A che cosa serve al scienza?
Convenienza pratica e piacere estetico
Il fondamentale motivo che spinge alla ricerca
Scienziati "teorici" e "sperimentali"
La divulgazione delle idee scientifiche
Una conclusione
Tutte le ricerche scientifiche miranti a definire i fondamenti stessi della scienza, per contrapposizione alla scienza applicata, hanno sempre incontrato ostilità in molta parte della cultura e delle istituzioni preposte al sostentamento e allo sviluppo delle ricerche stesse, per non parlare della cosiddetta "opinione pubblica". In ambiente scolastico, questo atteggiamento si manifesta nella diffidenza di molti studenti di fronte alle questioni fondamentali affrontate nei programmi di Matematica, Fisica, Chimica, e Biologia porta spesso a domande del tipo: "a che cosa serve?".
Queste domande, in verità, hanno un duplice obiettivo: il primo è di chiedere a cosa serve che gli scienziati si dedichino a tali problemi, e il secondo è di chiedere a cosa serve che gli studenti affrontino questi stessi problemi a scuola, dove ci sarebbero tante cose "più utili" da imparare.
L'esame di alcuni episodi esemplari della storia della scienza può aiutare a cercare le risposte a tali domande.
Una delle principali motivazioni che spinsero Copernico a riformare il modello tolemaico del sistema planetario fu che questo modello, a causa delle sue complessità, non era "sufficientemente ben accetto alla mente". Il sistema eliocentrico, proposto nel 1543 da Copernico dopo circa quarant'anni di studi, era nella prima versione ancora rozzo, al punto da non consentire una previsione della posizione dei pianeti più precisa di quella che veniva garantita dal sistema tolemaico. Questa mancanza di convenienza pratica fu, prima dei problemi teologici che sorsero in seguito (e il cui risultato più saliente fu la famosa condanna di Galileo), una delle principali critiche che vennero mosse alla teoria copernicana.
Va tenuto presente che questa teoria non aveva un supporto fisico che la dimostrasse superiore a quella tolemaica (tale supporto venne dalla teoria della gravitazione universale, elaborata da Newton più di un secolo dopo). Essa aveva solo una superiorità "estetica". Copernico, nella difesa del suo sistema, sottolineò che la semplicità di questo modello non era solo una questione di convenienza, ma anche di "armonia".
Nei libri scolastici viene spesso trascurato il piacere estetico che lo scienziato trova nella semplicità del suo modello, mentre proprio questo piacere costituisce una delle più interessanti esperienze di chi si dedica alla scienza pura. Il lavoro dello scienziato, lungi dall'essere un esercizio freddo, preoccupato solo del rigore formale o delle applicazioni pratiche che possono conseguire, è spesso basato su una ricerca di armonia, e quindi di bellezza. Copernico si fermò a questo livello. Altri scienziati, nel seguito, si occuparono di utilizzare il suo modello per realizzare nuovi tipi di analisi, di descrizioni, di applicazioni. Nella scienza, è normale che il campo delle possibilità offerte da una nuova teoria non possa essere previsto da chi ha iniziato la rivoluzione, né tanto meno da chi l'ha avversata.
Nel secolo scorso, mentre Michael Faraday stava portando avanti i suoi esperimenti, che mostravano la produzione di forze magnetiche da parte di cariche elettriche in movimento, nessuno avrebbe potuto immaginare che questi studi compiuti a Londra, avrebbero condotto a tutto l'insieme delle tecnologie concernenti la generazione di elettricità. In realtà, nemmeno Faraday poteva avere questa immaginazione, ma doveva aver chiara in mente la collocazione ideale del suo lavoro nel solco del processo di sviluppo della scienza. Quando rese pubbliche le sue scoperte, gli fu chiesto: "A che cosa servono?", e Faraday rispose: "A che cosa serve un bambino appena nato?".
Tutte le osservazioni sperimentali condotte in materia di elettricità da Faraday e da altri ricercatori furono poi mirabilmente unificate nel lavoro teorico di Maxwell, che fondò la teoria dell'elettromagnetismo.
Uno dei risultati teorici delle sue equazioni era che una carica elettrica accelerata avrebbe dovuto produrre una radiazione elettromagnetica. Pochi anni dopo la morte di Maxwell, lo scienziato tedesco Heinrich R. Hertz (1857-1894) verificò le sue teorie, trovando che la gamma di frequenza completa delle radiazioni previste da Maxwell consisteva in onde di svariati tipi, dalle onde radio a quelle luminose ai raggi X. Così, da un calcolo teorico fatto da un oscuro professore derivarono le meraviglie della radio, della televisione e dei moderni sistemi di comunicazione, come pure la possibilità di vedere attraverso il corpo umano con i raggi X.
