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LO SPETTRO DELLE TORRI
di Raffaele Castagno

Genova - E come se quel maledetto 11 settembre non fosse mai passato. Il 18 aprile 2002, poco prima della 18, abbiamo avuto tutti questa sgradevole sensazione.
"Un aereo si schianta contro il grattacielo Pirelli": questo il laconico annuncio della CNN. E' il caos. Si propaga tra noi tutti, su, in alto, sino alle istituzioni. Per un'ora l'Italia e il mondo tornano a rivivere l'incubo della paura e del terrore, il timore cioè che la paura e il terrore abbiano colpito, di nuovo, ancora una volta. Il mondo trema per la seconda volta. Sulle tv ancora immagini di distruzione, fumo, vetri che volano, sirene, pompieri.
Poi, lentamente, arriva la verità: non è un attentato, bensì un incidente. E' questa la notizia che si fa strada tra i vari notiziari. Molti dubitano, anche noi che non siamo soliti fare castelli di carte o indugiare in strampalate ipotesi di complotto: l'incidente è strano, è questo l'aggettivo che ricorre più spesso, troppi elementi non tornano. Si viene a sapere che il signor Fasulo è un abile pilota, esperto, con migliaia di ore di volo sulle spalle: ma allora perché, dopo aver comunicato alla torre, pare, di aver problemi con il carrello, vira verso la città, non prende quota, come chiunque pilota, anche alle prime armi, sa bene, allorché si ha a che fare con noie tecniche. Sono norme di sicurezza basilari.
Il pilota ha perso i sensi: ma allora perché l'aereo rimane in volo orizzontale, entrando, e non precipitando, sul grattacielo Pirelli. Le immagini sono emblematiche: l'aeroplano dell'italo-svizzero centra in pieno il palazzo, entrandovi orizzontalmente. E solo un caso? Quanti casi simili sono avvenuti nella storia dell'aviazione civile?
Poi giungono le dichiarazioni del figlio, oggi di diverso avviso tuttavia: il padre voleva suicidarsi, era vittima di una truffa, che gli era costata una ingente somma. Un nuovo scenario prende corpo: Fasulo ha problemi economici, è stato coinvolto in una truffa, di cui, in Francia, si arresta l'artefice. Gli amici del bar sostengono che Fasulo era tranquillo, ma ammettono anche che negli ultimi mesi are accaduto qualcosa: l'uomo non frequenta più il locale, e invischiato con persone nuove, losche, decide anche di vendere il suo aereo, la passione della sua vita, su Internet.
Si è realmente tolto la vita in questo modo così spettacolare? E perché decidere di uccidersi schiantandosi contro un palazzo, con il rischio, purtroppo concreto, di uccidere anche degli innocenti? E' questa la grande domanda, una domanda alla quale fa paura rispondere. Perché la risposta è terribile. L'effetto 11 settembre, ecco la risposta. L'apocalisse di New York, nel suo straordinario effetto mediatico, ha segnato più di una coscienza, ha segnato quelle di tutti noi, compresa quella di un anziano signore di 70 anni, che preso della disperazione, ha deciso, probabilmente di compire l'ultimo, eclatante gesto, della sua vita: imitare i kamikaze di Ben Laden, abbattersi come loro, contro una torre, simbolo di una città. Un suicidio che è anche un atto di accusa contro la società, quella società che ai suoi occhi per qualche strano meccanismo, era colpevole come chi lo aveva truffato. Perché se così non fosse, perché non spararsi, perché portare con sé altre vite, perché rischiare (siamo stato solo fortunati) di scatenare una nuova apocalisse?
Dobbiamo anche ammettere che tutti questi nostri discorsi sono figli anch'essi dell'11 settembre. Forse se le due Torri svettassero ancora su Manhattan oggi avremmo una lettura, un modo di sentire diverso su questo incidente. Forse, data l'assurdità, penseremo che sia stato sul serio, e paradossalmente non è detto che non lo sia, un incidente. Ma non è così: sappiamo che non è così folle usare un aereo come un missile e scagliarlo contro un palazzo, sappiamo che non è così folle uccidere migliaia di persone. Sappiamo che la follia, dopo New York, è possibile. Ogni giorno guardiamo in alto, con paura ed insicurezza: i nostri cieli sono diventati strumenti di morte, le nostre città, sembrano incredibilmente vulnerabili, e noi, viviamo ogni giorno, privati di quella, spesso irresponsabile, felicità, che ci era propria. Non credo sia un bene, non lo credo.