, e differisce da quella di cieco
e colon, in quando risulta costituita da due strati di fibrocellule muscolari
lisce continue, di cui quello esterno è a fasci longitudinali non
organizzati in tenie, quello interno a fasci circolari.
Come per tutti i tessuti linfoidi associati alle mucose, con il passare
del tempo si ha una vistosa riduzione del tessuto linfoide.
Cellule endocrine dell’apparato digerente
E’ detto anche sistema gastropancreatico (GEP).
La mucosa gastro intestinale, nella sua componente epiteliale, può
essere vista come un complesso di cellule organizzate in epiteli di rivestimento
e ghiandole che hanno rispettivamente funzioni di assorbimento e secrezione
esocrina.
Nella mucosa gastrointestinale si trovano però numerose cellule
endocrine, che non liberano i loro prodotti di secrezione nel lume del
canale alimentare, ma li riversano nel sangue.
Antiche osservazioni hanno identificato questi elementi endocrini come
cellule argentaffini o enterocromaffini, ed hanno attribuito loro la funzione
di produrre un’ammina biogena, la serotonina.
Con queste prime osservazioni si è anche dimostrato che tali
cellule, localizzate negli epiteli di rivestimento di tenue e crasso,
ma sopratutto nei tubuli delle ghiandole gastriche propriamente dette,
piloriche, duodenali, ed intestinali, presentano granuli citoplasmatici
(cromaffini ed argentaffini) localizzati in maggior numero tra nucleo e
polo profondo della cellula. Tali elementi sono stati perciò denominati
cellule basigranulose.
Osservazioni successive hanno dimostrato che le cellule argentaffini
hanno la proprietà di assumere precursori delle ammine biogene decarbossilandoli.
Le cellule endocrine del sistema GEP ed altre cellule dotate di tali
proprietà metaboliche, sono state perciò riunite in un sistema
endocrino chiamato APUD.
Alcuni degli ormoni presenti nelle cellule endocrine del sistema GEP,
sono stati anche dimostrati nel sistema nervoso centrale e periferico,
dove sono stati localizzati nei pirenofori, nei neuriti, nelle terminazioni
assoniche delle terminazioni nervose.
Questi dati suggeriscono la possibilità che da un lato esistano
correlazioni tra il sistema nervoso centrale e periferico ed il GEP, dall’altro
che alcuni ormoni prodotti a livello intestinale possono agire come neurotrasmettitori.
Gli ormoni prodotti dalle cellule del sistema GEP, svolgono la loro
azione in vicinanza della sede di produzione (effetto paracrino). Alcuni
polipeptidi ormonali possono passare nel sangue svolgendo funzioni a distanza
secondo i meccanismi endocrini classici.
Tutte le cellule del sistema APUD hanno origine dalle creste neurali.
Si ascrivono a questo sistema le cellule del sistema GEP, le cellule
endocrine della mucosa tracheo bronchiale, delle vie urogenitali, della
cute (melanociti), e di strutture endocrine pluricellulari (cellule parafollicolari
della tiroide, cellule della midollare del surrene, cellule principali
delle paratiroidi).
Per tornare alle cellule del sistema GEP, alcuni ormoni da essi prodotti
(motilina, colecistochinina, GIP) regolano la motilità del tratto
gastroenterico e delle vie biliari; altri (gastrina, somatostatina, serotonina,
secretina) regolano la secrezione esocrina gastrica e pancreatica.
Ghiandole salivari maggiori e pancreas esocrino
Le ghiandole salivari maggiori (extramurali) e minori (intramurali),
hanno lo stesso piano organizzativo strutturale; il pancreas ha una diversa
struttura.
Le ghiandole salivari maggiori sono caratterizzate da una secrezione
o esclusivamente sierosa (parotide) o mista (prevalentemente sierosa la
sottomandibolare, prevalentemente mucosa la sottolinguale). Le ghiandole
salivari maggiori non secernono saliva mucosa pura, reperibile sono in
corrispondenza del palato duro e della tonsilla.
STRUTTURA
La parte secernete si trova alla fine di un sistema di condotti che
si ramificano (si tratta di ghiandole tubulo acinose composte). Si parte
da un condotto maggiore -> ramificazioni sempre più fini (si tratta
di organi pieni a struttura lobulare); primo ordine di ramificazione tra
i lobuli sono i dotti interlobulari; secondo ordine di ramificazione sono
i dotti intralobulari.
I condotti interlobulari hanno semplicemente la funzione di condurre
la saliva ormai definitiva ai condotti escretori maggiori; nei condotti
interlobulari la saliva non viene modificata nella sua composizione ionica.
Nei condotti intralobulari (striati) invece la composizione ionica della
saliva subisce modificazione.
La saliva definitiva non é isosmotica con il plasma : la composizione
in K+ é dieci volte più alta nella saliva (K+ é trasportato
contro gradiente dal plasma al lume del condotto), la concentrazione di
Na+ é più bassa nella saliva rispetto al plasma (Na+ é
trasportato il contro gradiente dal lume al plasma. La composizione di
ioduri é piu’ alta nella saliva. Le caratteristiche di composizione
ionica della saliva sono molto importanti nel mantenimento di un ambiente
orale fisiologico.
Lo sviluppo dei dotti striati é diverso nelle tre ghiandole:
nella parotide il sistema é estremamente sviluppato, nella sottomandibolare
meno sviluppato , nella sottolinguale poco sviluppato.
Ciò significa che le modificazioni apportate dai dotti striati
avvengono principalmente sul secreto sieroso (le ghiandole mucose non hanno
dotti striati).
Nel pancreas non esistono dotti striati, per cui non esiste possibilità
di modificare la concentrazione ionica del succo pancreatico.
Ai dotti striati seguono i condotti preterminali, con funzione e caratteristiche
di struttura differenti in base alla natura del secreto. I condotti preterminale
mettono capo agli adenomeri, che rappresentano l’unità secernente
ghiandolare.
Gli adenomeri possono essere distinti a seconda della loro struttura,
quest’ultima determina una certa differenza nella struttura dei condotti
preterminali.
Ghiandola a secrezione esclusivamente sierosa: parotide.
Possiede acini sierosi preterminali indifferenziati, costituiti da
una singola fila di cellule appiattite. Secerne una saliva molto fluida
(può attraversare condotti preterminali di calibro pressoché
virtuali). Ha un sistema di dotti striati molto sviluppato.
Ghiandola a secrezione mucosa: palatina.
I condotti preterminali non sono costituiti da cellule indifferenziate,
ma da cellule secernenti muco.
Nella ghiandola a secrezione mista (sottomandibolare, sottolinguale)
abbiamo: ghiandola sottomandibolare a secrezione prevalentemente sierosa,
è costituita da acini sierosi, preterminali indifferenziati e dotti
striati con semilune sierose abboccate a preterminali secernenti muco.
La ghiandola sottolinguale (prevalente secrezione mucosa) ha rari acini
sierosi e preterminali indifferenziati, prevalgono semilune sierose abboccate
a preterminali mucosi. Possiede un sistema dei dotti striati poco sviluppato.
Le cellule sierose e le cellule mucose possono essere facilmente distinte
in quanto presentano caratteristiche diverse: le cellule sierose producono
proteine, quindi hanno un RER molto sviluppato (attiva sintesi proteica
-> a amilasi salivare), Golgi sopranucleare, basofilia marcata. Hanno granuli
estrusi per esocitosi.
Le cellule mucose hanno un citoplasma con gocciole di muco spesso confluenti,
un nucleo schiacciato alla base.
Modalità di secrezione del muco:
1) cellule a muco dell’epitelio gastrico: le gocciole di muco non confluiscono,
ma vengono continuamente formate a livello del Golgi, e riversano continuamente
il contenuto all’esterno.
2) cellule mucipare caliciformi: le gocciole di muco confluiscono in
una unica grossa gocciola raccolta sopranucleare; svuotamento massivo.
3) ghiandole salivari: il muco viene prodotto in grande quantità.
Si formano spesso delle gocciole confluenti. Il muco viene rilasciato lentamente
nei condotti preterminali.
I dotti striati fanno seguito ai condotti interlobulari, e rappresentano
il primo segmento dei condotti escretori con un notevole significato funzionale.
In corrispondenza del polo basale, il plasmalemma delle cellule che
costituisce i dotti striati presenta una serie di ripiegature (striature
al microscopio ottico). Nei lembi del citoplasma interposti, si trovano
mitocondri allungati, disposti verticalmente (labirinto basale).
La considerevole estensione del plasmalemma al polo basale e la stretta
associazione tra membrana e mitocondri, sono alla base del significato
funzione dei dotti striati: occorre energia per far funzionare le pompe
ioniche (ioni sodio e potassio sono trasportati contro il gradiente), nell’adenomero,
la composizione ionica della saliva è pressoché uguale a
quella del plasma. La saliva definitiva non è isosmotica con il
plasma, ed ha una composizione in ioni piuttosto diversa dal plasma.
Pancreas
E’ una voluminosa ghiandola annessa al duodeno. Vi si distingue una
componente esocrina, che produce il succo pancreatico, ed una componente
endocrina. La componente esocrina è predominante (97/99% del totale),
e determina pertanto la morfologia esterna ed i principali caratteri organizzativi
della ghiandola.
La componente endocrina è costituita da cordoni epiteliali inframezzati
al pancreas esocrino, più concentrati nel corpo e nella coda (isolotti
pancreatici).
L’organizzazione generale del parenchima ghiandolare è simile
a quella delle ghiandole salivari maggiori, rispetto alle quali, tuttavia,
la componente secernente è predominante.
Si considerano due condotti escretori (principale ed accessorio), cui
fanno seguito i condotti interlobulari, i condotti intralobulari ed i condotti
preterminali, che mettono capo agli adenomeri (non acini tondeggianti.
STRUTTURA
La componente endocrina è rappresentata da circa 1 milione di
isolotti, ed è ben marcata rispetto alla componente esocrina.
Gli adenomeri non sono strutturati come acini, ma come tubuli anastomizzati
tra loro, drenati da un numero di dotti relativamente basso.
I dotti striati sono assenti, poiché i condotti intralobulari
mancano di tutte le caratteristiche di striature e funzione rilevate nei
condotti striati.
Il condotto preterminale appare invaginato entro l’adenomero. Le cellule
che assumono tale rapporto, particolarmente con le cellule secernenti sono
dette cellule centroacinose.
Le cellule sierose del pancreas hanno forma piramidale, con la parte
slargata rivolta verso la lamina basale, e quella assottigliata che prospetta
verso il lume. Il nucleo si trova in posizione basale, il citoplasma basale
è intensamente basofilo (RER sviluppato), il Golgi è in posizione
sovranucleare. Il citoplasma apicale presenta gocciole di zimogeno, mentre
le cellule sierose della parotide secernono una piccola gamma di proteine,
le cellule sierose del pancreas producono tutta una serie di enzimi proteolitici,
lipolitici ed amilolitici.
REGOLAZIONE
La regolazione della secrezione del succo pancreatico si compie con
meccanismi nervosi ed ormonali (ormoni gastrointestinali).
Dal pancreas esocrino, come dallo stomaco, si distinguono una secrezione
basale (interdigestiva) ed una post pradiale (digestiva).
La secrezione pancreatica basale è piuttosto modesta. Il succo
pancreatico viene immesso nel duodeno non in modo episodico, come la bile:
al momento della digestione avviene un rilascio massivo e rapido di succo
pancreatico.
La mancanza di un serbatoio per il succo pancreatico fa in modo che
esistano altri meccanismi di regolazione.
In primo luogo le formazioni sfinteriche della papilla duodenale, che
occludono parzialmente il condotto pancreatico principale, ciò tuttavia
non spiega il rilascio massivo nella fase digestiva. La secrezione pancreatica
viene resa notevolmente attiva da stimolazioni di natura nervosa ed endocrina
(pancreazimina e secretina). Questa stimolazione determina uno svuotamento
massivo delle cellule sierose, i granuli di zimogeno si fondono tra loro
e si ha lo svuotamento massivo in un colpo solo (come il granulocito basifilo).
La secrezione pancreatica è continua, ma si svolge ad un livello
modesto (secrezione basale), al momento della digestione essa viene esaltata
da stimoli di natura neuroendocrina.
Fegato
E’ l’organo più voluminoso dell'organo. Una delle principali
caratteristiche del fegato è la vascolarizzazione. Il sangue raggiunge
quest'organo attraverso due correnti d’afflusso e lo lascia attraverso
un’unica corrente di deflusso per versarsi nella vena cava inferiore.
I vasi sanguiferi che vanno al fegato sono l’arteria epatica (tronco
celiaco), e la vena porta. Dal fegato defluiscono le vene epatiche. L’arteria
epatica e la vena porta penetrano nel fegato in corrispondenza dell’ilo,
le vene epatiche si aprono invece nella vena cava a livello della faccia
post dell'organo. A livello dei sinusoidi epatici avviene mescolanza tra
sangue arte e venoso: nel fegato circola sangue arterio-venoso. Il sangue
venoso è drenato infine dalle vene epatiche.
La ragione di questa organizzazione vascolare è che la vena
porta è il tronco venoso che conduce al fegato il sangue refluo
dalla porzione sottodiaframmatica del canale alimentare (esofago addominale,
stomaco, intestino tenue e crasso), e dalla milza. Q, attraverso la vena
porta, il fegato riceve tutti i prodotti d’assorbi intestinale, inoltre,
dal momento che nella milza avvengono fegato di eritrocateresi dovuti all’attività
dei macrofagi splenici, al fegato giungono i prodotti di degradazione dell’eme
(bilirubina).
Il sangue arterioso porta al fegato ossigeno e metaboliti.
Nel fegato sono presenti cellule di Kupfer (10 milioni /gr, il fegato
pesa 1500 gr), che hanno posizione e funzione strategica: proseguono il
lavoro dei macrofagi splenici, infatti sono in grado di produrre bilirubina
a partire da frammenti di eritrociti, che possono essere arrivati al fegato
attraverso la vena porta. Le cellule di Kupfer sono macrofagi residenti.
Il sangue che viene in contatto con gli epatociti è artero-venoso,
ha minor ricchezza in ossigeno, esso tuttavia, è ricco di prodotti
di assorbimento intestinale.
Un’altra caratteristica della vascolarizzazione è che l’arteria
epatica e la vena porta, una volta penetrate nel fegato in corrispondenza
dell’ilo, si dividono in rami che si distribuisce a grossi territori di
parenchima detti zone. Ciascuna zona è caratteristiche da vascolarizzazione
indipendente rispetto alle zone vicine.
Queste doti di segmentazione del fegato su base vascolare sono importanti
da un punto di vista pratico, in quanto permettono di realizzare vivisezioni
limitate del fegato (epatoctomie parziali).
Le zone a loro volta si suddividono in lobuli o acini, a seconda di
come si considera la costituzione del fegato.
Per le complesse funzioni, il fegato può essere considerarsi
non solo come un ghiandola esocrina, in quanto elabora la bile che riversa
nel duodeno per mezzo dei condotti biliari, ma anche come una particolare
ghiandola endocrina, non perché secerne ormoni ma perché
riversa direttamente nel sangue numerosi elaborati (proteine plasmatiche,
glucoso, lipoproteine).
Il parenchima epatico è costituito dagli epatociti. Gli epatociti
sono cellule polarizzate, in quanto in essi è possibile individuare
un polo vascolare, in corrispondenza del quale l’epatocita opera selettivamente
scambi con il sangue, ed un polo biliare, in corrispondenza del quale avviene
la secrezione della bile.
Negli epatociti esiste inoltre una precisa compartimetalizzazione,
cioè una precisa distribuzione degli organelli in base alle funzioni.
Il RER opera per la produzione delle proteine plasmatiche (+ di 80) riversate
in circolo, il REL opera per la sintesi del colesterolo e la degradazione
dei farmaci liposolubili (funzione detossificante).
FUNZIONI
1) biligenesi. Il fegato elabora la bile che, attraverso le vie biliari,
viene immessa nel duodeno, dove svolge importanti funzioni, in particolare
ai fini della digestione dei grassi. La bile è anche vettore dei
prodotti che devono essere eliminati e di prodotti fondamentali. Essa è
arricchita di IgA, e l’80% di IgA presenti nel tenue arriva con la bile.
2) Il fegato è intercalato tra il circolo portale e quello della
vena cava inferiore, riceve il sangue refluo dalla milza, stomaco, tenue
e dalla maggior parte del crasso ed opera sui metaboliti assorbiti a livello
intestinale, fungendo come organo di deposito per alcuni materiali (es.
glicogeno), che hanno un importante ruolo nel mantenimento di parametri
ematochimici (es. glicemia). In questo senso, il fegato può es considerato
come un'organo essenziale per mantenere l’omeostasi ematica.
3) funzioni metaboliche.
a) metabolismo dei glucidi (gluconeogenesi, glicogenosintesi e glicolisi,
che sono alla base della funzione glicostatica del fegato e quindi della
regolazione della glicemia).
b) metabolismo dei lipidi (sintesi dei trigliceridi, acidi grassi e
lipoproteine, formazione dei corpi chetonici, sintesi, degradazione, esterificazione
ed escrezione del colesterolo)
c) metabolismo delle proteine (sintesi delle proteine plasmatiche,
del fibrinogeno, della protrombina, di quasi tutti i fattori plasmatici
della coagulazione, catabolismo delle proteine e dei relativi aa).
L’albumina (4/5 g/100mL) è responsabile del mantenimento della
pressione oncotica dei protidi plasmatici. La diminuzione dell’albumina
plasmatica può comportare riduzione della pressione oncotica e pertanto
alterazione degli scambi idrici tra sangue e tessuti, causando l’abnorme
passaggio di liquidi nei tessuti, arrivando alla formazione dell’edema.
d) metabolismo dei composti azotati non proteolitici (sintesi urea,
ac. urico, purine pirimidine, glutatione)
e) metabolismo delle vitamine (fosforillazione della tiamina, piridossale,
riboflavina, formazione coenzima A dall’acido pantoteico e dal coenzima
B12 della vitamina B12)
4) funzione detossificante e trasformante. Molte sostanze tossiche,
o farmaci (es. barbiturici), possono essere eliminati da enzimi che, nel
caso dei barbiturici, sono localizzati a livello del REL. Infatti, esaminando
il fegato di un soggetti che ha fatto uso di barbiturici, si può
constatare una notevole estensione del REL negli epatociti.
La funzione trasformante si realizza attraverso reazioni di ossidazione
(perossisomi),... Da notare che il fegato può, idrossilando composti
del tutto innocui, creare sost cancerogene.
5) funzione di coniugazione (con acido glucuranico). Tipicamente la
bilirubina proveniente dai macro splenici e dalle cellule di Kupfer deve
esse glucurono coniugata per finire nella bile. Avremo così una
bilirubina che non è ancora passata per il fegato, ed una bilirubina
diretta, glucurono coniugata.
6) mantenimento omeostasi. Esistono parametri emolitici per i quali
è necessaria la normale funzione del fegato.
Si è visto come il fegato può essere suddiviso in zone,
che presentano vascolarizzazione indipendente, l’ulteriore suddivisione
in lobuli non presenta le stesse caratteristiche, in quanto i lobuli presentano
una vascolarizzazione multipla.
I lobuli sono ben evidenti sopratutto nelle specie animali in cui il
fegato è provvisto di una abbondante trama di connettivo, essi vengono
comunemente considerati come le unità strutturali del fegato (lobuli
classici). Ogni lobulo risulta costituito da lamine cellulari che delimitano
un sistema labirintico in cui è contenuta una reta capillare di
vasi sanguiferi a decorso tortuoso, i sinusoidi.
Nel lobulo classico le lamine cellulari ed i sinusoidi hanno disposizione
radiale: dalla periferia del lobulo convergono verso il centro.
L’asse del lobulo epatico è occupato da un vaso venoso a parete
sottile, la vena centrolobulare, in cui sboccano tutti i sinusoidi contenuti
nel lobulo epatico.
La parete della vena centrolobulare appare perciò discontinua.
Le zone dove lobuli adiacenti vengono tra loro in contatto sono indicate
come spazi portali, in cui decorrono i rami lobulari dell’arteria epatica,
della vena porta ed i canalicoli biliari. Queste tre formazioni costituiscono
la triade portale.
Il sangue che circola nelle ramificazioni dell’arteria epatica e della
vena porta viene convogliato dalla peri del lobulo epatico nella rete di
sinusoidi.
Sino a livello della triade il sangue arterioso e quello venoso circolano
indipendentemente e le tre formazioni decorrono all’interno di tralci connettivali
molto evidenti. I sinusoidi si portano alla vena centrolobulare, che percorre
assialmente il lobulo, alla base dei lobuli, le vene centrolobulari confluiscono
nelle vene sottolobulari (circolo venoso puro), tributaria a loro volta
delle vene epatiche, che sboccano nella vena cava inferiore. Le ramificazioni
dell’arteria epatica e della vena porta confluiscono nello stesso sistema
di drenaggio quando si immergono nei sinusoidi. Questi ultimi sono riccamente
anastomizzati per cui il sangue che circola nei sinusoidi è arterovenoso.
La bile elaborata dagli epatociti si riversa dentro spazi intercellulari
scavati tra le pareti di epatociti contigui (capillari biliari), quindi
viene convogliata in condotti provvisti di parete propria presenti negli
spazi portali (canalicoli biliari).
Come nei seni venosi della polpa rossa, anche nei sinusoidi epatici
la velocità del sangue è modesta: nel passaggio da triade
portale a rete sinusoidale si ha una grassa caduta di pressione e rallentamento
del flusso, ciò permette agli epatociti di restare a lungo contatto
con il sangue.
MODELLI DI ORGANIZZAZIONE DEL PARENCHIMA EPATICO
Il lobulo epatico (classico) è caratterizzato dagli spazi portali,
con triade portale (ramo lobulare di arteria epatica e vena porta, canalicolo
biliare).
Questo modello non è del tutto soddisfacente e presenta alcuni
limiti.
Nel caso per es di tumore della testa del pancreas, o do ostruzione
delle vie biliari, si verifica un ristagno di bile, e la formazioni di
lesioni triangolari, con un canalicolo biliare al centro e vene centrolobulari
ai vertici.
Il secondo modello (del lobulo portale) è caratterizzato da
un territorio di parenchima il cui centro è occupato da un canale
biliare, questo è contenuto nello spazio portale a raccogliere la
bile secreta dall’area circostante di parenchima epatico. I limiti del
lobulo epatico si possono ottenere congiungendo con una linea immaginaria
tre vene centrolobulari. Questo modello di organizzazione del parenchima
epatico pone l’accento sulla funzione esocrina del fegato. In esso il sangue
scorre in direzione centrifuga (dallo spazio portale alla vena centrolobulare),
mentre la bile ha decorso centripeto (dalla periferia all spazio portale).
Anche questo modello non è del tutto soddisfacente, in quanto
non è in grado di spiegare una delle principali patologie che colpiscono
il fegato, la cirrosi epatica.
Nel caso di questa malattia non solo viene distrutto il parenchima
epatico, ma il connettivo va a strozzare i vasi arteriosi e venosi, impedendo
la vascolarizzazione di queste zone. La rigenerazione del parenchima epatico
(vedi oltre), si realizza a partire da rami preterminali e terminali dell’arteria
epatica e della vena porta, a seconda che lo strozzamento, e quindi la
degenerazione sia avvenuta a livello preterminale o terminale, la rigenerazione
inizierà a monte della strozzatura. Avremo allora la formazione
di acini, che saranno semplici se siamo a livello terminale, complessi
a livello preterminale.
Questi modelli di organizzazione del parenchima epatico sono l’acino
semplice e complesso, cioè territori che presentano al centro rami
preterminali o terminali della vena. porta, in quanto è da questi
rami che ha inizio il processo di rigenerazione.
Un ultimo concetto riguarda la polarità degli epatociti: la
superficie degli epatociti rivolta verso i sinusoidi è provvista
di microvillo (aumento della superficie assorbente), in corrispondenza
del polo biliare, la mb dell’epa presenta una depressione foggiata a doccia.
Questa depressione si guistappone ad un’analoga presente sulla parete dell’epatocito
adiacente, si delimita in questo modo il capillare biliare, sprovvisto
di parete propria.
Superfici relativamente pianeggianti permettono un’esatta giustapposizione
con gli epatociti circostanti.
