Federico García Lorca.
Pablo Neruda.


C ome osare a enfatizzare un nome di questa immensa giungla dei nostri morti! Tanto gli umili coltivatori di Andalucia, assassinati per i loro nemici immemoriali, come i scavatori Asturiani morti, e i falegnami, i muratori, gli assalarati della città e il campo, come ognuno delle mille di donne assassinate e bambibi sconvolti, ognuno di quelle splendenti ombre ha il diritto di apparire davanti a voi come testimoni del grande paese sfortunato, e ha luogo, credo io, nei vostri cuori, se voi siete puliti di ingustizia e cattiveria. Tutte queste terribile ombre hanno nome nel ricordo, nomi di fuoco e lealtà, nomi puri, in corso, antici e nobili come il nome della sale e dell'acqua. Come la sale e l'acqua si hanno perso un'altra volta nella terra, nel nome dell'infinito della terra. Perchè i sacrifizi, dolori, purezza e forza del popolo di Spagna si trovano in questa lotta purificatora più di qualsiasi un'altra lotta con un panorama di pianure e grano e petre, in mezzo del'inverno con un fondo di scabro pianeta disputato per la neve e il sangue.

Sí, come osare a scegliere un nome, uno solo, fra tanti zitti? Ma é che il nome che pronunzierò fra voi ha dietro delle sue oscure sillabe una cosí richezza mortale, e cosí pesante e cosí crossato da significati, che quando venne pronunziato vengono pronunziati i nomi di tutti quelli che hanno caduto difendendo la stessa materia dei suoi canti, perchè era lui il sonoro difensore del cuore di Spagna. Federico García Lorca! Era popolare como una chitarra, felice, malinconico, profondo e chiaro, come il popolo. Se si avesse cercato dificilemente, passo a passo per tutti i angoli a chi sacrificare, come si sacrifica un simbolo, non si avesse trovato il popolare spagnolo, in velocità e profondità, in nessuno ne in niente cme in questo essere scelto. L'hanno scelto bene chi al fusilarlo hanno voluto sparare al cuore della sua razza. Hanno scelto per sottomettere e martoriare Spagna, esaurirla nel suo più ràpido profumo, spaccarla nella sua più veemente respirazione, per togliere la sua risa più indistruttibile. Le due più Spagne irreconcilabili si sono esperimentate davanti a questa morte: la Spagna verde e nera della spaventosa ungula diabolica, la Spagna sotterranea e maledetta, la Spagna crocificatora e velenosa dei grandi crimini dinastici ed eclesiastici, e davanti a lei la Spagna radiante dell'orgoglio vitale e dello spirito, la Spagna meteorica dell'intuizione, della continuazione e della scoperta, la Spagna di Federico García Lorca.

Sarà morto lui, offrito come un giglio, come una chitarra selvaggia, sotto la terra che i soui assassini hanno buttato coi piedi sopra le sue ferite, ma la sua razza si difende comei suoi canti, in piede e cantando, mentre gli sono uscite dall'alma wmulinelli di sangue, e così saranno per sempre nella memoria degli uomini.

Non so come precisare il suop ricordo. La violenta luce della vita illuminò soltanto un momento del suo ora ferito e chiuso viso. Ma in quel lungo minuto della vita la sua figura brillò di luce solare. Cosí come dai giorni di Góngora e Lope non si era apparso un Spagna tanto élan creatore, tanta mobilità di forma e linguaggio, da quei giorni nei quali gli spagnoli del popolo bacciavano le costume di Lope de Vega non si ha conosciuto nella lingua spagnola una seduzione popolare cosí immensa diretta a un poeta. Tutto quello che toccava, ancora nelle scaglie dell'esteticismo misterioso, al quale come gran poeta non poteva rinunciare senza tradirsi, tutto quello che toccava si pienava di profonde esenzie di suoni che arrivavano fino il fondo delle folle. Quando ho menzionato la parola esteticismo, non ci sbagliamo: García Lorca era l'anti-esteta, in questo sentimento di pienare la sua poesía e teatro di dramme umani e burrasche del cuore, ma non per quello rinuncia ai segreti originali del misterio poético. Il popolo, con meravigliosa intuizione, s'autorizza della sua poesía, che si canta giá, e si cantava come anònima nei viillaggi d'Andalucia, ma lui non adulava in se stesso questa tendenza per beneficarsi, lontano di quello: cercava con avidità dentro e fuora di se.

