Ennio

L'Ingranaggio e la Rete 
Politiche di apprendimento e organizzazione
di Ennio Martignago n. 0.1 Febbraio 1997

Editoriale

Una nuova veste per un nuovo corso di gearing. L'impegno soverchio di introdurre dei materiali più ragionati ma anche più impegnativi da rinvenire e da produrre viene messo sullo sfondo. I lavori precedenti e quelli a venire sono posti nel link Consultazione posto nel riquadro di chiusura assieme all'indice degli editoriali che compongono questa home page.
Ho preferito privilegiare una certa frequenza nelle uscite della
home page che contiene questo fondo costituito di considerazioni personali e notizie dal mondo dell'organizzazione, del lavoro e dell'apprendimento degli adulti.
Questa scelta nasce dal bisogno di testimoniare con maggiore puntualità i temi critici di una transizione sempre più difficile della nostra società. Saremo in linea con un nuovo bollettino a scadenza quindicinale-mensile (nelle intenzioni c'è l'approdo ad una sempre maggiore regolarità) e l'uscita verrà annunciata per email a quanti sono iscritti alla lista di diffusione
Digizine o intendano farlo (con Email all'autore).

Privatizzazioni e Giubilei

Qualche giorno fa il sindaco Rutelli si è recato dal Papa con la richiesta di un miracolo a scelta: o l'annuncio del giubileo si trasforma in un brutto sogno o Roma dimagrisce di qualche milione fra abitanti e pendolari.
Il fatto è che tutta questa centralizzazione non piace, non solo ai leghisti, ma neppure ai romani. E non è che i leghisti abbiano da far più di tanto di tutta l'erba un fascio, perché le sorti di Milano non sono affatto diverse.
Il fatto è che centralizzare piace tanto alle aziende. Allo snellimento delle strutture organizzative non corrisponde un'analoga architettura geografica. Il decentramento del potere e la delega tanto strombazzate non si ritrovano più sulla cartina. La scomparsa dei livelli intermedi non ha nessun senso se si traduce in un aumento di dimensioni ed attività centralizzate. Ecco dunque che sempre più spesso le fantasie di
holding sfumano sul piatto della solita sudditanza. No, i nuovi modelli organizzativi non hanno fatto bene ai nostri top manager. Abituati come sono a dover andare a bussare alle porte di ministeri e potentati vari per contrattare i margini della loro indipendenza portano tutti i loro centurioni negli unici due posti che contano: le capitali. A Roma vanno gli strateghi e i governanti amministrativi, mentre a Milano vanno a finire le direzioni tecniche e tutti i laboratori. Con il risultato di mettere in atto migrazioni di massa verso città già poco vivibili in attesa del collasso definitivo, da realtà periferiche sempre più votate alla desolazione.
Non c'è nulla di nuovo in tutto ciò salvo che il fenomeno delle privatizzazioni sta accelerando questa escalation parossistica. STET, ENEL, F.S., P.T.... tutte queste aziende trmebonde al solo pensiero di dar prova d'efficienza stanno preparando le tradotte per le capitali, lasciando le regioni vedove di migliaia di posti di lavoro, di centinaia di servizi al cliente, di milioni di transazioni commerciali e appalti diretti.
E cosa dovrebbe fare chi resta? Dare ancora retta a sindaci e imprenditori che difendono un'organizzazione centralista o organizzarsi per forme nuove di sopravvivenza economica?
Tutta quasta centralizzazione è un pretesto perfetto per le tesi separatiste. Il Nord-Est si era già attrezzato per stare a galla in questa situazione e per questo è assurto a modello per i cittadini del Nord. Ma tutte le altre regioni come reagiranno? E non sto parlando solo del Nord (che pure nel versante occidentale non sta affatto versando in buone acque), ma anche del centro e del sud e delle isole. Mentre Roma e Milano vomitano tossine di invivibilità, la Sardegna i piani di sviluppo se li inventa, il Piemonte può continuare ad immaginare parchi tecnologici fini a se stessi, la Toscana e l'Umbria possono essere vendute definitivamente ai tedeschi, la Basilicata può lanciare un
Cash and Carry di sassi per l'esportazione, lo sviluppo della Campania sarà alimentato a latte di bufala, e così via.
Sentendosi impegnati a dar prova di modernismo i nuovi vertici fanno un gran parlare di telelavoro, ma in Italia quello sembra che, a parte pochi rappresentanti, non lo faccia nessuno. Si fa un gran parlare di globalismo, ma il problema attuale di paesi come il nostro non è tanto come entrare nel villaggio globale (da tutti ormai smascherato per quello che è: un turpe oligopolio internazionale), quanto
che tipo di transazioni studiare per creare dei villaggi locali in grado di rapportarsi con nuove relazioni internazionali.
Non bastano provvedimenti contradditori come tagli di personale e di spese, da un lato, e aumenti di tasse, dall'altro per diventare un paese competitivo ci vuole una seria politica di sviluppo e di diffusione della cultura del lavoro, del servizio e del miglioramento sociale. Ogni teoria amministrativa o gestionale che non sia in grado di seguire questi indirizzi assieme a coloro che la applicano portano questo paese alla regressione, alla povertà, alla barbarie.

Bibliografie & URLerie




Questa pagina e' stata visitata volte.

Consultazione dei materiali precedenti

Archivio degli Editoriali

N.0

Fra poco sara' la pagina dedicata all'apprendimento della rivista elettronica Sesto Potere (in queste pagine sarete avvisati sulla sua uscita).