ANATOMIA
Il polo vascolare è la superficie dell'epatocita in rapporto
con i sinusoidi, la membrana dell'epatocita è sollevata in numerosi
microvilli.
I sinusoidi sono capillari sanguigni la cui parete è costituita
da cellule endoteliali organizzate in un dispositivo discontinuo, sono
riccamente anastomizzati.
Convogliano il sangue dai rami lobulari dell’arteria epatica e della
vena porta, collocate nello spazio portale, alla periferia del lobulo,
verso la vena controlobulare che percorre assialmente il lobulo.
La parete dei sinusoidi è costituita da cellule endoteliali
appiattite, che sporgono nel lume solo con quella porzione in cui è
contenuto il nucleo. L’endotelio è discontinuo per la presenza di
pori e fenestrature.
Tra l’epatocita e la parete del sinusoide si trova lo spazio di Disse.
Attraverso le fenestrature dell'endotelio, il plasma filtra nello spazio
di Disse e si pone in rapporto con l'epatocita.
Lo spazio di Disse si estende anche tra due epatociti contigui, e permette
un contatto prolungato del plasma con la parete dell'epatocita, sollevata
in numerosi microvilli.
Il contatto deve esse lento e prolungato, in quanto a questo livello
avvengono numerosi scambi tra epatocita e plasma: acidi grassi vengono
assorbiti, lipoproteine e proteine plasmatiche vengono rilasciate.
La struttura della parete dei sinusoidi non è così semplice:
i sinusoidi epatici non presentano una membrana basale così come
i sinusoidi splenici. L’assenza della membrana rende ragione della permeabilità
di questi vasi che nella milza permettono il riassorbimento del plasma,
e nel fegato permettono il passaggio del plasma nello spazio di Disse,
quindi il ritorno dello stesso plasma “richiamato” dal flusso sanguigno.
Nello spazio di Disse si trovano fibre reticolari, che formano un reticolo
di supporto per la parete del sinusoide.
Nei sinusoidi, sporgenti nel lume, si trovano elementi con attività
fagocitica attiva, le cellule di Kupfer. Si trovano nel contesto delle
cellule endoteliali, ma non sono in linea, si trovano sul versante interno
dell'endotelio, appoggiate sulle cellule endoteliali, appartengono alla
famiglia dei monociti macrofagi. Sono elementi residenti e presentano forma
irregolare, a cavallo del sinusoidi. Aderiscono alla superficie interna
dell'endotelio e vanno a popolare la superficie interna dei sinusoidi.
Le cellule di Kupfer si spostano all'interno dei sinusoidi: è
necessario un continuo avvicendamento.
Pur essendo macrofagi residenti possono staccarsi dall’endotelio e
tornare ad essere monociti circolanti. Esiste, dunque, un continuo ricambio
di questo tipo di cellule all'interno del fegato. Completano l’azione emocateretica
dei macrofagi splenici.
Queste cellule, inoltre, hanno l’importante ruolo di cellule presentanti
l’antigene (come le cellule interdigitate e cellule dendritiche follicolari).
Una piccola parte di queste cellule, che processano antigeni i quali
vengono riespressi nel contesto di MHC II, è in grado di raggiungere
i linfonodi dell’ilo epatico. Nel parechima epatico, infatti, non vi sono
vasi linfatici (presenti sino agli spazi portali),e solo cellule di Kupfer
situate alla periferia dei lobuli possono terminare nella zona dell’ilo.
I linfonodi di questa zona presentano una paracortex particolarmente
sviluppata (zona T dipendente), e questo è dovuto al continuo apporto
di antigeni (espressi nel contesto di MHC II) portati da cellule di Kupfer.
Oltre alle fibre reticolare, nello spazio di Disse si trovano anche
cellule che hanno la caratteristica proprietà di accumulare nel
cito lipidi. Si pensa che queste cellule siano un serbatoio per le sost
liposolubili come le vitamine A e K (importante nella coagulazione). Questi
elementi sono netti cellule di ITO o fat storng cells.
Le cellule di ITO differiscono dalle cellule di Kupfer per sede e funzioni:
si trovano all’esterno e non all'interno dell'endotelio che delimita i
sinusoidi.
Sino ad ora abbiamo considerato il polo vascolare degli epatociti,
consideriamo ora quelle zone in cui viene dismessa la bile: è possibile
visualizzare queste zone trattando le cellule con metodi specifici per
la dimostrazione di enzimi di membrana a funzione ATPasica, necessari al
meccanismo delle pompe ioniche. Si ottiene così una mappa molto
articolata che evidenzia quelle formazioni canaliformi costituite dalla
giustapposizione,e di epatociti adiacenti, che presentano sulle membrane
solchi foggiati a doccia, i capillari biliari.
La bile viene riversata nel capillari biliari, alla periferia dell’lobulo
si trovano territori che rappresentano il punto di passaggio tra capillari
biliari, privi di parete propria, e canalicoli biliari, provvisti di parete
propria e situati negli spazi portali.
Questo segmento di transito è detto colangiolo.
I capillari biliari non presentano parete propria, ma in corrispondenza
di questi la membrana dell'epatocita si estroflette in microvilli, ed inoltre
presentano enzimi di membrana ad attività ATPasica.
Pur non possedendo una parete propria, i capillari biliari devono esse
“chiusi” in qualche modo per impedire che la bilirubine già passata
negli epatociti, quindi coniugata con acido glucuronico, filtri negli spazi
di Disse e torni nel circolo ematico.
Questo fenomeno si verifica in patologie come i calcoli delle vie biliari,
che causano una elevata pressione a livello del capillari, I quindi una
fuoriuscita di bilirubina diretta. i sintomi di questa patologia sono dati
da un ittero molto evidente. L’ittero può perciò esse causato
anche dalla presenza nel sangue di bilirubina indiretta (non coniugata).
In questo caso l’ittero è dovuto a patologie molto diverse,
per es una malattia emolitica acuta che causa un elevato afflusso di bilirubina
al fegato ed il mancato riassorbimento da parte degli epatociti.
In condizioni di normalità, i capillari biliari sono strutture
perfettamente chiuse, grazie ai classici dispositivi di giunzione (presenti
anche a livello degli enterociti), ovvero la triade sona occludente, zona
aderente, desmosoma.
All'interno degli epatociti, i lisosomi sono localizzati in corrispondenza
dei capillari biliari, e questo sempre per il concetto di polarizzazione
e compartimentazione, definito per gli epatociti: i lisosomi infatti sono
fondamentali, con la loro attività idrolasica, in diverse tappe
delle biligenesi.
In modo analogo, il reticolo endoplasmatico e l’apparato di Golgi sono
localizzati in corrispondenza del polo vascolare dell'epatocita.
Un’altra caratteristica del polo biliare degli epatociti è la
presenza di numerosi filamenti di cheratina. Questi costituiscono il supporto
dei capillari biliari, e fanno in modo che i capillari siano una struttura
rigida: questo è importante in quanto se i capillari avessero una
struttura flessibile, un lieve aumento di pressione causerebbe la distensione
delle pareti del capillare, e l’indebolimento dei dispositivi di giunzione
che devono garantire una perfetta “chiusura” dei capillari, i quali non
possiedono una parete propria.
Passiamo ora ai colangioli. Si tratta di condotti che cominciano ad
avere una parete propria, costituita da cellule epiteliali e dalla superficie
degli epatociti. In pratica i colangioli sono costituiti da una singola
cellula che con i suoi prolungamenti cito va a costituire una struttura
vasale.
Queste cellule sono molto importanti per due motivi: esiste una situazione
patologica per cui, durante la morfogenesi delle vie biliari, non si formano
i colangioli. L’agenesia del colangiolo determina il mancato smistamento
della bile, con conseguente morte, a meno di un rapido trapianto di fegato.
Inoltre le cellule dei colangioli sono elementi staminali in gradi di differenziarsi
in epatociti: da essi dipendono i fenomeni di rigenerazione, dovuti a capacità
di differenziamento da parte delle cellule dei colangioli.
Lasciati i colangioli si entra nei condotti biliari che confluiscono
nei due dotti epatici per poi arrivare alle vie biliari extraepatiche.
All’interno del fegato, i canalicoli biliari non presentano modificazioni
rilevanti, così come non subisce modificazione la bile, almeno fino
a che non arriva alla colecisti.
Le vie biliari extraepatiche sono rappresentate dal dotto epatico com,
che in seguito riceve il dotto cistico, per andare a formare il dotto coledoco.
Questo passa dietro la prima porzione del duodeno e la testa del pancreas,
e va a sboccare a livello della faccia mediale della seconda porzione del
duodeno.
A livello della papilla duodenale sono presenti formazioni sfinteriche,
che permettono la dismissione di bile solo nel caso di presenza di grassi
nel duodeno, ed ulteriori sfinteri che impediscono il passaggio della bile
nel condotto pancreatico principale quindi nel pancreas, con la conseguente
attivazione degli enzimi proteolitici che distruggerebbero il pancreas
(pancreatiti acute).
La parete di questi condotti è costituita da epitelio di rivestimento
e da lamina propria, con infiltrazione lifocitaria (MALT), ed alcune ghiandole.
Esternamente alla mucosa si trova una tonaca fibromuscolare, la componente
muscolare è necessaria alla progressione della bile nei dotti.
Colecisti
La parete di quest'organo presenta alcune caratteristiche dovute al
fatto che in esso la bile ristagna, subendo modificazioni sostanziali.
La mucosa è sollevata in pieghe ramificate, alla cui formazione
prende parte anche la lamina propria. L'epitelio di rivestimento è
batiprismatico semplice.
La mucosa si mette in rapporto con la tonaca fibromuscolare senza interposizione
di una sottomucosa.
La tonaca fibromuscolare è costituita da fasci di fibrocellule
muscolari lisce i,ntrecciate (si determina la spremitura dell'organo),
e da fibre collagene.
In fine è presente una tonaca avventizia sulla faccia superiore,
una sierosa peritoneale sulla faccia inferiore.
Nel contesto della mucosa non sono presenti ghiandole, l'epitelio di
rivestimento è caratterizzato da un’orletto striato breve e sottile,
formato da corti microvilli.
Le cellule epiteliali sono saldamente unite tra loro a livello delle
parti apicali mediante complessi di giunzione (zonula aderente, occludente,
desmosoma).
A queste aree, che devono esse considerate impermeabili, fanno seguito,
verso il polo basale, la membrana caratterizzata da un profilo irregolare
per la presenta di interdigitazioni che delimitano uno spazio canalicolare
intercellulare esteso sino alla membrana basale su cui le cellule poggiano.
La colecisti non funziona solo come un serbatoio, ma serve anche a
concentrare la bile assorbendo parte dell’acqua in essa contenuta.
Mentre nella fasi di riposo il sistema dei canalicoli intercellulari,
che si delimita tra le cellule dell'epitelio di rivestimento appare ridotto
ad una sottile fessura, nella fase di concentrazione della bile (trasporto
attivo di Na+ e passivo di acqua) gli spazi canalicolari intercellulari
risultano dilatati.
Nel plasmalemma delle superfici laterali delle cellule epiteliali è
stata dimostrata attività ATPasica. Il trasporto attivo degli elettroliti,
l’assorbimento di acqua ha luogo a seguito del trasporto attivo di
Na+ negli spazi intercellulari. Si stabilisce un gradiente osmotico che
richiama acqua dal lume della colecisti.
In seguito avviene il drenaggio dei fluidi: spazi intercellulari, membrana
basale, capillari sanguigni, tonaca propria.
Apparato respiratorio
FUNZIONI
1) Permette gli scambi gassosi attraverso le pareti degli alveoli polmonari.
Questa è una funzione fondamentale: gli alveoli, unità funzionale
del polmone, sono cavità sferiche, circondati da una rete capillare.
Gli scambi gassosi avvengono tra l’aria inspirata, alla quale è
ceduto CO2, e il sangue circolante nei capillari, alla cui emoglobina passa
O2.
2) Modifica le caratteristiche dell’aria inspirata, la quale deve esse
riscaldata fino a raggiungere la temperatura corporea, e umidificata (saturata
di vapore), in quanto il CO2, essendo molto solubile, per diffondersi deve
trovare un’ambiente saturo di vapore.
3) Possiede dei meccanismi difensivi specifici e aspecifici, addetti
alla depurazione dell’aria per la difesa contro batteri. A questo scopo
partecipano le vibrisse, nel vestibolo del naso che fermano grosse scorie,
e sopratutto la mucosa respiratoria, che presenta caratteristiche differenti
in base al tratto in cui si trova.
4) Il polmone è inoltre provvisto di macrofagi, che sono in
grado di fagocitare ed eliminare aggressori e qualsiasi sostanza estranea
che abbia superato le barriere difensive.
Quest’organo, a livello del capillare, è provvisto di un caratteristico
endotelio in grado di attivare la trasformazione dell’angiotensina I, prodotta
dal rene, in angiotensina II.
5) Sono anche presenti funzioni assorbenti, dovute alla presenza di
cellule con orletto striato nell’epitelio della mucosa respiratoria (può
assorbire anche farmaci tra cui steroidi).
6) La sensibilità olfattiva è una funzione effettuata
da un settore limitato, presenti a livello della volta delle cavità
nasali, per la presenza di cellule nervose (recettori di 1° tipo).
7) La fonazione è una funzione fondamentale, che implica
la presenza di un’organo in cui i suoni vengono prodotti e amplificati,
la laringe.
L’organizzazione dell’apparato respiratorio avviene sia per le funzioni,
che le caratteristiche in due porzioni: alte vie e basse vie respiratorie.
Le alte vie respiratorie comprendono il vestibolo nasale, le cavità
nasali e la rinofaringe. Dalla rinofaringe si passa all’orofaringe, un
tratto in comune con l’apparato digerente, e da qui si passa all’adito
della laringe, che immette nelle basse vie respiratorie, che si dividono
in extrapolmonari (laringe, trachea, bronchi), e intrapolmonari (bronchioli).
MUCOSA RESPIRATORIA
Nelle vie respiratorie inferiori, che conducono solo l’aria, ha la
sola funzione di scaldare l’aria.
Possiede le caratteristiche di tutte le mucose: ha un epitelio di rivestimento,
una lamina propria e una scarsa sottomucosa, che può mancare sopratutto
dove è aderente alle parti scheletriche (cavità nasali) e
cartilaginee (anelli tracheali).
L’epitelio di rivestimento è caratterizzato dalla presenza di
cellule mucose caliciformi e da cellule ciliate (simbiosi muco-ciliare).
Differisce in base alle zone.
Sono anche presenti ghiandole miste (tubulo acinose ramificate). Oltre
alle cellule mucipare, anch’esse partecipano alla formazione di muco, che
tuttavia è misto a una componente sierosa, atta a fluidificare il
muco secreto, perché questo venga spostato dalle ciglia delle cellule
ciliate. Questo movimento di trasporto, inoltre, non è casuale.
Infatti le ciglia alte lo spingono in basse, quelle basse in alto.
Esistono due malattie ereditarie, che creano patologia a questo livello,
confermando l’importanza della secrezione mucosa e dell’attività
ciliare.
La prima è la fibrosi cistica, una malattia che colpisce tutte
le ghiandole esocrine, compreso il pancreas esocrino. Vengono colpite le
pompe ioniche, e il muco prodotto risulta denso e vischioso, rendendo impossibile
l’azione delle ciglia. Il muco prodotto quindi ristagna e diviene un solvente
per sostanze tossiche e cancerogene, causando sinusiti, tracheiti e bronchiti.
L’altra è la sindrome di Kartagenar (delle ciglia immobili),
in questa patologia per la mancanza di un gene che esprime per la dineina
(proteina ad attività ATPasica), fondamentale per fornire l'energia
ai microtubuli, le ciglia risultano immobili. Tutte le cigli dell’organismo,
non solo quelle respiratorie, vengono colpite, causando anche sterilità
maschile e femminile.
La struttura dell’epitelio respiratorio, mostra a livello delle cavità
nasali, un orletto di ciglia, e in simbiosi anche cellule mucipare caliciformi
(la simbiosi è presente solo qui), è un’epitelio pseudostratificato.
In profondità si trovano numerosi linfociti (produzione di IgA)
e ghiandole miste.
Tuttavia sono presenti anche altri elementi cellulari come le cellule
basali (sono cellule staminali, capaci di differenziarsi sia nella linea
ciliare che in quella a muco, a seconda dell’aria inspirata), assorbenti
(caratterizzate da orletto a spazzola), endocrine (più profonde,
sono cellule argentaffini, che producono serotonina), sensoriali.
Nei territori più protetti dall’esposizione all’aria prevalgono
le cellule mucipare (superficie inferiore dei tre cornetti nella mucosa
nasale)
MUCOSA NASALE
Presenta caratteristiche differenti dagli altri territori, la sua importante
funzione è apprezzabile sopratutto quando la sua funzione viene
scavalcata (respirazione a bocca aperta).
Oltre a modificare l’aria inspirata riscaldandola, mischiandola con
quella calda delle cavità paranasali, è importante per la
ricca vascolarizzazione, con grosse lacune di sangue (caverne piene di
sangue).
Qui l’organizzazione è tipica di un tessuto erettile, che può
permettere l’aumento dello spessore della mucosa, rendendo difficoltoso
il passaggio con l’aria, umidificandola, riscaldandola e idratandola.
La maggiore organizzazione vascolare rende differente questo epitelio
dagli altri.
E’ presente una notevole quantità di anastomosi arterovenose,
non sufficienti da sole ad inspessire la mucosa.
In profondità la mucosa aderisce al periostio, dove si infiltrano
arterie, che formano delle arcate, da cui si dipartono reti capillari sottoepiteliali,
che riforniscono in continuità di sangue caldo (contribuisce a scaldare
l’aria).
Esistono a livello postcapillare delle formazioni sfinteriche muscolari,
che permettono l’afflusso di sangue venoso nelle caverne in cui si accumula
sangue, provocando l’inspessimento della mucosa nasale.
Questo fenomeno non avviene in contemporanea nelle due cavità
nasali, ma alternativamente, a cicli di 2 o 3 ore.
La malattia più grave dell’epitelio respiratorio è il
tumore. E’ caratterizzato dalla trasformazione dell’epitelio respiratorio
in un’epitelio con cellule piatte e squamose (che è di solito presente
solo nelle corde vocali vere).
Inoltre sostanze irritanti che si trovano dell’aria possono indurre
le cellule basali ad un’involuzione di tipo squamoso (la metoplasia squamosa
è il passaggio obbligato alla neoplasia).
MUCOSA OLFATTIVA
Si estende per un’area di circa 500 mm2 nella volta delle cavità
nasali, in rapporto con la lamina cribrosa dell'etmoide, dove passano i
filuzzi del nervo olfattivo. Si trova anche su parte del setto e sulle
pareti laterali al punto di attacco del cornetto superiore.
Questa mucosa ha uno spessore più rilevante, dovuto ad un maggiore
spessore dell’epitelio di rivestimento e della lamina propria, la quale
è provvista di molte ghiandole olfattive. La mucosa aderisce al
piano osseo, infatti manca una sottomucosa.
In questa mucosa sono presenti i recettori olfattivi. L’epitelio è
pluriseriato con nuclei cellulari a diversi livelli. Si distinguono due
file di nuclei: una superficiale (cellule olfattive), ed una profonda (cellule
basali).
Tutti gli altri nuclei sparsi appartengono ad un’altra serie di cellule,
dette di sostegno.
Questo epitelio, in certi punti, è occupato dalle vie di drenaggio
delle ghiandole olfattive.
Più in basso, a livello della lamina propria, si distinguono
dei fascetti di fibre nervose (danno origine al nervo olfattivo). Sulla
superficie dell’epitelio pervengono delle molecole (osmofori), che impressionano,
legandosi ad esse, le cellule olfattive (recettori di 1° tipo).
Ci sono delle analogie con la sensibilità gustativa: c’è
cooperazione fra i due tipi di sensibilità, come per la percezione
gustativa, anche qui c’è cooperazione tra recettori e ghiandole.
Infatti le ghiandole olfattive producono una glicoproteina (simile a quella
prodotta dalle ghiandole gustative), la quale va a legarsi alle cellule
olfattive, e fa da vettore agli osmofori.
Queste ghiandole sono di tipo
tubulo-alveolare semplice, il loro dotto escretore ha parete propria, ed
attraversa l’epitelio.
La cellula olfattiva ha un corpo cellulare provvisto di un nucleo e
due prolungamenti, uno apicale, e uno profondo. Essendo una cellula nervosa,
il prolungamento apicale sarà un dendrite, quello profondo un’assone.
La porzione apicale ha una parte assiale che arriva fino alla superficie
dove si dilata nella vescicola olfattoria. Da qui si dipartono i filuzzi
olfattivi, che si intrecciano sulla superficie della mucosa. Le glicoproteine
si legano a questo livello, questa disposizione permette un notevole ampliamento
della superficie.
I filuzzi olfattivi hanno la stessa struttura delle ciglia (in molti
animali hanno struttura differente), tuttavia non sono mobili, risultano
immerse in un secreto che ha origine sia dalle ghiandole, sia dalle cellule
di sostegno. Il secreto non è muco, ma presenta proteine (secrete
per lo più dalle ghiandole) e lipidi (secreti sia dalle ghiandole
che dalle cellule di sostegno).
I lipidi sono molto importanti in quanto gli osmofori sono liposolubili,
per cui devono sciogliersi nello strato lipidico per agire come stimoli
sui filuzzi: si creerà un potenziale d’azione che si porta al corpo
cellulare e di qui al neurite.
Le cellule di sostegno sono localizzate tra i neuroni, ed hanno una funzione isolante a livello degli strati superficiale ed intermedio, per evitare interferenze tra neuroni contigui. Partecipano all’elaborazione del secreto glicoproteico, che si stratifica sulla superficie dell’epitelio olfattivo.
Le cellule basali hanno due funzioni: fanno da isolanti tutto intorno ai filuzzi olfattivi (hanno propaggini che avvolgono l’assone), possono differenziarsi in neuroni. Infatti distruggendo la mucosa olfattiva, mediante taglio dei neuriti che provoca la scomparsa delle cellule olfattive, oppure con agenti diretti, le cellule basali differenziandosi possono reintegrare le cellule nervose (è l’unico caso in cui si ha la riproduzione di cellule nervose).
Nelle ghiandole di Bowmann (tubulo alveolari semplici, muco-sierose)
il condotto escretore è formato da cellule piatte, negli alveoli
sono presenti cellule a secrezione sierosa e cellule cubiche presentanti
un REL molto sviluppato: queste secernono i lipidi.
A livello del recettore olfattivo, a differenza di quello gustativo,
a causa della minor estensione della superficie, esiste un fenomeno di
adattamento dovuto alla saturazione (quando tutti i recettori sono saturati
da osmofori non si ha più la percezione dello stimolo). Queste ghiandole
sono situate nella lamina propria della mucosa olfattiva.
Segue un breve tratto, la rinofaringe, che presenta un’epitelio respiratorio
classico, che si assottiglia in direzione dell’orofaringe.
Laringe
Costituisce la 1° parte delle basse vie respiratorie, ed è
l’organo della fonazione.
Presenta una complicata configurazione interna, in cui si distinguono
due tratti, il cui limite è dato dalla rima della glottide, una
parte superiore (epiglottide), ed una parte inferiore (epiglottide). Quest’ultima
parte, nella porzione terminale, continua nella trachea.
La glottide è un’apertura delimitata dalle corde vocali vere,
al di sopra si trovano le pieghe ventricolari, o corde vocali false. Tra
queste e le corde vocali vere, si delimita il ventricolo laringeo, che
possiede una notevole importanza nella fonazione.
Cartilagine epiglottide
Ha la caratteristica di potersi abbassare durante la deglutizione (escludendo le vie respiratorie), e di alzarsi durante la respirazione (escludendo le vie digestive). ha quindi la caratteristica di essere elastica.
STRUTTURA
E’ costituita da cartilagine elastica, inoltre sul versante che da
sulle vie digerenti, nella lamina propria della mucosa, sono presenti ghiandole
(infatti qui deve scivolare il bolo alimentare, quindi c’è bisogno
di lubrificazione).
L’epitelio è pavimentoso stratificato. A livello delle pieghe
ventricolari è presente una mucosa molto spessa, ricca di ghiandole,
che presenta anche una piccola parte di tessuto linfoide, che forma la
tonsilla laringea.
