E N I O W E B P A G E

 
Trento - Il Baccalà o Merluzzo

Il segreto dei frati per un baccalà a tutto sapore. All'inizio furono i veneziani, ma per il Concilio di Trento la ricetta fu mutata...

 

Il baccalà, o merluzzo salato, è un piatto giunto a Venezia attorno al Quattrocento; furono però soprattutto i Vicentini, meno ricchi di pesce fresco dei veneziani, ad apprezzarlo, impegnandosi nella preparazione di questo pesce che richiedeva un lungo lavoro per ammorbidirlo e renderlo saporito. Il baccalà arrivò invece in Trentino verso la metà del Cinquecento, e di certo si sa che veniva sulla mensa dei cardinali convenuti a Trento per il Concilio tridentino. Furono soprattutto i frati dei conventi, inizialmente, a dedicarsi nella preparazione di questo piatto e ci riuscirono così bene che, fino a pochi anni fa, molte famiglie usavano prenotare il baccalà dai frati per gustarlo il venerdì. Oggi é apprezzato in tantissime ricette che, comunque, restano piuttosto laboriose: baccalà al latte, baccalà alle acciughe, baccalà alle salse, Baccalà lesso, baccalà fritto, baccalà al pomodoro, baccalà alla vicentina, baccalà alla cappuccina.... Va comunque spiegato che il baccalà non é lo stoccafisso, in quanto quest'ultimo é il merluzzo essiccato all'aria e al sole, preparato dai popoli che vivono affacciati sui mari freddi dell'emisfero settentrionale. Il baccalà é il merluzzo salato con un sistema di conservazione approntato nel cinquecento dai pescatori europei per conservare il pesce pescato fino al rientro in porto. Ecco la preparazione base che utilizzavano i frati, ma che poco si discosta da quella ancora oggi seguita. Il baccalà viene messo a mollo in acqua fredda per due o tre giorni dopo essere stato pulito e mondato delle pinne. Va poi eliminata la spina dorsale con un coltello ben appuntito. Nuovamente immerso in acqua e liscivia vanno eliminate le rimanenti parti ossee. Il baccalà va poi tagliato in grossi pezzi e risciacquato con cura. Poi lo si rimette ad ammollo per alcuni giorni per passarlo poi a sgocciolare su un piano inclinato. Dopo questi laboriosi passaggi i filetti sono pronti per finire in padella nelle varie ricette. Un pesce da acquistare nelle pescherie più fornite, mettendo in conto poi di dovere fare i conti a casa per diversi giorni con il "profumo" del prodotto in questione.

 

 

Il Pesce che vedi non lo prendi

 

"Decidemmo di dare un senso alla giornata sfidandoci in una gara di pesca a cavedani; se ne vedevano a decine, girare lenti e svogliati; ognuno iniziò a pasturarsi il fondo a modo suo. Un'ora dopo eravamo al punto di partenza "

 

Nella pesca come in un pò tutte le attività che affondano le loro radici in passati di cui abbiamo perso la consapevolezze e gli istinti, si tramandano di generazione in generazione regole ferree e indiscutibili. Non si capiscono ma nessuno si sogna di metterle in discussione. Per piantare la lattuga nell'orto o cercare porcini si guarda la luna, a caccia e pesca si va all'alba, per capire se è iniziata la stagione delle anguille si sbirciano le gemme del salice, e via almanaccando. Una regola è incisa nel cervello fin da piccoli " Il pesce che vedi non lo prendi ". E' una regola che si sente ripetere e applicare infinite volte. Sopratutto in acque ferme, dove se il pesce gira alto ( e quindi lo vedi ) prassi vuole che prima lo si porti a fondo pasturando pesante, e solo dopo si cercherà di farlo abboccare. Di solito se uno ha un pò di manico riesce a fare l'una e l'altra cosa. Così ci si deve comportare fino a quel famoso pomeriggio di qualche annetto addietro, quando in quattro, coetanei, studenti poco più che ventenni, si decise di dare un senso alla giornata afosa, sfidandoci in una pesca di Cavedani sul Garda. Tutti pescatori più o meno esperti, tutti sbruffoni quanto bastava per promettersi sfracelli e avviare gli sfottò ancor prima di aver chiari i dettagli della sfida. Tutti tecnicamente più che discreti pescatori e tutti nati sulle rive del Garda e ognuno aveva quindi i suoi segreti. Alle 10 del mattino tutti a preparare l'attrezzatura. Sul Garda, un porticciolo di nome Navene ci arrivammo verso mezzo giorno. Prendemmo posto a quattro o cinque metri l'uno dall'altro sul molo e faccia al lago. Sul cambio tra Ora e Peler, non tirava un alito di vento. Col ritorno del vento si sarebbero di nuovo affondati. Giusto il tempo di montare le canne, ma alle 15 di vento ancora nulla. Cavedani sempre alti e sempre più svogliati. Caldo torrido. Finita l'ultima birra, si decise di iniziare comunque. Ognuno iniziò a pasturarsi il fondo a modo suo. Io a cavedani vado sempre col pane mentre gli altri tre fiondavano a intervalli regolari il loro chilo di bigattini a testa. Un'ora dopo si era al punto di partenza. L'unico pesce l'avevo preso io e al primo lancio aveva abboccato al fiocco di pane appena toccata l'acqua, prima che affondasse. I tre colleghi nemmeno un pesciolino. Neanche nell'ora seguente successe nulla. Niente vento, pesci che navigavano alti. Mi vantavo del mio unico cavedano nel cestino ma era una ben magra soddisfazione. Allora si tenta il tutto per tutto, via il galleggiante e i piombi, un piccolissimo bulbo ad acqua a dare peso alla lenza, amo a fiocco di pane da far restare rigorosamente a galla. I miei tre amici ridevano : " Credi di essere ai giardinetti ? Il pesce che vedi non lo prendi, non sono mica pesci rossi ". Quel giorno la regola fece la sua bella eccezione. Lanciato la lenza davanti a un bestione che da un bel pò mi girava davanti impudente e quello non ci ha pensato un momento a rimanere attaccato all'amo. E dopo di lui una lunga serie di pesci da far rimanere allibiti gli altri pescatori. Più che pescare li raccoglievo, lanciandogli praticamente addosso e recuperandolo con l'unica accortezza di non farlo sguazzare a pelo d'acqua. Ne ho preso una ventina quel di, e alla fine abbiamo deciso che potesse bastare. Significa che la regola del "pesce che vedi" è una sciocchezza ? Probabilmente no. Forse semplicemente quel pomeriggio di giugno non valevano le certezze. Non quella del vento, sempre presente sul Garda. Non quella del pesce che vedi.

  
Racconto di Luca Marsilli

Sul Trentino Magazine del 23-6-2002