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Editoriale
 LO SCUDETTO 2° INSAM
Il Milano ha vinto con piena legittimità. Lo ha fatto contro la squadra più forte, l'Asiago appunto, e con la squadra più forte, costruita preferendo l'esperienza di molti ultratrentenni in onore del motto vincere subito. Uno scudetto che è, se possibile, ancora più Insamiano (perdonateci l'orribile neologismo) del precedente. Il coach si è circondato dei suoi legionari, gli uomini che lo avevano fedelmente servito in Nazionale e loro lo hanno ripagato. Quasi tutti gi acquisti si sono rivelati azzeccati (e non è il caso in giorni di festa parlare di chi non lo è stato) e l'orgoglio ha spinto Insam, ciclicamente rimproverato di essere troppo "difenzivo" a giocare delle gare con l'1-4 (come se il Trap giocasse con tre punte pure e due trequartisti).
Ma è stato anche l'anno della Coppa Italia e, soprattutto, della Continental al Forum: se il presidente Di Canossa ha vissuto come un fallimento sportivo l'evento (gli avevano raccontato che avrebbe vinto la CC: si sa, non sempre i presidenti sono ben consigliati) gli spalti di quello stadio gremiti contro una squadra kazaka hanno un significato profondo, che vale quasi quanto uno scudetto. I tifosi, quelli che cantano e gridano, ma anche il bacino potenziale, sono la vera ricchezza di questo Milano. Forse anche per questo, quando si vince, come accade dovunque, dall'Italia alle Trinidad e Tobago, da Pantelleria a Merano, le feste andrebbero fatte, gratis, lì dove la gente ha cantato e gridato, a pagamento, con il culo al freddo. Non, a  13 euro, sotto le luci al neon dei localini trendy (si sa, i presidenti a volte non sono ben consigliati).
A parte questa caduta di stile e questa imperdonabile ingratitudine, il Milano eredita comunque un patrimonio grande da questa sua seconda vittoria italiana arrivata proprio nell'anno della tentata fuga in Svizzera: la sua strada è in Italia. All'estero si deve andare da campioni dell'Italia, con uno scudeo cucito sul petto, ad affrontare i giganti fino al giorno in cui Davide fionderà un bel puck in fronte a Golia.
Le energie e i soldi del sogno elvetico vanno spese a Torino (ottimo il lavoro fattto con il farm team), a Varese (spalti pieni per la gara dei cinquantenni), in Friuli, che con le Universiadi ha sciperto che esiste l'hockey e se ne è innamorato.

Salutando il primo campionato delle "The unoriginal six" non ci si può però dimenticare dell'Asiago. Una realtà che dimostra che l'eterna disputa tra l'hockey "di città" e l'hockey delle valli, è una sciocchezza. L'hockey si può fare dovunque e si può fare bene. Come ad Asiago, che non è una metropoli, ma è riuscita a coinvolgere tutte le componenti cittadine intorno all'Odegar. Quando si gioca una Coppa Italia ad Asiago lo senti per strada. Quando si disputa un girone di CC è come se ci fossero i mondiali. Altri presidenti di piccoli centri, che spendono molto tempo a piangere e a sognare l'hockey dell'Edelweiss contro il Franz Bar, dovrebbero imparare da Asiago. Ma si sa, anche nei piccoli centri i presidenti non sempre sono ben consigliati.
Ora, sul piano sportivo, bisognerà vedere che cosa accadrà ad Asiago. Bisogna meditare sugli errori sportivi (quest'anno non tutti gli acquisti si sono rivelati azzeccati) e poi non è un mistero che Laporte sogni di tornare in Svizzera, in una panca di Lna. Forse, dopo due cocenti delusioni consecutive sull'altopiano non lo tratterranno, ma è ancora presto per parlare di queste cose.

Non scordiamoci poi, che ora c'è da pensare alla Nazionale, che riparte dal gruppo B in quel di Croazia. Sarà dura, molto dura. Ma questa è un'altra storia.

ps: ieri il sito è saltato per "eccesso di accessi". Grazie di cuore, a tutti, per la fiducia e la pazienza. Tra qualche mese si cambia completamente: grafica, server, provider. Continuate a seguirci.