Al di sotto della piega ventricolare, si trova il ventricolo laringeo,
tra questo e il lume della laringe, le corde vocali vere formano un diaframma
teso.
Le corde vocali vere hanno inserzione in avanti, nella cartilagine
tiroide, in dietro, all’apice delle cartilagini aritenoidi. Sono formate
da una componente elasto-muscolare, costituita dal legamento e muscolo
tiroaritenoideo, detti anche legamento e muscolo vocale, i quali si ineriscono
al processo vocale delle cartilagini aritenoidi.
Le cartilagini aritenoidi sono provviste di due processi, vocali e
muscolari, su cui vanno ad inserirsi i muscoli che permettono la rotazione
all’esterno, e all’interno, delle due cartilagini, regolando così
il grado di tensione delle corde vocali, e l’apertura della rima della
glottide.
La piega ventricolare è dotata di un’epitelio respiratorio classico,
che continua fino a rivestire il ventricolo. A livello delle corde vocali
invece, l’epitelio diviene pavimentoso stratificato, oltrepassate le corde
vocali, l’epitelio è di nuovo respiratorio.
L’epitelio delle corde vocali è quindi differente, inoltre non
presentando ghiandole (che interferirebbero sui movimenti), nella lamina
propria presentano del connettivo collageno, tessuto elastico, connettivo
(legamento vocale), e una componente muscolare (muscolo vocale).
Il ventricolo laringeo è importante per il timbro di voce: ad
esempio i suonatori di cornetto devono tenere la glottide molto chiusa,
per cui si hanno continue pressioni sul ventricolo laringeo, che alla lunga
lo sfiancano conferendo nell’individuo un timbro di voce caratteristico.
FUNZIONI DELLA MUCOSA RESPIRATORIA
Nelle vie respiratorie inferiori, che servono soltanto per la conduzione
dell’aria, ha la funzione di riscaldare l’aria inspirata, nei bronchioli
invece vi è un tratto in cui solo raramente avvengono scambi gassosi
(cosa caratteristica degli alveoli)
Dalla trachea si divide in due bronchi (divisione di 1° ordine),
ed ogni bronco è diviso in bronco lobare (2° ordine).
Nel polmone oltre ai lobi, che sono indipendenti tra loro in quanto
ricevono una ventilazione e vascolarizzazione propria, esistono territori,
nell’ambito dei lobi, piuttosto estesi, anch’essi indipendenti: sono le
zone o segmenti polmonari (interventi al polmone comportano asportazioni
di lobi o zone, per sacrificare meno parenchima).
Con il termine bronchioli si intende la divisione di bronchi a livello
della quale non esiste più la componente cartilaginea (in patologia
si distinguono bronchiti e bronchiociti, i bronchioli possono essere attaccati
dall’asma).
Nel polmone si rinviene in superficie un reticolo (lobuli polmonari)
formato da setti connettivali che forma delle aree poligonali di parenchima
polmonare dette areole. Sono dotati di vascolarizzazione e ventilazione
propria (si parla anche di bronchioli lobulari). Tuttavia questo disegno
lobulare è presente solo in superficie.
Trachea e bronchi
Le vie respiratorie inferiori comprendono due segmenti: una prima parte
è detta extrapolmonare, e comprende la trachea e i grossi bronchi,
un’altra intrapolmonare.
I bronchi principali, a livello dell’ilo, si dividono in rami lobari,
da questa prima ramificazione si passa a condotti variamente ramificati,
che vanno a territori polmonari (zone o segmenti), che costituiscono unità
con vascolarizzazione e ventilazione indipendente.
All’interno del polmone l’albero bronchiale si ramifica: dall’ilo alla
periferia del polmone vi è una successiva e progressiva modificazione
della struttura dei bronchi, i quali diventano sempre di più sottili
e di calibro inferiore.
Modificazioni che giustificano le diverse patologie infiammatorie nei
vari tratti, si distinguono infatti in tracheobronchiti (grossi bronchi)
e bronchiopolmoniti (bronchioli), tali dati spigano alcuni aspetti dell’asma
bronchiale.
Trachea
L’inizio delle vie respiratorie inferiori è caratterizzato da
condotti aventi una parete rigida per la presenza di uno scheletro cartilagineo,
dato da anelli di cartilagine incompleti, a forma di c, che si alternano
a lamine fibrose.
Qui lo strato muscolare è ridotto (si rinvengono i fascetti
di muscolatura liscia che formano il muscolo tracheoesofageo), ed è
circolare.
La concentrazione di tale strato favorisce l’avvicinamento delle due
estremità dell’anello bronchiale.
La mucosa respiratoria presente in questo tratto è tipica, e
al di sotto si rinviene una sottomucosa ricca di ghiandole, accumulate
sopratutto nella parte posteriore del condotto privo di protezione cartilaginea
a contatto con lo strato muscolare, che con la sua contrazione ne determina
la spremitura.
Anterolateralmente si rinviene poi una tonaca fibrosa data dall’anello
cartilagineo e dal circostante pericondrio. Intorno è presente una
tonaca avventizia.
Polmone
E’ costituito da un tessuto molto elastico, ed è avvolto
da una tonaca sierosa (pleura), la quale delimita una cavità virtuale
(cavità pleurica), in cui è presente una pressione negativa
che comporta l’espansione del polmone e della cassa toracica.
Le modificazioni più notevoli dell’albero bronchiale all’interno
del polmone si hanno alla periferia, dove aumenta la componente elastica,
estremamente importante a livello dei bronchi più periferici, privi
di cartilagine.
La funzione di tali vie è sempre quella di umidificare l’aria,
rendendola satura di vapore, e di difendere le vie che seguono da agenti
estranei.
All’esame strutturale si nota che ogni anello è avvolto da uno
strato di pericondrio, che si continua con l’avventizia. La sottomucosa
è ben visibile dove non ci sono gli anelli cartilaginei, presenta
accumuli ghiandolari.
Tale struttura mantiene la stessa organizzazione anche nei bronchi.
A livello dell’ilo i bronchi penetrano nel polmone e all’interno di
esso iniziano a dividersi con modalità dicotomica.
Con questa modalità ogni ramo da origine a due rami più
piccoli uguali tra loro. Si hanno pertanto 10 bronchi zonali, che vanno
a raggiungere le 10 zone del polmone.
Questi rami zonali o segmentali sono condotti che a loro volta danno
origine a collaterali più piccoli, senza perdere la propria individualità.
Questi collaterali sono detti bronchi sub-zonali o sub-segmentali (divisione
monopodica).
I vasi che arrivano al polmone presentano le stesse divisioni dei bronchi
di cui sono satelliti.
La vascolarizzazione del polmone, come nel fegato, comprende due tipi
di circolazione: una funzionale, e un’altra nutritizia.
CIRCOLAZIONE FUNZIONALE
Il sangue venoso circola tramite l’arteria polmonare (che deriva dal
tronco polmonare, ci sono due arterie polmonari che portano sangue venoso
dal ventricolo destro), che decorre satellite di un bronco (che inizia
a presentare placche cartilaginee e non più un’anello).
Il sangue venoso arriva alle reti capillari degli alveoli, dove avviene
l’ossigenazione, e come sangue arterioso è drenato dalle vene polmonari,
a loro volta satelliti dei bronchi.
CIRCOLAZIONE NUTRITIZIA
Sono vasi che vascolarizzano la parete bronchiale, e arrivano dalle
arterie bronchiali (rami dell’aorta toracica), che portano sangue arterioso
e che si distribuiscono anche al polmone.
Il sangue refluo è drenato dalle vene bronchiali.
Le sue circolazioni sono indipendenti, anche se in meno dell’1% dei casi si hanno anastomosi tra i due circoli. Se queste non rispettano le condizioni fisiologiche, al cuore arriva sangue arterioso, con conseguente scarso rifornimento di ossigeno ai tessuti.
MODIFICAZIONI DEI BRONCHI
Dai bronchi sub-zonali in poi, si osservano sporadiche, e poi sempre
più frequenti, evaginazioni (alveoli polmonari), e si crea una grande
possibilità di scambi gassosi (bronchioli respiratori e poi condotti
alveolari, dove il bronco è quasi inesistente).
Si ha una progressiva riduzione dello scheletro cartilagineo, che diventa
a placche più piccole e più distanziate: a livello dei bronchioli
si ha la scomparsa dello scheletro cartilagineo.
I bronchioli sono canali molto piccoli, del calibro di circa 10/13
mm,e visto che si arriva alla superficie di scambio, dove è presente
una parete sottile, elastica e contrattile, devono sparire alcune caratteristiche
del tratto precedente: scompare la secrezione di muco, per cui non ci sono
ghiandole e cellule mucipare caliciformi.
Vi è una totale assenza di sottomucosa (per cui mancano anche
le ghiandole, che con la loro secrezione mucosa davano una risposta ad
agenti infiammatori).
A questo livello prevale la componente muscolare-elastica, che favorisce
l’espansione di tale distretto, che rappresenta la parte più plastica
delle vie, mentre quella più rigida è situata a livello dell’ilo
del polmone.
La grande elasticità è data pertanto dalla componente
muscolare-elastica.
Le placche cartilaginee consentono un maggior grado di movimento muscolare,
con modificazione dell’organizzazione dello strato muscolare, che si sostituisce
alla sottomucosa.
Alla ramificazione dei bronchi zonali il condotto è più
sottile e c’è una progressiva riduzione della cartilagine.
I bronchioli non presentano più scheletro cartilagineo, sono
forniti invece di muscolatura che presenta interruzioni, che sono indice
di una disposizione a spirale della stessa muscolatura.
Gli effetti di tale disposizione sono il restringimento del calibro,
e il contemporaneo accorciamento del bronco durante l’espirazione, per
eliminare l’aria che nei polmoni si accumulerebbe nello spazio respiratorio
morto.
Una liberazione di istamina sottopone questo tipo di muscolatura a
spasmi: si ha così l’asma bronchiale, che determina notevoli difficoltà
non tanto durante l’inspirazione, a cui si può supplire con un grosso
sforzo respiratorio, quanto durante l’espirazione.
Manca la secrezione di muco, inoltre la tonaca muscolare si avvicina
progressivamente all’epitelio, tanto che risulta più difficile distinguere
i vari strati e le tonache.
Il tessuto elastico si dispone più o meno come la muscolatura:
la parete dei bronchioli presenta dunque lamine di tessuto elastico a ridosso
della mucosa (la lamina propria è assente, e talvolta determina
la formazione di rilievi). L’altezza delle cellule dell’epitelio si riduce
progressivamente e compaiono le cellule di Clara (bronchiali, elementi
sierosi con REG molto sviluppato), che presentano granuli apicali secernenti,
e, si crede, un materiale tensioattivo simile a quello alveolare per mantenere
sempre disteso il lume della parete bronchiale.
Rami di divisione dei bronchi
Bronchi principali 1° ordine
lobari 2° ordine
zonali o segmentali 3° ordine
sub-zonali 4/12° ord.
bronchioli interlobulari 12/15° ord.
lobulari 16° ord.
respiratori 17/19° ord.
condotti alveolari 20/22° ord.
alveoli 23° ordine
Strutture che vanno incontro a modificazioni: scheletro cartilagineo, corredo muscolare, componente elastica, ghiandole, epitelio di rivestimento (cellule epiteliali ciliate, mucipare caliciformi, di Clara).
STRUTTURA
Esistono qui due compartimenti: vie respiratorie e zone di scambio,
rappresentate dagli alveoli.
Le vie respiratorie comprendono due diversi segmenti a caratteristiche
differenti, uno iniziale più rigido, provvisto di scheletro cartilagineo,
ed uno terminale periferico molto plastico, i bronchioli.
Nel polmone oltre alle zone e ai lobi, esistono i lobuli, territori
indipendenti per vascolarizzazione e ventilazione, forniti da un bronchiolo
lobulare. Tali lobuli sono ben visibili sulla superficie del polmone, e
sono separati da setti interlobulari, in cui risiedono macrofagi pigmentati.
Ogni lobulo presenta un ilo da cui entra il bronchiolo, e che presenta
il peduncolo vascolare, formato da un ramo lobulare dell’arteria polmonare,
che entra dall’emergenza di una vena lobulare, radice delle vene polmonari.
Nel lobulo il bronchiolo si ramifica, seguito dall’arteria, che prosegue
affiancata ad esso facendosi più sottile, e prosegue fino ai bronchioli
terminali, i quali forniscono gli alveoli considerati un’ulteriore suddivisione
indipendente dal polmone.
Via via che i bronchioli si ramificano cessa l’apporto ad sangue arterioso
ai bronchi da parte delle arterie bronchiali: questo avviene quando si
arresta la formazione della parte bronchiale e si rinvengono gli alveoli.
Infatti ricevono solo il sangue venoso giunto attraverso le arterie polmonari.
I rami che arrivano qui formano reti capillari perialveolari intorno
agli alveoli. In queste reti passa il sangue refluo che viene ossigenato,
passa poi in venule post-capillari come sangue arterioso.
Tali venule nel lobulo vanno a versarsi in un anello venoso che circonda
e delimita il lobulo polmonare.
Il parenchima polmonare si trova prevalentemente alla periferia dell’organo,
ed è sopratutto in superficie che si apprezza la suddivisione in
lobuli.
A livello dell’ilo i vasi confluiscono a formare un ramo della vena
polmonare che scorre sui setti interstiziali, e a questo livello decorre
satellite dei bronchi.
L’ultimo tratto del bronco è fornito da un’epitelio cilindrico
cigliato pluriseriato, presenta cellule di Clara ed ha una muscolatura
disposta a spirale, vicino ad esso.
In questo tratto si aprono sporadicamente come degli sfaldamenti, dapprima
rari e discontinui, in seguito diventano sempre più numerosi, i
bronchioli respiratori. Per ridurre la tensione superficiale a questo livello,
viene prodotto il surfactante polmonare.
Da questo punto in poi il parenchima polmonare è costituito
principalmente dagli alveoli. Si passa in seguito ai condotti alveolari.
A questo livello sono ancora presenti piccolissimi territori tra gli alveoli,
residui della parete bronchiale, costituiti da un’epitelio più un
piccolo strato muscolare, per cui gli alveoli presentano un'imbocco costituito
da un colletto in cui esiste una piccola componente muscolare.
Infine si passa ai sacchi polmonari, in cui la parete è completamente
scavata negli alveoli. Il passaggio da condotti a sacchi alveolari è
segnato dagli infundiboli o atri, zone morte respiratorie.
Gli alveoli occupano gran parte del parenchima polmonare, sono di dimensioni
diverse, e terminano a fondo cieco.
L’evoluzione ha consentito, nell’uomo, all’aria di arrivare in contatto
con una superficie sottile, favorevole per uno scambio tra aria e sangue
estremamente veloce.
Il processo filogenetico è stato molto lungo, e confrontando i polmoni di altre specie animali si riscontra che negli anfibi esiste un polmone con un’unico sacco, e non suddiviso in alveoli, negli uccelli non terminano a fondo cieco, ma presentano canalicoli anastomizzati tra loro.
Gli alveoli sono di forma sferica, hanno un'imbocco e consentono il
massimo contatto tra aria e sangue.
La loro parete risulta molto vascolarizzata da una ricca rete capillare
(aventi parete molto sottile formata un endotelio e una membrana basale,
i globuli rossi si incolonnano all’interno, in alcuni casi deformandosi).
Sul versante opposto si trovano cellule piatte, che in certi punti
sono più alte e ciliate, sono presenti cellule di Clara e un cercine
muscolare (zona del colletto). Esiste anche la possibilità di comunicazione
tramite i pori alveolari (poco numerosi nell’uomo). Un globulo rosso può
trovarsi ad effettuare scambi gassosi tra due alveoli.
Gli alveoli sono formati da un’epitelio sottile con una membrana basale
sul versante esterno, e circondati da capillari, costituiti anch’essi da
un sottile endotelio e da una lamina basale, sono separati tra loro dai
setti interalveolari, che hanno al loro interno fibre elastiche indispensabili
per l’espansione della zona.
Hanno diverse dimensioni, i più piccoli alveoli sono di 75mm,
i più grandi di circa 300 mm.
Le differenza di dimensioni provocherebbero un passaggio d’aria dagli
alveoli più piccoli a quelli più grandi, dovuto alla forte
tensione superficiale degli alveoli più piccoli (è infatti
inversamente proporzionale per la legge di Young-Laplace P=I/r).
Ciò comporterebbe il collasso degli alveoli più piccoli
(atelettasia), ed una conseguente riduzione della superficie di scambio.
Questo però non si verifica grazie alla presenza di una sostanza,
il surfactante, prodotta dai pneumociti di II tipo che vengono rivestiti.
Questa sostanza riesce ad inibire la tensione superficiale. E’ composta
da fosfolipidi saturi (dipalmitoil, fosfatidilcolina, fosfatidilglicerolo),
e apoproteine, e deve avere una produzione continua.
La mancanza di questa sostanza in soggetti giunti al termine di gravidanza,
al giusto momento può essere presente, ma con processi di necrosi
ai pneumociti di II tipo, incapaci di produrre surfactante per cause genetiche.
Il caso classico è quello dei bimbi prematuri (5°/6° mese),
che un tempo erano destinati a morte certa, in quanto alle prime respirazioni,
per assenza di surfactante, si aveva il collasso respiratorio. Oggi possono
essere salvati se posti in una situazione in cui sia presente molto ossigeno,
e fornendo loro il surfactante, che oggi viene ricostruito artificialmente.
PARETI ALVEOLARI
Sono molto sottili, da non riuscire a definire l’epitelio interno,
si notano bene le sporgenze di pneumociti di II tipo.
Nei setti interalveolari c’è una notevole componente elastica,
e sono presenti anche reti capillari, fibre collagene e fibroblasti, inoltre
si trovano i macrofagi residenti nel polmone. Quest'ultimi possono entrare
nell’alveolo a depurare l’aria dell’alveolo dalle ultime scorie.
La componente elastica e la componente macrofagica sono molto importanti,
e possono essere colpite da due condizioni patologiche, l’enfisema e la
silicosi.
L’enfisema polmonare comporta la distruzione della componente elastica
del polmone. Infatti in seguito a presenza di sostanze tossiche, e a conseguenti
processi infiammatori (fumatori), c’è un massiccio richiamo di macrofagi
e granulociti: questi liberano la loro componente granulosa contenente
anche l’elastasi, un enzima che distrugge la componente elastica del polmone.
In certi individui la distruzione della componente elastica è dovuta
alla mancanza di produzione nel fegato di una proteina (a-1 antitripsina),
che inibisce l’azione della elastasi. Questo comporta la fusione degli
alveoli e la riduzione della superficie di scambio respiratorio.
Alcuni lavori espongono ad ambienti nocivi (miniere), in cui respirando
si assimilano sostanze a nebulizzazione sensibilissima (come la silice),
le quali sono incamerate dai macrofagi. Questi possono tenere dentro il
materiale accumulato, restando inerti, o più spesso liberare sostanze
che provocano infiammazioni prolungate, le silicosi.
L’epitelio alveolare è costituito da due tipi di cellule: i pneumociti
di I tipo (cellule estese ed appiattite, il cui citoplasma sporge nella
cavità dell’alveolo con superficie liscia), e i pneumociti di II
tipo (elementi tondeggianti, sporgenti anch’essi nel lume dell’alveolo,
i quali in superficie presentano microvillosità, dappertutto tranne
che nella parte centrale della cellula, da cui viene liberato il surfactante).
Un’altro elemento caratteristico di queste cellule è rappresentato
dalla presenza di inclusi all’interno, i corpi multilamellari, che sono
granuli di origine lisosomiale, contenenti oltre a idrolasi acide, anche
una lipoproteina ad azione surfactante.
Hanno forma a guscio di cipolla, utile per la secrezione di surfactante,
che liberato si srotola nella parete interna dell’alveolo.
Sotto l’epitelio è presente la membrana basale, la quale è
fusa con quella sottostante dei capillari, ad di sotto ancora sono presenti
le cellule endoteliali dei capillari.
Sul versante alveolare, la superficie presenta un velo di surfactante.
Questa esiguità della barriera favorisce scambi rapidi.
Lo scambio deve avvenire molto rapidamente nell’alveolo, dove si attua
il rifornimento di sangue venoso alla rete capillare, qui viene ossigenato
e poi drenato alle vene polmonari, grazie alle pressioni parziali di ossigeno
dall’aria viene ceduto al sangue, e di anidride carbonica che viene
ceduto all’aria.
La pressione parziale di anidride carbonica cade da 46 mmHg a 40 mmHg,
di ossigena da 46 mmHg a 500 mmHg, le pressioni parziali che sono nell’alveolo
sono le stesse del sangue arterioso.
Il sangue nel capillare circola lentamente per l’esiguità del
lume, che ne rallenta il flusso.
Lo scambio avviene in tempi brevissimi, circa 1/2 secondo, durante
l’esercizio fisico si può arrivare a 1/4 o meno.
L’ossigeno viene trasportato legato all’emoglobina, che lo fissa e
lo libera a livello dei tessuti. L’anidride carbonica è in parte
legata nei globuli rossi, in parte solubile nel sangue (H2CO3). Quella
degli eritrociti è facilmente liberabile, perché nel globulo
rosso esiste un enzima, l’anidrasi carbonica, che scinde l’anidride carbonica
e la libera velocemente.
MACROFAGI ALVEOLARI
C’è un lento ricambio, per cui avviene un continuo trasporto
di macrofagi al polmone, in quanto una parte va perduta quando passano
nel lume alveolare.
Nel soggetto fumatore il macrofago accumula numerosi lisosomi secondari
ripieni di catrame e di minerali, questo comporta la perdita della funzione
del macrofago.
Tutto intorno al polmone è presente una tonaca sierosa, la pleura,
che costa di due foglietti (parietale e viscerale), che determinano uno
spazio virtuale (cavità pleurica).
Costituisce una specie di fascia elastica.
Apparato genitale maschile
ORGANIZZAZIONE
Consiste di due gonadi e delle vie spermatiche. Le gonadi prendono
il nome di didimo, che è la sede della spermatogenesi. E’ costituito
da 250 logge, nelle quali si trovano da 1 a 4 tubuli seminiferi contorti
(sono anse aventi le due estremità che sboccano nel tratto iniziale
delle vie spermatiche, e sono a fondo cieco). I tubuli sono avvolti su
se stessi, e sono lunghi circa 30/70 cm, di conseguenza si ha un totale
di 30 mt di tubulo, dove avvengono i fenomeni di differenziamento e maturazione
(spermatogenesi e spermiogenesi), con la produzione di spermatozoi maturi.
Questi sono troppo poco mobili per riuscire a fecondare, infatti non rispondono
a stimoli chemiotattici per fecondare la cellula uovo.
Le vie spermatiche iniziano già nella loggia del didimo con
i tubuli retti (che presentano le cellule del Sertoli), a cui segue la
rete testis (scavata in un connettivo piuttosto denso) che sfocia in 10/15
condottini efferenti che formano la testa dell’epididimo, questa terminante
nel canale dell’epididimo (corpo e coda). Al canale dell’epididimo segue
il dotto deferente (è la prima parte delle vie spermatiche esterna
alle gonadi, contenuto all’interno della borsa scrotale). Nella borsa scrotale
la temperatura è inferiore ai 37°, per permettere lo sviluppo
degli spermatozoi.
E’ per questo che durante lo sviluppo embrionale il didimo scende dall’addome,
e attraverso il canale inguinale scende nello scroto.
Il dotto deferente rientra, attraverso il canale inguinale, nell’addome
e passa poi nella pelvi, dove si slarga nell’ampolla deferenziale che,
insieme ai condottini iaculatori, si getta nell’uretra prostatica.
Durante questo percorsi gli spermatozoi acquisiscono la capacitazione,
e con l’eiaculazione vengono espulsi gli spermatozoi accumulati nelle ampolle
deferenziali, assieme a quelli del canale deferente e del canale dell’epididimo.
Le vie spermatiche terminano nell’uretra comune, che è quel
tratto che è comune sia alle vie urinarie (subito dopo essere uscita
dalla prostata) e alle vie genitali.
