«Grande
Due e Triplo Zero»
Andrea Menegotto
Il millenarismo, che è
un complesso di dottrine che traggono spunto dalle attese messianiche del
giudaismo, deriva il suo nome dai «mille anni» del regno di Cristo di
cui parla Apocalisse 20, 1-10, al termine dei quali (e prima del trionfo definitivo di Cristo e
dei suoi Santi) dovrebbe verificarsi per un breve periodo la liberazione di
Satana, precedentemente incatenato e ridotto all’impotenza. Questi mille anni,
secondo i sostenitori del cosiddetto «millenarismo catastrofico» (Wessinger
1997) – la corrente millenarista attualmente più diffusa – saranno preceduti da
un periodo in cui le cose andranno di male in peggio (guerre, terremoti,
sconvolgimenti politici di grossa portata, trionfo momentaneo dell’Anticristo)
fino a che Gesù Cristo ritorni nella gloria per inaugurare il millennio di
pace.
Fra il II e il IV
secolo queste teorie furono molto discusse: alcuni interpretavano il regno
millenario di Cristo come metafora spirituale, altri come annuncio di qualcosa
che sarebbe avvenuto realmente nella storia. Sant’Agostino diede al passo
apocalittico un’interpretazione simbolica e allegorica, ma nei vari secoli
molti continuarono a sostenere le dottrine millenariste. Non si deve peraltro
confondere il millenarismo – o attesa di un regno glorioso che durerà
esattamente mille anni e sarà caratterizzato dalla presenza visibile di Gesù
Cristo – con la fissazione di date precise per la fine del presente ordine di cose
e l'inizio del Millennio. Talora le due cose vanno di pari passo, come è
avvenuto spesso nella storia dei testimoni di Geova (che oggi, pur attendendo
il Millennio come imminente, rinunciano però a fissare date precise). Più
spesso, il millenarismo non propone date precise, ed è in questa forma che è
oggi la dottrina escatologica più diffusa nel mondo protestante
"evangelico" (cioè conservatore) e "fondamentalista" (cioè
ultra-conservatore), oltre che nel mondo pentecostale protestante, mentre è
meno diffusa nel protestantesimo "liberale".
Con il sopraggiungere
del 2000 – il «Grande Due e Triplo Zero» della letteratura di genere profetico-apocalittico
contemporanea, mentre da un lato molti storici sono impegnati giustamente a
ricondurre alla verità dei fatti la «leggenda nera» relativa all’anno Mille, la
quale fu pensata a tavolino dagli illuministi settecenteschi per screditare la Chiesa
cattolica (non ci fu, in realtà, nessuna leggendaria paura dell’anno
Mille); dall’altra si può facilmente
notare soprattutto grazie ai mass media, un proliferare di credenze e – spesso – dicerie
relative all’imminente fine del mondo. La gamma, è piuttosto vasta.
Secondo alcune
indagini, pare che addirittura un terzo dei cittadini americani affermi che la
fine del mondo potrebbe avvenire durante la vita dell’intervistato. Questa
percentuale costituisce la base su cui si fonda il successo di romanzi come Left Behind («Lasciati
indietro»), in testa alle classifiche americane e giunto al
sesto volume della serie. In esso, secondo una teologia di stampo
evangelico-fondamentalista, si racconta con dovizia di particolari e prendendo
il libro dell’Apocalisse di San Giovanni come canovaccio, come dovrà
avvenire la fine del mondo.
Anche in Italia non
mancano accenni alla fine del mondo che si fanno sentire – trovando spesso eco
nei mass media – in ambienti legati a veggenti e rivelazioni oppure alle
controverse interpretazioni delle Centuries
et prophéties di Nostradamus
(1503-1566). Per sua natura, questo testo si presta al gioco che Umberto
Eco ha chiamato della «interpretazione infinita», dove l’interpretazione è
molto più importante di qualunque realtà originaria. Ognuno di fatto lo
interpreta come vuole, e questo torna particolarmente di moda a ogni fine di anno o in concomitanza con ogni svolta
epocale, quando il calendario rende più forti le angosce per il futuro.
