LIGHTZOO:Italian Film in Review:Gianni Amelio

LIGHTZOO:Gianni Amelio


REVIEWS

L'amore molesto dir. Mario Martone

Libera dir. Pappi Corsicato

Big Night dir. Stanley Tucci

La Seconda Volta dir. Mimmo Calopresti


Lamerica dall’Albania attraverso l’Italia fino agli Stati Uniti: un’interpretazione politica

Irene Marcheggiani Jones, Cal State Long Beach

Anche se Lamerica inizia con un cinegiornale fascista sull’invasione italiana dell’Albania, il film non è un documentario, come nota Antonio Vitti, bensí un lavoro di grande respiro che comprende problematiche universali, in una prospettiva largamente storica riflettente la disgregazione dell’ottica unica ed omogenea e l’allargamento di questa ad abbracciare campi e punti di vista divergenti dell’umanesimo più contemporaneo. Dopo la caduta del regime comunista di Enver Hoxka, Fiore, corrotto imprenditore italiano interpretato da Michele Placido, arriva a Tirana insieme a Gino (Enrico Lo Verso di Il ladro di bambini) per mettere su una fittizia fabbrica di scarpe. Fiore torna presto in Italia mentre Gino è costretto ad un’angosciosa corsa attraverso l’Albania nel tentativo di tornare in Italia, affrontando un viaggio al di fuori e all’interno di stesso, attraverso in una terra impoverita come il suo spirito, devastata dalla povertà, dal disfacimento politico e dalla corruzione, mentre la disperazione lo denuda a poco a poco di tutti i falsi valori che costituivano la sua identità. Si ritrova a lottare insieme a coloro la cui ultima speranza è di emigrare in Italia, considerata oggi come gli emigranti italiani di un tempo consideravano l’America. Scrive Amelio: <>. Se nel primo dopoguerra il cinema italiano poteva essere considerato rappresentativo di un sentimento popolare e nazionale, connessione primaria fra l’immagine e l’identità collettiva, oggi invece è stato messo in luce, ad esempio da Rosi, come questa rispondenza storica si sia andata indebolendo, a causa della perdita di un’immagine nazionale e il moltiplicarsi delle fratture culturali e regionali. In Lamerica il discorso documentaristico si unisce alla denuncia politica, il linguaggio dell’affresco storico e la struttura corale si intrecciano sia alla tipologia del viaggio che alla vicenda individuale di una trasformazione interiore: il referente dell’Italia e dell’Albania si allarga a metafora globale dell’immigrazione, e il film ne risulta composto di registri e modalità letterarie eterogenei. Lamerica è stato criticato “da sinistra” e dallo scrittore albanese Ismail Kadaré soprattutto per aver taciuto del ruolo che i poveri contadini albanesi tennero dopo l’8 settembre del ’43 nel salvare, nascondere, sfamare più di 20.000 soldati italiani, per non aver illustrato a sufficienza il contrasto fra il comportanto dei contadini albanesi del ’43, che istintivamente perdonarono gli italiani che pure avevano devastato la loro terra, e gli italiani di oggi che nel ‘91-’92 hanno rinchiuso in uno stadio e poi deportato poche migliaia di albanesi che fuggivano dalla fame e miseria del loro paese. Ma tutto il film rappresenta una meta-storia contemporanea, la denuncia dell’odierna conquista economica e culturale che l’Italia non riuscì a completare con le armi sotto il fascismo. Forse proprio per la vaghezza allusiva a determinati referenti storici, letterari e cinematografici, Amelio arricchisce il discorso locale relativo facendone emblema e mito di verità metastoriche. Una scena desolata come quella in cui un gruppo di bambini derubano il vecchio Spiro (interpretato dall’ottantenne non professionista Carmelo di Mazzarelli), e sono pronti ad uccidere per un paio di scarpe non ci invia solo un messaggio anticapitalista ed antimperialista, ma è una metafigura (in senso cinematografico) dello sfruttamento che avviene in tutti i paesi in via di sviluppo da parte delle ricche compagnie delle nazioni industrializzate. La corruzione politica del dopo regime non è solo quella che nasce come conseguenza del comunismo più repressivo, è anche il frutto della presenza politica straniera sfuttatrice e scaltra che approfitta delle debolezze interne per assurgere a un potere che sarà sempre più accresciuto dalla dipendenza economica. Come possiamo noi non pensare a paesi come il Messico, la cui emigrazione clandestica proprio da coloro che ufficialmente la condannano è invece copertamente favorita in quanto spesso costituisce la base dell’economia di interi stati? In scene ancora “corali” folle di individui (uso di proposito questi due termini