All’apparato genitale sono annesse delle ghiandole: le vescichette
seminali (in numero di due, ai lati dell’ampolla deferenziale), che sboccano
nell’uretra prostatica insieme ai condottini eiaculatori, la prostata,
unica ghiandola annessa all’uretra prostatica, che attraverso numerosi
forellini rilascia lo sperma durante l’eiaculazione, le ghiandole bulbouretrali,
annesse all’uretra membranosa, secernono un materiale mucoso che viene
emesso prima dei secreti delle altre ghiandole, per lubrificare le pareti
dell’uretra.
L’apparato genitale è completato dall’organo copulatore, il
pene, che permette il deposito dello sperma nelle vie genitali femminili.
Presenta a livello dell’uretra, tutto intorno, un corpo spongioso (infatti
l’uretra è detta spongiosa), al quale sono affiancati i due corpi
cavernosi del pene.
Al momento dell’eiaculazione si ha una contrazione estesa alle componenti
muscolari delle vie spermatiche.
1° parte delle vie spermatiche (accolte nel sacco scrotale)
Il didimo è accolto nello scroto ed è diviso in logge,
le quali sono occupate da 1/4 tubuli seminiferi, disposti ad ansa, che
con le sue due estremità sbocca nella rete testis.
L’organo è fornito di una spessa capsula esterna (capsula albuginea),
che invia setti in profondità, che si vengono a fondere con il connettivo
presente a livello dell’ilo (o mediastino) dell’organo. Tali setti spesso
sono incompleti e permettono le comunicazioni tra le logge.
Alla rete testis si arriva mediante un piccolo tratto a decorso rettilineo,
i tubuli retti, in cui gli spermatozoi sono immersi in un liquido nel quale
sono sospesi (non è ancora sperma). Per questo motivo il didimo
può essere considerato come una sorta di ghiandola olocrina, da
cui si stacca la cellula.
Dalla rete testis emergono 10/15 condotti che formano la testa dell’epididimo,
a cui fanno seguito il corpo e la coda (canale dell’epididimo).
FUNZIONI
Questa porzione delle vie spermatiche svolge le funzioni di gametogenesi
(a livello dei tubuli seminiferi), produzione ed eiaculazione di sperma
(a questo collaborano diversi settori dell’apparato a cui si aggiunge l’azione
di alcune ghiandole e la partecipazione dell’organo copulatore per l’emissione
dello sperma), ed un’importante funzione endocrina.
Se la componente endocrina mancasse, sarebbero inibite tutte le altre,
in quanto il didimo è responsabile della secrezione di testosterone
che promuove la gametogenesi.
Come gli altri organi endocrini, non attua la sua funzione isolatamente,
tale programma è regolato da ormoni, i quali hanno la loro sede
di origine nell’encefalo.
IPOTALAMO
Ø
IPOFISI
Ø
DIDIMO
(testosterone)
Ø
------------------- -------------------
Ø
Ø
Ø
spermatogenesi Vie spermatiche
Cute e
e ghiandole annesse muscoli, car. ses. sec. e
comportamento
Il testosterone non è emesso soltanto per la via ematica, ma
anche direttamente nei tubuli seminiferi, ed è attraverso questi
che arriva alle vie spermatiche per stimolarne l’azione (vescichette seminali
e prostata sono invece stimolate per via ematica).
Il testosterone ha inoltre azione nella cute (peli), e nello sviluppo
muscolare (maggiore nel maschio).
STRUTTURA
In sezione il parenchima del didimo presenta le sezioni dei tubuli
seminiferi.
Alla periferia dell’organo si nota una spessa tonaca albuginea che
costituisce un cuneo fibroso in cui sono presenti le lacune della rete
testis.
Più esternamente è presente un rivestimento mesoteliale,
costituito da una sclerosa (tonaca vaginale comune), che è il peritoneo
portato dalla gonade nella discesa nel sacco scrotale.
Tra i tubuli è presente uno strato di connettivo interstiziale
lasso, in cui sono presenti vasi, nervi e ghiandole endocrine responsabili
della produzione di testosterone. Gli aggregati di cellule endocrine a
maggior risoluzione appaiono come macchie scure, e tra queste è
presente una ricca vascolarizzazione linfatica.
Il tubulo è avvolto da una spessa lamina basale, è costituito
da un’epitelio pluristratificato particolare (epitelio germinativo), che
poggia sulle pareti del tubulo.
La parete del tubulo è costituita da un’epitelio, una lamina
basale, uno strato di cellule simili alle fibromuscolari liscie. Queste
contengono actina e in piccola parte miosina, sono elementi contrattili
capaci però di secernere una matrice tra gli elementi (componente
amorfa e collageno IV), sono quindi da considerarsi cellule del tipo dei
miofibroblasti, in grado di favorire con la loro contrazione la progressione
del fluido (liquido e spermatozoi).
Tra questi strati si immergono i sinusoidi linfatici. Si deve notare
una totale assenza di sottomucosa.
L’epitelio germinativo presenta un tipo di cellule di sostegno, le
cellule del Sertoli, che sono in relazione con le cellule interstiziali
presenti nell’interstizio tra i tubuli e le cellule di Leyding.
CELLULE DEL SERTOLI
Le cellule del Sertoli hanno molteplici funzioni tra cui quella di
essere cellule di sostegno. Tutti e due i tipi di cellule sono bersaglio
di ormoni ipofisari, l’LH agisce sulla produzione di testosterone (cellule
di Leyding) e l’FSH sulla produzione degli altri secreti (cellule di Sertoli).
Le cellule di Sertoli si trovano nella regione basale del tubulo seminifero,
a ridosso sulla membrana basale, unite tra loro, tanto che in passato si
era pensato a un sincizio.
Queste cellule sono già funzionanti in embrioni dell’8°/9°
settimana, producendo MIS, una sostanza che inibisce lo sviluppo dei dotti
di Muller (che portano al differenziamento delle vie genitali femminili,
in cui le cellule muoiono per apoptosi, mentre si ha la differenziazione
degli abbozzi degli organi genitali maschili).
Queste cellule hanno la proprietà di funzionare in ambienti
non favorevoli (come nella cavità addominale), e presentano correlazioni
con le cellule interstiziali.
Le cellule del Sertoli presentano una struttura a contorni indentati
e sono a stretto contatto con gli elementi della serie germinativa.
Durante la spermiogenesi avviene la liberazione degli spermatidi maturi
nel tubulo seminifero. Questi sono accolti in nicchie apicali di tali cellule
e presentano ancora un lembo citoplasmatico. Nel momento in cui per movimento
delle cellule del Sertoli, viene rilasciato lo spermatide, la nicchia resta
vuota, e rimangono lacune in cui si trovano corpi residui del lembo citoplasmatico,
che può essere fagocitato. Oltre a questo, vengono fagocitate cellule
degenerate o morte, in quanto non tutti gli elementi maturano e si staccano.
Tra le cellule del Sertoli contigue, esistono sia spazi in cui si trovano
cellule appartenenti alla linea germinale, sia zone in cui le cellule di
Sertoli si uniscono con giunzioni particolarmente specializzate. Sopra
o sotto queste giunzioni ci sono due compartimenti: quello basale, in cui
ci sono spermatogoni o spermatociti, e quello luminale, in cui sono presenti
spermatociti e spermatidi.
Tali compartimenti sono diversi, infatti nel primo è presente
un’attiva proliferazione cellulare, nel secondo i fenomeni di differenziamento.
La giunzione che unisce queste due zone è importante per impedire
che la sostanza dell’interstizio, trasportata dai vasi e giunta nel compartimento
basale, arrivi al compartimento luminale. Si tratta quindi, di una barriera
emato-testicolare. Per cui il differenziamento nel compartimento luminale
avviene in un’ambiente isolato, le cellule maturate infatti presentano
sulla superficie sostanze del tipo di recettori che possono essere attaccata
da anticorpi del sistema immunitario (autoantigeni), e quindi possono essere
riconosciute come estranee e distrutte: la barriera emato-testicolare impedisce
che avvenga.
La sterilizzazione maschile si attua legando il dotto deferente, causando
la distruzione delle giunzioni tra le cellule del Sertoli, eliminando la
barriera emato-testicolare, e vengono così a crearsi anticorpi antispermatozoi.
Le cellule di Sertoli si estendono dalla membrana basale al lume
del tubulo, ed intorno ad esse si dispongono a corona cloni di cellule
germinative. Al punto apicale le cellule più mature prendono rapporto
con la nicchia e si distanziano sempre più. Alla base invece le
cellule di Sertoli presentano le giunzioni (funzione di sostegno).
Le caratteristiche ultrastrutturali sono REG, REL, gocciole lipidiche,
nucleo vescicoloso spostato verso la base, eterocromatina distribuita uniformemente,
nucleolo a cui sono associate masse di eterocromatina e cristalli di cui
la funzione è sconosciuta.
Le giunzioni tra le cellule si definiscono speciali perché sono
giunzioni serrate a cui sono sempre associate cisterne del REG. Interposte
alle due giunzione esistono dei fasci di filamenti a struttura esagonale,
che hanno la stessa funzione dei desmosomi, che garantiscono l’impermeabilità
nei due sensi.
Passando poi dal tubulo seminifero contorto in cui ci sono poche cellule
di Sertoli, al tubulo retto, si nota che questo è formato esclusivamente
da cellule di Sertoli, mentre è assente l’epitelio germinativo.
Le funzioni delle cellule del Sertoli sono quelle di secernere MIS
(determinazione del sesso nell’8°/9° settimana), produrre il fluido
che immesso del lume del tubulo tiene in sospensione gli spermatozoi, sostenere
e nutrire le cellule germinali, rilasciare gli spermatidi avanzati nel
lume intestinale, fagocitare corpi residui e cellule degenerate, attuare
la comunicazione intracellulare, compartimentalizzare l’epitelio germinativo,
barriera emato-testicolare, secernere ABP (proteina capace di legare testosterone
secreto dalle cellule di Leyding e di portarlo nel lume del tubulo, dove
l’ormone può mantenere la spermatogenesi), inibina e peptide simile
all’LH-RH ipotalamico (ormone di rilascio dell’LH ipofisario, agisce localmente
ed è legato alle cellule di Leyding).
CELLULE DI LEYDING
Le cellule di Leyding sono capaci di secernere ormoni steroidei (ghiandole
surrenali e gonadi), tramite reazioni di idrossilazione e ossigenazione
che hanno luogo nel REL e nei mitocondri.
Sono raggruppate a nidi (globosi o stellati), che si trovano nell’interstizio,
tra i tubuli (connettivo lasso e molto vascolarizzato).
Il loro prodotto può avere due destini, essere rilasciato nel
il sangue (effetto feedback sull'ipofisi), o nell’interstizio (attraverso
la membrana basale arriva alle cellule di Sertoli, e si forma il complesso
ABP-testosterone, che andrà nel tubulo).
Possiedono tre caratteristiche strutture: un’esteso sviluppo del REL,
dove si trovano gli enzimi per la steroidogenesi, abbondanti gocciole lipidiche
che contengono colesterolo (precursore per gli ormoni steroidei), presenza
di mitocondri tipici con creste tubulari invece che a lamina.
All’interno possono trovarsi inclusi cristallini, i cristalli di Renke,
associati a filamenti molto solubili, che partecipano a fenomeni di autofagia.
Nella steroidogenesi si osserva:
Acetato Æ colesterolo Æ D5 progesterone Æ progesterone
Æ testosterone
Il progesterone è prodotto anche dalle cellule della teca interna
della gonade femminile. Nel REL delle cellule di Leyding ci sono
enzimi che lo trasformano in testosterone, mentre nella femmina non ci
sono enzimi che attuano l’idrossilazione a testosterone. La gonade femminile
produce anche testosterone, che viene però modificato da altre cellule
in estradiolo e altri ormoni.
Il testosterone è prodotto per effetto stimolante dell’LH. Questo
non è secreto nelle 24 ore in continuazione, ma sopratutto di notte
con ondate di circa 1h e 1/2 (la produzione di testosterone si conta a
livelli di circa 10000 molecole/secondo).
L’ormone LH-RH invece prevale di giorno e satura i recettori della
cellula di Leyding, ed impedisce la secrezione di testosterone, che prevale
di notte.
SPERMATOGENESI
1) C’è una prima fase che avviene nel compartimento basale dell’epitelio
germinativo, detta spermiocitogenesi.
2) La fase successiva è detta fase della meiosi, in cui una
cellula a corredo tetraploide (4n) si riduce ad avere un corredo aploide
(1n).
3) La terza fase è quella in cui avviene il differenziamento,
mentre cessa l’attività proliferativa, ed è chiamata spermioistogenesi.
Queste fasi si svolgono nell’epitelio germinativo procedendo dalla
base verso la superficie. Le cellule mantengono sempre un contatto con
le cellule del Sertoli.
Nel compartimento basale avvengono le modificazioni che portano la
cellula staminale a divenire tetraploide.
Nel compartimento basale lo spermatogono A (purulento con cromatina dispersa) diventa B (crostoso, con cromatina addensata).
Spermatocita di 1° ordine (in fase preleptotene)
Ø
Cellule con patrimonio diploide (fase diplotene)
Ø
Spermatocita di 2° ordine (2 cellule con corredo aploide)
|
processi di maturazione
Ø
Spermatidi
Ø
Spermatozoi
(questi due ultimi elementi sono associati con l’estremità superficiale
delle cellule del Sertoli)
La spermatogenesi avviene in modo clonale, infatti, a partire dalla
cellula staminale fino allo stadio di spermatidio, le cellule sono unite
da un ponte citoplasmatico, in quanto si ha un processo di meiosi, ma non
di citodieresi.
Esistono quindi popolazioni di cellule unite tra di loro da questi
lembi di citoplasma, grazie ai quali possono maturare in modo sincrono.
Tramite questi ponti, inoltre, passa il supporto nutritizio fornito dalle
cellule del Sertoli, con cui le cellule sono ancora in rapporto, a livello
della loro porzione apicale.
Una volta che si liberano nel lume del tubulo, le cellule si attaccano
tra di loro e il corpo residuo di citoplasma viene fagocitato dalle cellule
del Sertoli.
Lo spermatidio va incontro a processi di maturazione che si dividono
in quattro fasi: la fase del Golgi, in cui dal Golgi inizia a formarsi
l’acrosoma, una specie di cappuccio che va a disporsi sopra il nucleo,
contenente enzimi litici necessari al momento della fecondazione. La seconda
fase, del cappuccio, in quanto l’acrosoma, prima appena abbozzato, inizia
a presentare la caratteristica forma a cappuccio, inoltre inizia a svilupparsi
l’apparato motore. Le due fasi successive vedono svolgersi il completamento
di tali processi.
In una sezione di gonade maschile, si può rinvenire una differenza
strutturale tra un tubulo e l’altro, o tra le sezioni dello stesso tubulo.
Infatti vi sono tubuli che presentano un lume vuoto, altri lo presentano
pieno, in altri il lume è occupato dalle code degli spermatidi.
In questo modo si garantisce la continua produzione di spermatozoi,
perché mentre un tratto si libera, quello contiguo li fa maturare,
e il tubulo non rimane mai inattivo.
Sono stati riconosciuti 6 tipi di associazione cellulare (il compartimento
basale rimane costante). Per stabilire il tipo di associazione occorre
osservare:
1) fase di meiosi degli spermatociti di 1° ordine
2) il passaggio di spermatociti di 2° ordine a spermatidi
3) livello degli spermatidi
Associazione cellulare:
1) Presenza del residuo
2) Assenza del residuo
3) Fase acrosomiale
4) Fase del cappuccio
5/6) Presenza del corpo residuo, ma minor numero di spermatociti in
preleptotene (occorre osservare lo strato intermedio, e non quello superficiale).
Vie spermatiche
Il contenuto del tubulo seminifero presenta un fluido secreto dalle
cellule del Sertoli, la cui progressione è dovuta a contrazioni
spontanee dovute alla presenza intorno di miofibroblasti.
Si passa ai tubuli retti, che si trovano nelle logge dei testicoli
vicini all’ilo, occupato dalla rete testis. I tubuli retti iniziano a questo
livello, dove si ha la fine della spermatogenesi.vello, dove si ha la fine
della spermatogenesi. Nella loro porzione iniziale, presentano ancora cellule
del Sertoli che poi scompaiono. Contemporaneamente l’epitelio inizia ad
appiattirsi, fino a che a livello della rete testis è formato da
cellule cubiche piatte.
A livello di tubuli retti e rete testis, non esiste una muscolatura
per cui si ha una progressione passiva del contenuto. L’unico fattore che
agevola la progressione è la continua produzione di fluido che spinge
in avanti il materiale.
A questo livello il prodotto dei tubuli seminiferi non viene modificato,
cosa che avviene più avanti.
La rete testis viene drenata dai condottini efferenti, i quali si presentano
dapprima rettilinei, poi convoluti, il più alto di questi ripiega
e scende in basso, mentre gli altri seguono il loro decorso per aprirsi
nella parte discendente di questo. Si forma così un canale unico,
detto canale dell’epididimo. L’epididimo è infatti formato da una
testa (condottini efferenti), da un corpo e da una coda (canale dell’epididimo).
ell’epididimo).
Il tubulo retto ha una forma ellittica in sezione, e presenta in parte
un’epitelio di tipo germinativo, in parte un’epitelio cilindrico piatto.
La rete testis è costituita da lacune anastomizzate tra di loro,
tappezzate da un’epitelio che si appoggia sulla membrana basale. Sotto
è presente del connettivo molto denso, che prosegue nella tonaca
albugine.
I condottini efferenti hanno un’involucro muscolare che è in
connessione con l’epitelio (non si può parlare di mucosa. L’epitelio
si solleva in creste, e presenta differenze a seconda che rivesta creste
o fondi. Sono presenti cellule ciliate sull’apice delle creste, che insieme
alla muscolatura favoriscono la progressione del contenuto. Sono poi presenti
cellule assorbenti nei fondi, la cui funzione è di riassorbire il
fluido.
Canale dell’epididimo
Sono presenti cellule provviste di stereociglia (cellule a pennacchio),
e non cellule ciliate. Sotto la lamina basale c’è lo strato muscolare,
mischiati all’epitelio sono anche presenti linfociti (10/15%) a funzione
ignota.
Questo canale è sempre pieno di spermatozoi, per cui è
considerato un serbatoio di spermatozoi per l’emissione al momento dell’eiaculazione.
Nel lume di questa struttura è necessaria la presenza di testosterone
per il suo mantenimento (le cellule epiteliali sarebbero altrimenti piatte).
La tonaca muscolare diventa considerevole a livello del dotto deferente,
gradualmente, ai 4/5 strati di muscolatura liscia a decorso circolare,
si sovrappone un’ulteriore strato ad andamento longitudinale, che contraendosi,
permette movimenti peristaltici per l’emissione dello sperma al momento
dell’eiaculazione.
Avvengono modificazioni anche a livello delle cellule a pennacchio,
che dapprima diventano più alte, e poi più basse. All’apice
presentano lunghi microvilli, le stereociglia, pressoché immobili
e disposte a ciuffi. Possiedono un’apparato lisosomiale molto sviluppato,
come anche l’apparato di Golgi. Tali cellule nelle porzioni più
distali, riducono queste caratteristiche, fino a divenire cellule simili
a quelle del dotto deferente.
FUNZIONI DELL’EPIDIDIMO
1) Assorbimento di fluido (già nei condottini efferenti), per
cui si ha un contenuto sempre più denso.
2) Fagocitosi e distruzione di spermatozoi. Importante funzione per
eliminare eventuali cellule difettose. Queste infatti vanno incontro a
morte spontanea, e sono poi fagocitate e distrutte dalle cellule a pennacchio,
che per questo hanno un’abbondante corredo lisosomico.
3) Secrezione di glicoproteine, acido sialico, glicemil-fosforilcolina.
L’acido sialico secreto è responsabile dei fenomeni di repulsione
tra cellule, questo per impedire che si formino degli aggregati, che potrebbero
ostacolare la loro progressione. La glicemil-fosforilcolina si lega alla
superficie dello spermatozoo ed è essenziale per le ultime tappe
della maturazione (il meccanismo di azione non è noto).
Dalla porzione alta a quella bassa, la secrezione del canale dell’epididimo
presenta un lume sempre più stretto. A livello del canale deferente
la muscolatura si fa più imponente.
Canale deferente
E’ riconoscibile per il rapporto esistente tra il calibro del lume e
lo spessore della tonaca muscolare. Lo spessore di quest’ultima permette
anche di appezzare alla palpazione il canale deferente a livello della
radice del sacco scrotale.
L’aumento di spessore della tonaca muscolare avviene gradualmente.
A livello del canale deferente si riscontrano tre strati di muscolatura,
una esterna longitudinale, una intermedia circolare, ed uno più
interno longitudinale.
Ancora più internamente, c’è una tonaca muscosa, con
una lamina propria molto densa, ad di sotto della quale si trovano già
fibrocellule muscolari lisce, immerse alle fibre di collagene.
L’epitelio nelle prime porzioni si presenta formato da cellule alte,
uno strato di cellule basali, e qualche cellula a pennacchio, frammisti
vi sono linfociti sparsi.
Nelle porzioni più alte l’epitelio si appiattisce e diviene
cubico-piatto, con elementi privi di stereociglia, e alcune cellule cubiche
secernenti. Le strutture di queste cellule presentano ancora, un certo
corredo lisosomico, ma anche con vescicole secretorie.
Condottini eiaculatori
Sono piuttosto piccoli e sottili, decorrono nella prostata, drenando
il contenuto delle vescichette seminali. Sono formate da un’epitelio a
cellule cubiche, del tutto indifferenziate. Si presentano prive di tonaca
muscolare, che ostacolerebbe l’eiaculazione.
Vescichette seminali
Danno circa il 60/70% del volume dello sperma. Presentano una struttura
particolare, macroscopicamente, sono formazioni piriformi che presentano
una sacca slargata e un picciolo.
Tuttavia, risolvendo il connettivo strutturale, la vescichetta seminale
si presenta in realtà come un tubulo con estroflessioni, avvolto
più volte su se stesso. E’ formato da compartimenti, separati tra
loro da connettivo lasso, e tappezzati da una mucosa, che presenta un’elevata
capacità secretoria. Si possono perciò definire le vescichette
seminali come organi cavi a funzione ghiandolare, la cui parete è
formata da una tonaca mucosa, con un’epitelio ed una lamina propria, e
una tonaca muscolare che si dispone circolarmente interno al tubulo.
La mucosa si solleva in creste ramificate e ripetutamente anastomizzate
tra loro, che sono fermate nel loro asse dal connettivo della lacuna propria,
e sono rivestiste in superficie da un’epitelio cubico cilindrico.
La loro attività secretoria è mantenuta in funzione dalla
presenza di testosterone, che arriva per via ematica.
Le cellule presentano le caratteristiche dagli elementi secernenti
come un REG e Golgi molto sviluppati, e una notevole quantità di
granuli.
Prostata
E’ attraversata dall’uretra prostatica che nella sua parte posteriore
presenta una sporgenza, detta collicolo seminale.
Il collicolo seminale presenta al suo apice una cavità a fondo
cieco (utricolo prostatico), priva di funzione, si tratta infatti di un
residuo del dotto di Muller, una formazione embrionale.
A lato del collicolo prostatico sono presenti gli sbocchi dei due condottini
eiaculatori, i quali attraversano la prostata, per poi aprirsi nell’uretra
prostatica.
Tutt’attorno a tali formazioni è presente il parenchima della
prostata, che non è una ghiandola unica, ma formata da un complesso
di ghiandole, di cui si distinguono tre tipi. Il primo tipo è costituito
dalle ghiandole più vicine all’uretra, le ghiandole mucose, le quali
sono così chiamate perché si trovano nella mucosa dell’uretra
(non secernono muco), sono ghiandole tubulo ramificate.
Il secondo tipo comprende ghiandole più profonde rispetto alla
mucosa, per cui sono dette sottomucose (non arrivano però alla sottomucosa).
Il terzo tipo comprende le ghiandole prostatiche principali.
Le ghiandole del secondo e terzo tipo sono dette tubulo utricolari,
caratterizzate da tubuli anastomizzati tra loro. Gli utricoli si presentano
ramificati e irregolari, sollevati in creste, formate da connettivo ed
epitelio, le quali delimitano cavità in cui si possono rinvenire
concrezioni, che possono calcificare (corpi amilacei). All’interno si rinvengono
anche le secrezioni delle cellule epiteliali.
