La bufera che sgronda sulle foglie
dure della magnolia i lunghi tuoni
marzolini e le grandine,
(i suoni di cristallo nel tuo nido
notturno ti sorprendono, dell'oro
che s'è spento sui mogani, sul taglio
dei libri rilegati, brucia ancora
una grana di zucchero nel guscio
delle tue palpebre)
il lampo che candisce
alberi e muri e li sorprende in quella
eternità d'istante - marmo manna
e distruzione - ch'entro te scolpita
porti per tua condanna e che ti lega
più che l'amore a me, strana sorella, -
e poi lo shcianto rude, i sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa...
Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,
mi salutasti - per entrar nel buio.
Il soffio cresce, il buio è rotto a squarci,
e l'ombra che tu mandi sulla fragile
palizzata s'arriccia. Troppo tardi
se vuoi esser te stessa! Dalla palma
tonfa il sorcio, il baleno è sulla miccia,
sui lunghissimi cigli del tuo sguardo.
Per un formicolìo d'albe, per pochi
fili su cui s'impigli
il fiocco della vita e s'incollani
in ore e in anni, oggi i delfini a coppie
capriolano coi figli? Oh ch'io non oda
nulla di te, ch'io fugga dal bagliore
dei tuoi cigli. Ben altro è sulla terra.
Sparir non so né riaffacciarmi; tarda
la fucina vermiglia
della notte, la sera si fa lunga,
la preghiera è supplizio e non ancora
tra le rocce che sogno t'è giunta
la bottiglia dal mare. L'onda, vuota,
si rompe sulla punta, a Finistere.
È pur nostro il disfarsi delle sere.
E per noi è la stria che dal mare
sale al parco e ferisce gli aloè.
Puoi condurmi per mano, se tu fingi
di crederti con me, se ho la follia
di seguirti lontano e ciò che stringi,
ciò che dici, m'appare in tuo potere.
***
Fosse tua vita quella che mi tiene
sulle soglie - potrei prestarti un volto,
vaneggiarti figura. Ma non è,
non è così. Il polipo che insinua
tentacoli d'inchiostro tra gli scogli
può servirsi di te. Tu gli appartieni
e non lo sai. Sei lui, ti credi te.
La frangia dei capelli che ti vela
la fronte puerile, tu distrarla
con la mano non devi. Anch'essa parla
di te, sulla mia strada è tutto il cielo,
la sola luce con le giade ch'ài
accerchiate sul polso, ne tumulto
del sonno la cortina che gl'indulti
tuoi distendono, l'ala onte tu vai,
trasmigratrice Artemide ed illesa,
tra le guerre dei nati-morti; e s'ora
d’aeree lanugini s'infiora
quel fondo, a marezzarlo sei tu, scesa
d'un balzo, e irrequieta la tua fronte
si confonde con l'alba, la nasconde.
Anche una piuma che vola può disegnare
la tua figura, o il raggio che gioca a rimpiattino
tra i mobili, il rimando dello specchio
di un bambino, dai tetti. Sul giro delle mura
strascichi di vapore prolungano le guglie
dei pioppi e giù sul trespolo s'arruffa il pappagallo
dell'arrotino. Poi la notte afosa
sulla piazzola, e i passi, e sempre questa dura
fatica di affondare per risorgere eguali
da secoli, o da istanti, d'incubi che non possono
ritrovare la luce dei tuoi occhi nell'antro
incandescente - e ancora le stesse grida e i lunghi
pianti sulla veranda
se rimbomba improvviso il colpo che t'arrossa
la gola e schianta l'ali, o perigliosa
annunziatrice dell'alba,
e si destano i chiostri e gli ospedali
a un lacerìo di trombe...
Se appari al fuoco (pendono
sul tuo ciuffo e ti stellano
gli amuleti)
due luci ti contendono
al borro ch’entra sotto
la volta degli spini.
La veste è in brani, I frùtici
calpesti rifavillano
e la gonfia peschiera dei girini
umani s’apre ai solchi della notte.
Oh non turbar l’immondo
vivagno, lascia intorno
le cataste brucianti, il fumo forte
sui superstiti!
Se rompi il fuoco (biondo
cinerei I capelli
sulla ruga che tenera
ha abbandonato il cielo)
come potrà la mano delle sete
e delle gemme ritrovar tra I morti
il suo fedele?
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Il viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora I minuti sono eguali e fissi
come I giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.
Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
I soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infittita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per I più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l’avara mia speranza.
A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.
Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.
Il fiore che ripete
dall’orlo del burrato
non scoradarti di me,
non ha tinte più liete né più chiare
dello spazio gettato tra me e te.
Un cigolìo si sferra, ci discosta,
l’azzurro pervivace non ricompare.
Nell’afa quasi visible mi riporta all’opposta
tappa, già buia, la funicolare.
Edimburgo
Il grande ponte nono portava at e.
T’ avrei raggiunta anche navigando
nelle chiaviche, a un tuo comando. Ma
già le forze, col sole sui cristalli
delle verande, andavano stremandosi.
L’uomo che predicava sul Crescente
mi chiese «Sai dov’è Dio?» Lo sapevo
e glielo dissi. Scosse il capo. Sparve
nel turbine che prese uomini e case
e li sollevò in altro, sulla pece.
Oh resta chiusa e libera nell’ isole
del tuo pensiero e del mio,
nella fiamma legera che t’avvolge
e che non seppi prima
d’incontrare Diotima,
colei che tanto ti rassomigliava!
In lei vibra più forte l’amorosa cicala
sl ciliegio del tuo giardino.
Intorno il mondo stinge; incandescente,
nella lava che porta in Galilea
il to amore profano, attendi l’ora
di scoprire quel velo che t’ha un giorno
fidanzata al tuo Dio.