4.
La imperfezione della natura
Lucrezio (96 a.C. -55 a.C. circa) è stato uno dei maggiori poeti della letteratura latina. Il suo poema, il De rerum natura ha avuto, a partire dallUmanesimo in poi, una grande fortuna sia a causa della bellezza dei versi sia a causa dellafflato laico che lo pervade tutto. Esso si configura come un poema epico-didascalico in esametri, suddiviso in sei libri, forse incompiuto a causa della morte prematura del poeta.
Loggetto della sua poesia è lesposizione della filosofia epicurea, che allora a Roma aveva un certo seguito; il poema è suddivisibile in tre diadi che rispettivamente trattano di: teoria degli atomi (libri I-II); lanima e le modalità della conoscenza (libri III-IV); la dottrina del mondo (libri V-VI).Tra le parti del poema più interessanti sono senzaltro da ricordare: linno a Venere, con cui si apre il poema, intesa non tanto come divinità tradizionale quanto come potenza creatrice della natura; la storia dellumanità, nel V libro, in cui gli uomini passano da uno stato primigenio di natura ad uno sempre più raffinato di cultura e la celebre chiusa del VI libro dedicata alla peste di Atene del 430 a.C.
I fondamenti dellepicureismo lucreziano sono da cercarsi nel desiderio del poeta di liberare lumanità dalle angosce della superstizione religiosa e della paura della morte affinché raggiunga uno stato di serenità e pace privo di turbamenti. La filosofia, secondo il poeta, ha quindi il compito di dare alluomo la visione della realtà delle cose quale essa è, senza le false credenze della religione.
Infatti Lucrezio dopo aver sostenuto che gli dei vivono negli intermundia, lontano dagli uomini e a loro indifferenti, descrive luniverso come dominato da leggi meccaniche, pertanto anche i fenomeni naturali hanno una spiegazione naturale e scientifica, dovuta semplicemente al disgregarsi e riaggregarsi degli atomi. Dunque le cose accadono senza lintervento divino e sciocca e vana è la paura degli dei.
Una volta sgombrato il campo dalla superstizione, ricorrendo ancora alla teoria atomistica dimostra essere vana anche la paura della morte: infatti la morte è nulla, è un "non stato", dato che anche lanima è formata da atomi che, al sopraggiungere della morte, si disgregano per andare a formare altri corpi, secondo un processo per cui "nil ex nilo, nil in nilum", cioè per cui nulla nasce dal nulla e nulla si trasforma in nulla, ma la realtà delle cose è eterna.
La teoria atomistica dunque si dimostra il cardine del pensiero lucreziano, attraverso sapienti rimandi teorici a Democrito e a Epicuro. Infine vi è da chiedersi come mai Lucrezio abbia scelto il medium della poesia, in contraddizione con i principi della filosofia epicurea; la spiegazione forse è contenuta nei versi 1-25 del IV libro laddove afferma che come i medici, per far sorbire una medicina amara ai bambini, cospargono gli orli dei bicchieri di dolce miele, in modo che i bambini con un piccolo inganno ottengano un grande beneficio, quello della guarigione, così egli ha combinato lardua dottrina filosofica con la piacevole e suadente arte poetica per il medesimo scopo. Se il mezzo è la poesia il fine rimane però didattico-morale filosofico: esporre la filosofia epicurea svelando in questo modo la vera natura delle cose agli uomini, liberandoli così dai tormenti della religione.
La imperfezione della naturaLucrezio inoltre considera gli uomini tormentati dalle passioni, dalla brama di ricchezze e di potere e la realtà affetta da una tragica imperfezione del cosmo, la culpa naturae o difetto della natura, che assume in Lucrezio una dimensione originale e al tempo stesso tragica, pessimista. Così in uno dei passi più celebri afferma che: " Ergo hominum genus incassum frutraque laborat/ semper et in curis consumit inanibus aevum" ossia "E dunque il genere umano senza frutto e invano si affanna/ in perpetuo consumando la vita in inutili travagli". Infatti è talvolta ravvisabile nellopera di Lucrezio, una sottile inquietudine, un senso di sconforto e angoscia, come ad esempio nella conclusione del poema, dedicato alla peste di Atene, visionaria e agghiacciante descrizione del male. I critici hanno cercato diverse spiegazioni, adducendo anche come causa la presunta incompiutezza del poema o il malessere psichico di cui Lucrezio, secondo San Girolamo, soffriva; la questione è tuttora aperta. Appare convincente linterpretazione di alcuni critici secondo i quali la peste non è altro che la rappresentazione simbolica e metaforica della vita non epicurea, in contrapposizione allelogio di Atene, patria di Epicuro, che apre proprio il VI libro, nel quale è profuso un atteggiamento ottimistico di matrice epicurea.
Latomismo lucreziano, prendendo le mosse da quello epicureo accoglie la teoria della parénchisis (il clinamen lucreziano), secondo cui il moto degli atomi non è guidato da un rigido determinismo, ma ammette la deviazione appunto di essi per determinare, attraverso lo scontro tra atomi, la formazione dei corpi. La traiettoria verticale degli atomi quindi si combina con la deviazione o inclinazione del loro moto che dà luogo a combinazioni o aggregati di atomi; dato che dalla dissoluzione della materia (o disaggregazione di atomi) risorgono sempre nuove combinazioni arriva ad affermare che nello spazio infinito devono esistere infiniti altri mondi formatisi dalla casuale aggregazione di atomi come il nostro.
Alessandra Guigoni
Docente di Italiano, Latino e Greco