contrastanti) tentano di raggiungere il porto per imbarcarsi verso l’Italia dei loro sogni e per questo vengono picchiati, ricacciati indietro dalla polizia, simbolo delle strutture al servizio di un potere che, di qualunque forma si rivesta, non ha mai risposto alle necessità del proletariato, il quale resta sfruttato sotto ogni regime proprio da quelle strutture che lo rappresentano e non cambiano mai. E come possiamo noi non fare riferimento mentale alla solo apparente disgregazione della DC in Italia, dove la classe al potere resta la stessa, gli individui nelle singole amministrazioni sono gli stessi pur sotto l’egida di nomi diversi? Il vecchio Spiro-Michele che aveva conosciuto i picchiatori fascisti alla vista dei polizziotti albanesi resta immobilizzato, preso dal terrore, a rappresentare l’archetipo delle nostre paure. F.1 Fiore e Gino hanno trovato questo presidente-burattino (di cui hanno bisogno per impiantare la presunta fabbrica) in una ex prigione, la visita della quale resta l’immagine più oscura e infernale del film. Coloro che ancora vi abitano pur se ora liberi sembrano circondare i due italiani come le anime senza speranza dovettero circondare Dante. I colori scuri, la mancanza di luce, i visi sporchi neri barbuti vecchi, indefiniti come ombre, l’angustia del luogo soffocano Fiore che grida spaventato:<> F.2 La mancanza d’aria, l’irrespirabilità del posto si fanno palpabili anche per lo spettatore; queste anime dell’inferno non sono solo le larve abbandonate e dimenticate dal regime precedente, come Spiro che ci vive dal ’41, ma sono le anime di tutti i dimenticati di ogni tempo e di ogni luogo. Qui suona con accenti aspri di verità il commento dell’accompagnatore albanese il quale continua come un sottofondo alle immagini a decantare il posto quando era una prigione, tenuta in ordine, ben organizzata, pulita:<> E lo dice con orgoglio. Questa presunta libertà democratica è allora peggiore della prigionia di un regime? L’ex prigione è un luogo storico reale che diventa allegoria della pseudo-libertà, del controllo e dello sfruttamento che sono eterni. Ho parlato di affresco e di film corale, ed infatti il discorso di Lamerica è polifonico. Altre scene di folla sono ad esempio quelle sul treno, sulla corriera, sul camion, ed infine sulla nave, mezzi che gli albanesi sperano possano servire a condurre verso quest’altrove italiano da tutti agognato. Ma anche in una sinfonia ci sono gli a solo: da dentro l’affresco emergono motivi e discorsi individuali, come nel caso di Gino e Spiro, e piccole voci che si sollevano dall’oscurità della disperazione della moltitudine e restano minuscole immagini e sottili, a raffigurare speranze minime. Da un angolo di strada si solleva la voce limpida di una giovane che va insegnando ad un gruppo di ragazzi le parole italiane della speranza e del futuro, parole che, come ha notato il Vitti, riassumono i temi del film, come strada, acqua, sogno, fame, mare. F.3 In un albergo occupato da famiglie senza casa una bambina danza da sola alla musica di un programma televisivo italiano: figuretta da cui la macchina da presa piano si allontana a delinearne quasi solo il contorno. Scena n.1 Lamerica si concentra anche su alcune individualità ben precise, che esito a chiamare protagonisti perché credo che il film sia post-moderno anche nel succedersi dei soggetti che si alternano al protagonista più vasto che è il popolo albanese con la sua metafora. All’inizio Fiore arriva con tutta l’aria di dominare la situazione e ci dà l’impressione di essere lui il motore della vicenda a condurre le fila di questo gioco tramato crudelmente alle spalle degli albanesi. Fiore non è figura che muti né ha tempo di svilupparsi ed evolversi poiché presto riparte per l’Italia e crede di poter continuare a dirigere da lontano attraverso un telefono che in realtà neppure funziona. Questo meschino imprenditore italiano per la mancanza di una sua storia personale diventa simbolo dell’arrivismo, della crudeltà e presunzione, del razzismo culturale e sociale. Egli considera gli albanesi, la loro storia e cultura, decisamente inferiori. Come scrive Edward Said in Orientalism, ci riconosciamo come un “noi” solo rispetto ad un “loro”: <> Siamo quindi tutti ancora membri di una “mezza civiltà.” Nel mondo contemporaneo si sono ridotte le distanze reali, si sono sgretolate le vecchie frontiere ed è innegabile una interdipendenza globale, ma forse è proprio questa vicinanza con l’”altro” ad acuire il bisogno di identificazione separata, del