Il tribunale ha inflitto pene da 4 anni e mezzo a 5 e 10 mesi
Le accuse: traffico d'armi e aggressivi chimici e di documenti
Condannati i tre tunisini della cellula islamica di Milano


MILANO - Si sono difesi dicendo che erano "terrorizzati, non terroristi", ma la corte non li ha creduti. Tutti condannati i tre tunisini accusati di far parte di una cellula di estremisti islamici che avrebbe agito con base in Lombardia in appoggio ad Al Qaeda. Il tribunale di Milano (quinta sezione penale) ha inflitto 5 anni e 10 mesi (e 6 mila euro di multa) a Mehdi Kammoun; 4 anni e 6 mesi (e 5 mila euro di multa) a Riadh Jelassi e a Adel Ben Soltani. Le accuse erano: favoreggiamento dell'immigrazione, traffico d'armi e aggressivi chimici e traffico di documenti falsi. Sono state sostanzialmente accolte le richieste del pm Stefano Dambruoso. Anzi, c'è stato un inasprimento per quanto riguarda Kammoun e Ben Soltani. La quinta sezione del tribunale, presieduta da Ambrogio Moccia, ha ordinato che, a pena espiata, gli imputati vengano espulsi dall'Italia.
L'avvocato difensore di Jelassi, Gianluca Maris, ha sottolineato, dopo la lettura della sentenza, che il dispositivo ha evidenziato "una carenza probatoria impressionante e che il processo sembra essere comandato da fattori esterni".

Nell'ultima udienza, questa mattina, c'è stata l'autodifesa di Mehdi Kammoun. E' lui che ha pronunciato la frase citata all'inizio: "Siamo terrorizzati, non terroristi". Lo ha fatto nel corso di una "dichiarazione spontanea" dopo aver rifiutato di rispondere alle domande. Gli altri due imputati, Adel ben Soltane e Riadh Jelassi hanno invece accettato di sottoporsi all'esame e al controesame.
"Il problema del nostro arresto - ha detto Kammoun - è stata la fretta: se il pm avesse tradotto bene, le cose sarebbero andate diversamente". Il tunisino, leggendo un foglio fitto di appunti scritti in arabo, ha ripetuto più volte ai giudici della quinta sezione penale del tribunale di Milano, che durante le perquisizioni non sono state trovate né armi, né esplosivi, né documenti falsi: "Solo volantini e cassette non solo di guerra, ma anche di documentari su animali e di film americani, che si vendevano in moschea per 8 mila lire".
Riguardo alle intercettazioni telefoniche e ambientali, per Kammoun "ci sono tanta confusione e cose strane. Tanti pezzettini di dialoghi veri e tante cose inserite nel dialogo che però non ne fanno parte". Il tunisino ha ripetuto: "Non siamo terroristi né ladri. Io non ho precedenti penali nè in Italia né in Tunisia: sono venuto qui per costruire e non per demolire, e non mi sento uno straniero perché a questo paese ho dato 10 anni del mio lavoro". Ha poi proseguito affermando di avere in Italia tanti amici "tra i quali molti preti, che ho mandato a casa mia, in Tunisia. Ho conosciuto anche il cardinale Carlo Maria Martini".

Kammoun ha ricordato ai giudici il duro regime carcerario (isolamento) a cui lui e i suoi compagni sono costretti: "Se prima era duro, dopo l'11 settembre il carcere è diventato durissimo: questo è un gioco politico e siamo vittime della politica internazionale. Siamo innocenti e ora siamo stati sporcati".
Il secondo imputato Adel Bel Soltane ha dichiarato di aver conosciuto in moschea sia Ben Khemais che Essid Sami, Es Sayed e Maaroufi Tarek e che avrebbe voluto andare in Sudan e nello Yemen "per studiare e capire la mia religione".
Il terzo, Riadh Jelassi, che aveva diviso l'appartamento di via Dubini a Gallarate con Essid, il quale è ritenuto il capo della presunta cellula, ha contestato le intercettazioni telefoniche e ambientali e ha ammesso di aver visto di notte le videocassette sulla guerriglia tra i Mujaidin e i soldati ceceni in Bosnia, perché "è una cosa che ci piace. A me piace guardare la guerra e i documentari veri".
Contro i tre presunti terroristi tunisini il pm Stefano D'Ambruoso ha chiesto tre condanne: 5 anni e sei mesi per Mehdi Kammoun, 4 anni e 8 mesi per Riadh Jelassi e 4 anni per Aden Ben Soltane. La Corte, si diceva, è andata persino oltre le sue richieste.

Fonte: La Repubblica, 17-5-02.