Ragionando nei termini di "a che cosa serve?" si dovrebbero bloccare praticamente tutte le ricerche in atto nel campo della scienza pura. Se tutti avessero ragionato così in passato, se alcuni scienziati non avessero continuato la loro opera malgrado le opposizioni, le ristrettezze economiche e talvolta le dure condanne, non goderemo oggi di molte conquiste della scienza.
Scriveva Galileo a proposito del primo cannocchiale giunto fra le sue mani: "Quanti e quali siano i vantaggi di questo strumento così per terra come per mare, sarebbe del tutto superfluo enumerare (infatti Galileo per finanziare i suoi studi vendette il brevetto alla Repubblica di Venezia). Ma io lasciando le cose terrene mi rivolsi alla speculazione delle celesti". E circa trecento anni dopo, Einstein riprendeva a modo suo questo discorso nei termini seguenti: "Il mio lavoro scientifico è stato motivato da un irresistibile desiderio di comprendere i segreti della natura e da nessun altro sentimento. il mio amore per la giustizia e lo sforzo per contribuire al progresso delle condizioni umane sono molto indipendenti dai miei interessi scientifici". Questo non significa che gli scienziati teorici debbano avere "la testa fra le nuvole": sono innegabili le ricadute pratiche dei loro studi e delle loro scoperte. Ma queste applicabilità sono condizionate proprio dall'indipendenza delle ricerche stesse, dalla mancanza di condizionamenti, e, spesso possono essere giudicate solo a posteriori.
Nei tempi più vicini a noi continuano a porsi interrogativi analoghi a quelli del passato sull'utilità della ricerca pura (e della notevole mole di denaro che assorbe dalle finanze pubbliche). Esempi notevoli sono le controversie sulla fisica subnucleare e sulla cosmologia, due ambiti di studio che affrontano lo studio della struttura dell'universo dai suoi limiti dimensionali opposti (linfinitamente grande e linfinitamente piccolo), eppure strettamente collegati tra loro. L'atmosfera è però molto cambiata dai tempi di Faraday, per cui gli interventi sono più ponderati. Quando negli anni Sessanta diversi fisici tentarono di porre le basi per l'unificazione tra la teoria elettromagnetica e la teoria dell'interazione nucleare debole (origine della radioattività beta), riviste come l'Economist di Londra fecero notare il fatto, e consigliarono agli uomini d'affari di non trascurare le probabili conseguenze economiche di queste nuove ricerche.
Un altro esempio: la fornitura di energia costituisce attualmente uno degli interessi maggiori dell'umanità, e pertanto uno dei principali problemi della scienza applicata. L'energia solare è uno dei campi in cui gli studi sono più attivi, per la quantità inesauribile di energia in gioco e per le garanzie ecologiche offerte da questo tipo di sfruttamento. Oggi è fuor di dubbio che senza una buona base teorica sulle scienze dei materiali, e in particolare sulla struttura dello stato solido, non c'è la speranza di arrivare a qualche risultato utile in questo settore. Infatti, i processi fotovoltaici hanno un'efficacia strettamente dipendenti dalle proprietà dei materiali di assorbire la luce solare e di diffondere quello "stato eccitato" su cui si basa la conversione in elettricità. Se l'energia solare è destinata a fornire la soluzione alla crisi mondiale di combustibile, tale soluzione non verrà fornita solo dalla tecnologia dei radiatori installati sui tetti: un vero progresso in materia potrà derivare dall'applicazione della fisica quantistica, della biochimica e di altre scienze che si sono sviluppate nel nostro secolo.
Bisogna aggiungere che talvolta è l'atteggiamento stesso di molti scienziati a costituire una sorta di muro tra le loro ricerche e le aspettative della gente. Si tratta di una situazione venutasi a creare a partire dal secolo scorso, quando lo sviluppo delle scienze cominciò a imporre agli scienziati una grande specializzazione e la separazione dei ruoli: da una parte i "teorici", da un'altra gli "sperimentali", e da un'altra ancora gli "applicativi". Il linguaggio della scienza subì una forte evoluzione, i modelli interpretativi della realtà si distaccarono via via dal senso comune, e gli scienziati diventarono una sorta di razza eletta, alla quale la mentalità positivista allora imperante dava una presunzione eccessiva.
