Magia: il sonno della ragione
Andrea Menegotto
«Non
praticherete alcuna sorta di divinazione o di magia»
(Levitico 19,26b)
Sfere di cristallo, candele,
tarocchi, oroscopi, talismani…, antichi ricordi di un passato oscuro e
tenebroso? Pare proprio di no a giudicare dai risultati di una recente indagine
Swg-Confesercenti
effettuata su un campione di 600 persone, da cui risulta che l’interesse per le
pratiche magiche coinvolge il 22% (corrispondente a oltre dieci milioni) degli italiani. Il giro di
affari è notevole: si parla di 832 miliardi spesi per consulti e pratiche
magiche, 66 miliardi per testi specializzati, 38 miliardi per riviste e 7
miliardi per filmati su temi magici.
Effettivamente, non occorre fare troppi sforzi per
notare che, oggigiorno, il mondo dell’occulto rappresenta una realtà in piena
attività e in grande sviluppo. Basta infatti sfogliare le “Pagine gialle”,
riviste e giornali o ascoltare alcune emittenti radiofoniche per notare
numerose inserzioni di maghi, sensitivi, guaritori, cartomanti, professionisti
dell’occulto o esperti di vita interiore. Inoltre, gli studi televisivi delle
emittenti locali formicolano di queste stesse presenze nel corso di lunghe
trasmissioni in cui lo spettatore può chiedere una consulenza al
“professionista”, il quale, però, preferisce generalmente rimandare la “vera”
soluzione del problema ad un successivo appuntamento fissato nel proprio studio
privato, trasformando così l’ascoltatore in cliente.
Secondo le categorie della sociologia religiosa,
la realtà di tutti coloro che si qualificano come “professionisti dell’occulto”
– nel nostro Paese sono qualche migliaio – rientra nel contesto che due sociologi
statunitensi, Rodney Stark e William Sims Bainbridge, definiscono “client cults”, cioè “culti di clientela”.
Altri studiosi parlano in maniera altrettanto adeguata di “magia popolare” (folk magic, l’aggettivo “popolare” è riferito al livello culturale, non a
quello socio-economico, talora alto, di praticanti e clienti), costituita da
maghi, che dietro compensi che vanno dal modesto all’astronomico, promettono
guarigioni, risoluzione di problemi economici e affettivi, lanciano fatture....
Di fronte alla diffusione della magia popolare, che esercita una forte
attrattiva in particolare sui ceti urbani emergenti e professionali (diplomati,
laureati, dirigenti, tecnici, commercianti, medici), Monsignor Giuseppe Casale
(Presidente onorario del Centro Studi sulle Nuove Religioni), nella Lettera
Pastorale Nuova religiosità e Nuova
Evangelizzazione (6.3.1993), afferma che se nell’opinione di Karl Marx
(1818-1883) la religione era intesa
come “oppio del popolo”, oggi la magia può essere considerata “l’‘oppio’
di una certa borghesia”.
Sulla scia del celebre fenomenologo delle
religioni rumeno Mircea Eliade (1907-1986), si può distinguere la magia dalla
religione in quanto l’esperienza magica più che un’esperienza del Divino o del
sacro (ierofania) è un’esperienza del potere (cratofania), dove
l’uomo manipola il sacro e lo mette al proprio servizio. Il contesto della
magia è dunque caratterizzato da una
pretesa di appropriarsi e possedere con la volontà ciò che nell’esperienza
religiosa può essere concepito solo come dono. Quindi, la magia parte dal
presupposto di voler dominare le forze occulte attribuendosi un potere
sovrumano e cercando di affermare il proprio desiderio di potenza sulla natura,
il presente, il futuro, il prossimo, gli oggetti, gli eventi della storia e lo
stesso mondo ultraterreno; in sostanza non è altro che il tentare di impadronirsi
del potere stesso di Dio e di tutti i Suoi requisiti e cioè la vera e propria
pretesa di sostituirsi a Dio. Dunque, ancora oggi, anche attraverso le pratiche
magiche, sempre viva ed insistente risuona la voce del tentatore che si rivolse
ai progenitori con parole eloquenti: “...
diventereste come Dio...” (Genesi 3,5).