Lo stroma presenta una caratteristica struttura fibro muscolare, che
presenta un’andamento circolare intorno agli utricoli. Questo permette
la spremitura degli utricoli, e l’immissione nell’uretra prostatica del
succo prostatico.
I fori di sbocco della prostata nell’uretra prostatica sono numerosi,
all’incirca 50. La maggior parte di essi da sbocco alle ghiandole mucose.
Esternamente è presente una capsula connettivale, in cui prevale
però la componente muscolare.
I corpi amilacei sono precipitazioni concentriche di origine proteica.
Come le vescichette seminali, anche la prostata è mantenuta nelle
sue funzioni dal testosterone. Quando nel vecchio il tasso di testosterone
diminuisce, si ha l’ipertrofia, o meglio l’iperplasia, prostatica benigna.
La conseguenza di tale fenomeno sono difficoltà nella minzione,
ed infezioni dovute al ristagno dell’urina. Ad esserne colpito è
in genere il lobo medio della prostata.
L’epitelio è di tipo secernente, e non molto diverso da quello
presente a livello delle vescichette seminali (possiede un nucleo basso,
schiacciato, REG e Golgi ben sviluppato).
Le ghiandole bulbo uretrali sono situate nel piano muscolare avvolte
da una capsula fibrosa, e sono costituite da adenomeri uguali, a secrezione
mucosa, anche il dotto escretore ne è compreso. Sono tubulari composte.
Sperma
E’ il prodotto finale dell’attività delle gonadi, vie spermatiche,
e ghiandole. Il 10% del volume totale è dato dagli spermatozoi (lo
sperma ha un volume di 3/3,5 cm3, una densità di 1028, ed un pH
di 7,1/7,5).
Gli spermatozoi presenti sono 90/100*108 per cm3. La soglia della sterilità
è di <20*108 per cm3 (probabilmente gli ostacoli presenti nelle
vie genitali femminili ne richiedono di più).
Il tempo di transito dal tubulo seminifero all’uretra varia da 1 giorno,
a un massimo di 21 giorni (una media di 12 giorni).
Al momento dell’eiaculazione si ha dapprima come un’elevazione della
muscolatura delle vie spermatiche, durante questa fase gli spermatozoi
vanno ad accumularsi nell'ampolla deferenziale (serbatoio), riempiendosi
proprio in questa fase. La prostata e le vescichette seminali si svuotano
al momento dell’eiaculazione.
Il restante 90% è dato dal plasma seminale di cui il 5% proviene
dalle vie spermatiche e dai tubuli seminiferi, il 60/70% dalle vescichette
seminali, 20/30% dalla prostata, il 5% dalle ghiandole bulbouretrali (organi
che versano il loro secreto prima dell’eiaculazione, per aiutare il superamento
di qualsiasi ostacolo o resistenza all’eiaculazione).
COMPONENTI
1) fruttoso (dalle vescichette seminali). E’ di solito raro nell’organismo
umano, in quanto per lo più le cellule non presentano enzimi necessari
per la conversione di fruttoso in glucoso, enzimi presenti invece negli
spermatozoi. Questi necessitano infatti riserve per mantenersi in vita
nelle vie genitali femminili sopratutto nel fornice posteriore della vagina.
2) prostaglandine (dalle vescichette seminali, e dalla prostata). Lipidi
la cui funzione è di aiutare la contrazione della muscolatura liscia
delle vie genitali femminili, contrazioni utili per l’entrata degli spermatozoi
nel collo dell’utero.
3) flavine (dalla prostata). Elementi e pigmenti molto fluorescenti
(utili in medicina legale).
4) acido citrico (dalle vescichette seminali). Utile per la regolazione
del pH.
5) fosfatasi acida ed altre proteasi (dalla prostata). Ad azione fluidificante
nei confronti dello sperma, che tende ad addensarsi.
Uretra
L’uretra ha origine dalle vescica, per poi attraversare a pieno spessore
la prostata (uretra prostatica). In questo tratto è dotata di parete
propria, con una mucosa in cui sono presenti le ghiandole prostatiche mucose.
Questa mucosa è provvista di un’epitelio e di una lamina propria.
L’epitelio cambia in quanto nel primo tratto è ancora un’epitelio
di transizione, successivamente, a partire dal punto di sbocco dei condottini
eiaculatori, si ha un’epitelio cilindrico pluristratificato, che continua
fino al meato uretrale esterno. Qui a livello della fossa navicolare, l’epitelio,
per pochi mm, è di tipo pavimentoso stratificato, con lievi segni
di cheratinizzazione, sale all’epitelio che rivesto il glande.
L’uretra membranosa è quel tratto di uretra che attraversa il
trigono urogenitale, ed è così detta per la presenza di pochissima
componente muscolare.
Infine abbiamo l’uretra spongiosa, che percorre il corpo spongioso
dell’uretra per tutta la lunghezza del pene, corpo che si dilata a costituire
il glande.
Pene
E’ rivestito esternamente da un’involucro cutaneo, più profondamente
da uno strato muscolare, costituito dal muscolo datros, muscolo che si
trova anche a livello dello scroto.
E’ provvisto di due formazioni erettili che sono avvolte da una spessa
capsula fibrosa, detta albuginea, interna alla quale si dispongono i vasi
sanguigni.
Le formazioni erettili sono i due corpi cavernosi, tra i quali è
situato il setto dell’albuginea, che permette l’assenza di comunicazioni
tra i due corpi cavernosi. L’albuginea non riveste il corpo spongioso dell’uretra,
il quale è circondato da un suo involucro proprio, più sottile.
I corpi cavernosi sono formati da sistemi di lacune vascolari comunicanti
e delimitate dai setti connettivali, in rapporto ai quali sono più
sviluppate. Nel corpo spongioso dell’uretra c’è un maggior sviluppo
dei setti rispetto alle lacune. Questo è molto importante in quanto
la dilatazione delle lacune durante l’erezione è maggiore nei corpi
cavernosi che nel corpo spongioso, così si evita che il corpo spongioso
effettui una compressione sull’uretra, che ostacolerebbe l’eiaculazione.
Vi sono anche differenze di pressione, che nelle cavità dei
corpi cavernosi raggiunge livelli altissimi (400 mmHg), invece nel corpo
spongioso resta uguale alla pressione sistolica.
Il meccanismo dell’erezione è controllato in due modi:
1) Controllo riflesso, per cui l’erezione è provocata per stimolazione
diretta dell’organo.
2) Controllo nervoso superiore dai centri nervosi, senza l’attività
stimolatoria.
Nella fase di erezione si ha l’azione del parasimpatico sulle arterie
profonde, nella fase di flaccidità provengono stimoli da parte del
sistema dell’ortosimpatico, stimoli che provocano la quasi totale vacuità
delle lacune.
STRUTTURA DEL TESSUTO CAVERNOSO
Si presenta formato da ampie lacune, tappezzate da cellule endoteliali,
e separate tra loro da setti fibromuscolari, che forniscono loro una certa
elasticità.
La vascolarizzazione, qui come nel polmone, prevede due tipi di circoli:
1) funzionale (per la dilatazione o meno dei corpi cavernosi).
2) nutritizio (per il trofismo delle trabecole, riccamente vascolarizzate
per la presenza di numerosi capillari).
Questi due circoli provengono dagli stessi vasi.
Il sangue delle lacune è drenato dapprima da vene profonde,
e poi da vene superficiali extracavernose. Le vene emerse dal tessuto cavernoso
presentano peculiari strutture, dette cuscinetti intimali, rilievi nella
parete della vena, tappezzati da endotelio, in cui l’intima è formata
da tessuto muscolare liscio, e da una componente elastica. Questa struttura
permette una contrazione delle vene, che serve in parte a mantenere il
sangue all'interno delle cavernule.
In situazione di flaccidità, un ramo arterioso (arteria profonda
per il corpo cavernoso), prima di portarsi alle lacune, attiva una serie
di anastomosi arterovenose, per cui una parte del sangue passa dal circolo
arterioso a quello venoso (shunt arterovenoso).
L’arteria profonda da poi:
1) arterie elicine a decorso elicoidale, le quali si aprono direttamente
nelle cavernule (portando poco sangue durante lo stato di flaccidità).
2) capillari che si portano nei setti.
Durante l’erezione, lo shunt arterovenoso si blocca, o si riduce notevolmente,
per cui il sangue affluisce dalle arterie profonde alle arterie elicine,
che si dilatano (questo conferisce all’organo la possibilità di
aumentare il suo volume).
Questo circolo è attivo soltanto al mantenimento dell’erezione,
mentre il circolo nutritizio persiste anche allo stato di flaccidità.
Il sangue arriva quindi alle cavernule, da quelle superficiali hanno
origine le vene del circolo funzionale.
Sono state fatte quindi due ipotesi:
1) si ha un’aumento del volume del corpo cavernoso, per cui la dilatazione
comprime le cavernule più periferiche, che quindi collassate non
permettono l’uscita di sangue. Questa teoria tuttavia non è esatta,
perché sia in fase di erezione, che in fase di flaccidità,
fuoriesce la stessa quantità di sangue, in quanto viene drenato
principalmente il circolo nutritizio.
2) si ha un controllo dell’intero sistema venoso, a cui partecipa l’azione
dei cuscinetti intimali, e dei setti tra le cavernule che si contraggono,
per cui si ha il blocco dello shunt arterovenoso e il blocco del sangue
nelle lacune. Il ripristino dello shunt arterovenoso, permette la fuoriuscita
del sangue.
Questa organizzazione si riscontra anche nelle formazioni erettili dell’apparato
genitale femminile, a livello dei genitali esterni, nei bulbi del vestibolo,
nel clitoride e nelle piccole labbra (in piccola parte).
Apparato genitale femminile
Presenta analogie con quello maschile per l’organizzazione, ma la maggior differenza è dovuta al fatto che va incontro a modificazioni cicliche.
GONADI (ovaie): gametogenesi, funzioni endocrine (responsabili
delle modificazioni cicliche).
Le gonadi non hanno rapporto di continuità con le tube, ma di
contiguità, infatti la tuba non avvolge completamente l’ovaio, ma
viene a contatto con esso al momento dell’ovulazione, proprio nel punto
in cui l’ovulo viene espulso.
TUBE: fanno parte delle vie genitali, insieme all’utero e vagina,
che a differenza che nel maschio, non hanno solo la funzione
di trasporto.
Nelle tube, a livello del loro terzo laterale, avviene la fecondazione,
per cui presentano un’ambiente ottimale che si viene a creare soltanto
nella fase che segue l’ovulazione.
UTERO: è l’organo in cui l’ovulo fecondato, e già in uno stadio avanzato di sviluppo, si annida, creandosi una nicchia a livello della mucosa, dove poi si sviluppa.
VAGINA: è l’organo copulatore, ed è il primo ambiente in cui si raccolgono gli spermatozoi. E’ un’ambiente acido per la presenza di determinati batteri. L’acidità favorisce il movimento degli spermatozoi.
GENITALI ESTERNI: cavità (vestibolo della vagina) delimitata dalla vulva, organi erettili, ghiandole vestibolari maggiori (analoghe delle ghiandole bulbouretrali).
L’ovaio, che ha un rapporto modificabile con la tuba, è mantenuto
fisso nella sua sede da una serie di legamenti che partono dall’estremità
dell’ilo ovarico, e sono il legamento lobo ovarico, il legamento utero
ovarico, il mesovario (rilievo della pagina posteriore del legamento largo).
L’ovaio è raggiunto dal peritoneo, che forma appunto il mesovario,
ma non ne è rivestito (questo potrebbe provocare problemi durante
l’ovulazione). Infatti si interrompe a livello dell’ilo, mentre la restante
porzione è rivestita da un’epitelio piuttosto piatto, e da connettivo.
La tuba è un condotto che presenta cellule ciliate, che si muovono
in direzione della cavità uterina, favorendo la progressione dell’ovulo.
Gli spermatozoi devono arrivare sino a qui, aiutati nella motilità
dal movimento opposto delle ciglia vibratili.
L’utero ha principalmente due funzioni, quella di consentire l’annidamento,
e quella di permettere l’espulsione del feto, per cui è dotato di
una spessa parete muscolare.
Il gamete femminile è emesso solitamente singolo e ciclicamente,
all’incirca il 14° giorno del ciclo femminile. Dopo due giorni circa
si creano le condizioni ambientali per l’annidamento, create da modificazioni
che si estendono a tutto l’apparato genitale, dall’ovaio alla vagina. Tali
condizioni, tuttavia, sono mantenute per breve periodo, dopodiché
si ha il disfacimento delle strutture modificate, per poi avere una ripresa
del ciclo.
Tutte queste modificazioni cicliche sono legate ad un controllo endocrino
da parte delle gonadi, sotto effetto del sistema di controllo dell’asse
ipofisi-ipotalamico.
Le modificazioni più ecclatanti sono ovviamente quelle a carico
della mucosa uterina, la quale, in assenza di fecondazione, si sfalda,
per poi rigenerarsi. Altre modificazioni si hanno a carico dell’epitelio
vaginale e delle tube (aumento del battito delle ciglia).
La regolazione è data da ormoni ipotalamici, ipofisari ed ovarici.
Gli ormoni ovarici sono estrogeni (90% estradiolo), e progesterone (sono
tutti ormoni steroidei).
Nella prima metà del ciclo si ha una concentrazione di estrogeni
maggiore di quella del progesterone. Nella seconda metà il progesterone
è maggiore degli estrogeni.
Questa attività ciclica della gonade è conferita da ormoni
ipofisari.
L’ovaio produce anche testosterone, il quale però viene modificato
in estradiolo, e le cellule del corpo luteo producono progesterone.
Gli enzimi per la steroidogenesi vengono così programmati (attivati
o bloccati), per produrre questo o quell’ormone.
Gonade femminile (ovaio)
Si trova in rapporto con la tuba uterina, ma senza soluzione di continuità.
La superficie dell’ovaio è rivestita da un’epitelio impropriamente
detto germinativo, che ha la funzione di rivestimento, e che durante lo
sviluppo ha dato origine a cordoni cellulari, che andranno a formare gli
involucri dei follicoli.
La zona di transizione a livello dell’ilo dell’organo è detta
mesovario, separa l’epitelio germinativo (cubico o piatto) e le due lamine
mesoteliali che rivestono le arterie e le vene destinate all’ovaio.
In vicinanza dell’ilo si trovano le cellule dell’ilo ovarico, le quali
secernono androgeni.
Prima dell’inizio del periodo fertile, nell’ovaio non si riscontrano
follicoli, tuttavia prima che ciò accada si notano cellule bloccate
allo stadio di ovociti di 1° ordine (sono più di 1 milione).
Il numero di follicoli primordiali, per il fenomeno dell’atresia, si riduce
prima dell’età fertile a 300/400.000.
Il ciclo consta di periodi, di ovulazione e di formazione dei corpi
lutei, fenomeni che si dividono in diverse fasi.
Questo ciclo prosegue nell’ovaio fino al periodo della menopausa, quando
vengono a cessare tutte le attività endocrine, ad eccezione della
produzione di androgeni da parte delle cellule dell’ilo ovarico, l’epitelio
diventa piatto e compaiono masse di tessuto adiposo.
Nell’ovaio troviamo le componenti epiteliali dei follicoli, i gameti, le cellule della componente connettivale. Alla nascita abbiano 300/400.000 ovociti di 1° ordine per gonade, nel periodo fertile (che dura circa 35/40 anni) con l’ovulazione vengono emessi circa 420/480 gameti. In ogni ciclo maturativo, maturano circa 15/20 follicoli, che vanno tutti incontro ad atresia, con l'eccezione di uno che scoppia.
FUNZIONI DELLO STROMA OVARICO
Principalmente sono di supporto alle componenti epiteliali dei follicoli,
formazione delle teche interne ed esterne dei follicoli, secrezione di
ormoni steroidei:
Teca interna.
Cellule luteinizzate (ricche di lipidi e disperse nello
stroma).
EASC (cellule stromali enzimaticamente attive Æ androgeni)
aumentano dopo la menopausa.
Il mesotelio riveste l’organo, si può distinguere una zona corticale,
in cui troviamo follicoli primordiali insieme ad ovociti di 1° ordine,
man mano che ci si sposta verso la zona midollare, si trovano anche follicoli
di tipo diverso.
L’ovaio presenta in superficie un’epitelio germinativo cubico/piatto,
più profondamente è presente uno strato di connettivo che
viene detto tonaca albuginea.
Il follicolo primordiale è caratteristico della gonade in età
prefertile, contiene l’ovocito ed è circondato da cellule epiteliali
appiattite. Il follicolo primordiale è stimolato a proseguire il
suo stadio maturativo dall’azione dell’ormone FSH, per cui l’epitelio da
piatto e a fila singola diviene cubico e a più strati di cellule.
In corrispondenza della superficie di contatto tra ovocita e le cellule
più interne della zona granulosa del follicolo, si forma la zona
pelucida.
Nella membrana vitrea, i fibroblasti formano un’involucro (che è
una membrana basale inspessita), proseguendo nella maturazione si giunge
allo stadio di follicolo secondario, in cui la zona pelucida diviene carica
di glicoproteine (prodotte dalle cellule superficiali e dall’ovocita),
all’esterno della granulosa e della membrana vitrea si formano due strati
cellulari, la teca esterna e la teca interna (funzioni endocrine).
Nel follicolo secondario si trovano i corpi di Call-Exner, che sono
cellule della granulosa, che formano corpi circolari intorno a delle cavità.
Nella zona pelucida si vedono microvilli molto lunghi, che si portano all’ovocita,
entrando anche in esso. Questi derivano dalle cellule più interne
della granulosa. Qui si trovano glicoproteine. Il significato di tale rapporto
è che le sostanze nutritizie vengono trasferite dalle cellule più
interne della granulosa all’ovocita.
Dal follicolo secondario, si ha la cavitazione del follicolo, le cellule
della granulosa hanno la funzione di produrre il ligando follicolare, che
formerà alcune cavità, le quali, confluendo, formeranno una
cavitazione completa, l’antro.
Il gamete, grazie a tale fenomeno, sarà posto alla periferia,
e sarà ricoperto da cellule del cumulo oofero. La granulosa intanto
si appiattisce sempre di più.
Si hanno molte ridistribuzioni strutturali nel follicolo. Durante lo
sviluppo il follicolo si sposta dalla superficie in profondità nell’ovaio,
si costituisce la granulosa e il connettivo tecale (cono della teca).
In seguito il follicolo risale in superficie, il cono della teca assicura
un’ambiente meno compatto anche a livello della tonaca albuginea, si arriva
quindi al follicolo vescicoso maturo, con un’ampia cavità vescicolare
e una granulosa molto spessa.
Durante l’ovulazione è espulso tutto ciò che costituisce
il cumulo ooforo, quindi il liquido, il gamete e la corona radiata (data
dalle cellule della granulosa) che riveste il gamete. Il punto dell’ovulazione
si definisce stigma.
Il follicolo scoppia senza aumento di pressione.
EVOLUZIONE DEL FOLLICOLO
Il follicolo primario matura in secondario, in seguito si ha lo scoppio
del follicolo, si ha la trasformazione di circa una ventina di follicoli
che divengono follicoli vescicolosi. L’ovocita è espulso il 14°
giorno (giorno dell’ovulazione).
Gli eventi importanti che avvengono sono di tre tipi:
1) morfogenetici per preparare lo scoppio del follicolo
2) maturativi per il gamete
3) aspetto endocrino che riguarda le cellule della teca interna e della
granulosa, queste trasformano gli steroidi prodotti dalle prime in estrogeni
(17 ß estradiolo), che una parte rimane nel follicolo,e l’altra entra
in circolo.
Le cellule della granulosa sono più voluminose, e hanno funzione
trofica endocrina e morfogenetica. Dopo l’emissione del gamete, dal follicolo
residuo si genera il corpo luteo. Lo scoppio avviene a livello dello stigma.
Avviene una piccola emorragia, il sangue è accolto nelle cavità
rimasta.
Ciò che resta è una granulosa residua che assume un’aspetto
pieghettato, e la teca interna. Il coagulo di sangue resta nella cavità.
Le cellule della granulosa subiscono una trasformazione in quanto diventano
produttrici di progesterone (trasformazione luteinica). Anche le cellule
della teca interna si modificano (cellule luteiniche della teca), tali
trasformazioni sono regolate dall’ipofisi.
Dal 14° al 16° giorno si ha la luteinizzazione, nell’ultima
fase del ciclo il corpo luteo diviene un nucleo fibroso, fino a divenire
albicante. Dopo lo scoppio del follicolo infatti, il coagulo di sangue
viene invaso da fibroblasti, che con il tempo si organizzano a formare
un nucleo connettivale (cicatrici).
Nella fase subito prima dell’ovulazione si modifica anche il liquor
follicoli (quello che viene espulso viene detto liquor follicoli secondario,
gelatinoso, che si trova alla periferia del follicolo, e copre anche il
cumulo ooforo). Tale struttura è necessaria per la coltura dell’ovulo,e
la sua adesione alla superficie tubarica.
In seguito deve richiudersi la superficie ovarica.
Le cellule luteiniche della teca interna producono testosterone, il
quale è un precursore del 17 ß estradiolo, vengono prodotti
anche estrogeni. Il testosterone deve essere trasformato in estrogeni.
Nella prima metà del ciclo questo ormone veniva trasformato
in 17 ß estradiolo dalle cellule della granulosa, nella seconda metà
del ciclo invece le cellule luteiniche della granulosa per lo più
sono produttrici di progesterone. Resta solo una piccola azione di trasformazione.
Ora resta del testosterone, per cui si ha la produzione di tre ormoni:
progesterone Æ granulosa
testosterone Æ derivato dalla parziale trasformazione
in estrogeni
estrogeni Æ in piccole quantità
Quando il corpo luteo involve, si hanno fenomeni di vacuolizzazione
(alcune cellule vanno in regressione), finché rimangono cellule
a funzione endocrina, il corpo luteo continua a secernere steroidi come
il testosterone, che serve per garantire il miglior effetto di estrogeni
e progesterone.
Il corpo luteo albicante è formato solo da connettivo.
Le cellule luteiniche della teca interna sono più piccole rispetto
a quelle della granulosa, e sono elementi tipici, con la struttura delle
cellule a secrezione steroidea. Presentano perciò lipidi, un voluminoso
REL, mitocondri con creste tubulari o a lamina.
Le cellule della granulosa secernono ormoni polipeptidici, le gonadostatine,
ad effetto bloccante sulla produzione di gonadotropine da parte dell’ipotalamo.
Avvengono dunque due fenomeni:
1) di atresia dei follicoli
2) di oogenesi
I follicoli vanno incontro ad atresia per la maggior parte allo stadio
di follicolo primordiale (non lasciano nessuna cicatrice), che ne sono
comunque altri che vanno incontro ad atresia in stadi molto più
avanzati (questo serve per l’attività endocrina).
Con l’atresia si ha una distruzione completa del gamete, e degenerazione
per apoptosi. Esistono due tipi di atresia, una obliterante (a carico dei
follicoli secondari, ma può anche interessare il follicolo vescicoloso)
in cui la cavità viene invasa da connettivo, ed una cistica (interessa
solo il follicolo vescicoloso) in cui si ha la formazione di una piccola
cisti in cui una cavità viene rivestita da un’epitelio. Si perde
ogni attività endocrina.
Un’eccessiva presenza di tali cisti può causare problemi (specie
se sono stimolate dall’effetto degli estrogeni), l’ovaio policistico (con
sintomi simili alla peritonite).
Come nel maschio, la gametogenesi è bloccata, la differenza è
che la maturazione completa si ha solo per una cellula. Infatti durante
i processi meiotici vengono espulsi due globuli polari, masse di cromatina
contenenti la metà del corredo genetico.
L’oocito di 2° ordine alla fecondazione espelle il secondo globulo
polare.
RUOLO ENDOCRINO DELL’OVAIO
La gonade subisce gli effetti del complesso ipotalamo-ipofisario, soprattutto
il follicolo ed il corpo luteo.
