XI DOMENICA

Tempo ordinario — Ciclo A

 

 

Es 19, 2-6a

Rm 5, 6-11

Mt 9, 36 — 10, 8

 

Il tema unificatore delle letture di questa domenica gira intorno alle due grandi realtà comunitarie della Bibbia: la comunità della prima alleanza ai piedi del Sinai (prima lettura), e il gruppo dei "Dodici", costituti ed inviati da Gesù per continuare la sua opera, fondamento della comunità della nuova alleanza (vangelo). In entrambi i casi l’azione salvatrice e gratuita di Dio costituisce l’iniziativa che provoca e genera la risposta umana: il Signore ha liberato Israele dalla schiavitù e ora lo invita a stringere un’alleanza con lui; Gesù, che ha curato le infermità e i dolori della gente (Mt 9, 35), invita i suoi discepoli a continuare la sua opera. Ai piedi del Sinai si rappresenta idealmente l’Israele di tutti i tempi, che ha sperimentato l’azione liberante di Dio ed è chiamato ad ascoltare la sua voce, convertendosi così in una comunità totalmente consacrata a lui. Nel vangelo, in cambio, il gruppo dei "Dodici" rappresenta simbolicamente la totalità della Chiesa, comunità messianica della nuova alleanza, chiamata da Gesù ad annunciare con autorità il regno di Dio e a realizzare con potere i segni di questo stesso regno nella storia.

La prima lettura (Es 19, 2-6a) corrisponde al solenne testo che serve da prologo al racconto dell’Alleanza del Sinai (Es 19-24). Il Signore chiama Mosè dalla montagna e questi sale all’incontro di Dio. Le parole programmatiche dell’alleanza risuonano sulla cima del monte, lì dove precedentemente Mosè aveva ascoltato Dio che gli affidava la missione della liberazione del popolo (Es 3). In effetti, sul "monte di Dio" (Es 3,1), Mosè incontrò il Signore, nel roveto (in ebraico: seneh), e lì gli fu rivelato il nome divino e la decisione di Dio di liberare il suo popolo schiavo in Egitto; ora, sul monte "Sinai" (il cui nome per assonanza ricorda il roveto, seneh), "il Signore scenderà alla vista di tutto il popolo" (Es 19, 11), per consegnare a Mosè le tavole della Legge e fare alleanza con il popolo. Tanto la storia della liberazione dalla schiavitù, come la narrazione dell’alleanza sinaitica, appaiono risaltate ed introdotte dalla menzione della montagna, simbolo cosmico di grande ricchezza religiosa. I monti sono normalmente luoghi sacri, le cui cime sono in contatto con il cielo, con il mondo degli dei. A livello simbolico — spaziale, il monte rappresenta la terra che si eleva, attratta dal cielo. Sul monte si incontrano il cielo e la terra e sulla sua cime sui realizza la comunicazione tra il mondo degli uomini e il mondo di Dio. Il monte, per tanto, è un simbolo espressivo tanto della liberazione come dell’alleanza, realtà misteriose e "sacre", nelle quali si uniscono l’iniziativa di Dio che si rivela e salva, e la libertà dell’uomo che accoglie la parola divina, ascolta e risponde. Nel testo si possono distinguere chiaramente due momenti: il passato (v.4) e il futuro (vv.5-6) d’Israele. Nell’evocazione del passato (v.4), il soggetto più rilevante è il Signore, che ricorda le gesta che ha realizzato in favore d’Israele: "Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali d’aquile e vi ho fatti venire fino a me" (v.4). La storia che ha condotto il popolo fino al monte non è un semplice succedersi di fatti casuali; è, invece, il luogo nel quale Dio si è rivelato. Per entrare nell’alleanza è necessario avere "visto" prima l’azione di Dio nella propria storia; cioè, collocarsi di fronte a Dio in mezzo agli avvenimenti, riconoscendo in essi la presenza e la manifestazione divina. Solo l’Israele che ha "visto" la mano poderosa del Signore, che lo ha liberato dalla paura e dal potere dispotico del faraone, potrà quindi aderire a Dio, fidarsi e fondarsi in lui, ponendo in lui tutta la sua fiducia. Nei vv. 5-6, si apre la prospettiva del futuro per il popolo. Qui il soggetto più rilevante è Israele, chiamato ad "ascoltare" la voce di Dio, obbedendogli in tutto. L’azione storica del Signore (v.4) suscita il dialogo libero: "Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodire la mia alleanza…" (v.5). Il popolo che ha "visto" l’azione di Dio, ora è invitato ad "ascoltare" la sua voce. Con questa decisone autonoma e responsabile si descrive la risposta della fede e il cammino per arrivare ad essere e a vivere come popolo dell’alleanza. Il v.6 descrive la nuova comunità legata al signore per mezzo dell’alleanza: "Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa". Le tre espressioni ("la proprietà tra tutti i popoli", "regno di sacerdoti", "nazione santa") descrivono una stessa realtà: l’appartenenza totale d’Israele a Dio. Il termine "proprietà" (ebraico: segulà) indica l’assegnazione economica che corrispondeva ad una determinata persona e che andava costituendo il suo tesoro privato (cf. Qo 2, 8; 1Cr 29, 3; si applica ad Israele in Dt 7, 6; 14, 2; 26, 18; Sal 135, 4); "regno di sacerdoti" (ebraico: mamléjet kojanim) è un’espressione che evoca il privilegio che avevano i sacerdoti di avvicinarsi a Dio e di trattare familiarmente con lui nel tempio, mentre che per tutti gli altri uomini questo rappresentava un pericolo mortale (Cf. Nm 4, 15.20; Dt 5, 24.26; 2Sam 6, 6-7); "nazione santa" (ebraico: goy kadosh) è una frase costruita a base di contrasto: mentre goy (popolo) indica un gruppo umano che possiede un territorio comune, una lingua, un governo, un diritto, ecc., l’aggettivo qadosh (santo, separato per Dio) indica la totale consacrazione d’Israele a Dio. Israele sarà una nazione (goy) come le altre, però, allo stesso tempo, si distinguerà: vive nella storia, però portando dentro di sé un mistero di comunione, di conoscenza reciproca e di obbedienza, in relazione con Dio, fino al punto di essere "sua proprietà", un vero popolo "sacerdotale", la cui esistenza si svolge nella vicinanza e nel servizio del Signore.