Non mancano però neppure in ambito cattolico persone influenzate dalle
idee millenariste: un’indagine del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) rivela
che il 10% dei cattolici italiani praticanti è convinto che la fine del mondo
arriverà prima della loro morte, mentre il 15% crede che certe profezie
millenariste pubblicate sulle riviste scandalistiche abbiano un qualche
fondamento.
Come deve leggere e
valutare questa realtà un cattolico fedele alla Dottrina della Chiesa?
Il cantante Ligabue in
una canzone del 1994 si chiedeva «A che ora è la fine del mondo?», e
proseguiva: «Fine del mondo in mondovisione. Diretta da San Pietro per
l’occasione». In realtà, avvicinandosi il Duemila, pare proprio che il cantante
abbia sbagliato indirizzo: a San Pietro
e dintorni – fuori metafora nella Chiesa cattolica – nessuno aspetta la fine
del mondo imminente. La Chiesa, in fedele ascolto della Rivelazione di Gesù
attende certamente la fine del mondo, cioè il momento in cui Cristo «verrà
nella gloria a giudicare i vivi e i morti» nella Parusìa, ma fa sue
le parole di Gesù: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il
Padre ha riservato alla sua scelta» (Atti 1,7). Questa frase del Maestro
divino è stata ben espressa da Sant’Agostino (354-430) nella sua opera De
Civitate Dei: «Si è soliti domandare quando avverrà ciò? E’ una domanda
importuna sotto ogni aspetto. Se infatti il saperlo fosse stato per noi un
bene, chi meglio dello stesso Dio, nostro Maestro, l’avrebbe detto ai suoi
discepoli? […] Inutilmente, perciò, ci affanniamo a calcolare e determinare gli
anni che restano al mondo».
Dunque, seppure la fede
nel Cristo venturo è affermata da un limpido manifesto, il Simbolo
niceno-costantinopolitano (325), la Chiesa cattolica è a-millenarista:
la parabola delle vergini sagge ci ricorda che «nessuno conosce né il giorno né l’ora» (Matteo 25,1-13).
Si è cristiani da subito nella storia che si è chiamati a vivere, senza dover
aspettare millenni di pace. Scrive a tal proposito il biblista Bruno Maggioni: «L’attesa
del Signore – cioè il modo cristiano di vivere nel tempo presente – deve
coniugare insieme prontezza e costanza. Prontezza perché il Signore può
giungere in ogni momento (“Non sapete né il tempo né l’ora”), costanza perché
il Signore può tardare a lungo» (Le parabole evangeliche, Vita e
Pensiero, Milano 1992).
In questo contesto
assumono un enorme valore le parole pronunciate da Giovanni Paolo II
all’Angelus di domenica 6 settembre 1998, quando ha ricordato che un mistero
d’amore avvolge l’uomo e il creato; per cui non servono oroscopi e previsione
magiche, ma piuttosto la preghiera. Ancora il Santo Padre in un’omelia nel
febbraio 1997, soffermandosi sul passo biblico relativo al diluvio universale e
all’alleanza stabilita con Noè (Genesi 6,5 – 9,17) ha affermato: «Nel
corso delle epoche della storia gli uomini hanno continuato a commettere
peccati, forse persino maggiori di quelli descritti prima del diluvio: Tuttavia
dalle parole dell’alleanza stretta da Dio con Noè si comprende che ormai nessun
peccato potrà portare Dio ad annientare il mondo da Lui stesso creato» (Omelia
della prima domenica di Quaresima, 16.2.1997).
Il che, ovviamente, non
esclude la necessità di conversione, richiesta dalla sempre imperfetta
condizione umana. Anzi, aprendo gli occhi la mattina del primo giorno dell’anno
Duemila, sarà opportuno non lasciarsi distrarre e tanto meno angosciare da
previsioni o pseudo-rivelazioni apocalittiche, ma piuttosto ricordarsi di avere
davanti un evento da vivere intensamente e con fervore: il grande Giubileo, che non è altro che una
grossa opportunità che la Divina
Provvidenza concede alla Chiesa e agli uomini del nostro tempo in vista
della loro conversione, salvezza e santificazione.
* «Incroci» - Rivista on-line
inclusa nel sito Internet della Diocesi di Milano (29.10.1999).
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