Il controllo diretto sulle strutture è dato da due ormoni, l’FSH
e LH. L’FSH agisce sul follicolo in via di sviluppo, e stimola la produzione
di estrogeni. Gli effetti degli estrogeni sono dati dall’azione diretta
sulle cellule della granulosa, su tutti gli organi bersaglio (cute compresa),
dall’effetto retrogrado, che inibisce la produzione di FSH, stimolando
quella di LH. Questo avviene in quanto gli estrogeni effettuano la loro
azione sui nuclei dell’eminenza mediana dell’ipotalamo, i quali secernono
gli RH, ormoni di rilascio. Per cui si ha un’aumento di produzione di LH-RH,
l’ipofisi aumenta la produzione di LH (viceversa per l’FSH).
Avviene quindi l’effetto retrogrado negativo per l’FSH, e positivo
per l’LH.
L’aumento di LH predomina nella seconda fase del ciclo, stimolando
la luteinizzazione e la produzione di progesterone. Il progesterone ha
quasi gli stessi effetti degli estrogeni, compreso l’effetto retrogrado,
che però è contrario.
Quando l’uovo viene fecondato si blocca l’asse ipotalamo-ipofisario,
e c’è una continua produzione di progesterone, per cui il corpo
luteo viene mantenuto.
Al momento dell’ovulazione si ha un’altissimo picco di LH, l’ormone
che inizia e prosegue i fenomeni di miosi e di luteinizzazione della granulosa.
Nessuno degli ormoni è mai assente in qualche fase del ciclo.
FASE PREOVULATORIA
Prevale il picco dell’LH. Sulle cellule ci sono recettori per legare
ormoni, tali recettori devono essere espressi con densità differente
a seconda delle fasi del ciclo.
cellule della granulosa
recettori per FSH, LH, estrogeni, testosterone
Modulazione dei recettori
FSH (grossa densità di recettori) Æ effetto proliferativo
| sulle cellule della
Ø granulosa.
Estrogeni (6°-12° giorno) Æ stimolazione della
proliferazione delle cellule della granulosa
Ø
LH
LH: 1) qui i recettori sono a bassissima densità, per cui non ha alcun effetto
2) recettori ad alta intensità sulle cellule della
teca interna che producono testosterone
Ø
viene legato a delle cellule cellule della granulosa, che
hanno recettori ad alta intensità, ed è trasformato
in 17 ß estradiolo.
OVULAZIONE
Avviene un rilascio intermittente di RH per le gonadotropine, da parte
dell’ipotalamo (sono pulsazioni ritmiche ogni 90 minuti). Questo provoca
un’aumento di secrezione di FSH e LH da parte dell’ipofisi, di conseguenza
si ha un’aumento di estrogeni nel sangue, il picco dell’LH, e la riduzione
della secrezione di FSH.
A metà del ciclo si ha dunque un picco ematico di estrogeni,
che provoca il blocco dell’FSH, e il rilascio improvviso di LH, il cui
aumento provoca l’ovulazione e stimola il completamento della miosi.
FASE POST OVULATORIA
Dopo il 14° giorno il picco dell’LH decade, pur restando in concentrazioni
piuttosto abbondanti.
Il follicolo luteinizza, ed avviene la produzione di progesterone,
il quale inibisce la produzione di LH (impiego quale contraccettivo).
Le cellule luteiniche della teca producono piccole dosi di testosterone
(che viene parzialmente convertito in estrogeni).
Gli estrogeni devono aumentare anche per poter rigenerare la mucosa
interna. Nei primi 3/4 giorni della prima metà si ha la perdita
della mucosa interna, poi occorrono estrogeni per la rigenerazione. Importante
in tali meccanismi ormonali la prolattina.
Vie genitali femminili
Comprendono tuba, utero e vagina, strutture soggette a modificazioni
cicliche, ogni 28 giorni.
Tuba
E’ un’organo in cui si distinguono diverse parti, l’infundibolo, che
è la porzione più distale, a forma di imbuto sfrangiato per
la presenza delle fimbrie, proseguendo verso l’utero troviamo l’ampolla,
l’istmo, ed una porzione intramurale, che si trova a livello dell’angolo
superolaterale dell’utero, che attraversa.
Queste tre sezioni presentano all’interno una mucosa che presenta strutture
diverse.
La mucosa presenta elementi cellulari a livello dell’epitelio di rivestimento,
che facilitano la progressione del gamete o dello zigote verso l’utero.
Queste sono cellule ciliate, coadiuvate nella loro funzione da una tonaca
muscolare, che con la sua contrazione determina movimenti perilstaltici.
La mucosa è a stretto contatto con la tonaca muscolare, per
cui non vi è la presenza di sottomucosa, questo contatto diretto
è importante nell’utero per favorire i fenomeni di rigenerazione
dell’endometrio. A livello dell’endometrio la sottomucosa renderebbe meno
efficaci i movimenti perilstaltici.
Procedendo verso l’utero il disegno a pieghe è sempre meno complesso,
e si modificano anche certe caratteristiche dell’epitelio. Le ghiandole
non sono presenti a livello delle tube, che invece si riscontrano nella
mucosa uterina, questa mancanza è supplita dalla presenza di cellule
secernenti a livello dell’epitelio, che immettono nel lume sostanze con
diverse funzioni, tra cui il trofismo al gamete.
La muscolatura è piuttosto sottile, ed ha un’andamento spiraliforme
(si può individuare uno strato interno circolare, ed uno esterno
obliquo, non propriamente longitudinale).
La mucosa è dotata di una lamina propria (che forma l’asse delle
pieghe) e di un’epitelio di rivestimento dotato di due tipi cellulari,
cellule ciliate e cellule secernenti.
Dello strato muscolare, solo quello obliquo è in continuità
col miometrio.
L’epitelio di rivestimento cambia in direzione dell’utero, nella porzione
più prossima sono più rare le cellule ciliate e sono più
numerose quelle secernenti, in questo ultimo tratto a favorire la progressione
è sopratutto l’attività contrattile della muscolatura.
Le ciglia battono con direzione verso l’utero, questo per facilitare
lo spostamento del gamete (o zigote) verso l’utero e per stimolare il movimento
degli spermatozoi che vanno controcorrente.
Per quanto riguarda la secrezione vengono espulsi granuli, che sono
contenuti in frammenti di citoplasma, questi granuli contengono glicogeno,
il quale si accumula a formare depositi nutritizi per il gamete. Inoltre
c’è anche la secrezione di glicoproteine e di acido sialico importante
in quanto crea un’ambiente di carica negativa che impedisce l’aggregazione
di spermatozoi, che impedirebbero il passaggio.
1° META’ DEL CICLO
Nella tuba prevalgono cellula ciliate fino all’ovulazione (per favorire
lo spostamento del gamete).
2° META’ DEL CICLO
Nella tuba prevalgono cellule secernenti per favorire il supporto trofico
al gamete. Quello che avviene non è la trasformazione da cellule
ciliate a secernenti a viceversa, avviene infatti che gli estrogeni (predominanti
nella 1° metà del ciclo) stimolano le cellule basali e differenziarsi
in cellule ciliate, invece il progesterone stimola le cellule basali a
differenziarsi in secernenti.
Gli ormoni ovarici hanno effetti diversi anche sulla tonaca muscolare,
gli estrogeni stimolano la peristalsi, e il progesterone, avendo un’effetto
miorilassante, determina una stimolazione di rilascio della muscolatura
tubarica.
La perilstalsi è massima al momento dell’ovulazione.
FUNZIONI DELLA TUBA
1) Stabilisce una connessione tra l’ovaio e l’utero.
2) La fecondazione avviene nel terzo distale della tuba, già
qui lo zigote inizia a dividersi procedendo verso l’utero, che raggiunge
in 4 giorni. Questo cerca di annidarsi (un’annidamento prematuro potrebbe
provocare una gravidanza iuxtatubarica, che potrebbe causare gravi problemi),
ma questo avverrà solo più in basso.
Quindi occorrono 10/12 giorni per arrivare alla fase di annidamento,
necessari per la nutrizione dello zigote da parte della tuba.
La fecondazione può avvenire anche 20/30 volte, tuttavia queste
gravidanze possono essere interrotte a livello della tuba, per infezioni.
Utero
E’ l’organo che consente l’annidamento e l’espulsione del feto con il
parto. Sono presenti qui due territori diversi per struttura e per risposte
agli ormoni e sono il fondo e corpo ed il canale cervicale.
Infatti lo sfaldamento riguarda solo la mucosa di corpo e fondo, le
pareti di corpo e fondo durante la gravidanza vanno incontro ad ipertrofia
e potenzialità muscolare (vagono prodotte nuove cellule muscolari),
per cui l’utero aumenta di volume. Queste pareti muscolari devono rimanere
rilasciate e questo è dovuto al rilascio di progesterone da parte
del corpo luteo e di relaxina.
Il luogo di sviluppo del feto deve essere un’ambiente sterile per cui
il canale cervicale che comunica con la vagina (che è ambiente non
sterile) deve essere chiuso (questo avviene per la contrazione della muscolatura
del canale cervicale).
Al momento del parto si ha, al contrario, il rilascio della muscolatura
del collo, e la contrazione di quelle di corpo e fondo.
L’utero sporge per un tratto nella vagina (questa comunica con l’esterno,
e dopo la pubertà raggiunge livelli molto bassi di pH per la presenza
di una flora batterica), la porzione sporgente, che presenta l’orfizio
uterino esterno è detto portio. Questa parte esocervicale ha una
mucosa diversa rispetto al tratto endocervicale, l’epitelio della portio
si continua con quello che riveste i fornici vaginali (è di tipo
pavimentoso pluristratificato, mentre quello del tratto endocervicale è
di tipo cilindrico).
La vagina, organo non sterile, è spesso soggetta a infezioni,
e così anche il collo dell’utero, possibile sede di tumore.
In sezione si nota un rivestimento esterno peritoneale che lateralmente
forma i legamenti larghi, la parete riveste un lume che si presenta regolare,
di forma ovale, schiacciato in senso anteroposteriore. E’ presente una
mucosa molto spessa (nella fase progestinica raggiunge il suo massimo spessore,
che può superare i 5 cm).
Nella tonaca muscolare si rinvengono diversi strati, a diretto contatto
con la mucosa (strato sottomucoso), uno strato più esterno in cui
i fascetti appaiono associati ad un ricco corredo vascolare (strato vascolare),
strato sottovascolare, uno strato che presenta i vasi di dimensioni maggiori,
soprattutto a livello dell’attacco dei legamenti larghi (connettivale,
perimetrio).
Per cui dall’interno all’esterno abbiamo l’endometrio, miometrio e
il perimetrio (connettivo avventizziale), sierosa (non si estende a tutto
l’organo, alcune parti ne sono prive).
ENDOMETRIO
E’ costituito da un’epitelio di rivestimento e da una lamina propria
che presenta ghiandole tubulari semplici. Profondamente alla mucosa sono
presenti fasci di fibre muscolari che penetrano raggiungendo i fondi ghiandolari,
necessari per la rigenerazione della mucosa uterina. Il connettivo della
lamina propria è ricco di cellule giovani (ha un’aspetto quasi embrionale),
come fibroblasti, infatti viene rinnovato ogni 28 giorni.
Gli ormoni ovarici anche a questo livello provocano risposte di modificazione
cellulare (ci sono cellule epiteliali cubiche ciliate e secernenti, nelle
ghiandole ci sono solo cellule secernenti).
MIOMETRIO
La porzione cervicale (all’interno c’è un’ambiente sterile,
che è separato da quello non sterile della vagina tramite un tappo
di muco anch’esso soggetto a variazioni cicliche) presenta per lo più
fibre muscolari in fasci più o meno circolari, che dalla superficie
si portano in profondità.
A livello dello sbocco della tuba c’è una muscolatura che continua
l’andamento circolare di quella tuba, per poi assumere un’andamento ad
ansa.
ORGANIZZAZIONE VASCOLARE
Durante la mestruazione vengono persi i 2/3 della mucosa superficiale,
per cui se non ci fossero sistemi di controllo si avrebbero naturali emorragie.
Il sistema di controllo è una particolare organizzazione dei vasi.
Nell’endometrio sono presenti due porzioni, una basale (1/3 inferiore)
che non subisce mai fenomeni di rinnovamento, e una più superficiale
detta funzionale (2/3 superficiali), che viene ciclicamente rigenerata
a partire dai fondi ghiandolari.
Nello strato vascolare sono presente arterie arcuate da cui si dipartono
rami radiali, e da questi rami retti, che si portano alla zona basale dell’endometrio
a formare reti capillari intorno ai fondi ghiandolari.
Da questi vasi retti si dipartono le arterie spirali, che possono fino
alla porzione funzionale, le quali oltre a dare rami nutritizi forniscono
in superficie ampie lacune.
Durante la mestruazione la perdita di sangue è ridotta in quanto,
appena prima che avvenga si ha un fenomeno di vasocostrizione e un ritirarsi
(accorciamento) delle arterie spirali (mentre vengono strappate via le
lacune superficiali). Si ha perciò la cessazione dell’apparato sanguigno
con conseguenti di fenomeni di necrosi.
COLLO UTERINO
In sezione longitudinale, presenta un canale le cui pareti risultano
accidentate per la presenza degli sbocchi di ghiandole tubulari ramificate
secernenti muco, questo muco occupa il canale cervicale, e in parte finisce
in vagina per la lubrificazione.
La struttura possiede il 15% di tessuto muscolare, per il resto presenta
collagene denso che arriva fin sotto all’epitelio. Presenta un’epitelio
di rivestimento, una lamina propria provvista di ghiandole che arrivano
ai fasci muscolari, una tonaca muscolare ad andamento per lo più
circolare, ed una grossa quantità di connettivo denso in cui si
trovano anche fibre elastiche (importanti per la dilatazione al momento
del parto).
Il muco secreto dalle ghiandole è di circa 60/70 mg al giorno,
ma durante l’ovulazione, quindi in concomitanza con il picco di LH, questa
quantità arriva a decuplicare. Si modifica anche la qualità
di muco, denso fino a formare un tappo nella prima metà del ciclo,
più fluido per una maggior componente acquosa nella seconda metà,
importante perché gli spermatozoi pur avendo enzimi mucolitici nell’acrosoma,
non riuscirebbero a passare.
Quindi si hanno modificazioni non a livello della struttura della mucosa,
ma a livello della quantità e della qualità del muco prodotto.
Nella parete del collo uterino si possono rinvenire formazioni utili
dette uova o cisti di nabeau, che derivano da fenomeni che si hanno alla
pubertà, o dopo ogni gravidanza per il ritorno della secrezione
di estrogeni, ritorno che determina un cambio di rapporto tra l’epitelio
del canale cervicale, e quelle delle pareti uterine. Questa giunzione muco
squamosa (tra l’epitelio cilindrico semplice costituito da cellule secernenti,
e un’epitelio pavimentoso pluristratificato) varia da un soggetto all’altro.
L’epitelio che riveste la portio è tipico e uguale a quello
che riveste la vagina, in superficie le cellule non sono cheratinizzate,
ma vacuolizzate, ripiene di glicogeno. Queste cellule finiscono nel lume
e il glicogeno che si riversa è utilizzato da una flora batterica
(lattobacilli), che lo trasformano dando prodotti acidi che rendono il
pH minore di 3, ciò impedisce la sopravvivenza di batteri e patogeni
la cui sopravvivenza è legata ad un’ambiente alcalino (funghi, candida).
Similmente si difende la cute, infatti dermatiti e vaginiti da funghi o
candida sono provocate da alterazioni di pH.
Le cellule a muco dell’epitelio di rivestimento sono come quelle dei
tubuli ghiandolari, hanno una secrezione continua.
Fenomeno dell’Ectropion
Quando alla pubertà si ha un primo rilascio di estrogeni, o
dopo una gravidanza, ritorna la secrezione di estrogeni e si ha un fenomeno
per cui la giunzione muco squamosa si sposta, e la portio viene rivestita
in parte da un’epitelio cilindrico che sostituisce quello squamoso.
Per individuare erosioni su questa parte dell’utero vengono attuate
pennellature di iodio, che per la presenza di glicogeno danno una coloratura
marrone. Se non c’è la presenza di glicogeno (e quindi di epitelio
pavimentoso pluristratificato) non avviene la colorazione. La non colorazione,
dovuta alla mancanza di glicogeno, può essere attribuita alle erosioni
(spesso alterazioni precancerosi), o alla sostituzione dell’epitelio squamoso
con epitelio cilindrico.
Superate queste fasi, si ha una nuova sostituzione dell’epitelio cilindrico
da parte di quello squamoso. Quando questo avviene si occludono gli sbocchi
delle ghiandole presenti in quel punto le quali restano piene di muco ed
evolvono nelle cisti di nabeau.
CICLO ENDOMETRIALE
Dopo i primi 4-5 giorni, la mucosa diventa piuttosto spessa, con superficie
liscia, un’epitelio di rivestimento con cellule ciliate (meno che nella
tuba), e tubuli ghiandolari semplici, rettilinei (i più profondi
sono frammessi allo strato muscolare).
Questa fase è caratterizzata da un’intensa attività proliferativa
a carico dell'epitelio dei tubuli ghiandolari e dello stroma.
Poi si ha l’ovulazione, le cellule accumulano glicogeno nella loro
parte basale, con conseguente spostamento del nucleo in superficie.
Con la fase secretiva si hanno successive modificazioni delle ghiandole
che consentono di individuare ad un’esame microscopico la fase estrogenica
e progestinica, ed anche la fase più precisa del ciclo.
FASE DESQUAMATIVA (primi 3-4 giorni)
Lo strato basale si presenta pallido per i fenomeni degenerativi, si
hanno residui di tubuli ghiandolari (porzioni terminali rispondono agli
estrogeni e proliferano, ricostruendo la continuità dell’epitelio
di superficie e la parete dei tubuli).
FASE RIGENERATIVA
Si notano pochi tubuli ricostruiti, si riforma l’epitelio, e si notano
ancora formazioni edemiche (questi cicli, specialmente nella pubertà,
nel post gravidanza e nel premenopausa sono alquanto irregolari, quindi
i cicli regolari si verificano nella parte centrale del periodo fertile).
Per ricostruire la mucosa e l’epitelio di rivestimento il tempo è
molto variabile, e dura finché non si è ricostruito l’epitelio
perso (dal 4°/5° al 6°/7° giorno).
FASE PROLIFERATIVA
Aumento di spessore della mucosa per attività mitotica dell’epitelio
e dello stroma, che va dalla profondità alla superficie partendo
dai fondi ghiandolari e dello stroma peritubulare.
Dura circa 7 giorni fino all’ovulazione (fase proliferativa fino al
14° giorno).
FASE SECRETIVA
La mucosa aumenta ulteriormente di spessore, le ghiandole assumono
aspetto a cavatappo. L’aumento di spessore è di circa 4 volte, ed
è dovuto per una serie di fenomeni di imbivizione dello stroma che
lievita.
Il secreto non è molto diverso da quello della tuba uterina
(glicogeno + acido sialico e glicoproteine).
Dura i 2/3 della seconda metà del ciclo (fino al 23°-24°
giorno).
FASE DEGENERATIVA (25°-27° giorno)
E’ da considerarsi facente parte della fase secretiva, si osservano
degenerazioni a carico di epitelio e stroma.
Avviene un’infiltrazione leucocitaria ed edemi, precede la fase desquamativa
cosicchè ricomincia il ciclo.
Se avviene l’annidamento si ferma la placenta e l’endometrio mantiene
la struttura dello stroma secretivo avanzato, ma le ghiandole non secernono
più, perché il muco occuperebbe spazio inutilmente (queste
modificazioni sono importanti per le biopsie che possono rivelare così
danni all’ovaio o all’ipofisi).
MODIFICAZIONI DELLE CELLULE EPITELIALI
1) Nucleo alla base, citoplasma ricco di organelli, senza segni di
attività secretiva.
2) Grossi accumuli di glicogeno che sollevano il nucleo alla periferia,
formano un vacuolo.
3) Gocciole apicali
4) Degenerazione con disfacimento cellulare
Il reale fatto degenerativo è l’ischemia, infatti a causa degli estrogeni, le arterie elicine si contraggono, questo porta alla necrosi dei 2/3 superiori dell'endometrio, che si sfalda. Il terzo basale non subisce tale fenomeno, perché vascolarizzato dalle arterie rette.
FENOMENI
1) Mitosi ghiandolare. Attività estrogeno dipendente, aumenta
gradualmente fino alla fase proliferativa, per poi continuare diminuendo
sempre, e cessando del tutto al 18°-19° giorno.
Questa vivace attività proliferativa determina accavallamento
dei nuclei (aspetto pseudostratificato che segue l’andamento, come intensità,
della mitosi ghiandolare).
2) Vacuolizzazione basale. Evidenzia l’avvenuta ovulazione (manca nei
cicli anovulatori).
3) Secrezione ghiandolare. Il massimo dell’attività secretiva
si ha nella parte centrale della seconda metà (picco tra 18°-24°
giorno), poi decresce e inizia la fase degenerativa.
4) Edema stromale. (Anche nella ghiandola mammaria) si hanno alterazioni
della permeabilità capillari a causa del progesterone.
5) Reazione pseudodeciduale. Modificazioni a livello dello stroma le
cui cellule prendono l’aspetto di fibroblasti, e sono cellule tonde con
accumuli lipidici (ultima fase).
6) Mitosi dello stroma. Attività estrogeno dipendente, poco
dopo il 14° giorno avviene soltanto a livello della lamina propria
dell’endometrio basale.
7) Infiltrazione leucocitaria. Massima nel primo giorno della fase
desquamativa.
Vagina
Organo femminile della copulazione, vi si inserisce l’utero con la parte
intravaginale (portio), delimitando così i 4 fornici.
Il fornice più profondo è il posteriore ed ha la funzione
importante di accogliere lo sperma eiaculato, i cui spermatozoi devono
poi risalire la portio e da qui entrare nel canale cervicale.
E’ anche per un certo tratto rivestita da peritoneo, che poi lo abbandona
per portarsi sul retto (cavo di Douglas).
La parete della vagina è piuttosto uniforme nei suoi vari tratti,
se si esclude l’ultimo tratto.
E’ presente uno strato muscolare che è il proseguimento dello
strato muscolare più esterno dell’utero, più in profondità
è presente una mucosa (è assente la sottomucosa) formata
da una lamina propria fibro elastica (le fibre elastiche sono necessarie
per la dilatazione al momento del parto), e un’epitelio che è identico
a quello che riveste la portio uterina, soggetto a modificazioni in quanto
bersaglio degli ormoni.
Esiste quindi un ciclo vaginale, le cui fasi possono essere stabilite
con un buon grado, tramite il prelievo di una parte dell’epitelio (pap
test).
L’epitelio, infatti, che varia ciclicamente, è caratterizzato
da sfaldamenti delle cellule più superficiali, che dalla parte più
profonda hanno accumulato glicogeno (non subiscono processi di cheratinizzazione).
Un secondo elemento riscontrabile è un’apparente riduzione della
cellularità degli strati più profondi a quelli più
superficiali, per un fenomeno di picnosi nucleare, che caratterizza cellule
morte con un nucleo molto condensato, tale processo si ha già a
livello degli strati intermedi dell’epitelio.
Quindi i fenomeni da considerare sono la picnosi dei nuclei e la colorabilità
delle cellule (a seconda che sono acidofile o basofile).
In altri animali, nell’uomo è poco accentuato, si ha la trasformazione
delle cellule, nella fase progestinica, in cellule secernenti mucose.
Effettuando uno striscio vaginale nella 1° fase del ciclo, si osservano
cellule per lo più acidofile, e cellule con processi di picnosi
nucleare. Questi fenomeni diventano massimi al momento dell’ovulazione,
dopodiché si ha una diminuzione graduale, e nel periodo post ovulatorio
si riscontrano per lo più cellule basofile (frammisti sono presenti
dei granulociti, qui presenti per un fenomeno di trasudazione dei vasi),
anche se sono ancora presenti cellule acidofile.
Nella menopausa sono presenti cellule caratterizzate da pochi fenomeni
di acidofilia e picnosi, per una generale atrofia della mucosa vaginale
(in genere si ha atrofia a livello di tutto l’apparato genitale).
A livello dei genitali esterni si aprono nel vestibolo della vagina
le ghiandole del Bartolini, omologhe a quello bulbouretrali nel maschio.