riconoscimento delle differenze più che delle similarità: si sente il bisogno di chiudersi ulteriormente e riaffermare le proprie radici e diversità originarie, come scrive Antonio Gambino: <>. Tipi come Gino e Fiore non sbarcano in Albania per aprire un dialogo, uno scambio pur sotto le leggi del mercato, ma per sopraffare e conquistare. Scrive Alfonso Di Nola:<< I neo-nazionalismi da un lato, e dall’altro il profilarsi eneludibile di una società plurietnica e pluriculturale, che annulla ogni differenziazione e barriera fra popoli, sono le forze antagoniste da cui nascono profonde conflittualità. La società pluriculturale corrisponde ad una fase di mutamento positivo, [mentre] il ritorno a forti affermazioni e rivendicazioni nazionalistiche è il momento regressivo>>. Ma Fiore se ne ritorna in Italia senza nessun dubbio sulla propria superiorità. E lascia Gino a districarsi in questo paese che a poco a poco lo spoglia della sua identità. Relegato Fiore ai margini, anzi fuori campo, ecco quindi che Gino sembra essere il protagonista: ma Gino con la sua storia di annullamento prima e di rinascita non esiste senza il contrapposto di Spiro/Michele e il coro degli albanesi. Formatosi al culto del possesso e dei valori della società capitalistica, Gino trova la sua debole e superficiale identità negli oggetti che a loro volta servono a dargli sostegno: ha bei vestiti, porta i Ray Ban, guida una Jeep nuova fiammante. Nel suo viaggio attraverso la desolata e poverissima Albania gradualmente perde le proprie spavalde sicurezze, ed anche, quando gli viene portato via il passaporto, la sua identità d’italiano. Una delle prime lezioni che costituiranno la materia della sua rinascita all’interno di un’umanità intesa come patto sociale fra esseri umani, gli viene impartita nell’ospedale dove sta cercando Spiro, quando parla con una dottoressa albanese la quale ha scoperto che il vecchio non è in realtà albanese ma italiano e si chiama Michele Talarico. Gino tira fuori il documento di Spiro Tozaj, come se sul foglio fosse scolpita la verità, ed insiste che “per la legge” deve essere albanese:<> e la dottoressa risponde:<> Concetti come quello di cittadinanza sono solo parole senza significato: il passaporto è un pezzo di carta che non vale niente, l'idea di una nazionalità o un'altra non ha più senso. Quando Gino perderà il suo passaporto, cosa sarà? italiano o albanese? Il commissario che glielo sequestra alla domanda di Gino:<> gli risponde:<> F.4a,b Un’altra scena simbolica del processo di apprendimento di Gino è quella in cui dalla sua famosa bellissima Jeep vengono rubate le ruote: la macchina è rappresentativa della cultura "superiore" dell’occidente, ma, una volta perse le ruote, la Jeep non serve a niente e a nessuno. Quello che era un grande giocattolo del Gino capitalista diventa un rudere ridicolo, metafora dell’inutilità della superiorità tecnologica. Scena n.2 Amelio ha parlato di memoria, e Lamerica ci presenta anche un discorso quasi di specchio a due faccie in cui si riflettono contemporaneamente i sogni passati degli italiani che desideravano emigrare verso l’America e le speranze degli albanesi di oggi di fuggire verso l’Italia, rappresentata attraverso la televisione come la terra promessa. Ma il parallelismo non è così netto e neppure semplicemente duplice: le linee della memoria storica e del presente si intersecano con le similarità e differenze, in rapporto critico le une verso le altre e ognuna verso se stessa, accentuando lo squallore dell’età presente in cui i sogni da quattro soldi possono solo essere infranti. Il ruolo determinante in questo “gioco degli specchi” spetta al vecchio Spiro-Michele dal doppio nome e dalla duplice, confusa identità. Prima di tutto è Amelio stesso ad affermare di non aver avuto l’intenzione di rappresentare gli aspetti più consueti dell’emigrazione quando dice:<> Anche sotto il fascismo esisteva un’immagine dell’Italia opposta a quella povera del luogo comune dell’emigrazione, offerta esclusivamente dalla propaganda fascista. Nel saggio “Cinema, Letteratura ed Emigrazione” Sebastiano Martelli illustra diversi treatments per un cinema di propaganda in cui è l’emigrato che dagli Stati Uniti sceglie di ritornare in Italia, diventata grazie al fascismo la nuova terra del benessere, e ritrova quindi nel proprio paese il mito dell’America. Cito: <> Nel film Lamerica la propaganda fascista che aveva promosso il mito del ritorno all’Italia come terra promessa è sostituita dalle imposizioni dei mass media e