Nel vangelo (Mt 9,36 —10,8) si descrive un altro gruppo umano, affaticato e disorientato (9, 36), davanti al quale Gesù si commuove e in favore del quale esorta i discepoli a pregare con urgenza. Questa situazione giustifica e spiega il nuovo progetto missionario descritto nel capitolo 10, nel quale si allarga ai discepoli l’attività messianica di Gesù. La gente è descritta come "pecore senza pastore" (9, 36). La frase è conosciuta nell’Antico Testamento. Quando Mosè conobbe l’annuncio della sua morte, chiese a Dio che mettesse a capo del popolo "un uomo che li preceda nell’uscire e nel tornare…, perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore" (Nm 27, 16-17). Allo stesso modo che Giosuè succedette a Mosè nella missione di guidare il popolo, i discepoli continueranno l’opera di Gesù, il pastore messianico che conduce e protegge la comunità stanca e abbattuta a causa della irresponsabilità e dell’ambizione dei suoi capi religiosi (Ez 34, 5: "Per colpa del pastore [le mie pecore] si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate").

La motivazione più profonda dell’attività "pastorale" di Gesù, che "andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando…, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità" (Mt 9, 35), è la sua compassione. Il verbo greco utilizzato, splagnizomai, indica il trasalire delle viscere (materne). Evoca, per tanto, l’amore gratuito, attivo e generoso di chi si sente parte dell’altro e soffre con l’altro. In Matteo, questo verbo è utilizzato tre volte per parlare della bontà e della misericordia di Gesù che lo spinge ad intervenire per alleviare le miserie del popolo (Mt 14, 14; 15, 32; 20, 34; Cf. 18, 27). Per Matteo, per tanto, la radice più profonda della missione dei discepoli si trova nella bontà e nell’amore di Gesù per gli uomini. Solo chi condivide con il Signore questo atteggiamento potrà collaborare con lui nell’opera messianica.

Gesù contempla la situazione di povertà, di disorientamento e di ignoranza religiosa del popolo, con senso di urgenza, come lo dimostra l’immagine biblica della "messe". Il raccolto, in effetti, evoca il tempo del giudizio finale, quando si separerà il grano dalla pula (Mt 3, 12) e il grano dalla zizzania (Mt 13, 30.39). L’abbondanza della messe sottolinea la realizzazione della speranza e l’urgenza dell’impegno di coloro che sono chiamati a preparare gli uomini per il giudizio definitivo. Comunque, l’iniziativa corrisponde sempre a Dio; l’opera dei mietitori è sottomessa all’azione sovrana del "padrone della messe". Per questo, la prima e più urgente azione dei discepoli, associati alla missione salvante del Messia, è quella di pregare affinché siano inviati gli operai necessari che la missione esige. La preghiera dei discepoli esprime la loro sintonia, la loro disponibilità e il loro impegno con il progetto salvatore rivelato ed inaugurato da Gesù. Questo progetto messianico di liberazione è l’obiettivo privilegiato della preghiera dei discepoli, i quali pregano ogni giorno chiedendo al Padre: "venga il tu Regno". Così nasce l’iniziale progetto apostolico di Gesù che elegge i "Dodici" tra i discepoli per continuare la sua opera. Il numero "dodici" ci richiama le dodici tribù d’Israele. Nel progetto messianico di Gesù i dodici discepoli, per tanto, rappresentano la radice ideale dell’intero popolo di Dio. La missione va destinata originariamente alle "pecore perdute della casa d’Israele" (10, 6). A partire da Israele, la missione si va aprendo poco a poco a tutte le genti: questo comunque succede pienamente solo dopo la morte di Gesù e la sua risurrezione mediante la quale è costituito Messia e Signore universale (Mt 28, 18). I Dodici sono inviati alle pecore perdute della casa di Israele con la missione di convocare i credenti nell’assemblea messianica definitiva. Il loro programma missionario, descritto e strutturato ad immagine della missione storica di gesù, comprende due momenti: l’annuncio del Regno e la realizzazione dei segni messianici. Parola ed azione. Dovranno annunziare che "il regno dei cieli è vicino" (10, 7); in altre parole, devono proclamare che la giustizia, la compassione e la solidarietà sono una grazia e una realtà che bisogna accogliere come dono di Dio per costruire un progetto nuovo d’umanità. E da un’altra parte, sono chiamati a continuare l’opera di Gesù, realizzando i suoi gesti di liberazione in favore dei poveri, degli infermi, e degli emarginati dal mondo. Per questo Gesù li fa partecipi della pienezza del suo "potere" messianico: "Diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie ed infermità" (10, 1).

I discepoli, inviati da Gesù, combatteranno il male in tutte le sue forme, dentro il cuore dell’uomo o nelle strutture della società. La liberazione, l’alleanza, la pienezza del popolo di Dio si fonda nell’azione gratuita di un Dio che salva gli uomini. La missione della comunità segue lo stesso stile. Una missione caratterizzata dalla gratuità assoluta e dalla libertà di fronte a tutto quello che possa ostacolare la venuta del regno: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (v.8).

 

 

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