Sistema Immunitario
Timo
Organo linfo epiteliale localizzato per la maggior parte nel mediastino anteriore, e per piccola parte nel collo. Organo transitorio, è notevolmente sviluppato nel feto e nei primi anni di vita posteriore natale, mentre va incontro ad involuzione nel giovane adulto.
FORMA, POSIZIONE, RAPPORTI
E’ un organo impari e mediano che deriva dall’accostamento di due formazioni
pari e simmetriche, i lobi timici. Si presenta come una massa piuttosto
voluminosa di colore variabile dal rosa al bianco grigiastro, al giallo
a seconda dell’età.
Ha la forma di una piramide quadrangolare, con base inferiore (a livello
del mediastino) e apice superiore (sale nel collo). Questo può essere
talvolta diviso in due prolungamenti conoidi detti corni timici. Superficialmente
ha struttura e configurazione di tipo lobulare.
La faccia anteriore è in rapporto: nel collo con la fascia cervicale
media e i muscoli sottoioidei, nel mediastino anteriore col manubrio e
parte superiore del corpo dello sterno, vasi toracici interni, estremità
sternali dei primi 4-6 spazi intercostali. Tra questa faccia e le parti
ossee si pongono la fascia endotoracica e le inserzioni sternali dei muscoli
sterno tiroidei e trasversi del torace e lateralmente i sei pleurali costomediastinici
e i margini anteriori dei polmoni. La faccia posteriore è in rapporto:
nel collo con la trachea e spesso con le carotidi comuni e con il tronco
venoso brachiocefalico sinistro, e nel mediastino anteriore con la vena
cava superiore, l’aorta ascendente e tratti di origine dell’aorta e del
tronco polmonare. Le facce laterali nel collo sono in rapporto con le vene
giugulari interne, mentre nel mediastino anteriore con la pleura mediastinica
e polmoni; a sinistra tra pleura e timo decorrono il nervo frenico e i
vasi pericardicofrenici.
I corni superiori possono arrivare fino alla ghiandola tiroide.
La base arriva all’altezza della 4° vertebra toracica.
MEZZI DI FISSITA’
Non sono molto sviluppati, la maggior aderenza dell’organo si riscontra
posteriormente con il pericardio e in alto con la ghiandola tiroide. Il
foglietto posteriore della fascia cervicale media, scendendo nel mediastino
anteriore, passa dietro al timo e contribuisce a delimitare la loggia timica,
chiusa anteriormente dalla fascia endotoracica. L’aderenza alle pareti
della loggia è piuttosto lassa.
VASI E NERVI
Arterie timiche: provengono dalla toracica interna, direttamente o
tramite i rami mediastinici anteriori. L’arteria timica posteriore può
derivare dal tronco brachiocefalico o dall’arco dell’aorta o dalla carotide
comune sinistra.
Vene del timo: fanno capo alle vene toraciche interne, tiroidee, pericardicofreniche;
una grossa vena timica posteriore si apre nel tronco brachiocefalico sinistra.
Nervi: provengono dal vago e dall’ortosimpatico; può anche ricevere
fibre dal nervo frenico.
STRUTTURA
Il timo inizia a svilupparsi all’incirca verso la 6°-7° sett
di vita embrionale attraverso lo sviluppo di due componenti cellulari.
Componente epiteliale: deriva dall’epitelio della 3°-4° tasca
branchiale.
Componente linfoide: proveniente dal sangue; sono i protimociti esprimenti
il CD7, i quali abbandonano i vasi (dopo aver riconosciuto l’endotelio)
per poi riconoscere il mesenchima che avvolge l’abbozzo epiteliale
del timo. Tali cellule epiteliali secernono nel mesenchima fattori
chemoattraenti che attraggono i protimociti.
L’abbozzo epiteliale presenta inoltre cellule emopoietiche che danno
origine ad una terza componente cellulare: macrofagi e cellule presentanti
l’antigene dette interdigitate che originano nel midollo osseo e arrivano
al timo per la stessa via dei protimociti.
Quindi abbiamo nel timo tre tipi di cellule:
epitelilali (presentanti antigene)
timociti
cellule accessorie (macrofagi, cellule interdigitate presentanti
Ag)
Ogni lobo timico pur presentando in sezione una struttura lobulare
è in realtà una struttura unica, formata da un cordone di
sostanza midollare che presenta estroflessioni di sostanza corticale; invece
in sezione ciascun lobo timico appare suddiviso in unità distinte,
i lobuli. Nell’ambito di ciascun lobulo sono presenti due zone differenti,
una corticale (più scura), una midollare (più chiara).
Nell’insieme i lobi timici sono avvolti da una capsula connettivale
che manda in profondità i setti interlobulari in cui decorrono numerosi
vasi linfatici e nervi.
Le cellule più numerose sono i timociti riconoscibili per lo
scarso citoplasma, nucleo piccolo con cromatina addensata, i quali sono
più numerosi nella corticale che nella midollare (determinando così
la differente intensità cromatica); più difficile risulta
individuare le cellule epiteliali, le quali presentano nucleo vescicoloso
più chiaro con evidenti nucleoli.
All’arrivo dei timociti nel timo si hanno due fenomeni nella sua parte
corticale:
1) Proliferazione cellulare: in quanto le cellule che qui giungono
sono poche e nel timo proliferano.
2) Morte cellulare: riguarda oltre il 95% delle cellule; queste muoiono
per apoptosi, ciò senza il disfacimento della cellula, in quanto
una sua lisi provocherebbe la liberazione di prodotti che instaurerebbero
processi infiammatori. Per cui la cellula muore per apoptosi e in seguito
è riconosciuta e fagocitata dai macrofagi che sono abbondanti
nel timo.
I protimociti immaturi nono presentano ancora le caratteristiche necessarie
per incontrare l’antigene; esiste perciò nel timo una struttura
che consente di difenderli da un prematuro incontro con l’antigene: si
tratta della barriera ematotimica formata dalle cellule epiteliali intorno
ai vasi sanguigni.
Nella midollare si rinviene la presenza di corpuscoli di Hassal: si
tratta di formazioni di cellule epiteliali disposte a lamelle concentriche
a cui si attribuisce la caratteristica disposizione a guscio di cipolla,
in cui si possono rinvenire processi di cheratinizzazione (questi corpuscoli
si rinvengono in maggior quantità in individui più anziani).
Il timo é un organo transitorio
che va incontro ad atrofia durante la pubertà (12 anni per
le femmine, 14 per i maschi). La sua repressione è dovuta al fatto
che sulla superficie dei timociti sono presenti i recettori per gli ormoni
steroidei secreti dalle ghiandole surrenali e dalle gonadi; con la pubertà
si ha un’incremento di proliferazione di tali ormoni che vanno a legarsi
ai recettori espressi sui timociti. Tali ormoni sono apoptogeni per i timociti
che quindi muoiono. Tale processo inizia a partire dalla corticale del
timo.
Questo spiega il fatto che la linfocitopoiesi T sia massima prima della
pubertà, dopo di che cessi; al contrario la linfocitopoiesi B dura
per tutta la vita. Questo è logico in quanto i linfociti T non finiscono
la loro vita come i linfociti B, ma sono invece cellule a lunga vita, mentre
i linfociti B vengono continuamente rimpiazzati in seguito alla continua
morte delle plasmacellule per compensarne quindi la deflezione.
L’ATTIVITA’ DEL TIMO
1) L’abbozzo epiteliale accoglie i pre-timociti CD7+ che qui proliferano
diventando la popolazione predominante (esistenza di fattori chemoattraenti).
2) Esistenza di simbiosi linfoepiteliale, cioè tra cellule linfoidi
e cellule epiteliali.
3) Maturazione dei linfociti accompagnata da fenomeni di selezione
positiva e negativa che comportano la morte del 95% della popolazione linfocitaria.
Il 5% dei linfociti quindi raggiunge la zona midollare del lobulo timico
che presenta linfociti T maturi CD4+ o CD8+ e cellule doppie coesprimenti
CD4 e CD8 che si rinvengono solo a livello della corticale.
SELEZIONE POSITIVA E NEGATIVA
I timociti, a livello della corticale più superficiale sono
detti blasti sottocapsulari; migrando verso la parte più profonda
diventano più piccoli, e contraggono rapporti con le cellule epiteliali.
Nella corticale sono presenti due tipi diversi di cellule epiteliali
che interagiscono con i timociti.
Cellule epiteliali della corticale presentano il loro asse maggiore
perpendicolare alla superficie e hanno forma ramificata per offrire una
maggiore superficie di contatto ai timociti (formano un reticolo tridimensionale
in cui sono raggruppati i timociti).
Cellule nurse a livello della parte esterna della corticale, questi
sono elementi che possono dare inizio alla selezione positiva.
Nella zona della giunzione cortico-midollare su entrambi i versanti
sono presenti numerosi macrofagi, e inoltre vasi attraverso i quali i timociti
maturi discendono il timo per raggiungere gli organi linfoidi periferici.
Nella midollare sono presenti cellule epiteliali disposte in più
gruppetti, e le cellule interdigitate responsabili dei fenomeni di selezione
negativa. La selezione positiva è invece compito di cellule epiteliali
ramificate della corticale.
Le cellule T dotate del loro recettore devono imparare a riconoscere
le molecole MHC di classe I e II in assenza di Ag. Tale molecola di riconoscimento
è espressa dalle cellule epiteliali. I timociti allo stadio II esprimono
il recettore per l’Ag in grande maggioranza a bassa densità.
Per un fenomeno di riarrangiamento genico sbagliato possono esistere
cellule dotate di un recettore al altissima affinità con conseguente
riconoscimento immediato per le MHC; ciò comporterebbe un fenomeno
di autoaggressione, per cui cellule T dotate di tale recettore sono eliminate.
Possono invece esistere cellule T dotate di un recettore ----- affinità
per MHC per cui il recettore è pressoché inutile e non può
riconoscere l’Ag; anche queste cellule vengono eliminate.
Solo cellule con un recettore a giusta affinità sopravvivono
a questo processo di selezione positiva che avviene nella corticale e a
salvarsi sono circa 5 cellule su 100.
E’ necessario però un secondo fenomeno di selezione, la selezione
negativa, che avviene nella midollare, in quanto alla selezione positiva
possono essere sfuggite cellule che pur avendo giusta affinità presentano
recettori per l’organismo stesso e quindi dotate di un potenziale autoaggressivo.
Ad attuare tale seconda selezione sono le cellule interdigitate.
Le cellule errate vengono quindi eliminate tramite apoptosi e sono
fagocitate dai macrofagi, che presentano al loro interno masserelle colorate
, i nuclei delle cellule inglobate (macrofagi a corpi tingibili).
Le cellule mature che invece hanno superato i processi di selezione
lasciano il timo, attraverso la circolazione sanguigna arrivano agli organi
linfoidi periferici.
Sistema Immunitario
Si divide in immunità naturale e specifica. L’immunità
naturale si basa su meccanismi difensivi che tengono conto delle dimensioni
e delle quantità degli agenti aggressori, ma che non sono capaci
di riconoscere composizione e conformazione molecolare del patogeno.
L’immunità specifica si sviluppa come meccanismo evolutivo delle
difese naturali; essa consente di distinguere fra i vari patogeni promuovendo
risposte specifiche contro di essi e può creare una memoria per
un futuro attacco, contro il quale sarà effettuata una risposta
più efficace.
La risposta inoltre può essere diversificata in due tipi: umorale
(linfociti B) e cellulo-mediata (T).
Questi due tipi di risposte sono entrambi necessari per contrastare
le strategie dei patogeni per infettare l’organismo.
1) Sviluppo dei batteri al di fuori della cellula e produzione di tossine
a danno dell’organismo (occorre eliminare le tossine).
2) Penetrazione dei batteri all’interno della cellula in cui poi si
nascondono (occorre distruggere le cellule contenenti i batteri).
3) Proliferazione dei batteri al di fuori della cellula (occorre farli
entrare ad essa per fagocitosi e poi distruggere la cellula).
In caso di aggressione, l’organismo si difende dapprima tramite l’immunità
naturale, che se è sufficiente ci garantisce la non sussistenza
della malattia; se altrimenti il patogeno entra nell’organismo si sviluppa
in seguito una memoria che resta in caso di un secondo attacco dello stesso
patogeno.
Le vie respiratorie, digestive, urinarie e genitali costituiscono le
principali vie d’accesso da parte di patogeni, i quali attraverso le pareti
possono passare nel sangue o nella linfa.
Meccanismi di difesa naturale possono essere:
1) Cute ha un pH acido ed inoltre produce sebo
2) Simbiosi muco-ciliare a livello delle vie respiratorie (ed inoltre
tosse)
LIVELLI DI ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO
Organi e tessuti linfoidi:
primari: sede di produzione dei linfociti secondari: sede della funzione
effettrice dei linfociti
Cellule: linfociti: T dal timo, B e NK dal midollo osseo
accessorie: macrofagi (inglobano batteri a cui sono stati legati anticorpi
APC (inducono la risposta immunitaria da parte dei linfociti) altre (cellule
epiteliali possono esprimere l’antigene presentandosi così alla
distruzione)
Molecole: di membrana sono recettori per l’Ag (Ig per linfociti B, TCR per linfociti T), di adesione attivatorie, secretorie sono citochine-interleuchine (1-12) chemoattraenti immunoglobuline.
MOLECOLE DI MEMBRANA
Sono blocchi glicoproteici che stanno sulla membrana di cellule e sono
formate da 3 porzioni: extracellulare, transmembrana, intracitoplasmatica.
1) Riconoscono specificatamente l’Ag e sono diversi per i linfociti
B e T, rispettivamente Ig e TCR.
Ne esistono all’incirca 150-200000 su ogni cellula e hanno tutte stessa
conformazione e stessa specificità per lo stesso patogeno.
I linfociti nel corpo umano sono circa 1012 e di questi vi sono sottopopolazioni
di circa 100-1000 linfociti aventi identica specificità: sono cloni
(B e T).
2) Permettono l’adesione del linfocita alla cellula infettata; determinano
anche gli itinerari di circolazione dei linfociti (adesione all’endotelio).
3) Se toccate da un ligando innescano meccanismi di attivazione del
linfocita, sia la capacità proliferativa che la funzione effettrice
della cellula.
MOLECOLE SECRETORIE
Sono liberate da linfociti e da cellule accessorie e svolgono diverse
funzioni. Immunoglobuline o anticorpi sono il prodotto della risposta immunitaria
umorale. Dai linfociti B originano plasmacellule che producono in 2-3 giorni
di vita migliaia di Ig che vengono liberate. L’anticorpo solubile ha la
stessa specificità della molecola di membrana.
Chemoattraenti - capacità di attivare altre cellule.
ORGANI LINFOIDI CENTRALI
TIMO, FEGATO FETALE, MIDLLO OSSEO:
Produzione di linfociti T maturi
Produzione di linfociti B maturi
ORGANI LINFOIDI PERIFERICI
MILZA
Organo contro Antigeni e Patogeni circolanti nel sangue
LINFONODI
Organo contro patogeni che hanno superato barriere MUCO CUTANEE
M.A.L.T.
Risposta immunitaria caratterizzata dalla produzione di AGA livello
delle mucose.
(la cute può essere considerata come un organo terziario)
RECETTORI DEL SISTEMA IMMUNITARIO
LINFOCITI B:
Il loro recettore per l’ AG è rappresentato dalle IMMOGLOBINE,
costituite da 4 catene glicoproteiche, a due a due identiche fra loro.
* due catene pesanti H (50-70KD)
*due catene leggere L (25 KD)
Le catene leggere si appaiono a quelle pesanti mediante PONTI DISOLFURO
tra residui di cisteina, che sono legami stabilizzanti la con formazione
della molecola.
Entrambe le catene possiedono due regioni:
REGIONE V= domini variabili = sito che lega l’AG
REGIONE C= domini costanti = in tutte le molecole
La porzione variabili di un catena L giustapposta alla porzione variabile di una catena H (sono i primi 100 AA di ogni catena) costituisce la specificità di riconoscimento determinando i 2 siti
COMBINATI PER L’AG. Le Ig sono perciò bivalenti.
Ogni dominio è costituito da una sequenza di 100 AA, ed è
questo che viene riconosciuto da AG che hanno perfetta complementarità
col sito combinatorio.
Nell’ ambito di cloni esistono anticorpi che, appartenenti a cloni diversi hanno affinità diverse per i vari agenti patogeni.
Le IG possono essere in forma MONOMERICA ( e sono tutte le molecole di membrana ) e le IG M e le IGA in forma rispettivamente PENTA e DI-merica: sono secrete.
LINFOCITI T
I linfociti T possiedono un recettore costituito da un eterodimero
formato da una catena L e una catena B tenute insieme da un ponte disolfuro
fra 2 residui di cisteina.
Questo recettore é provvisto di una porzione extracellulare,
una transmembrana e una coda citoplasmatica.
i due tipi di catena associate in minima parte sono di tipo gamma e
delta .Anche per quel che riguarda questo recettore si hanno domini variabili
(V alfa e V beta) e domini costanti ( C alfa e C beta)
Questi recettori non sono in grado , come le IG, di riconoscere conformazioni
antigeniche NATIVE .
Essi sono in grado di riconoscere AG solo se presentati da cellule
: L’ AG viene interiorizzato dalla cellula e tramite un lavoro di proteolisi
viene processato e riespresso sulle cellule nel contesto di un tipo
di molecola con cui il linfocita T deve venire in contatto .
Tali molecole sono le MHC molecole del COMPLESSO MAGGIORE DI ISTOCOMPABILITA'
.
Le MHC sono molecole altamente, codificate sul cromosoma 6 e = da individuo
a individuo .
Nell’ uomo sono dette HLA e sono AG che distinguono i tessuti di un
individuo da quelli di un altro.
Il sistema di istocompatibilità permette che il linfocita T
veda l’ AG e lo riconosca nell’ ambito di questa molecola.
L’Ag viene ridotto a circa 7-14 AA; viene poi interiorizzato nella
cellula dove è montato in una zona dell’ MHC dove é presente
un solco che accoglie il polipeptide : cosicchè il recettore T deve
sia l’AG che la zona VARIABILE DELL’ MHC.
Le MHC sono di due tipi :
DI CLASSE PRIMA : formate da una porzione variabile ed una invariabile
A) DOMINIO VARIABILE: lambda 1, 2, 3 (la catena lambda é
polimorta nei individui.)
B) DOMINIO INVARIABILE: beta 2 microglobulina
Questi 2 domini formano una catena con una parte libera, una transmembrana
e una citoplasmatica.
L’AG si colloca in una doccia formata dai seguenti lambda 1 e 2. Sono
presenti con densità più o meno alta in tutte le cellule
nucleate ( per cui non sono presenti negli eritrociti)
DI CLASSE SECONDA: costituite da due molecole entrambi variabili
una catena lambda (divisa nei domini lambda 1 e 2)
una catena beta ( con domini beta 1 e 2 )
Le varie della molecola rappresentano sequenze di 100-200 AA uniti
da ponti disolfuro .Sono presenti solo ad alta densità sulle cellule
presentanti l’ AG ; l’ aplotipo di queste molecole è così
unico che può riscontrarsi uguale solo nel caso di gemelli identici:
APLOTIPI :
MHC PRIMO= A/B/C/D
MHC SECONDO= DR/ DQ/DP
Le MHC primo sono riconosciute da linfociti T CD8+
( citotossici), quelle di classe seconda sono riconosciute da linfociti
T CD4+ ( helper)
Immunità umorale
Le IG riconoscono conformazioni Anti geniche native : ciò comporta
la proliferazione ed il differenziamento . Viene innescato un meccanismo
di memoria per la produzione di cellule memoria che si formano durante
la proliferazione in seguito ad una selezione (sopravvivono solo cellule
con recettori altamente specifici).
Dalla proliferazione originiamo CELLULE- MEMORIA e PLASMACELLULE che
vanno ad occupare territori ben distinti .
Proliferazione cellulare Æ differenziamento Æ plasmacellule e cellule memoria.
PRODUZIONE DI ANTICORPI
Essi, svolgono diverse funzioni:
1) Neutralizzano tossine in forma solubile
2) Funzione opsonizzante nei confronti dei patogeni i quali vengono
ricoperti da anticorpi, la cui coda o frammento cristallizzabile FC può
essere riconosciuta da ricettori presenti su altre cellule come i monociti
o macrofagi che fagocitano i patogeni.
3) Armano i fagociti aumentandone il potere fagocitario.
4) Presentano antigeni alle cellule T: infatti le cellule B sono capaci
di interiorizzare l’antigene e di riesprimerlo in membrana nel contesto
di molecole MHC dove può essere riconosciuto da linfociti T.
Immunità cellulo-mediata
Il virus entra nella cellula; viene poi degradato ed espresso in superficie associato alle MHC I o II. I linfociti T citotossici CD8+ riconoscono MHC di classe I ed uccidono bersagli del proprio corpo; i linfociti T helper CD4+ riconosciuto l’antigene nel contesto di MHC II vanno incontro a proliferazione e secernono citochine, sostanze con funzioni regolatrici che agiscono sui linfociti T, B, sui macrofagi, cellule NK con funzione di amplificazione o blocco della funzione immunitaria.
Linfocitopoiesi
La produzione di linfociti T e B origina per entrambi da una cellula
staminale totipotente che può differenziarsi nel midollo osseo in
una cellula ad evoluzione mieloide (eritrociti) o linfoide (linfociti).
La cellula linfoide pluripotente grazie all’azione di fattori di crescita
si differenzia. E’ il microambiente fondamentale per caratterizzare la
linea di evoluzione, e a seconda di dove la cellula andrà a maturare
si avranno diverse trasformazioni (midollo osseo Æ linfocita B, timo
Æ linfocita T).
La prima si svolge in un ambiente protetto, che nel caso del linfocita
B è il midollo osseo: è la fase antigene indipendente (se
in questo conteso l’antigene vedesse la cellula, verrebbe eliminato).
La cellula staminale totipotente esprime la glicoproteina CD 34: le
cellule che matureranno avranno molecole con specificità diverse
e anche molecole prive di ogni capacità di riconoscimento.
Prima dello stadio di cellula B matura esistono tre stadi:
1) cellula pro-B (presenta CD 19 e CD 10)
2) cellula pre-B
3) cellula B immatura (presenta IgM di membrana)
Il CD 10 è espresso in stadi precoci, poi recede per presentarsi
nuovamente sulle cellule B attivate. Questa molecola è stata scoperta
su cellule ammalate da leucemia linfoblastica acuta (si pensava che fosse
un marcatore di cellule leucemiche) invece è una proteina che pesa
100 kd ed è un endopeptidasi di membrana (enzima con funzione proteolitica).
Nel passaggio da cellula B immatura a cellula B matura, devono essere
montate in membrana IgM e IgD con identica specificità per il prodotto
dello splicing alternativo dell’mRNA.
Le cellule pre-B hanno già riarrangiato i geni che codificano
per le catene pesanti che attribuiscono specificità (precedendo
il riarrangiamento dei geni per le catene leggere): nel citoplasma sono
presenti le catene H pesanti che poi verranno espresse in membrana.
Le cellule B immature possiedono IgM di membrana ma non possono ancora
entrare in contatto con l’antigene, per questo tale fase è detta
antigene indipendente.
La cellula B matura esprime invece IgM e IgD ed è in grado di
conoscere e legare l’antigene: inizia così la fase antigene dipendente
che avviene negli organi linfoidi periferici.
CDR è una regione che determina complementarità tra l’antigene
e il sito di legame.
Dominio VH formato dai tratti ipervariabili CDR1, 2, 5
Domino VL formato da tratti ipervariabili
E’ necessario avere un gene produttivo: il gene V staccato deve essere
legato agli altri D e J i quali distano all’incirca 100 kb si ha quindi
un riarrangiamento.
A disposizione non abbiamo solo un gene V, D, J: disponiamo di più
di 100 geni V, 20 D, mentre J sono in numero fisso di 6.
Durante l’ontogenesi viene selezionato un solo V un solo D un solo
J. Il riarrangiamento avviene in due tempi: da principio si forma il complesso
DJ, in un secondo tempo viene giustapposto il gene V che codifica per il
dominio variabile: si ha così il complesso VDJ. A questo complesso
va aggiunto il tratto che codifica per la parte costante, la catena C che
si trova più lontano. Inizialmente il fenomeno di splicing porta
solo all’espressione di CH: la specificità dipende dal riarrangiamento
genico e consente di riconoscere tutti gli antigeni.