Un esempio evidente di tale atteggiamento fu il discorso che fece nel 1891 il fisico inglese William Thomson parlando alla Società britannica per lo sviluppo delle Scienze: "Abbiamo scoperto tutto ciò che si poteva scoprire nel campo delle scienze fisiche. Il resto non comporta altro che misurazioni sempre più perfezionate". Non era certo uno sprovveduto questo scienziato, che è passato alla storia con il nome di lord Kelvin, studioso di termodinamica e scopritore dello zero assoluto. Eppure, egli cadde nell'errore di ritenere giunta la fine della fisica. Pochi anni dopo questo proclama, la scoperta dei quanti e la relatività avrebbero rimesso tutto in discussione, dando lavoro ai ricercatori per tutto il secolo successivo.
Nell'età contemporanea, la posizione degli scienziati nei confronti del progresso delle scienze è però profondamente mutata, con un ribaltamento completo di prospettive: proprio la scoperta di alcuni limiti intrinseci alle possibilità di conoscenza umana ha imposto la necessità di escogitare nuove teorie, nuove procedure di osservazione e di calcolo per lavorare nei campi incredibilmente vasti che si incontrano avvicinandosi a tali limiti. E così la scienza ha abbandonato la retorica; dei positivismo, tornando allo spirito galileiano che aveva contrassegnato l'origine dei tempi moderni. Scriveva infatti Galileo: "Sembra sempre a me di estrema presunzione, da parte degli uomini di scienza che vogliono accrescere le conoscenze umane, credere di aver trovato la soluzione dei problemi: quando uno riesce ad approfondirlo, non vi è un solo effetto in natura, non importa quanto piccolo, che anche la più speculativa mente d'uomo sia capace di comprendere appieno".
Caduta la presunzione, rimangono comunque le difficoltà di comunicazione con il grande pubblico e in particolare con gli studenti. Molti scienziati si sforzano nell'opera di divulgazione e nella didattica, aiutati anche dai mezzi di comunicazione moderni (mezzi audiovisivi, informatici, ecc.). Purtroppo, va lamentato che questo sforzo, che è molto evidente nei paesi anglosassoni, è meno sviluppato in altri paesi, in particolare in Italia, Molti grossi nomi della scienza non vogliono "sporcarsi le mani" con la divulgazione scientifica, lasciando questo compito così delicato a personaggi subalterni, oppure a giornalisti, che sono in genere sprovvisti della necessaria competenza, e finiscono per spacciare banalizzazione per divulgazione.
Le scienze sono molto cambiate in questo secolo, anche se la fisica classica continua ad essere studiata e applicata perché "funziona" in una grande classe di fenomeni. Purtroppo, la fisica moderna si è dovuta definitivamente staccare dal senso comune e pertanto non risulta più familiare al grande pubblico. Ciò nonostante, essa continua ad andare avanti, sostenuta da una mentalità che sa di doversi continuamente adattare a qualsiasi cambiamento. Una mentalità che può e deve essere comunicata nel lavoro didattico, per preparare gli studenti ad operare in un mondo in cui l'adattabilità a nuovi schemi viene ritenuta una delle prerogative fondamentali per lo sviluppo. L'informatica, scienza essa stessa e strumento al servizio delle altre scienze, è un eccellente veicolo per la trasmissione di queste idee nel lavoro didattico, E fondamentale comunicare attraverso il software una concezione storica della scienza: le simulazioni non dovrebbero essere finalizzate solo a mostrare come "funziona" un certo fenomeno, ma anche a rivelare le caratteristiche del particolare modello in base al quale la simulazione è stata costruita. In un lavoro impostato in tal modo, gli studenti possono intervenire attivamente, proponendo critiche, varianti, nuove ricerche, collegamenti interdisciplinari.
In definitiva, il problema è quello che le vere scienze ( e il loro insegnamento) devono saper difendere il loro ruolo nei confronti dellaccettazione acritica di qualsiasi successo tecnologico o supposto tale, che purtroppo hanno molta presa sui giovani. Sono questi i mali che esse devono combattere. E le scienze possono agire in questo senso recuperando le loro origini, muovendosi nel solco della storia generale della cultura.
Marco Schintu
Biologo, docente di Scienze naturali presso il Liceo Scientifico di Villacidro.