Se molte volte i termini adatti a rendere conto
dei fenomeni magici sono caso, finzione, frode, altre volte le spiegazioni
adottate sono di ordine psicologico (la “volontà di credere” da parte di chi si
rivolge al mago, l’effetto placebo) o fanno perno sul concetto peraltro
controverso di paranormale (si sostiene che, essendo poco conosciuti, i
fenomeni magici sono in realtà fenomeni naturali fatti impropriamente oggetto
di interpretazione soprannaturale). Ma, condividendo il pensiero di Massimo
Introvigne e seguendo le indicazioni di importanti Documenti del Magistero, è
necessario affermare che il cattolico,
leggendo la realtà della magia, deve essere disposto a fare un passo in più
rispetto allo scienziato: nella spiegazione dei fenomeni magici, infatti, non
si può negare la possibilità di un’azione del demonio, anche se su questo aspetto
occorre essere molto prudenti nella valutazione al fine di non cadere in facili
e ingenue “demonizzazioni”. Parlare di demòni non consiste nel far riecheggiare
qualche eco di antiche credenze medioevali, ma semplicemente ribadire la Dottrina
della Chiesa, affermata in anni recenti nel Catechismo
della Chiesa Cattolica, nelle catechesi di Giovanni Paolo II (anche
all’Udienza generale del 18.8.1999) e di Paolo VI, il quale il 16 novembre 1972
affermava: “Oggi, uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male che
chiamiamo demonio. Un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore.
Terribile realtà, misteriosa e paurosa. Esce dal quadro dell’insegnamento
biblico ed ecclesiastico chi rifiuta di riconoscerla esistente”. La condanna
verso ogni forma di magia e superstizione, espressa nella Bibbia, è illustrata
ai numeri 2115-2217 del Catechismo della Chiesa Cattolica. Anche quando
– nella maggioranza dei casi – sarebbe eccessivo presupporre un intervento del
demonio, si tratta pur sempre di un atteggiamento psicologico e “culturale”
incompatibile con la fede.
In conclusione, resta da rilevare come l’epoca del
trionfo della magia nella storia dell’Occidente non sia il Medioevo e neppure
il Rinascimento (dove comunque gli interessi magici erano molteplici), ma la
nostra era informatica e post-moderna. Quello in cui viviamo è il periodo
critico che fa seguito ai secoli della propaganda atea, positivista e materialista
che, in nome della “Dea Ragione”, del partito e della classe sociale, della
razza o del proprio ego, ha condotto all’allontanamento dal Dio
cristiano e dalla Verità dottrinale custodita dalla Chiesa cattolica. Oggi
domina il relativismo nel senso più assoluto, l’uomo post-moderno vive in
quello che dal punto di vista culturale Aleksàndr Isaevic’ Solz’enicyn ha efficacemente
definito come “un mondo in frantumi”. In questo mondo, l’opzione
religiosa più diffusa è il “credere senza appartenere” o il “credo, a modo
mio”. Risulta evidente come ciò lasci largo spazio alla diffusione di credenze
e pratiche religiose – o presunte tali – quantomeno bizzarre. Vale la pena di
notare come il processo di progressiva rivendicazione dell’autonomia del
singolo e della società dalla Chiesa cattolica, incominciato con l’Illuminismo
settecentesco e con l’esaltazione della “Ragione” sul quello che gli
illuministi definivano “l’oscurantismo della fede”, abbia condotto – come esito
ultimo e paradossale – al trionfo dell’irrazionale e del superstizioso.
Dunque, aveva ragione il filosofo italiano Augusto
del Noce (1910-1989) quando acutamente
osservava che la secolarizzazione non si accompagna solo all’“espansione
dell’ateismo”, ma anche all’emergere di “nuove forme di mitologismo”.
E aveva altrettanta ragione lo scrittore cattolico Gilbert Keith Chesterton
(1874-1936), il quale scrisse che quando non si crede più in Dio non è che non
si creda più a nulla: si crede a tutto.
* «Il Timone» , anno I n. 3,
settembre-ottobre 1999.
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