Il gene per la catena H si trova sul cromosoma 14.
Le catene L sono invece di due tipi: m e l codificate da due geni che
si trovano: per m sul cromosoma 2, per l sul cromosoma 22.
Quindi i cromosomi 2, 14 e 22 portano geni che nei linfociti B sono
sottoposti a riarrangiamento.
Il riarrangiamento dei geni che codifica per le catene L inizia dopo
che si è concluso quello delle catene H (le cellule pre-B hanno
solo catene H). Dopo la cellula tende a riarrangiare dapprima sul cromosoma
2 i geni per le catene m: se tale riarrangiamento fallisce, inizia quello
su cromosoma 22 per le catene l. In un individuo normale le cellule B possiedono
IgM con entrambe le catene, se si riscontrano soltanto le une o le altre
si ha sospetto di possibile leucemia.
La linfocitopoiesi B avviene sia nel fegato (vita fetale) che nel midollo
osseo (vita post natale) e dura per tutta la vita.
Midollo osseo: si trova nelle trabecole ossee; presenta cellule sia ad evoluzione mieloide che linfoide. Le lamelle ossee dell’osso spugnoso, delimitano le cellette ossee al cui centro c’è un seno centrale verso cui confluiscono altri sinusoidi. Quando la cellula B è matura entra nel seno centrale e si porta attraverso il circolo ematico agli organi periferici. A sostenere la linfocitopoiesi pensano le cellule reticolari del midollo osseo le quali secernono le interleuchine, che sono fattori di crescita per il linfocita B. Tali cellule accessorie sono necessarie per la proliferazione e il differenziamento dei linfociti B. Le cellule b mature si dirigono verso il lume del sinusoide dopo la fase maturative che avviene in contatto con le cellule reticolari tramite molecole di adesione.
LINFONODO
Organo ovoidale provvisto di capsula (dimensioni da pochi millimetri
a 1 cm), disposti lungo il corso dei collettori linfatici presentanti territori
definibili per le popolazioni cellulari.
Capsula: formata da connettivo denso, invia trabecole nel parenchima
senza dividerlo in lobi e lobuli; a livello di una faccia si approfonda
a costituire l’ilo. I collettori afferenti perforano la capsula e sfociano
in un’ampio seno al di sotto di essa (il seno marginale), il quale continua
in cavità denominate seni linfatici della corticale, e della midollare,
da cui ha origine un seno terminale e da questo il collettore efferente.
Il collettore efferente, uno solo, esce dall’ilo diretto verso un’altro
linfonodo; l’ilo è anche la sede di uscita delle vene e di entrata
per le arterie.
Circolazione sanguigna: un’arteriola si ramifica all’interno portandosi
alla periferia dove hanno origine vene e poi venule. La linfa che esce
dall’ilo è depurata al 50% delle particelle che possono essere trattenute
dalla grande quantità di macrofagi presenti nel parenchima; funge
perciò da filtro.
PARENCHIMA DEL LINFONODO
Esiste uno stroma che forma un reticolo a cui aderiscono le cellule
reticolari (voluminosi fibroblasti che producono le fibre reticolari).
Tale stroma accoglie il parenchima diviso in tre zone:
1) cortex
2) paracortex
3) midollare
CORTEX
Cortex è la zona più esterna, B dipendente, riconoscibile
per la presenza di formazioni tondeggianti, i follicoli linfoidi. I follicoli
linfoidi si dividono in primari e secondari. I primari sono provi di centro
germinativo, contengono solo cellule B vergini e so,o presenti solo i linfonodi
fetali o di neonato (in membrana IgM o IgD). I secondari si evolvono dai
primari in seguito a stimolazione antigenica. Sono formati da una zona
esterna più scura detta mantello che ha solo cellule B vergini,
e una sona interna più chiara, il centro germinativo che è
la sede dei linfociti B memoria per il 95% (hanno già visto l’antigene).
Nel centro germinativo sono presenti infatti delle cavità (buchi)
non occupati da cellule B, queste cellule garantiscono il funzionamento
del centro germinativo e sono:
a) macrofagi in posizione centrale e nella zona di passaggio tra mantello
e centro germinativo (95%)
b) FDC o cellule dendritiche follicolari: hanno un basso potere fagocitario,
ma un’alta capacità di riesprimere in membrana l’Ag. (1%)
c) cellule TH CD4+ (>10%)
Nel follicolo linfoide secondario il mantello è più sviluppato
a livello superficiale (il polo profondo è quasi invisibile ed è
la sede di ingresso verso il centro germinativo).
Con l’incontro con l’Ag la cellula B viene attivata e si hanno perciò
dei blasti B primari (addetti alla risposta primaria).
Questi popolano il centro germinativo, proliferano e si trasformano
in centroblasti, cellule grandi prive di Ig di membrana (hanno perso IgM
e IgD) e che hanno grande capacità proliferativa: da questi originano
i centrociti, cellule più piccole che riesprimono Ig, diversi per
isotipo, ma identiche per specificità (è stato infatti eseguito
un switch-over, un riarrangiamento genico grazie a cui hanno selezionato
i geni per g, s, e e non più per m o l.
Questa proliferazione può avere tuttavia portato alla riuscita
di cellule specifiche, ma non appropriate: queste muoiono per apoptosi
e sono fagocitate dai macrofagi qui presenti (i macrofagi che hanno fagocitato
sofo detti corpi tingibili).
Le cellule giuste hanno invece ricevuto segnali positivi dalle FDC
e sopravvivono.
Se la risposta primaria è risultata sufficiente, il centro germinativo
rimane fermo: le cellule rimangono lì fino al 2° incontro con
l’Ag: quando lo incontrano diventano blasti secondari che evolvono in cellule
B memoria o plasmacellule (che hanno per il 70-80% IgG): risposta secondaria
più efficace.
FUNZIONE DELLE CELLULE NEL CENTRO GERMINATIVO
Qui avvengono interazioni adesive tra cellule.
FDC: cellule che concentrano Ag, ad essi si legano le Ig circolanti
e si forma un complesso Ag-Ig detto icosoma. L’icosoma così costituito
va verso la cellula B, se il linfocita non effettua il riconoscimento va
incontro a morte. La cellula che invece effettua il riconoscimento interiorizza
l’icosoma e lo riesprime nel contesto di una MHC II: così presentato
l’Ag può essere riconosciuto dalle cellule T (TH CD4+) che non potrebbero
invece riconoscere gli icosomi liberi.
Si instaura così una memoria.
AIDS: è una malattia che comporta la distruzione di cellule
TH con conseguente mancata risposta immunitaria (non sarebbe vero in quanto
esistono le cellule B memoria).
Il virus si presenta nel centro germinativo e ciò comporta delle
microlesioni, esso si deposita sulla superficie delle FDC. A livello del
centro germinativo, invece di trovare TH iniziano ad entrare cellule Tc
(CD8+): questo comporta la distruzione delle cellule FDC le quali presentano
l’Ag nel contesto di MHC I: si ha così l’uccisione delle cellule
memoria.
Quando il fenomeno del centro germinativo si interrompe, si formano
delle cellule sensibili dalle quali si originano blasti secondari che possono
evolvere in cellule B memoria o in plasmacellule a differente destino.
PARACORTEX
Presenta aree T dipendenti, cellule interdigitate, venule ad endotelio
alto (le cellule interdigitate sono di tipo APC cellule presentanti l’antigene.
Le venule post-capillari ad endotelio alto: sono venule sottoposte
all’interazione con i linfociti. Le cellule endoteliali che lo rivestono
presentano una cupola elevata, con una lamina basale. Tali venule sono
una zona di elevato traffico cellulare e rappresentano una via di uscita
per i linfociti T (dal torrente circolatorio).
Le cellule interdigitate presentano l’Ag alle cellule T helper, non
possiedono un’alto potere fagocitario e presentano vescicole endosomiche
in cui vengono eliminati i peptidi che vengono riespressi in membrana.
Le cellule di Langherans si trovano nell'epidermide e si tratta di
cellule che vedono l’Ag e presentano marcatori di Birbeck (cellule a velo).
Tali cellule in seguito a stimolazione antigenica passano poi nel derma
ed entrano nei vasi linfatici e raggiungono il linfonodo attraverso collettori
efferenti come cellule a velo. Entrano quindi nella paracortex e divengono
cellule interdigitate che presentano l’Ag ai linfociti T (dopo aver perso
i granuli di Birbeck).
Seno marginale: cavità sottocapsulare in cui si versa la linfa
giunta attraverso i collettori efferenti; è tappezzata da endotelio
che riveste anche le trabecole che si trovano all’interno del seno e che
permettono una circolazione più lenta della linfa.
Inoltre la parete del seno marginale si continua con i seni della corticale
e della midollare anch’essi rivestiti da endotelio.
MIDOLLARE
cordoni cellulari: plasmacellule
macrofagi
piccoli linfociti
seni
Milza
Organo linfoide periferico pieno presentante una capsula esterna da
cui si dipartono setti in cui decorrono vasi (non è suddividibile
in lobi).
Si divide in: polpa bianca: compartimento linfoide (sede delle risposte
immunologioche)
polpa rossa:
compartimento non linfoide che attornia seni venosi (ha diversa funzionalità)
La polpa bianca è un territorio compatto con sezione di arteriole
che intorno ai vasi forma delle guaine linfoidi periarteriolari. I vasi
penetrati dall’ilo si approfondano nei setti e quando ne escono, intorno
all’arteriola si dispone la polpa bianca. Le guaine presentano follicoli
linfoidi con mantello e centro germinativo e sono percorsi assialmente
dall’arteriola.
Mantello: prevalentemente linfociti T
Centro germinativo: per lo più linfociti B. Tale centro si forma
per stimolazione antigenica che determina una risposta umorale e quindi
produzione di plasmacellule. All’apice l’arteriola si divide nelle arteriole
penicillari; una piccola parte i questa si versa nei seni venosi della
polpa rossa, mentre la maggior parte dà origine a capillari con
guscio (di macrofagi) il cui sangue si getta direttamente nei cordoni della
polpa rossa (ossia un territorio extravascolare per cui il circolo à
aperto). Il plasma rientra facilmente nei seni venosi della polpa rossa
e rientra in circolo; invece buona parte della componente figurata del
sangue resta bloccata nei cordoni della polpa rossa.
La polpa rossa è formata da cordoni di Bilroth separati da ampi
seni venosi. I cordoni sono formati da uno scheletro reticolare che dà
supporto alle vere cellule che qui sono macrofagi (cellule residenti) ed
elementi figurati del sangue (eritrociti, piastrine, leucociti tra cui
anche delle plasmacellule).
La presenza di elementi figurati nella polpa rossa spiega una delle
funzioni della milza (eritro e trombo cateretica). I globuli rossi vecchi
e malati hanno una membrana più rigida e fragile e hanno perso acido
sialico; questo fatto smaschera sulla superficie eritrocitaria mannoso.
Questi cercando di rientrare nei seni venosi della polpa rossa vengono
in contatto con i macrofagi disposti intorno ad essi; i macrofagi possiedono
recettori per il mannoso e distruggono l’eritrocita. Ciò innesca
un processo di distruzione dell’emoglobina che poi continuerà nel
fegato. inoltre la milza a livello della polpa rossa fa da serbatoio (infatti
le piastrine essendo molto adesive soggiornano a lungo nella milza: addirittura
1/3 del patrimonio totale risiede qui).
Seni venosi della polpa rossa
Tra di essi si aprono i rami penicillari che versano il sangue nei
cordoni. Sono vasi molto permeabili che lasciano passare il plasma, inoltre
la loro struttura è particolare: sono formati da un avvolgimento
di fibre reticolari che fanno da supporto all’endotelio formato da cellule
allungate le quali presentano fenestrature (tra di essi filtra il plasma
e possono passare anche cellule deformandosi); presentano inoltre una lamina
basale discontinua (strutture a botte con doghe), cellule endoteliali e
cerchi che formano fibre reticolari lungo la loro parete sono presenti
i macrofagi che impediscono il passaggio in circolo di eritrociti vecchi
e malati.
ZONA MARGINALE
E’ la zona di passaggio fra polpa bianca e polpa rossa. Presenta vasi
detti seni marginali che ricevono collaterali dall’arteriola avvolta dalla
guaina linfoide. Il più esterno è detto seno perimarginale
e contrae anastomosi con i seni venosi della polpa rossa: si instaura così
un circolo chiuso che impedisce così una forte riduzione della massa
sanguigna circolante.
In un individuo splenectomizzato la funzione della milza è attuata
da fegato e midollo osseo: tuttavia saranno presenti un circolo e un numero
altissimo di piastrine e di eritrociti vecchi e con forme bizzarre in quanto
l’assenza della milza non ne ha permesso la distruzione.
Funzioni della milza
- Risposte immunitarie contro antigeni e patogeni nella via ematica
- Eritrocateresi e trombocateresi da parte di macrofagi
- Funzione di serbatoio. Quest’ultima funzione è meno marcata
nell’uomo, per una mino componente muscolare esterna.
MALT
E’ un compartimento separato nell’ambito degli organi linfoidi
periferici specializzato nel garantire protezione (risposte immuni) alla
mucosa degli organi cavi.
Dati di struttura degli organi cavi
Tonaca mucosa: riveste internamente gli organi cavi e consta di epiteli
di rivestimento, la lamina propria e la muscolaris mucosae. L’epitelio
di rivestimento rappresenta la superficie esposta all’azione degli antigeni
ed ha fondamentalmente funzione protettiva. In alcuni casi assorbente (intestino
tenue), secretiva (stomaco), e funzione specializzata a seconda delle zone
in cui si trova (mucosa olfattiva).
La lamina propria è costituita da tessuto connettivo piuttosto
denso e contiene un gran numero di cellule, tra le quali vanno ricordate
anche le plasmacellule; la lamina propria è riccamente vascolarizzata
e presenta numerosi aggregati di cellule linfoidi che talora possono organizzarsi
in veri e propri organi; infine nella lamina propria sono presenti ghiandole
di vario tipo che riversano il loro prodotto nel lume dell’organo.
Profondamente alla lamina propria si trova la muscolaris mucosae che
assicura alla mucosa, dove necessario, una mobilità svincolata da
quella complessiva dell’organo affidata alla tonaca muscolare. Profondamente
alla muscolaris mucosae può trovarsi la sottomucosa che svincola
la mucosa dalla sottostante tonaca muscolare. Ancora può esternamente
si trova la tonaca avventizia; in alcuni organi l’involgimento più
esterno è formata da una tonaca sierosa.
Per quanto riguarda gli epiteli, in alcuni casi (mucosa respiratoria)
esso è provvisto di cellule ciliate e cellule mucipare caliciformi;
l’epitelio di rivestimento della mucosa gastrica (fondo e corpo) consta
di cellule a muco; il muco prodotto da queste cellule svolge un ruolo protettivo
nei confronti della mucosa.
La lamina propria può essere organizzata a costituire l’asse
di pieghe e villi oppure può presentarsi piatta sopra la muscularis
mucosae.
Il tessuto linfoide assume nella mucosa diversi tipi di organizzazione:
può formare aggregati isolati, detti noduli solitari, oppure presentare
più ammassi vicini fra loro a formare noduli aggregati; queste formazioni
sono presenti nell’apparato digerente e nelle vie respiratorie.
Esistono formazioni dette placche di Peyer localizzate in un
definito segmento dell’intestino tenue, l’ileo; queste formazioni presentano
zone T e B dipendenti (follicoli secondari); in corrispondenza delle placche
di Peyer si interrompe l’organizzazione caratteristiche della mucosa intestinale
(villi + cripte) ed abbiamo una zona pianeggiante costituita da cellule
particolari, le cellule M (microfold) in corrispondenza delle quali abbiamo
l’attacco degli antigeni. Questa zona non presenta villi e cripte e non
si tratta di un epitelio classicamente assorbente. L’epitelio presenta
un certo numero di cellule M (non ne è costituito) che presentano
una superficie luminale che è sollevata in micropliche; l’organizzazione
el tessuto linfoide è come al solito in zone B e T dipendenti; queste
ultime presentano HEU e cellule presentanti antigene del tipo interdigitate;
tra gli organi linfoidi, solo nella milza non si trovano HEU.
Se consideriamo ora questi aggregata di tessuto linfoide, possiamo
constatare come in alcuni casi, esso si organizzi a costituire veri e propri
organi, le tonsille; L’anello linfatico di Waldeier consta di: tonsilla
palatina (istmo delle fauci), linguale, laringea (a livello delle pieghe
ventricolari), faringea (volta della faringe) e tubarica (contorno orifizio
faringeo della tuba uditiva).
Altro organo del malt è l’appendice, che è un’estensione
dell’intestino cieco, la cui lamina propria è occupata da un notevole
quantitativo di tessuto linfoide. Le tonsille presentano una superficie
accidentata per la presenza di depressioni, dette cripte tonsillari, la
cui superficie è rivestita da un’epitelio di rivestimento, caratteristica
della zona in cui si trova la tonsilla (palatina Æ epitelio pavimentoso
stratificato, faringea Æ epitelio respiratorio, cioè batiprismatico
pluriseriato con cellule ciliate); profondamente sono delimitate da una
capsula fibrosa che ne consente, se necessario, l’asportazione. Annesse
alle tonsille si trovano ghiandole a secrezione esclusivamente mucosa;
queste è importante in quanto si viene a creare una patina di muco
sulla superficie dell’epitelio che cattura patogeni e virus prolungando
il periodo di permanenza di questi patogeni sulla superficie della tonsilla.
Esistono quindi caratteri fondamentali che contraddistinguono gli organi
che costituiscono il malt: in primo luogo la compartimentalizzazione ->
si tratta di un complesso di formazioni, che per tipo di risposta e difesa
settoriale, costituiscono un compartimento distinto rispetto agli alti
organi linfoidi periferici e questo è dimostrato da un fattore:
i linfociti che si dipartono dalle mucose ritornano alle mucose; inoltre
le risposte umorali che avvengono in questi organi comportano principalmente
la produzione di IgA, che hanno la proprietà di poter essere secrete
alla superficie dell’epitelio, ed in questa posizione contribuiscono alla
prima difesa dell’organismo.
Questa specificità a livello della risposta immunitaria è
dovuta alla presenza di un particolare tipo di linfociti T helper, che
producono citochine, le quali si attaccano ai linfociti B, stimolando lo
switch isotipico verso la formazione di IgA. Avremo quindi la presenza
a livello delle mucose di plasmacellule contenenti IgA.
Da notare che questo tipo di risposta non avviene a livello dei noduli
linfatici e delle placche di Peyer ed infatti qui non troviamo plasmacellule
che producono IgA in quanto sarebbe una risposta puntiforme; le IgA si
disperdono sulla superficie della mucosa e consentono una risposta più
generalizzata.
Un’altra caratteristica del malt è una maggior concentrazione
di linfociti T che presentano recettore per l’antigene del tipo g/d; infine
si sono trovate particolari cellule dette linfociti intraepiteliali e si
pensava che questi linfociti fossero cellule in transito o cellule che
dovevano essere eliminate; hanno in realtà una funzione estremamente
specifica: presentano una funzione citotossica nei confronti di quei patogeni
che sono in grado di penetrare all’interno dell’epitelio; da notare che
questi linfociti intraepiteliali sono al 99% linfociti T e per buona parte
presentano un TCR di tipo g/d.
Un’altro aspetto importante riguarda la prevalente produzione di IgA
rispetto ad immunoglobuline di altro isotipo.
Produzione e trasporto di IgA a livello delle mucose
Nell’uomo le IgA rappresentano la classe di immunoglobuline più
abbondante nelle secrezioni esocrine, dove svolgono il compito di impedire
l’entrata di patogeni attraverso barriere epiteliali.
Le IgA presenti nel siero sono monomeri; le IgA presenti nelle secrezioni
sono dimeri; le due code sono legate ad una proteina detta catena J che
stabilizza anche i pentametri IgM e viene sintetizzata dalla stessa plasmacellula;
le plasmacellule sono localizzate nella lamina propria delle mucose e rilasciano
dimeri IgA + J; è necessario che il dimero passi dalla lamina propria
alla zona opposta (superficie dell’epitelio di rivestimento).
Sulla superficie profonda dell’epitelio di rivestimento si trovano
recettori detti poli-immunoblubulinici, caratterizzati da un’elevata specificità
per IgA (riconoscono IgA più di altre Ig). Si tratta di recettori
capaci di legare specificatamente IgA in corrispondenza della porzione
centrale del dimero. Il recettore è detto molecola di trasporto
o di secrezione; il complesso recettore-dimero-J viene endocitato e diviene
vescicola di trasporto; va a fondere con la membrana localizzata sul versante
opposto Æ il complesso viene interiorizzato in vescicole di endocitosi,
trasportate attraverso il citoplasma verso il polo superficiale delle cellule
dell’epitelio di rivestimento; a questo punto il complesso viene a trovarsi
in un ambiente ricco di enzimi proteolitici (intestino), la cui azione
specifica porta alla rottura del complesso; si stacca il dimero IgA + J
ed un frammento di recettore detto pezzo di trasporto o di secrezione,
che protegge il dimero dalla proteolisi, maschera un eventuale sito di
attacco per gli enzimi.
L’altro frammento del recettore resta nel contesto della membrana.
Sulla superficie esterna della mucosa si produce così una
patina di IgA che sono in grado di riconoscere in modo specifico quei patogeni
che avevano stimolato una risposta immune a livello delle placche di Peyer.
Esistono organi con un’abbondante corredo di plasmacellule, come le
ghiandole salivari Æ attraverso questo tipo di trasporto dalle plasmacellule
stromali le IgA sono trasportate direttamente nel secreto; le IgA vengono
secrete nella bocca tramite i dotti escretori di queste ghiandole; viceversa
nel caso precedente una risposta immunitaria che parta dalle placche di
Peyer produce una patina di IgA sulla superficie dell’intestino non solo
nella zona della placca di Peyer, ma anche nelle zone circostanti.
Un’altro esempio è dato dalla ghiandola mammaria Æ
dalle plasmacellule stromali le IgA vanno a finire abbondanti nel colostro
ma anche nel latte; IgA nel latte aiutano il sistema il sistema immunitario
del bambino non ancora completamente formato; dimero IgA + J + pezzo di
secrezione superano l’ambiente gastrico del bambino che ha un pH di due
o tre unità superiore rispetto al pH gastrico di un adulto.
In corrispondenza delle cripte tonsillari troviamo numerosi follicoli
linfoidi secondari (mantello + centro germinativo); questo perché
in corrispondenza delle cripte rimangono invischiati i patogeni e quindi
qui avviene la risposta immunitaria; da notare che una risposta immunitaria
che porti con sé un fenomeno infiammatorio può causare
infezione in corrispondenza delle cripte proprio a causa dell’ elevato
numero di anticorpi .
Tonsilla linguale Æ tozzi rilievi
determinati da tessuto linfoide; sottomucosa con abbondanti ghiandole a
secrezione mucosa pura; ampie cripte circondate da follicoli;tutte le altre
tonsille presentano una struttura analoga. Cambia però il
tipo di epitelio che riveste la superficie della tonsilla.
Tornando alle placche di Peyer occorre notare che l’epitelio
che riveste queste placche non é formato solo dalle cellule M, che
sono presenti anzi in minor misura; queste cellule hanno una grande capacità
di interiorizzare antigeni e riesprimerli sul versante opposto, dove verranno
presi in consegna da cellule presentanti antigene del tipo cellule interdigitate;
secondo alcuni le stesse cellule M avrebbero la capacità di processare
l’antigene presentandolo a cellule T nel contesto di MHC di classe II.
RICIRCOLO DEI LINFOCITI Æ la presenza
di una risposta immunitaria a livello di una placca di Peyer produce una
serie di linfociti attivati che andranno, per esempio, all’epitelio dell’intestino
attraverso la rotta linfatica; nel percorrere tale rotta i linfociti non
sostano nei linfonodi, ma proseguono.
Zona T dipendente placche di Peyer Æ presenza di HEU con molecole
di membrana dette addressine, che determinano l’arresto dei linfociti dotati
di recettori per le stesse.
I linfonodi non fanno fermare i linfociti destinati a tornare nella
mucosa intestinale perché non possiedono addressine.