Il suo antesteticismo e forse l'origine della sua enorme popolarità in América. Di questa generazione brillante di poeti come Alberti, Aleixandre, Altolaguirre, Cernuda, ecc., lui era forse l'unico sopra il quale l'ombra di Góngora non essercitò il dominio di giaccio che l'ano 1927 sterilizzò steticamente la gran poesia giovane di Spagna. América , separata per secoli d'oceano dai genitori classichi della lingua, ha riconosciuto come grande a questo giovane poeta affascinato irresistibilemente verso il popolo e il sangue. Io ho veduto a Buenos Aires, tre anni fa, l'altezza piú grande che un poeta della nostra razza abbia ricevuto, le grosse folle ascoltavano con emozione e pianto le sue tragedie di sbalordita opulenza verbale. In lei si rinovava cobrando nuovo folgore fosforico l'eterno dramma Spagnolo, l'amore e la morte baallando una danza coraggiosa, l'amore e la morte mascherati o nudi.

Il suo ricordo, traciare a questa distanzia la sua fotografia, e impossibile. Era un fulmine fisico, una energia in continua rapidità, una felicità, una radianza, una tenerezza compietamente sopraumana. La sua persona era magica e bruna, lui attirava la felicità.

Per cuiosa e insistente coincidenza, i due grandi giovani poeti di piú fama in Spagna, Alberti e García Lorca, si sono sembrati molto, fino la rivalità.

Ambidue dionisiachi Andaluciani, musicali, fastosi, segreti e popolari, consumavano nello stesso tempo gli origini della poesia spagnola, il folclore milenario di Andalucia e Castilla, portando gradualemente la loro poetica dalla grazia aerea e vegetale dagli inizi della lingua fino l uperazione della grazia e l'entrata nella drammatica giungla della sua razza. Allora si separano; mentre uno, Alberti si consegna con totale generosità alla causa degli oppressi e solo vive per la sua magnifica fede rivoluzionaria, l'altro torna più e più nella sua letteratura verso la sua terra, verso Granada, fino tornare del tutto, fino muorire in lei. Fra loro non c'era una vera rivalità, furono buoni e brillanti frattelli, e così vediamo che nell'ultimo ritorno d'Alberti da rossia e Messico, nel gran omaggio che nel suo onore si fece in Madrid, Federico gli diede, a nome di tutti, quella riunione con magnifiche parole. Pochi mesi dopo García Lorca partió a Granada. E lì, per stranna felicità, gli aspettava la morte, la morte che riservavano a alberti i nemici del popolo. Senza dimenticare al nostro gran poeta morto, ricordiamo un secondo al nostro gran camerata vivo, Alberti, che con un grupo di poeti come Serrano Plaja, Miguel Hernández, Emilio Prados, Antonio Aparicio, sono in questo istante a Madrid difendendo la causa del suo popolo e della sua poesia.

Ma l'ansietà sociale in Federico prendeva altre forme più vicine alla sua anima di troubadour moresco. Nella sua troupe La Baracca viaggiava per i cammini di Spagna rappresentando il vecchio e grande teatro dimenticato: Lope de Rueda, Lope de Vega, Cervantes. gli antichi romanzi drammatizati erano ritornati da lui al puro seno di dove erano usciti. I più lontani angoli di Castilla hanno conosciuto le sue rappresentazioni. Per lui gli andaluciani, gli asturiani, gli estremeni si hanno communicato un'altra volta con i loro geniali poeti ricentemente dormiti nei loro cuori, giacché lo spettacolo gli pienava di stupore senza sorpresa. Ne gli abiti vecchi, nel linguaggio arcacico fastidiava a questi contadini che molte volte non avevanoveduto ne una macchina ne ascoltato un gramófono. In mezzo della tremenda fantástica povertà del contadino spagnolo che ancora io, io ho veduto vivire in grotte e alimentarsi da erbaccie e rettili, pasava questo mulinello magico di poesia portando fra i sogni dei vecchi poeti i grani di polvera e insoddisfazione della cultura.