soprattutto della televisione che propaga falsità e sogni e quindi è strumento di delusione. La televisione è il mito democratico per eccellenza, massimo dispensatore di illusioni ed in Albania diventa strumento unico di informazione. In una nuova democrazia dove la libertà è solo apparente, questo mezzo di comunicazione di massa rappresenta la sola parvenza di libertà. Ci chiediamo: è soltanto la televisione che, viaggiando nell'aria da una nazione all'altra come i cittadini non possono fare, ad essere "libera”? Libera di vendere falsità. Se poi gli italiani emigrati in America pur con tanta fatica sono riusciti a realizzare almeno in parte i loro sogni, per gli albanesi di oggi non esiste neanche la possibilità di sperare. Sul camion F.5 dove sono ammassati Gino, Spiro e gli albanesi sulla via verso il porto, un giovane parla di quello che crede di trovare una volta arrivato in Italia, come ad esempio un lavoro e una casa per tutti, mentre parallelamente il vecchio Spiro-Michele racconta quello che pensa di trovare in America, “the promised land”, lui che crede di avere ancora vent’anni e di essere in viaggio per l’America. Il sogno dell'Italia ha sostituito il sogno dell'America in modi storicamente interscambiabili dove la storia e gli anni si confondono solo apparentemente: in realtà l’Italia di oggi e tutti i paesi industrializzati si vanno arroccando in posizioni sempre più negative e di rigetto dell’emigrante. È da notare che il vecchio parla dell'America proprio ad un albanese morente: è morta l'America e tutto ciò che essa ha rappresentato per tante generazioni. Cito qui da un saggio di Paolo Virno: <> /// Scena 3. Non si può concludere senza parlare della fine del film, bellissima e coinvolgente, allo stesso tempo corale ed individuale, dove la vecchia nave non è solo figura banale del mito del viaggio e dell’emigrazione. Le persone sulla nave vengono mostrate alternativamente sotto due aspetti: come massa che viaggia verso un comune destino e come individui, ciascuno con la sua storia riflessa in uno sguardo, in una bocca, in una fronte, in una ciocca di capelli. Sono i singoli che contano e non si dovrebbe mai parlare di immigrati clandestini, aliens, extracomunitari come di una massa indeterminata e astratta, poiché ognuno di essi ha la sua preziosa ed irripetibile individualità; allo stesso tempo è solo facendo questo viaggio della vita tutti insieme che l'essere umano può riconoscersi parte di una comunità autenticamente “umana”. Il vecchio siciliano è una figura dolcissima di persona che ha raggiunto le sfere più alte di ciò che significa essere "umano", e dopo cinquant'anni di prigionia è lui solo sempre pronto ad aiutare gli altri: il giovane italiano, l'albanese morente, o i bambini sulla nave con i quali divide il suo ultimo pezzo di pane; in lui si incarna emblematicamente questa raggiunta “maturità” o saggezza che si esplicita, come auspica Antonio Gambino, in una <>. La nave che va per un mare perfettamente calmo ed azzurro non è un luogo comune, , ma mi ricorda il Colombo delle Operette Morali per il quale non è tanto l’arrivo alla nuova terra che conta, quanto piuttosto il viaggio stesso. Il ritmo dell'ultimo paragrafo del dialogo di Colombo e Gutierrez evoca il ritmo e il rumore del mare e delle onde, la calma dell'infinito marino. Qui la melodia binaria e il riaccorrere delle "e" congiunzione riprendendo il modello stilistico dell'Infinito: se dovesse fare naufragio, questo Colombo, insieme al poeta, direbbe : "il naufragar m'è dolce in questo mare." Lamerica è stato spesso considerato un film rappresentante di un rinato neo-realismo italiano, il che, semplificando, si può riportare al fatto che il regista Amelio usa attori non professionisti, le riprese avvengono nei luoghi reali, frutto di scrupolosa ricerca, come leggiamo nel libro Lamerica, Film e storia del film, e il film è di fatto la denuncia di una situazione storica reale di povertà, sopraffazione, sfruttamento politico ed economico delle classe più deboli. Il film è stato interpretato e a volte criticato proprio a causa dei limiti di questo presupposto neorealismo. In questo mio intervento invece mi propongo fra l’altro proprio di mettere in evidenza le novità di un lavoro sì realista o neo-realista ma compiuto in clima di post- modernità. Scrive Clara Gallini in un saggio intitolato “Miti delle origini” che il pericolo di una concezione modernamente razzista consiste nel fatto che <> per cui nascono <>.


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