Lui sempre vide in quelle regioni agonizzanti la miseria incredibile in che i privilegiati mantenevano al loro popolo, soffriò coi contadini l'inverno nei pascoli e nelle colline asciutte, e la tragedia fece tremare con molti dolori il cuore del sud.

Mi ricordo allora di uno dei soui ricordi. Alcuni mesi fa è uscito un'altra volta per i popoli. Se n'era andato via per rappresentare Peribáñez, di Lope de Vega, e Federico è uscito per ricorrere i cantucci di Extremadura per trovare in loro le costumi, le vere costumi del secolo XVII che le vecchie famiglie contadine tenevano ancora nelle loro arche. Lui ritornò con un'imbarco prodigioso di stoffe azurre e auree, scarpe e collani, confezioni che per prima volta vedevano la luce in secoli. La sua irresistibile amichvolezza l'otteneva tutto.

Una notte in un villaggio di Extremadura, senza potere dormire, si alzò al apparire l'alba. Era nacora pieno di nebbia il duro paissaggio estremegno. Federico si siede a guadare crescere il sole insieme a alcune statue abattute. Erano figure di marmo del secolo XVII e il posto era l'entrata d'un dominio feudale, compietamente abbandonato, come tante posesioni dei grandi signori spagnoli. Guardava Federico i torsi distrutti, llampeggiati in bianchezza per il sole nascente, quando un agnello sviato del suo gregge cominciò a pascolare insiem a lui. All'improvviso cinque o siete porchi neri che si sono lanzati sopra l'agnello e in dei minuti, davanti al suo spavento e sorpresa, lo straciarono e lo divorarono. Federico, preda di una paura indescrivibile, prey of a unspeakable, senza moversi per il terrore, guardava ai porchi neri amazzare e divorare all'agnello fra le statue cadute, in quel albeggiare solitario.

Quando me lo raccontò al ritornare a Madrid la sua voce tremava ancora perche la tragedia della morte ossessionava fino il delirio la sua sensibilità di bambino. Ora la sua morte, la terribile morte che niente ci farà dimenticare, mi attira il ricordo di quel albeggiare sanguinante. Forse a quel gran poeta, dolce e profetico, la vita gli ha offrì per in avanzata, e in simbolo terribile, la visione della sua propria morte.

Ho voluto portare a voi il ricordo del nostro grande camerata sparito. Molti chissá speravano da me tranquile parole poetiche allontanate dalla terra e dalla guerra. La stessa parola Spagna porta a molta gente un'immensa ansietà mista con una grave speranza. Io non ho voluto aumentare queste ansietà ne disturbare le vostre speranze, ma appena uscito di Spagna, io, latinoamericano, spagnolo di razza e di lingua, non avrei potuto parlare ma di disgrazie. Non sono politico neanche ho fatto parte della lotta politica, e le mie parole, che molti avrebbero desiderato neutrali, sono state colorate da passione. Capitemi e capite che noi, i poeti dell'America spagnola e i poeti di Spagna, non dimenticaremo ne perdonaremo l'assassinato di chi consideriamo il più grande fra noi, l'angelo di questo momento della nostra lingua. E perdonatemi che di tutti i dolori di Spagna vi ricordi soltanto la vita e la morte d'un poeta. É che noi non potremo mai dimenticare questo crimen, ne perdonarlo. Non lo dimenticaremo ne lo perdonaremo mai. Mai.


Conferenza pronunziata a Parigi, 1937.
Più ricente rivesione: Maggio 19, 2002